Serie TV > RIS Delitti imperfetti
Segui la storia  |       
Autore: Absteria    13/12/2011    5 recensioni
Avete provato ad immaginare che cosa succede dopo l'ultima puntata di Ris Roma 2?
Be', io sì, e questo è il risultato! Long nata dalla mia perversa immaginazione e dall'impazienza di aspettare che la prossima serie vada in onda!
Buona lettura!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eccomi ancora qui, con il secondo capitolo :)
Pensavo di postarlo un po' dopo, ma oggi e S. Lucia, quindi... Eccolo qui!
Un grazie infinito a coloro che hanno recensito il primo (8giusy8, Axen, ludoNy e Clappy), che hanno messo la storia tra le seguite (Axen, Clappy, LadyLove99 e ludoNy) e tra le ricordate (Lisbeth17).
Se volete, visto che il titolo fa schifo (sì, ne sono perfettamente consapevole), potete propormene qualcuno voi man mano che la trama va avanti. Chissà che io non lo scelga :)
Grazie ancora a tutti e buona lettura! :D
Absteria.

 

***




Sabato, 9 Luglio 2011. Ore 7:00 A.M. Casa del Capitano Brancato. Roma.
 
I due amanti giacevano ancora sul letto indisturbati. Un leggero raggio di sole, intrufolatosi dalla piccola  finestra della camera da letto, batteva insistente sul viso di Lucia che, essendo abituata a dare da sé il buongiorno al sole, si svegliò infastidita dalla luce.
Cominciò piano piano ad aprire i grandi occhi verdi, finché non riuscì a spalancarli completamente. Si girò lentamente verso la sveglia che aveva dimora sul basso comodino di vetro.
“Maledizione!”, esclamò sottovoce e balzò subito giù dal letto lasciandovi Orlando ancora profondamente assopito: avrebbe fatto tardi al R.I.S.
Senza pensarci un momento si infilò nella doccia e ne uscì fresca e sveglia dopo meno di cinque minuti. Mentre si pettinava i capelli, avvolta da un asciugamano, si fermò ad ammirare il suo uomo, che ancora dormiva beato sul suo letto, pensando con un po' di rammarico a quello che avrebbe dovuto fare di lì a qualche secondo. Prese coraggio. E tre, due, uno...
“Ahi!”, esclamò Orlando appena svegliato. Lucia gli aveva appena tirato in faccia un cuscino.
“Scusa”, lei ridacchiava.
“Ma che ti è preso? Come mai tutta questa gentilezza, oggi?”, chiese ironicamente mentre si stiracchiava ancora abbastanza assonnato. Non aveva alcuna intenzione di alzarsi dal letto.
“E' tardi”, gridò lei che nel frattempo era andata in cucina a preparare due caffè.
“Ma come è tardi? Sono appena le sette!”, si lamentava Serra che nel frattempo aveva dato un'occhiata alla sveglia digitale posta sul comodino di Lucia, “si può sapere che devi fare alle sette di domenica mattina?”
“Niente”, rispose lei semplicemente, sbucando dalla porta; si era appoggiata allo stipite, pregustando già quello che stava per succedere. “Peccato che oggi sia sabato”, aggiunse con finta innocenza.
Orlando sgranò immediatamente gli occhi e si costrinse ad alzarsi in piedi. “Come sabato?”, chiese smarrito, “ma allora tu che ci fai ancora qui? Non dovresti già essere al R.I.S.?”
“Te l'ho detto, Tenente, è tardi”, disse sorridendo mentre lo guardava muoversi in fretta per cercare di anticipare il tempo, “la sveglia non è suonata, e quindi eccomi qua. Per fortuna che mi sono svegliata, altrimenti mi sa che Ghiro non ce l'avrebbe fatta passare liscia un'altra volta”, ora ridacchiava pensando al suo migliore amico. Il Capitano Ghirelli infatti non era un tipo troppo discreto, e quando capitava che i due piccioncini tardassero in maniera evidente a lavoro scattavano immediatamente le battutine. Be', in realtà scattavano in ogni caso.
“Già, che fortuna”, Orlando era sovrappensiero, impegnato a raccogliere le sue cose. “Filo subito in doccia e arrivo”, promise e, stampato un piccolo bacio sulle labbra della sua donna, scappò subito in bagno.
“Sbrigati, il caffè è quasi pronto!”, gli urlò dietro scuotendo la testa; poi continuò a vestirsi mentre pensava ai commentini che le avrebbe riservato il suo amico Ghirelli.
 
 
 
Ore 7:58 A.M. Sede del R.I.S. Di Roma.
 
Il Capitano Brancato, fiera nel suo ordine impeccabile, varcava in quel momento la soglia del laboratorio, mentre Orlando, accampato giù nella sua macchina, sarebbe ufficialmente arrivato entro qualche minuto. Avanzava con il suo solito passo veloce, salutava tutti con un sorriso, finché non si fermò proprio davanti alla postazione del suo unico parigrado; apparentemente non c'era nessuno, eppure, da quel che sapeva (e lei sapeva davvero tutto quello che si svolgeva o meno in quella caserma), Daniele non era stato mandato da nessuna parte per missioni o sopralluoghi; che non fosse ancora arrivato? Magari era a casa a riposarsi, a dormire come si deve, in fondo se lo meritava: erano giorni che lavorava senza sosta.
E poi, era un post-it quello che penzolava dal retro del monitor?
Vinta dalla curiosità e dalla voglia di trovare una risposta a quelle domande, il Capitano decise di entrare.
Le bastò fare qualche passo per capire come stavano veramente le cose. I riccioli neri scompigliati, il camice stropicciato sulla spalliera, la camicia sgualcita ed un paio di cuffie nere a metà tra il collo e le spalle era tutto ciò che rimaneva del povero Ghirelli che, nascosto dal monitor del proprio computer stava schiacciando un pisolino. Per quel giorno, pensò Lucia, le avrebbe risparmiato le battutine.
Aveva passato l'ennesima notte al R.I.S. cercando di capire dove potesse trovarsi il nascondiglio del Lupo; aveva già visionato tutti i video provenienti dalle telecamere di sorveglianza delle banche e dei negozi nei pressi dell'ospedale per farsi un'idea di dove potesse essersi rifugiato, ma di Mario Pugliese non c'era nessuna traccia. Eppure non voleva arrendersi, doveva farlo per Lucia. E per Flavia. C'era proprio lui, Lupo, alla guida di quella macchina, il giorno in cui era stata ammazzata; Daniele non l'aveva dimenticato, ed era pronto a tutto pur di prendere, arrestare e punire colui che l'aveva strappata così brutalmente alla vita.
Il post-it che Lucia aveva notato prima di entrare nell'ufficio dell'amico non era altro che uno scherzo di Bartolomeo, la cui calligrafia ordinata, perfetto specchio del suo carattere e dei suoi modi di fare, era praticamente inconfondibile; la scritta che conteneva diceva solo 'sono un ghiro, lasciami dormire!', in perfetto stile Dossena.
Il Capitano, solitamente glaciale tra le mura del laboratorio, non poté fare a meno di intenerirsi davanti a quella scena.
Eh, già, pensava sorridendo con affetto,Ghiro è proprio un ghiro. Era proprio un peccato che bisognasse svegliarlo. E l'infallibile Lucia cominciava a pensare che quel giorno l'avrebbe passato a fare la sveglia per tutta Roma.
Gli diede una leggera carezza sulla guancia e cominciò a chiamarlo a bassa voce: “Daniele, sveglia. E' ora di lavorare. Daniele?”. Niente da fare, non rispondeva. Cominciò a scuotergli le spalle, dapprima piano, poi più violentemente, ma niente da fare, Ghirelli proprio non ne voleva sapere di alzarsi. Lucia detestava utilizzare le maniere forti con i membri del suo gruppo, ma dato che non c'era alternativa...o forse sì!
“Ghiro sveglia, c'è la Bellucci!”
“Cosa? Monica! Dov'è?”, Daniele era balzato subito giù dalla sedia, si era risistemato gli abiti in meno di un secondo e sarebbe stato già pronto per dare la caccia alla Bellucci se non si fosse trovato davanti il proprio Capitano con un'espressione a metà tra il divertito e il contrariato dipinta sul volto. Ma Ghiro era sicuro che fosse più sul divertito.
“Buongiorno, Lucia”, disse dopo aver deglutito ed essersi schiarito la voce, “come va?”
“Tutto bene, fortunatamente. E tu? Da quant'è che non ti fai una lunga e sana dormita?”
“Saranno...un due o tre giorni al massimo, non di più. Credo.”
La verità era che non lo sapeva più nemmeno lui. Da quando Pugliese era fuggito dall'ospedale si era buttato con anima e corpo dentro a quella faccenda; rischiava di non uscirne più.
“Credi, eh?”, lei, d'altro canto, era ancora meno convinta di lui. “Perché non vai a casa oggi?”, il suo sguardo era premuroso, il tono di voce apprensivo come quello che una madre avrebbe usato con il proprio figlio, “qui è tutto tranquillo, ce la caviamo anche senza di te.”
“Ma i video, il Lupo, io...”
“Quei video li avrai già visti almeno un centinaio di volte e se non hai trovato niente significa che probabilmente Mario non è passato di lì, o che è stato attento a non farsi riprendere.”
“Ma magari mi è sfuggito un particolare, qualcosa che potrebbe...”
“Li riguarderà Orlando più tardi, sei più tranquillo?”, ogni tanto Lucia doveva ricordarsi che non era l'unica testarda in quella caserma, “su, prendi le tue cose e vai a casa, ti aspetto qui lunedì mattina; ed esigo vederti riposato.”
Il sonno era davvero tanto ed il tono di Lucia sembrava non ammettere obiezioni; Ghiro si stava lasciando convincere. “Sei sicura?”, chiese ancora dubbioso.
“Sicurissima, vai!”, gli diede una leggera pacca sulla spalla e sorrise, felice che il suo amico finalmente si riposasse un po'.
Proprio mentre Daniele, col casco alla mano, si apprestava ad uscire, Serra decise di fare la sua consueta apparizione mattutina; erano passati esattamente dieci minuti dall'arrivo della Brancato. Ghirelli, assonnato com'era, quasi non si accorse di lui.
“Ehi, Ghiro! Ma mi senti?”, chissà da quanto tempo lo chiamava.
“Ah, sì, Orlando, ciao!”, faceva una fatica enorme per tenere gli occhi aperti.
“Ma sei sicuro di star bene?”, anche Serra si era accorto della particolare stranezza del suo amico, “dove stai andando conciato così?”
“No, da nessuna parte, è che la tua ragazza mi ha ordinato di...”
“Shh! Ma sei impazzito? Lo sai che non lo sa nessuno, no?”, ormai era evidente che Daniele non fosse nel pieno delle proprie facoltà mentali.
“Sì, scusa, è che...”
“Lascia stare, per fortuna non ti ha sentito nessuno. Piuttosto, che cosa ti avrebbe ordinato Lucia?”
“Dice che devo tornare a casa a dormire.”
“Ah, ecco. Non mi sembra tanto una cattiva idea, anzi, ti accompagno io, così mi faccio anche un bel giretto sulla tua moto; altrimenti mi sa che la prossima volta che ci rivedremo sarà sotto la sovrintendenza del nostro caro Mister Carnacina”,ovviamente Orlando scherzava, ma Ghirelli era veramente agli sgoccioli.
“Ahahah, simpatico”, rispose Ghiro per nulla divertito.
“Su, andiamo”, lo rimbeccò il Tenente, e lo trascinò fuori dalla caserma sostenendolo per un braccio onde evitare che cadesse a terra addormentato.
 
 
 
Appena un'ora dopo, mentre Bianca litigava con la macchinetta del caffè che si rifiutava di emettere il resto, il telefono della postazione di Emiliano squillò.
“Sottotenente Emiliano Cecchi, R.I.S. di Roma”, rispose automaticamente dopo aver sollevato la cornetta. “Ah, Fabrì dimme... Okay, e 'ndo sta?”. Con fare esperto incastrò il telefono tra il collo e la spalla, in modo tale da avere le mani libere; scrisse qualcosa su un fogliettino accanto a lui sulla scrivania. “Grazie, arriviamo subito”, concluse e poggiò la cornetta al suo posto.
Finita la conversazione, Bianca, avanzando lentamente per non far sgorgare il suo tanto agognato caffè lungo dal bicchierino, si avvicinò al tavolo di Milo. “Novità?”, chiese non appena gli fu di fronte.
“Sì, era Sasso. Dice che una signora ha ritrovato il proprio marito morto sul pavimento della cucina.”
“Ah, poveretta, non sarà stata una bella visione per lei.”
“E quando mai lo è?”, ripose lui ironicamente, “un cadavere è sempre un cadavere.”
“Eh, già...”
“Senti, io vado ad avvisa' er Capitano, te preparati che arriviamo io e 'n artro”, disse Milo e, dopo essersi infilato in tasca il post-it sul quale aveva segnato l'indirizzo, si alzò velocemente dirigendosi verso lo studio della Brancato.
Mentre lo guardava allontanarsi, Bianca si convinceva sempre di più che Emiliano era stato uno dei più grandi errori della sua vita. Non che non fosse stata bene con lui, anzi, era stata molto molto bene tra le sue braccia; e forse era proprio questo il punto: era stata fin troppo bene, si era innamorata e ora non riusciva più a toglierselo dalla testa.
Nel frattempo che il Sottotenente Proietti era persa nelle sue riflessioni personali, Emiliano era già tornato dall'ufficio del Capitano.
“Orlà!”, chiamò il collega che sembrava intento a mettere in ordine la propria scrivania; Orlando si voltò in direzione della voce, “ha appena chiamato la territoriale, dice che hanno trovato un cadavere in via...”, estrasse il piccolo foglietto giallo stropicciato dalla tasca del camice da laboratorio e lesse l'indirizzo, “via Suez, ar numero 35. La Brancato ha detto che dobbiamo anna' io, te e Bianca...”
“Sì, certo, arrivo subito”, rispose immediatamente il Tenente.
“Va bene, io e Bianca t'aspettiamo all'ingresso”, e detto questo Milo sparì dalla porta di vetro automatica insieme alla giovane collega.
Quando arrivò giù all'ingresso della caserma, il Tenente Orlando Serra si trovò davanti ad una scena tanto divertente quanto, purtroppo, consueta.
Giada, la moglie di Emiliano, con in braccio la figlia Marica, lo stava letteralmente assalendo con le parole parlando, come al solito, in dialetto romanesco stretto. Le uniche parole che risultavano comprensibili alle orecchie del povero Tenente erano: bambina, moglie, casa e chiavi.
Per fortuna Milo, vedendo arrivare il suo superiore si fece forza e riuscì a balbettare alcune parole sconnesse sul fatto di dover lavorare e sul non voler rischiare di avere guai con i propri superiori;  riuscì finalmente a congedarla con un bacio stampato sulle labbra ed una smorfia che voleva essere divertente per la piccola Marica. Il tutto sotto gli occhi diffidenti e gelosi di Bianca.
“Ciao amo'!”, tentò Emiliano speranzoso quando la moglie accennò finalmente a togliere il disturbo.
Per tutta risposta, Giada, con un'espressione abbastanza scocciata, accennò un saluto con la mano sinistra e si diresse velocemente verso la propria macchina masticando, come al solito, una gomma da masticare alla fragola.
Ovviamente Orlando non perse l'occasione di farsi un paio di risate; non appena la signora Cecchi si fu allontanata sufficientemente da non poter sentire le parole che si scambiavano, ridendo sotto i baffi, attaccò con la prima domanda: “Allora, Milo, a cosa era dovuto l'uragano di oggi?”
“Ma niente, è solo che per sbaglio ho confuso le chiavi de casa e me so portato pure 'e sue”, rispose il ragazzo ancora abbastanza scocciato per la sgridata appena ricevuta.
“Ahi, ahi”, fremette il Tenente, “mi sa che questa volta l'hai fatta proprio grossa. Qualcosa mi dice che non basteranno delle semplici scuse per farti perdonare.”
“Lasciamo stare, va'... Che fa', annamo o dobbiamo ancora perde' tempo a discutere di me e mi' moglie?”, superato l'abbattimento iniziale, ora Emiliano era spazientito.
“Agli ordini, Sottotenente!”, lo schernì prontamente Serra e, ridendo, cominciò ad avviarsi verso la macchina portando con la mano destra la valigetta nera contente gli strumenti da usare sulla scena del crimine.
 
Nascosto all'ombra dei pioppi, proprio dietro il cancello laterale inutilizzato che delimitava l'area della caserma, un uomo sconosciuto trafficava con una vecchia macchina fotografica, una polaroid.
Nella tasca posteriore destra dei suoi jeans albergavano alcune fotografie appena scattate. Immortalati sulla carta patinata vi erano il Sottotenente Cecchi, la moglie, ed un paio di primo piani della piccola Marica.
 
 
 
Ore 9:20 A.M. Via Suez, 35. Roma.
 
Una volta arrivati sulla scena del crimine, i Carabinieri del R.I.S., trovarono ad accoglierli il solito intrepido Tenente Sasso pronto, come sempre, a fornire loro notizie, sia rilevanti che non, sul conto della vittima, dei suoi amici, colleghi e familiari.
“Il signore schiattato si chiamava Oreste Sabatini e faceva l'ingegnere edile presso la Sabatini&Co., di sua proprietà. Era sposato, ma non aveva figli. Lo ha ritrovato la moglie, che sostiene di essere ritornata a casa più o meno mezz'ora o quaranta minuti dopo essere uscita: il tempo di arrivare al garage dove teneva la macchina e di accorgersi di aver dimenticato le chiavi a casa; è tornata e lo ha trovato steso sul pavimento che non si muoveva”, Sasso recitò il suo brillante monologo sulla vita della vittima senza fermarsi nemmeno un secondo per riprendere fiato; ora era, come sempre, arrivato il turno delle sue immancabili considerazioni personali: “oh, secondo me è stata lei.”
“Dov'è adesso?”, chiese impaziente Orlando, senza far caso a ciò che il collega aveva appena detto.
“E' su, in casa, l'ho trattenuta in modo tale che anche voi possiate ascoltare la sua testimonianza”, rispose Fabrizio Sasso, sempre efficiente. “Venite, seguitemi: vi porto di sopra.”
“Perfetto, Sasso, grazie”, commentò entusiasta il Tenente del R.I.S., e si avviarono insieme al terzo piano, dove si trovava l'appartamento della vittima; “ora qui ci pensiamo noi”, disse e, mentre parlava, oltrepassò i sigilli allestiti apposta dalla territoriale seguito dai suoi colleghi del laboratorio.
 
Mentre Orlando parlava con la moglie della vittima in un'altra stanza della casa ed Emiliano repertava con cura le tracce organiche presenti in cucina, Bianca si stava occupando di fotografare tutti gli oggetti presenti sulla scena del crimine; per un motivo che si ostinava ad ignorare, aveva una fretta tremenda di lasciare quella stanza e, soprattutto, il collega che la occupava insieme a lei.
“Io ho finito qui, vado a dare una mano ad Orlando di là”, disse; la sua agitazione era percepibile persino da lontano. Solo un tipo distratto come Milo poteva non accorgersi di nulla.
“Sei sicura di aver fotografato proprio tutto? Ogni singolo particolare? Lo sai che la Brancato ce uccide se se accorge che ce semo fatti sfuggi' qualcosa...”
“Okay, okay. Ricontrollo”, effettivamente Emiliano non aveva tutti i torti, e lei lo sapeva.
Ricontrollò le fotografie dal piccolo schermo posto dietro la fotocamera: erano perfette. Aveva immortalato ogni angolazione possibile con ogni gradazione dello zoom. Peccato che avesse scelto i soggetti sbagliati. Eccetto le primissime foto, che riproducevano l'esatta posizione della tazzina di caffè presente sul tavolo della cucina dell'appartamento della vittima, il resto era un vero e proprio servizio fotografico di Milo, del suo viso, delle sue mani coperte dai bianchi guanti in lattice...
Andavano rifatte tutte.
“In effetti ce n'è un paio un po' sfuocate, le rifaccio subito”, disse in fretta per coprire l'imbarazzo, anche se in realtà soltanto lei avrebbe potuto conoscerne il motivo.
“Ecco, brava, rifa' 'n po' 'ste foto, va'”, rispose lui distrattamente continuando a repertare.
Quando ognuno di loro ebbe finito il proprio lavoro sul luogo del delitto, tornarono al R.I.S. per analizzare i reperti raccolti ed informare il Capitano.
 
 
 
Ore 12:37 A.M. Sede del R.I.S. Di Roma. Ufficio del Capitano Brancato.
 
Nell'ufficio del Capitano Brancato l'aria era tesa: da un lato c'era la mancanza di Ghiro, che era solito smorzare la tensione con qualche battuta, dall'altro lato la rigidità momentanea della Brancato che era riuscita a paralizzare tutta la squadra. Prima il briefing sarebbe finito e meglio sarebbe stato. Per tutti.
“Bene, ragazzi”, cominciò l'unico Capitano presente nella stanza cercando invano di smorzare la tensione, “che ne dite? Possiamo cominciare?”, chiese quasi retoricamente.
Orlando annuì debolmente, gli altri fecero lo stesso dopo di lui. Nessuno parlò.
Emiliano sembrava incerto, si mordeva il labbro inferiore e respirava in maniera irregolare come se stesse per parlare, ma poi ci ripensasse ogni volta. Alla fine si decise: “Ghirelli dov'è?”, non appena ebbe pronunciato queste parole, però, sembrò che avesse voluto poterle ritirare immediatamente.
“Daniele era molto stanco, l'ho mandato io a casa a dormire”, rispose Lucia senza nemmeno chiedersi il perché dell'agitazione di Milo, “sta bene,  non preoccupatevi, aveva soltanto un po' di sonno”, si sciolse un momento nel tentativo, seppur goffo, di tranquillizzare i propri uomini, ma l'attimo dopo aveva già riacquistato tutta la rigidità che aveva man mano accumulato in quei pochi minuti. “Allora, cominciamo?”
Questa volta erano tutti d'accordo; forse avevano preso coraggio per via dell'improvviso scioglimento di poco prima, o forse si erano rassegnati all'assenza del 'Capitano in seconda', oppure ognuno di loro, chi per tornare alle indagini, chi per non avere più brutte notizie da comunicare, semplicemente non vedeva l'ora di togliersi questo dente.
Un unanime “sì”, detto all'unisono, risuonò nella stanza del Capitano.
Licia annuì per farsi coraggio ed infonderlo, nello stesso tempo, a tutto il gruppo e sorrise, “benissimo!”, esclamò entusiasta di vedere tutti se non più sereni almeno più preparati ad affrontare la riunione. “Allora, Serra, a te la parola”, disse e, nonostante la tensione, sulle bocche di entrambi affiorò un sorriso di pura complicità; se gli altri se ne accorsero non ne diedero l'impressione.
“Sì”, assentì lui e poi cominciò a parlare. “La vittima si chiamava Oreste Sabatini, quarantadue anni, sposato con Elena Sabatini. La moglie sostiene di essere scesa da casa alle 7:45, prima che il marito si svegliasse, abbiamo chiesto conferma al portiere che attacca alle 8:00 e dice di non averla vista uscire, ma soltanto rientrare, quindi probabilmente Elena dice la verità. Una volta uscita da casa si sarebbe quindi diretta al garage dove tenevano la macchina; per arrivare lì a piedi ci vogliono venti minuti. Arrivata lì si sarebbe poi accorta di avere dimenticato le chiavi dell'auto a casa e sarebbe quindi tornata indietro. Anche questo coincide, perché il portiere dice di averla vista rientrare verso le 8:30. Quando è salita in casa dice di averlo trovato steso sul pavimento della cucina che non si muoveva, per come l'abbiamo trovato.”
“Va bene, questo comunque prova soltanto che la moglie non fosse in casa in quell'intervallo di tempo, ma non che non abbia avuto modo di ucciderlo”, disse il Capitano, “ora e causa della morte?”
“Questa è una domanda molto interessante”, concordò Orlando attirando maggior attenzione di quella che aveva già ottenuto precedentemente, “purtroppo Carnacina non era ancora arrivato quando ce ne siamo andati, quindi abbiamo raccomandato a Sasso di farci chiamare non appena finisce l'autopsia sul corpo di Oreste. Comunque per quel che ho potuto vedere sul corpo non erano presenti né ferite da arma da fuoco né da taglio.”
“Vorrà dire che aspetteremo Carnacina, allora”, ora la Brancato era un po' scocciata, “la casa com'era?”
“Ma, l'arredamento era in stile moderno, però aveva poche finestre. A me personalmente non  è piaciuta granché.”
Anche Emiliano era d'accordo: “sì, è vero non era proprio la casa dove andrei a vivere con...”
“Okay, okay, ora basta”, disse Lucia spazientita, mettendo fine a quei commenti inopportuni sull'abitazione della vittima, “io intendevo chiedere lo stato della casa dopo il delitto”, disse e poi aggiunse a voce più bassa, quasi tra se e se: “se di delitto si tratta.”
“Oh”, sia Serra che Cecchi erano leggermente imbarazzati dopo questa rivelazione: effettivamente avrebbero dovuto aspettarselo.
Dopo nemmeno un secondo di smarrimento, Orlando riprese in mano la situazione: “la casa era in ottimo stato, era tutto in ordine, la porta non è stata forzata e secondo la moglie non manca niente. Inoltre in cucina non ci sono impronte che non siano appartenenti alla vittima o a sua moglie.  In effetti è tutto molto strano, sembrerebbe quasi una morte naturale, ma per saperne di più dobbiamo comunque aspettare l'autopsia.”
“Già”, concordò il Capitano, “in effetti è strano”, ma non aveva tempo per soffermarsi su un'indagine che, per il momento, non poteva portare da nessuna parte: c'erano questioni più importanti di cui le premeva informare la squadra. “Ma andiamo avanti”, disse, prese un respiro profondo, poi continuò, “dopo che voi tre siete andati a casa Sabatini, la territoriale ha chiamato di nuovo per una rapina, un po' fuori Roma...”
“Ma perché adesso si chiamano i R.I.S. anche per una rapina?”, chiese Bianca impazientemente.
“Teoricamente no”, rispose calma la Brancato, quasi a voler contrastare la leggera agitazione del Sottotenente, “ma la territoriale ha ricevuto una chiamata anonima di un signore che diceva di aver visto un uomo con una maschera da lupo nei pressi della villa, aveva letto sul giornale della fuga di Mario Pugliese e quindi ha pensato bene di chiamarci.”
“Ma non l'avete preso, giusto?”, chiese cautamente il Tenente Serra, il quale non aveva dimenticato l'aria tesa che si era creata fin dall'inizio del briefing.
“No, Orlando, siamo arrivati troppo tardi ed il Lupo era già scappato”, rispose Lucia con un'espressione frustrata.
“Ma siamo sicuri che si tratti proprio di Mario Pugliese? Non potrebbe essere stato un emulatore che magari ha davvero letto della fuga del Lupo sul giornale ed ha deciso di colpire chiamando poi il 113 e facendo ricadere la colpa su di lui?”, era un ragionamento perfetto quello di Serra,  ma purtroppo la faccia di Bart diceva chiaramente che quella era la pista sbagliata.
“Ci abbiamo pensato anche noi, ma sulla cassaforte della casa abbiamo trovato un'impronta di Pugliese. Non ci sono dubbi, era proprio lui”, glaciale come sempre quando si trattava di comunicare spiacevoli notizie, il Tenente Dossena scacciò via ogni dubbio dalle menti dei presenti.
“Quanto ha rubato?”,chiese subito Emiliano.
“Secondo i signori Zummo, i proprietari della villa, dalla cassaforte mancano 30.000 euro”
“Ammazza, oh! E come oggetti?”
“Niente. Sembrerebbe che il Lupo abbia rubato solamente contanti, trascurando quindi ogni sorta di gioielli ed altri oggetti di valore”, spiegò Bart.
“Se ci pensate ha senso”, intervenne Lucia notando le facce stupite di Bianca ed Emiliano, “Mario non vuole i soldi per il gusto di averli, non gli interessa la refurtiva, a lui servono i soldi semplicemente come mezzo per raggiungere il suo obbiettivo.”
“Ucciderti”, sussurrò piano Orlando, con gli occhi pieni di rabbia.
“Già”, commentò Lucia, sempre tranquillissima, “sembra che sia questo quello che vuole fare”.  “Ad ogni modo”, riprese poi, “Bartolomeo ed io non abbiamo trovato nient'altro che ci possa far risalire ad un possibile covo del Lupo quindi, per il momento, siamo punto e a capo. Dobbiamo scoprire come pensa di utilizzare quei soldi.”
“Sì, mi sembra la priorità”, concordò Orlando.
“Benissimo”, concluse il Capitano, “la riunione è sciolta. Ci aggiorneremo quando avrete novità importanti.”
Detto questo tutti si alzarono ed uscirono velocemente dalla stanza. Tutti tranne il Tenente Serra.
Per circa cinque secondi i due, rimasti soli nella stanza, si limitarono a fissarsi; sembrava che si stessero sfidando silenziosamente, ma in realtà ognuno di loro stava cercando delle parole adatte, l'uno ad avanzare una richiesta, l'altra a respingerla. Alla fine il Tenente parlò.
“Vorrei essere spostato sull'altro caso.”
“Non se ne parla, tu seguirai l'indagine Sabatini”, Lucia sembrava irremovibile.
“Ma siete solo in due sull'altra e mi sembra che abbiamo concordato sul fatto che scoprire le intenzioni del Lupo sia la priorità”, insistette Orlando.
“Assolutamente, ma su quel caso ci vuole il tuo appoggio: non posso lasciare soli due Sottotenenti, soprattutto se si tratta di Bianca e Milo.”
“Ma ancora non siamo nemmeno sicuri che sai tratti di omicidio”, in verità il Tenente era completamente sicuro del contrario.
“Allora facciamo così: aspettiamo che telefoni Carnacina; se la morte di Sabatini è stato un omicidio indagherai su Sabatini, in caso contrario sarò più che felice di spostarti sull'altro caso, che ne dici?”, il compromesso era l'arma migliore tra quelle a disposizione del Capitano Brancato o, perlomeno, era quella che lei preferiva utilizzare.
“Mi sembra perfetto”, acconsentì Orlando che sentiva già di avere la vittoria in pugno.
Sbrigate le questioni lavorative, Lucia diede un'occhiata all'orologio che teneva al posto sinistro: era l'una proprio in quel momento. “Io avrei un po' di fame adesso...”
“Anch'io”, si affrettò a dire Orlando precedendola, “e visto che le mie indagini sono ad un punto morto... Pranzetto?”, le chiese con un sorriso.
“Sì”, rispose lei ridacchiando; il suo uomo sapeva sempre di cosa avesse bisogno.
 
 
 
Ore 3:23 P.M. Sede del R.I.S. Di Roma.
 
Mocassini neri, pantaloni grigi e camicia celeste; il tanto atteso Carnacina era in piedi nell'atrio del Reparto Investigazioni Scientifiche, teneva in mano alcune cartellette aspettando che qualcuno gli desse conto. Per sua fortuna dopo pochi minuti il Sottotenente Cecchi venne preso da un incontrollabile voglia di caffè che lo portò a sfilare proprio accanto al bizzarro dottore.
“Ah, Carnacina!”, esclamò sorpreso di trovarselo davanti, “certo che te del far aspetta' noi del R.I.S. ne stai facendo 'na scienza proprio, un'arte.”
Carnacina sbuffò.
“Caffè?”, chiese il Carabiniere facendo cenno di seguirlo mentre si dirigeva alla macchinetta.
“Amaro, grazie.”
Dopo che ebbero finito di bere l'infuso salvavita, Emiliano decise di passare alle cose serie.
“Allora, che me sai di' del cadavere che t'abbiamo mandato stamattina?”, chiese interessato.
“Ah già, quello... E' morto verosimilmente tra le sette e mezza e le nove di questa mattina.”
“La causa?”
“Ehi, con calma! Overdose. Nell'intestino gli ho trovato una quantità impressionante di pillole, di quelle che vengono prescritte per combattere la pressione alta; probabilmente le ha ingerite ieri sera durante la cena. Evidentemente stamattina quando ha preso anche la dose normale non ha retto più”, spiegò il medico legale.
“Poveretto, quindi è stato ammazzato...”
“A  meno che non crediate che abbia volontariamente sbriciolato più di due scatole di pillole nella cena, quella dell'omicidio rimane l'ipotesi più probabile.”
“Grazie Carnacina”, lo liquidò Milo, e scappò di corsa per avvisare Bianca.
“Ciao Cecchi”, salutò Carnacina quando ormai Emiliano non poteva più sentirlo. Si voltò e vide Serra spuntare dalla porta automatica.
“Ma guarda un po', chi non muore si rivede!”, esclamò Orlando un po' sorpreso, un po' divertito.
“Tenente Serra”, lo salutò il dottore.
“Carnacina”, rispose il Carabiniere. “Qual buon vento?”
“Guarda, fatti aggiornare dal tuo collega Cecchi, io devo scappare.”
“Sei sempre di fretta, Carnacina, sempre di fretta. Fammi indovinare, un altro cadavere?”
“Una donna”, rispose il medico legale, “viva.”
“Complimenti allora, e buona fortuna”, gli augurò il Tenente mentre lo guardava andare via.
Curioso di vedere se ci fossero svolte del caso e, soprattutto, di sapere se avrebbe potuto dedicarsi alla ricerca del Lupo, Orlando si diresse subito a cercare Emiliano per farsi aggiornare: lo trovò alla postazione di Bianca, intento a riferirle ciò che Carnacina gli aveva appena comunicato.
“Quindi è morto stamattina, ma è stato 'ucciso' ieri sera. La prima indiziata rimane comunque la moglie”, riassunse Serra non appena tutto gli fu chiaro.
“Me sa che ce tocca cerca' l'arma del delitto”, disse scocciato Emiliano.
Orlando annuì.
“Ma come l'arma del delitto? Insomma, chissà dove sono andate a finire ormai queste scatole, la gente le butta e...”, Bianca si arrestò a metà frase: si era accorta che i due colleghi la guardavano come se avesse appena detto qualcosa di ovvio; all'improvviso capì: la spazzatura. “Oh.”
“Eh, sì”, disse Serra, “andate voi due, io vi aspetto qui.”
“Ma...”
“Tranquilli, non mi muovo mica!”, ridacchiò il Tenente, e detto questo scappò velocemente verso la propria postazione.
 
Mezz'ora dopo il Sottotenente Cecchi era già di ritorno dall'abitazione della vittima in via Suez 35 con in mano quattro sacchi dell'immondizia.
“Tutti questi?”, chiese Bianca sorpresa.
“Nah! Che me stai a piglia' in giro?”, rispose Milo retorico, “adesso arriva Sasso co' gli artri.”
E infatti pochi secondi dopo ecco spuntare il Tenente, anche lui carico di spazzatura.
“Bianca che fa', annamo?”, la chiamò Emiliano dal laboratorio in fondo al corridoio.
“Sì, arrivo subito!”, rispose la collega e si affrettò a raggiungerlo.
Una volta vuotati tutti i sacchi, i due Sottotenenti armati di guanti cominciarono a rovistare in mezzo agli scarti.
Bianca spostava regolarmente lo sguardo dagli oggetti che stava controllando a Milo che le stava di fronte, soffermandosi più sul secondo.
Ancora non era riuscita a rassegnarsi alla loro rottura, anche se era stata lei a stabilire che sarebbe stato meglio così per tutti e due. Ogni volta che lo guardava, che incrociava il suo sguardo, che la sua mano sfiorava la sua spalla, bastava un gesto, una parola, un semplice sguardo e la fiamma si riaccendeva immediatamente, bruciante come all'inizio.
Emiliano, di contro, sembrava non avere questo problema, sembrava che avesse superato perfettamente quel 'momento di debolezza', come usava chiamarlo lui; diceva di essersi riinnamorato della moglie dopo  l'esperienza con l'amante. Aveva rimesso la testa a posto, pensava alla piccola Marica adesso, e nella sua vita non c'era posto per altre donne che non fossero lei e Giada.
Bianca l'aveva capito, se ne era resa conto, ma era ancora innamorata di Milo; al contrario di come era stato per lui, quella per lei non era stata una semplice scappatella. Ed ora le sarebbero toccate le conseguenze. A meno che non...
“Ammazza quanta roba!”, la voce di Emiliano distolse Bianca dai propri pensieri.
“Trovato niente?”, chiese lei.
“No, ancora niente, te?”
“Nemmeno io; continuiamo a cercare, dai”, in realtà cerava solo una scusa per riimmergersi nel suo mondo.
Il tempo concessole da Milo le bastò a mala pena per decidere che avrebbe dovuto parlare con il Capitano, poi ancora una volta la sua voce fece violentemente irruzione nella testa della ragazza.
“Beccate!”, esclamò Cecchi entusiasta guardando sorridente le proprie mani che evidentemente contenevano qualcosa di interessante.
“Fa' vedere”, lo sollecitò Bianca.
Emiliano le mostrò le scatole, chiuse e vuote: sopra vi erano due serie di impronte; le prime erano probabilmente della vittima, le altre presumibilmente dell'assassino.
Milo le rilevò e le passò all'A.F.I.S.; un mezzo sorriso affiorò sul suo volto: il nome dell'assassino lampeggiava intermittente sul monitor del suo computer.
 
 
 
Ore 4:44 P.M. Stanza interrogatori. Caserma S. D'Acquisto. Roma.
 
La donna sedeva elegantemente di fronte al Tenente Serra, dall'altro lato del tavolo. Teneva lo sguardo impertinente fisso nel suo: lo stava sfidando. Il Tenente Sasso stava in piedi proprio dietro l'investigatore della scientifica e, calmo, osservava la scena.
“Allora, ce lo dice che cosa ci facevano le sue impronte sulle scatole dei farmaci per la pressione del signor Sabatini?”
“Non mi sembra una cosa così assurda, visto il lavoro che faccio, no?”, sorrideva, era proprio insolente.
“Certo, lei era la farmacista della vittima, niente di strano trovare delle sue impronte sulla scatola di un farmaco. Ma vede, noi abbiamo rilevato delle sue impronte anche all'interno delle scatole, e c'erano solamente impronte appartenenti alle sue mani. Questo come ce lo spiega?”
Il sorriso sparì lentamente dalla bocca della signorina De Luca, l'evidenza la inchiodava; Orlando l'aveva in pugno.
“Okay, confesso”, si arrese, “l'ho ucciso io. Ieri sera, mentre sua moglie era uscita sono andata a casa sua, stava cucinando, allora gli ho detto che dovevo andare in bagno, in realtà ho preso le pillole, le ho sbriciolate e le ho messe nel cibo, stando attenta a non lasciare impronte da nessuna parte. Quando me ne sono andata ho gettato le scatole vuote nel cassonetto sotto casa sua: le prove sarebbero dovute sparire prima di questa mattina.”
“Ma non aveva tenuto conto dello sciopero dei netturbini, signorina”, le ricordò Sasso.
“E quindi noi abbiamo potuto trovare l'arma del delitto”, concluse Orlando al posto suo. “Solamente una cosa non mi è chiara: perché si trovava lì? Perché ha voluto ucciderlo?”
“Io ed Oreste eravamo amanti”, rispose rassegnata, sorprendendo il Tenente, “per me era una storia seria e lui diceva che era la stessa cosa per lui, ma non voleva saperne di lasciare la moglie. Andava avanti così da tre anni, mi ero stufata ed ho deciso di farlo fuori.”
“Per me può bastare”, disse il Tenente della Territoriale, “portatela via.”
Mentre l'assassina lasciava la stanza scortata da due Carabinieri, Orlando la guardava con commiserazione: non era affatto pentita di quello che aveva fatto, anzi, ne andava quasi fiera, era solo un po' scocciata del fatto che l'avessero presa. Nonostante il lavoro che faceva ancora riusciva a sorprendersi davanti a soggetti del genere.
Lei gli mandò un ultimo sguardo provocatore, poi sparì dietro la porta blindata.
 
 
 
Ore 6:00 P.M. Sede del R.I.S. Di Roma.
 
Il laboratorio era semi deserto; non c'erano uomini, solo due donne.
Una volta chiuso il caso Sabatini, Emiliano era scappato a casa dalla moglie e la figlia che non vedeva l'ora di riabbracciare, Orlando invece aveva lasciato il rapporto sulla scrivania del Capitano, era passato alla casa al mare a cambiarsi (trovando un Ghiro ancora dormiente) ed era corso a casa di Lucia per prepararle una sorpresa; Bart, infine, sotto sollecitazione della Brancato, aveva acconsentito a lasciar perdere il lavoro sull'ultima rapina del Lupo ed era andato anche lui a casa dalla moglie. In fondo era sabato sera, si meritavano tutti un po' di riposo.
Le uniche rimaste erano quindi Lucia che da buon Capitano, abituata ad uscire per ultima dal R.I.S., si sentiva quasi in colpa se abbandonava l'edificio prima del resto dei membri della sua squadra, e Bianca che, seduta alla propria postazione, sembrava concentrata davanti al computer.
Il monitor era illuminato, occupato interamente da un bianco foglio di word. Da più di mezz'ora andava avanti così: la ragazza scriveva una parola e subito dopo la cancellava. Quando finalmente ebbe finito, mordendosi il labbro inferiore cliccò sul tasto 'stampa', ed il rumore della stampante, l'unico presente, cominciò ad echeggiare nell'edificio. Sicura di quello che stava per fare, Bianca estrasse lentamente il foglio stampato e lo annusò: amava il profumo dell'inchiostro fresco; poi, con passi grandi e decisi si diresse verso l'ufficio del Capitano.
Due colpi secchi alla porta riscossero Lucia che, immersa nei propri pensieri, cercava di immaginare quello che Orlando le avrebbe fatto trovare a casa.
“Avanti”, disse.
Bianca fece capolino sulla porta. “La disturbo, Capitano?”
“No, figurati, ti stavo aspettando.”
“Come sarebbe a dire che mi stava aspettando?”, chiese sorpresa.
“Eri rimasta solo tu, se non fosse stata una questione di lavoro a quest'ora saresti già uscita e dato che il tuo caso è stato risolto e non avevi alcun dubbio in merito ho dedotto che volessi parlare con me; mi sbaglio?”
“No, ha ragione come sempre, Capitano.”
Lucia sorrise. Per qualche strano motivo che non ancora non aveva capito i suoi uomini la credevano un mito. Persino Orlando e Daniele per scherzare la chiamavano 'Super Capitano'.
“Dimmi, allora”, la incoraggiò.
“Ecco, io... Francamente non so come la prenderà, ma... Il fatto è che vorrei presentare una richiesta di trasferimento, vorrei tornare a Perugia, al N.O.E.”, ecco: l'aveva detto.
“Ah”, questa volta il Super Capitano rimase spiazzato, “e come mai?”
“Credo che questo lavoro non faccia per me: io sono una naturalista, io scovo e combatto i disastri ambientali, non i serial killer, io...”
“E' per Emiliano, vero?”, dopo l'attimo di smarrimento dovuto alla notizia Lucia era tornata all'attacco.
“... Come scusi? E lei come fa a saperlo?”
“Non credo che fosse un così grande segreto: se n'è accorto tutto il R.I.S.”, rispose schietta.
“Oh. Be', sì: è per lui.”
“Sei sicura della tua decisione?”, chiese il Capitano, ora era serissima.
“Sì, Capitano. Non riesco più a lavorare, mi distraggo in continuazione; già sono distratta di mio, se dobbiamo contare pure il tempo che se ne va quando penso a lui, allora...”
“Capisco, se ne sei proprio sicura allora accetterò la tua richiesta di trasferimento, ma ti chiedo solamente di pensarci bene: non lasciare che la sfera personale prenda decisioni così importanti al posto tuo. Oggi è sabato; lunedì mi darai la tua risposta, okay?”
“Grazie, Capitano”, Bianca annuì, sorrise ed uscì dopo averle consegnato la lettera.
Per Lucia quel trasferimento non era un grande problema: si era accorta che ultimamente il rendimento del Sottotenente Proietti non era buono come all'inizio dell'anno; inoltre, se se ne fosse davvero andata, aveva già un'idea di chi avrebbe potuto sostituirla. E quell'idea le piaceva.
Uscita Bianca, il Capitano cominciò a raccogliere le proprie cose: infilò di fretta il cellulare, le chiavi di casa e della macchina nella borsa, indossò gli occhiali da sole e uscì anche lei dall'edificio del  R.I.S.
Giù, al cancello, il Tenente Serra la attendeva appoggiato alla fiancata di una BMW nera; nella mano destra stringeva una rosa rossa. Non appena la vide arrivare i suoi occhi si illuminarono; non appena lo vide un sorriso felice affiorò sulle labbra della sua amata.
Quando fu abbastanza vicina la baciò senza nemmeno preoccuparsi di poter essere visto; le loro mani si intrecciarono e Orlando ne approfittò per passare la rosa dalla propria alla sua.
“Credo questa sia per lei, Capitano”, sussurrò con voce roca ad un centimetro dalla sua bocca. Lei stette al gioco.
“Chi la manda?”, chiese sorridendo.
“Un povero Tenente rompiballe e senza speranze.”
Lei rise e continuò a baciarlo come se quella stessa sera il mondo sarebbe dovuto finire.
 
 
 
Ore 7:38 P.M. Villa al mare del Capitano Ghirelli. Roma.
 
Daniele dormiva praticamente da quando il suo buon amico nonché convivente Orlando gli aveva fatto la gentilezza di riaccompagnarlo a casa e di metterlo a letto quella mattina stessa. Aveva già dormito sonni tranquilli per quasi dodici ore, troppo stanco per poter sognare. Ma prima o poi si sarebbe dovuto svegliare comunque; era questo che non gli piaceva.
Passare una notte senza sogni era il massimo che potesse desiderare, in quell'ultimo periodo: qualche ora di pace, qualche ora di evasione, per poi tornare alla realtà che nel frattempo rimaneva totalmente immutata. In verità da un po' pensava anche all'eventualità di non tornare più.
Da un anno a quella parte odiava anche i sogni. Nei sogni era sempre tutto così perfetto; i suoi inoltre erano sempre particolarmente realistici, tanto da non riuscire ad etichettarli come tali. Nei sogni entrava davvero in un mondo tutto suo, un mondo dove gli sarebbe piaciuto poter restare. Vedeva Flavia sorridere, parlare con lui, cercare di insegnargli i nomi impronunciabili delle farfalle, imprecare in giapponese... La vedeva mentre entusiasta dava i grilli da mangiare ai camaleonti, la vedeva recitare quelle buffe poesie giapponesi, realizzare i suoi sogni uno ad uno: andare a Madrid, sposare Marcella, riuscire a costruire un origami a forma di baco da seta, insegnare a Ghiro il modo giusto per preparare il sushi... C'erano così tante cose che avrebbe voluto ancora fare, ma molte di più erano quelle che non avrebbe fatto mai.
A volte gli sembrava di vederla anche da sveglio. Era lì accanto a lui che lo rimproverava per il disordine o che gli ricordava la sua promessa di tenere la barba costantemente curata. Ma gli bastava girarsi un momento, rispondere al telefono, chiudere gli occhi, per perderla di nuovo di vista, perchè in realtà era soltanto un riflesso, un'immagine proiettata dalla sua mente, solo un'ombra della Flavia che aveva conosciuto... e che aveva perso.
Doveva svegliarsi, anche da sveglio doveva tornare alla realtà. Una realtà in cui, dalla morte di Flavia, il rumore delle onde che si infrangevano sulla banchina era diventato la sua unica compagnia, il rosso del tramonto il suo unico conforto. Si sentiva perduto.
Aveva fatto l'unica cosa che non doveva fare: aveva messo da parte la sofferenza; in quei momenti, quelli in cui si sentiva più vulnerabile, si rendeva conto di non aver mai affrontato seriamente la morte della sua piccola sorellina orientale. E, come gli aveva detto una volta il suo caro Orlando, la sofferenza prima o poi esce fuori e ti presenta il conto.
Era arrivata Selvaggia e aveva portato con sé mille distrazioni, Ghiro pensava di avere ricominciato a vivere. Non che pensasse di essersi innamorato, ma Flavia ormai sembrava più lontana; gli mancava, certo, ma sentiva di poter ricominciare a sorridere, finalmente. Non aveva capito che quella realtà era soltanto un diversivo, non si era reso conto di aver costruito uno scudo e di essercisi rifugiato dentro. Lo capì solamente una volta sceso dall'aereo che tornava da Londra.
Erano stati dei bei dieci giorni, quelli trascorsi con Selvaggia nella capitale inglese. Avevano riso, scherzato, avevano festeggiato la cattura della Banda, Ghiro aveva visitato il Big Ben, l'osservatorio di Greenwich, aveva persino fatto una fila assurda per poter vedere i gioielli della corona...
Alla fine della vacanza si erano salutati come buoni amici; tra loro era tutto a posto.
Purtroppo però anche quel sogno era destinato a finire.
Una volta sceso dall'aereo, Daniele si accorse di non avere più uno scopo.
Quando era tornato a casa, nella villa al mare, si era guardato intorno e si era trovato completamente solo. Il passato esitava a voltargli le spalle, bloccando ogni punto d'accesso al futuro, e il presente era sfuggente, nebuloso, si nascondeva dietro l'incapacità di andare avanti, diveniva astrattezza, gli faceva perdere quel suo precario contatto con la realtà.
Nel giro di pochi mesi aveva perso per sempre i suoi amici più cari; una era morta e, talvolta, Ghiro pensava che forse sarebbe stato meglio se fosse morto anche l'altro.
Invece l'aveva deluso, Stinco, il suo amico d'infanzia, colui con il quale aveva passato pomeriggi con gli occhi fissi su un monitor a testare nuovi virus e videogiochi, avevano condiviso la stessa tastiera, erano cresciuti insieme; come aveva potuto fargli una cosa del genere? Come aveva potuto voltargli le spalle in quel modo, voltarle alla madre, al proprio mondo? Come si poteva decidere di unirsi ad una Banda di spietati criminali? Ma la domanda che più lo tormentava: come aveva fatto il suo amico a non avere  rimpianti dopo aver strappato alla vita così tante persone, dopo essere stato complice del Lupo nell'uccisione di Flavia?
Credevano che sarebbero stati amici per sempre; avevano stretto un patto, si erano imposti tre semplici regole, ma Stinco, in un colpo solo, le aveva infrante tutte.
Numero uno: corri dietro ai tuoi sogni finché non li acchiappi.
Numero due: nel frattempo non scordarti di cazzeggiare.
Numero tre: comunque vada resta sempre te stesso.
Puf! Svanite, spazzate via da una furia omicida, così come il suo migliore amico.
Eppure se in quel momento, quando, stringendosi a vicenda la mano, avevano decretato l'eterna durata della loro amicizia, qualcuno avesse osato rivelare loro come sarebbe finita nessuno dei due gli avrebbe creduto.
Daniele aveva sempre pensato che la vita fosse bella perché imprevedibile, adorava le sorprese, adorava imboccare una strada senza sapere dove l'avrebbe portato. Ora invece il mistero non lo entusiasmava più: aveva perso fiducia nella vita, si sentiva smarrito, solo in quel mondo che per lui da un po' di tempo ruotava sempre nella stessa direzione. Se solo ci fosse stata Flavia...
Ghiro si svegliò un po' intontito; aveva ancora sonno, ma era stanco persino di dormire. Uscì lentamente dalla camera da letto, aveva voglia di respirare un po' d'aria marina. Il caso volle che la prima cosa che vide fu proprio il tramonto.
Il sole rosso, semicoperto da una nuvola rosa, declinava adagio verso la spiaggia; i gabbiani volavano alti nel cielo gridando al mondo il valore della propria libertà.
Ghiro si rannicchiò sulla sabbia.

 

Ancora qualche minuto ed il sole si sarebbe spento nelle acque al di là dell'oceano. Dall'occhio destro di Daniele sgorgò una minuscola lacrima salata che, lenta come il sole che tramontava sulla spiaggia, gli accarezzò dolcemente la guancia; una brezza impalpabile si alzò scompigliando i suoi lunghi capelli ricci. Nello stesso momento, una farfalla gialla, piccola e leggera gli si posò sul dorso della mano destra, per poi volare via non appena l'uomo si accorse della sua presenza. Non aveva dubbi: era una Papillionide, come quella che aveva liberato con Marcella appena cinque mesi prima, in quella stessa spiaggia, come quella cui aveva detto addio, no anzi, sayonara. Con la stessa mano su cui Flavia si era appena posata asciugò quell'umida goccia salata sulla sua guancia. Chiuse gli occhi; poi esplose in un amaro pianto liberatore.                                                                                                        
 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > RIS Delitti imperfetti / Vai alla pagina dell'autore: Absteria