Serie TV > RIS Delitti imperfetti
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Autore: Absteria    06/12/2011    6 recensioni
Avete provato ad immaginare che cosa succede dopo l'ultima puntata di Ris Roma 2?
Be', io sì, e questo è il risultato! Long nata dalla mia perversa immaginazione e dall'impazienza di aspettare che la prossima serie vada in onda!
Buona lettura!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Benvenuti, questa è la mia nuova storia, questa volta una long per gli appassionati della serie tv RIS Delitti Imperfetti.
Nasce dal disperato bisogno di sapere come prosegue la storia dopo l'ultima puntata della seconda serie di RIS Roma e dal desiderio di poter pilotare gli eventi e portarli nella direzione che più mi piace xD Parte proprio dall'ultima puntata e arriva...be', questo lo scoprirete solo leggendola!
Detto questo, vi lascio alla lettura :)
Spero che l'apprezziate!

Absteria :)

PS: come sempre, le recensioni sono gradite ;)

 

***


Lunedì, 4 Luglio 2011. Ore 6:15 A.M. Casa del Capitano Brancato. Roma.
 
La sveglia suonò puntualmente, come tutte le mattine.
Uno squillo, due squilli, un terzo squillo troncato nel mezzo, come sempre.
Una mano pallida, curata, copriva l'orologio digitale che, finalmente, aveva smesso di suonare.
Il sole batteva sulla finestra, illuminando tutta la camera da letto. Nessun movimento. Il solito conto alla rovescia mentale partì.
Dieci, nove, otto.
Uno splendido paio di occhi verdi cominciò lentamente a fare capolino, lottando contro le palpebre serrate.
Sette, sei.
Braccia e gambe cominciarono ad allungarsi, come se cercassero di raggiungere l'infinito.
Cinque, quattro.
La bocca, incorniciata da un paio di labbra abbastanza carnose, si spalancò in maniera non troppo dissimile dal ruggito di un leone africano.
Tre, due, uno.
Un ultimo secondo di riposo.
Zero.
Con uno scatto deciso, il Capitano abbandonò il suo soffice cuscino e si alzò dal letto, ancora semi cosciente.
Il neon del bagno la accecò ancor più della luce solare. Si spogliò velocemente, con gesti meccanici.
Entrò nella doccia. L'acqua fredda le aveva sempre dato un sollievo istantaneo.
Sette minuti esatti ed era già fuori, completamente sveglia, interamente avvolta da un asciugamano bordò, intenta ad asciugare la corta chioma bionda.
Si vestì in fretta e, come tutte le mattine, prima di uscire si fermò davanti allo specchio posto accanto alla porta d'ingresso, osservò il suo viso pallido per qualche secondo e uscì afferrando il lungo soprabito rosso.
 
 
 
Ore 8:05 A.M. Sede del R.I.S. Di Roma.
 
Il Capitano Ghirelli varcò la porta automatica trascinandosi a fatica, aveva gli occhi semiaperti marcati da occhiaie profonde. Il confronto tra lui e il soggetto che lo seguiva era a dir poco comico.
Vispo e arzillo come non mai, con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto e due caffè tra le mani, il Tenente Serra fece il suo ingresso trionfale al R.I.S., apparentemente immune alla sindrome invalidante da lunedì mattina.
“Buongiorno Ghire'! 'N'artra nottata bianca, eh?”, il sonnambulismo di Ghiro fu bruscamente interrotto dall'entusiasta voce del Sottotenente Cecchi, immune anche lui allo sfinimento preventivo consueto di ogni inizio settimana.
“Dacci un taglio, Milo, piuttosto torna a fare quello che stavi facendo”, fu la risposta secca di Ghirelli, visibilmente irritato.
“Ma 'nfatti io 'un c'ho da fa' niente. Che poi so' i primi de luglio, la gente va 'n vacanza, che ce stiamo a fa' noi ancora qui?”
Il Capitano si fermò, indietreggiò, si voltò a sovrastare il Sottotenente con la sua altezza. “I criminali non vanno mai in vacanza, Cecchi, mai. Ci siamo capiti?”, chiese lui, mentre Emiliano annuiva sconfitto, con lo sguardo basso.
Per un attimo la serietà del Capitano aveva prevalso sul sonno dell'uomo. Ma fu solo un attimo: “E, per tua informazione, se tutti mi chiamano Ghiro, un motivo ci sarà, no?”, aggiunse in fine Ghirelli tornando a trascinarsi ad ogni passo, più assonnato di prima. Avrebbe dovuto smetterla di giocare ai videogiochi fino alle tre di notte.
A Orlando non sfuggì questo scambio di battute e, sorridendo, scosse la testa costatando che, pur essendo passato un anno, né Ghiro né Milo erano minimamente cambiati. E forse erano le uniche cose rimaste immutate.
Era stato un anno molto duro, quello. Il Tenente Flavia Ayroldi, che lui conosceva appena, era morta, buttando a terra il morale della squadra, soprattutto di Ghiro (ormai divenuto Capitano al pari di Lucia), che teneva a lei come a nessun altro. La Banda del Lupo era stata finalmente neutralizzata e sciolta. Bartolomeo aveva messo la testa a posto e aveva sposato Eleonora Ravelli, sorella di Giordana Ravelli, membro della Banda.
Bianca ed Emiliano avevano simultaneamente deciso di rompere, e Milo, dopo tante peripezie, era tornato dalla sua famiglia. Ghiro, dopo aver affrontato con coraggio la morte della sua migliore amica, aveva scoperto che il suo migliore amico, Roberto Stincone detto Stinco, era anche lui un membro della Banda del Lupo e, nondimeno, un complice dell'omicidio di Flavia; be', a dirla tutta, in effetti, ormai Stinco era il suo ex migliore amico. E poi c'era lei, colei senza la quale nessuna indagine sarebbe andata da nessuna parte, senza di lei la squadra non sarebbe esistita: il Capitano Lucia Brancato; vittima di stalking, aveva subito da poco una tentata violenza carnale. Ma questo, differentemente da come sarebbe successo con una qualsiasi altra donna, non era stato sufficiente a scalfire la forte Lucia, che invece si era aperta ed aveva trovato conforto e sostegno in quello che credeva essere il meno fidato dei suoi colleghi del R.I.S.: il Tenente Orlando Serra.
Era proprio per merito suo se Lucia negli ultimi tempi era così felice.
Ed era proprio per Lucia che il Tenente riservava quello splendido sorriso sulle labbra e il caffè amaro nella sua mano destra. Ma questo era un dato noto soltanto a loro due... e a Ghiro.
“Buongiorno, Capitano”, disse sorridendole dolcemente dopo aver varcato la porta del suo studio.
“Buongiorno”, rispose lei un po' meno convinta, allungandosi per prendere il caffè che il Tenente le stava porgendo.
A Orlando il suo tono non piacque. “Ehi, che ti succede? Cos'è quella faccia?”, le chiese premuroso. Il sorriso scomparve istantaneamente dal suo volto.
“Niente, è che...”, Lucia esitò un momento, detestava mostrare le sue debolezze e, soprattutto, non amava parlare della sua vita privata, tanto meno in ufficio, nemmeno se l'interlocutore ne era il protagonista.
“E' che...?”, insistette Orlando, preoccupato, sedendosi sulla sedia di fronte a lei.
“E' che non mi piace quando non ci sei”, sputò Lucia velocemente alludendo chiaramente alla notte passata da sola, senza nessuno che la facesse sentire protetta. Abbassò subito lo sguardo sulla propria scrivania, fingendo di fare altro.
Serra sorrise. Era raro vedere il Capitano così palesemente volubile, e non poteva negare che gli piaceva questo lato di lei, così sincero. “Però adesso sono qui”, sussurrò ad un palmo dal suo volto, e lei alzò lo sguardo, prima lieto, poi severo.
“Infatti, Tenente, qui. Ti ricordo che qui sono il Capitano, e tu un mio sottoposto.”
Il sorriso di Orlando si allargò: rieccolo, il suo glaciale Capitano. “Comandi”, rispose. Si alzò in piedi e finì in un sorso il suo caffè. Era ad un passo dalla porta, ma si sentì richiamare.
“Ah, Orlando... buon lavoro.”
 
 
 
Ore 9:35 A.M. Sede del R.I.S. Di Roma.
 
“Capitano, è appena arrivata una chiamata dalla territoriale: è stato ritrovato un cadavere in un'auto all'incrocio tra via Igea e via Trionfale, Sasso è già sul posto. Sospettano un pirata della strada. La vittima aveva appena ventun anni”, Bianca, sensibile come al solito, non poté fare a meno di rabbrividire nel dare la notizia.
“Bene, vai tu con Cecchi e Dossena. Mi raccomando, Bianca: sii distaccata”, le ricordò la Brancato. Il distacco era indispensabile nel loro lavoro; senza di esso alla fine sarebbero impazziti tutti quanti.
Il Tenente Proietti annuì. “Sì, Capitano”.
 
 
 
Ore 12:08 A.M. Sede del R.I.S. Di Roma.
 
Bianca, Emiliano e Bart erano da poco rientrati dalla scena del crimine per analizzare gli oggetti repertati, quando il telefono della postazione di Ghiro squillò.
“La Brancato ci vuole tutti nel suo ufficio per un briefing. Subito”, annunciò dopo aver riattaccato. “Vuole che voi tre ci informiate sulla vittima e sulle prove raccolte”, aggiunse spostando lo sguardo sui tre appena tornati.
Proprio in quell'istante squillò anche il telefono di Orlando.
“Ragazzi, cominciate ad andare, io vi raggiungo tra un attimo”, disse lui ed al terzo squillo rispose, mentre gli altri entravano nell'ufficio del Capitano.
“Possiamo cominciare?”, la voce di Lucia richiamò tutti all'ordine.
“Sì. Veramente manca Serra”, le fece notare Ghirelli.
Ed ecco: la porta di vetro dell'ufficio si spalancò e l'atteso Tenente entrò con una faccia alquanto scoraggiata che a Lucia non sfuggì.
“Che succede?”, chiese lei preoccupata.
Orlando non si sedette nemmeno, preferì comunicare subito la notizia. “Hanno chiamato dall'ospedale”, esordì., poi esitò un attimo, ma si costrinse a proseguire dopo un cenno d'incoraggiamento da parte della sua Lucia. Quindi, più cupo aggiunse: “Mario Pugliese è scappato.”
“Che vuol dire 'è scappato'?”
“Ma quando?”
“Questa mattina”.
La notizia portata da Orlando aveva causato un clima di abbattimento generale all'interno della squadra. La demoralizzazione era palpabile, in fondo non avevano ancora finito di festeggiare per la sua cattura che Lupo era già scappato. Un'altra volta.
Lucia stava per riprendere in mano la situazione, ma non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca, perché preceduta, anche lei, dallo squillo di un cellulare: il suo.
Fece qualche passo, allontanandosi dal lungo tavolo di vetro, e rispose.
“Si?”
“Capitano Brancato?”, chiese una voce maschile all'altro capo del telefono.
“Sono io.”
“Sono il Lupo. Presto verrò a prenderti”. Il Capitano sgranò gli occhi ed il suo viso, prima aggrottato, quasi scocciato per la fuga di Mario Pugliese, si tramutò in una maschera inespressiva.
La linea cadde.
Lentamente, in preda allo sconvolgimento, Lucia mise giù il telefono cellulare e si girò verso la sua squadra.
“Il Lupo è tornato”, annunciò tetra ai suoi uomini.
Era così, dunque. L'incubo era ricominciato.
Se prima i componenti della squadra erano abbattuti per la notizia della fuga di Lupo, ora invece erano paralizzati: non potevano, anzi, non volevano credere che Pugliese fosse scappato e tornato.
L'unica che, sebbene dopo un momento di esitazione iniziale, aveva realizzato ed accettato veramente la faccenda era proprio lei, Lucia, lo spavaldo condottiero della polizia scientifica di Roma. E adesso le toccava il fondamentale compito di non creare allarmismi all'interno del gruppo.
“Su, ragazzi, cosa sono quelle facce? A Lupo ci penseremo poi. Ora la priorità è il caso del ragazzo trovato morto all'incrocio, concentriamoci su quello.”
Orlando stava per aprire bocca, ma Ghiro lo precedette: “Si può sapere cosa ti ha detto al telefono poco fa?”
“Niente di cui ci sia bisogno di preoccuparsi in questo momento, a lavoro, forza!”, fu la sua risposta sicura, ma era palese che fosse turbata.
“Ma...”, Orlando stava per ribattere, ma venne nuovamente interrotto, stavolta proprio dalla Brancato.
“Serra, è un ordine!”, tuonò con un tono che non ammetteva obiezioni.
“Allora agli ordini, Capitano”, rispose risentito con un tono acido che, anche se lei non lo diede a vedere, riuscì a turbarla. Più tardi gliene avrebbe parlato, ma solo a lui e a Ghiro: non era il caso di far allarmare la squadra.
Chiusa, finalmente, la parentesi Lupo, Lucia spostò lo sguardo su Dossena.
“Bart, prego, mettici al corrente.”
Bart, anche se un po' incerto, cominciò. “La vittima si chiamava Carmela Tanzi, ventun anni; Sasso sta già indagando su di lei per trovare un eventuale movente, anche se per il momento l'ipotesi più probabile sembra quella di un pirata della strada. Sembra sia morta sul colpo per un trauma cranico, ma aspettiamo che Carnacina termini l'autopsia per avere la conferma.”
“Bene”, si complimentò il Capitano, “e cosa avete repertato sul luogo?”
A questo punto Bianca si inserì prontamente nel discorso. “Vicino la macchina della ragazza ho trovato del vetro; penso che provenga dall'auto pirata.”
“Perfetto. Analizzalo, magari è intatto il pezzo con il numero di targa”, intervenne entusiasta la Brancato. “Che altro avete trovato?”
“Io ho rilevato delle tracce di vernice verde scuro sulla fiancata dell'auto della vittima, sicuramente estranea ad essa”, aggiunse Emiliano.
“Be', non è molto, ma sempre meglio di niente”, si intromise Ghirelli.
“E' tutto?”, domandò Lucia ignorando saggiamente l'ultimo commento.
“Sì, penso proprio di sì”, terminò Milo con l'appoggio di Bart che annuiva accanto a lui
“Bene, cioè, male.”
“Lo sappiamo, Capitano, ma davvero non c'era altro di rilevante”, affermò Bartolomeo con sicurezza, tramutando il suo appoggio da astratto in concreto.
“Sì, Dossena, capisco. E come intendete procedere?”
Bianca, questa volta, rispose per prima: “io, Capitano, farò quegli accertamenti sul vetro dei fanali.”
“Io pensavo di analizzare la vernice, potrebbe sempre dirci qualcosa di più sulla macchina o sul pirata stesso”, sopraggiunse Emiliano che, nonostante tutto, non si era perso d'animo.
Adesso era il turno di Bart. “Ed io metterò il fiato sul collo alla territoriale e, soprattutto, a Carnacina per saperne di più sulla vittima e su come lo sia divenuta. E nel frattempo cercherò anche di capirci qualcosa di più sulla dinamica dell'incidente.”
“Mi sembra perfetto”, disse quindi il Capitano vedendo che anche Serra e Ghirelli annuivano, “procedete e tenetemi informata. La riunione è sciolta”, concluse; ed andò ad accomodarsi sulla sedia in pelle nera posta dietro la sua scrivania.
Detto questo tutti si alzarono e si diressero verso la porta dell'ufficio, decisi ad uscire.
“Ghirelli! Serra!”, li richiamò Lucia, “un momento, ho bisogno di voi”, ammise mordendosi il labbro: non le piaceva chiedere aiuto, non le piaceva per niente, lo detestava.
I due, quasi fuori dall'ufficio, si arrestarono e tornarono indietro chiudendo la porta. Quando guardarono gli occhi della ragazza che sedeva di fronte a loro non riconobbero in essi quelli del Capitano, ma quelli dell'amica (per uno) e quelli della propria donna (per l'altro); erano occhi trasparenti, che non si vergognavano di mostrare timore anche se, palesemente, non avrebbero voluto farlo. Si sedettero di fronte a lei e, sebbene entrambi lo sapessero già, le domandarono con aria apprensiva di cosa avesse bisogno di parlare.
“Poco fa, Lupo... Al telefono... Ha detto di volere me, ecco”, era incredibile quanto le costasse dire quelle parole, ammettere di aver bisogno di aiuto e conforto, ma prese coraggio, deglutì ed andò avanti: “le sue testuali parole sono state: 'presto verrò a prenderti'.”
Ghiro si passò la mano sulla faccia, a partire dalla fronte fino al mento, come se avesse voluto scacciare via quel pensiero; Orlando invece irrigidì: in un certo senso aveva più paura lui di lei, tanta da non riuscire ancora a parlare. Per fortuna l'amico arrivò in suo soccorso: “che cosa pensi di fare?”
“Niente”, rispose la Brancato, stavolta era calmissima, “aspettare, che posso fare? Non abbiamo idea di dove si trovi né di quali siano i suoi piani.”
A questo punto Orlando esplose. “Ma sei impazzita?”, chiese seriamente sorpreso, “un pazzo omicida vuole vendicarsi su di te e tu pensi bene di aspettare che ti ammazzi senza fare niente?!”, sperava davvero che metterla di fronte all'assurdità della sua affermazione sarebbe servito a dissuaderla, ma sapeva bene che convincerla non sarebbe stato affatto facile.
“Non è quello che ho detto”, rispose lei. Aveva stoffa, sapeva che il miglior modo per combattere una reazione violenta era sedarla con la calma e fingere di ignorarla, “e Mario Pugliese non è un pazzo, sa quello che fa.”
Ancora una volta aveva avuto ragione, infatti un attimo dopo Serra era già più controllato. “E questo non ti spaventa ancora di più? Se è così prudente è più difficile che commetta errori nel raggiungere il suo intento, no?”
“Non dico di non essere preoccupata, dico solo che la preoccupazione non serve a nulla. Se lui è così emotivamente misurato dobbiamo esserlo anche noi, non siamo infallibili, dovremmo ricordarcelo ogni tanto.”
“In ogni caso la domanda è sempre quella, Lucia: cosa pensi di fare?”, stavolta era Ghirelli che, su sollecitazione del proprio Capitano, aveva cercato di mettere da parte la preoccupazione eccessiva cercando invece di pensare razionalmente, “non puoi stare davvero aspettarlo senza reagire. Cerchiamo almeno di localizzarlo: è solo, senza soldi, senza mezzi per spostarsi, senza un rifugio; qualche errore dovrà pur commetterlo, qualche mossa azzardata dovrà pur farla, no?”
Lucia non ebbe nemmeno il tempo di ribattere che Orlando, che non aveva ancora accantonato il suo tipico piglio protettivo, propose di affidarle una scorta.
“Non se ne parla nemmeno”, esplose lei a quel punto, dalla sua faccia sembrava che Serra avesse appena detto la più grande cavolata della sua vita.
“Perché no? Perché sei così ostinata?”
“Una scorta darebbe troppo nell'occhio e vorrebbe dire mettere al corrente di tutto anche il resto della squadra, per non parlare di Abrami”, ora era più pacata, aveva bisogno di mostrare controllo se voleva che i due le dessero retta.
“Quindi fai sul serio? Davvero vuoi tenere Abrami all'oscuro di tutto?”, Ghiro rimase di stucco, anche se quello era un tipico comportamento alla Lucia, “non approvo,  mi dispiace, ma questa volta non posso darti il mio appoggio.”
“No, infatti, neanche io”, si aggregò il Tenente.
“Mi state lasciando sola?”, fece di tutto per nascondere lo sconforto.
“No, Lucia, sei tu che stai lasciando soli noi”, Orlando sceglieva con cura le parole, come al solito, cercava di essere persuasivo colpendo Lucia con le stesse armi che stava tentando di utilizzare lei, “questo non è un fatto che riguarda solo te, siamo tutti coinvolti. Noi”, aggiunse sicuro indicando a turno se stesso e Ghirelli con l'indice della mano destra, “rischieremmo le nostre vite per salvare la tua”, Daniele annuiva serio, “ed anche loro”, concluse infine indicando, senza voltarsi, verso la porta dell'ufficio del Capitano, al di fuori della quale si trovavano Bart, Milo e Bianca intenti a discutere di qualcosa, probabilmente riguardante il caso Tanzi.
“Orlando ha ragione, Capitano. E poi tu sai meglio di me che conoscere l'obiettivo di un criminale è un vantaggio a nostro favore.”
“Grazie ragazzi, davvero, ma preferisco non dire nulla al Generale, almeno per il momento”, Lucia era proprio ferma sulla sua posizione, non c'era niente da fare, “inoltre assegnandomi una scorta non faremmo altro che incoraggiare il Lupo: mi renderebbe un obbiettivo più difficile da raggiungere e quindi più ambito, ed inoltre concluderebbe che ho paura di lui, e queste sono due cose che bisogna assolutamente evitare.”
Contro ogni aspettativa, la ragione stava davvero dalla parte della Brancato. Li aveva affondati; loro sapevano ribattere, certo, ma lei era ancora più brava.
“Ad ogni modo, Daniele non aveva avuto una cattiva idea poco fa: Mario Pugliese commetterà sicuramente qualche errore prima di trovare una sistemazione ottimale ed un piccolo capitale da investire per il suo scopo, dobbiamo cercare di localizzarlo, e non è proprio il caso di perdere tempo.”
Ghiro sorrise accettando di buon grado il compromesso; la notizia sarebbe rimasta segreta, ma almeno lui avrebbe potuto indagare. “Allora io andrei subito, Capitano. Cerco di ricostruire i suoi movimenti dalla stanza d'ospedale dove era ricoverato fino a dove potrebbe ipoteticamente essere adesso”, mentre parlava Ghiro era già pronto ad alzarsi dalla sedia.
“Senz'altro, vai”, sorrise anche lei, contagiata dal suo migliore amico.
Senza voltarsi indietro Ghirelli abbandonò la stanza, lasciandovi soli i suoi amici più fidati.
“Sai già che con l'arrivo di questa storia non ti lascerò sola un momento, vero?”, Orlando non aspettò nemmeno che la porta si chiudesse: voleva lui la prima parola.
“Sì, lo immaginavo”, nel pronunciare queste parole Lucia esibì la sua migliore espressione scocciata. E Serra se ne accorse.
“Bugiarda!”, la accusò ridacchiando.
“Non ti sto mentendo, me l'aspettavo davvero!”, si difese lei, più sorpresa che offesa. Che il poligrafo incorporato del suo uomo stesse facendo cilecca?
“Non intendevo questo. Mi riferivo alla tua faccia: non ti dispiace per niente che io voglia proteggerti.”
“Ed anche se fosse? Tanto sono convinta che lo faresti lo stesso, mi sbaglio?”
“No, non ti sbagli”, il Tenente sorrideva, “ma veniamo alle cose serie”.
Lucia, che nel frattempo si era sporta sulla scrivania in modo da avvicinarsi ad Orlando, si rimise dritta sulla sedia, il suo sorriso divenne sempre meno marcato finché non scomparve completamente, come quello della persona che le sedeva di fronte. “Dimmi.”
“Pensavo di chiamare l'ospedale per informarmi sulle condizioni di Pugliese. In fondo ha subito parecchi interventi ed un mese non può essere bastato perché si rimettesse completamente.”
“Mi sembra un'ottima idea, tienimi informata, okay?”
“Agli ordini, Capitano. Se non le dispiace adesso andrei anch'io: ogni minuto è prezioso”, ed era vero: persino un secondo poteva fare la differenza, e più tempo perdevano più le speranze di localizzare il Lupo si affievolivano.
“Prego, Tenente, lasci pure la stanza”, concesse scherzando la Brancato.
Orlando non se lo fece ripetere ed uscì dal suo ufficio, lasciandola che ancora scuoteva la testa ridendo per quegli ultimi scambi.
 
 
 
Ore 2:25 P.M. Via dei Volsci, Roma.
 
Una bambina di circa sette anni, accompagnata dalla madre, saltellava allegramente verso il cinema, eccitatissima all'idea di stare per vedere Cars 2.
“Emma! Emma, non ti allontanare!”, la richiamò più volte la madre, ma la piccola non voleva darle ascolto e continuava a saltellare imitando il rombo di un motore con un verso gutturale.
“Grrrrrrrrrrrrrr!!! Ops! Scusi signore!”, mentre giocava, la bambina aveva erroneamente urtato un signore; era alto e magrolino con dei capelli lunghi e neri e degli occhi verde smeraldo: il colore della speranza; sembrava piuttosto sciupato.
“Non preoccuparti, piccolina. Vai dalla mamma, su! Dalle la mano”, Mario sorrideva, quella bambina gli ricordava tanto sua figlia Erica. Emma obbedì allo sconosciuto senza pensarci nemmeno per un secondo. La sua ingenuità di bambina non le aveva impedito di scorgere qualcosa di strano negli occhi di quel signore, qualcosa di inquietante.
“Grazie, lei è veramente gentile”, la madre gli era veramente grata; in fondo era merito suo se la bambina adesso le stava tranquillamente al fianco.
“Si figuri signora, ha una bambina bellissima”, rispose lui gentilmente, sempre sorridendo, e si allontanò in fretta infilandosi un vicolo lì accanto, mentre la bambina, mano nella mano con la madre proseguiva in un'altra direzione.
Non appena fu certo di non essere visto tirò un sospiro di sollievo. Non era stato riconosciuto.
 
 
 
Ore 4:48 P.M. Sede del R.I.S. Di Roma.
 
“Evvai! Cell'ho!”
“Che succede Milo?”, le urla esultanti di Emiliano erano giunte fino alle orecchie di Bart che era subito accorso per saperne il motivo.
“Ho appena passato all'A.F.I.S. la targa che mi ha dato Bianca ed ho trovato la macchina. Guarda un po': è verde scuro, come la vernice che ho trovato sull'auto della ragazza.”
“Però risulta rubata da più di due anni.”
“Che cosa?”, l'entusiasmo del giovane Sottotenente si smorzò un poco dopo quella fondamentale rivelazione. Dossena se ne accorse.
“Dai Emiliano, non preoccuparti. Avvisa la territoriale, piuttosto, e fa' preparare i posti di blocco. Se quest'auto era su strada fino a ieri non dovrebbe essere difficile rintracciarla oggi, no?”
“Provvedo subito. Ma aspetta un attimo, a proposito di territoriale: hai scoperto qualcosa sul conto della ragazza?”, domandò Emiliano non senza un pizzico di curiosità.
“Niente di rilevante. Frequentava il terzo anno di giurisprudenza all'università e viveva da sola in un monolocale in affitto; a sentire le amiche era una ragazza generosa e solare, tanti amici e nessun nemico. Una ragazza come tante, insomma”, glaciale come sempre Bart finì il suo brillante rapporto sulla vita  della vittima.
“E Carnacina invece? Novità?”
“Non troppe. Carmela è morta tra l'una e le due di questa mattina per trauma cranico causato dall'urto della testa contro il poggiatesta dopo essere andata fuori strada ed aver sbattuto contro il palo di un semaforo. E' morta sul colpo.”
“Poveretta”, Milo, con gli occhi bassi, non seppe dire altro.
Bartolomeo gli diede una pacca sulla spalla per incoraggiarlo. “Forza Emiliano, lo becchiamo. Adesso rimettiti a lavoro, io vado ad aggiornare la Brancato”, detto questo Bart si allontanò, chiedendosi se sarebbe riuscito a scoprire qualcosa di più sulla misteriosa telefonata di quella mattina.
 
 
 
Un'ora dopo. Stanza interrogatori, Caserma S. D'Acquisto. Roma.
 
“Ve lo giuro, io non volevo!”, la voce agitata di Giovanni Monterosso bucava le orecchie al Tenente Sasso.
“E allora perché l'hai lasciata lì a morire come un cane sulla strada, Monterosso? C'aveva soltanto vent'anni!”
Dopo nemmeno un'ora dalla chiamata di Cecchi l'auto pirata era stata rintracciata grazie ad un posto di blocco ed il pirata era stato identificato e portato al R.I.S. Era pregiudicato per il furto dell'auto che guidava al momento dell'incidente, uscito di prigione appena quattordici mesi prima.
“Ve l'ho detto, ho avuto paura. Ho rimesso la testa a posto, e non mi andava di tornare in prigione per uno stupido incidente.”
“Peccato che nel tuo stupido incidente sia rimasta uccisa una ragazza. Mi sa che ci torni lo stesso in prigione. Portatelo via!”, concluse Sasso con la solita durezza che riservava ai criminali.
“Mi dispiace”, furono le ultime parole di Giovanni, poi venne condotto fuori dalla stanza da due Appuntati.
Il caso era chiuso.
 
Nel frattempo, nell'ufficio del Capitano, Lucia faceva il punto della situazione sulla fuga di Mario Pugliese con Daniele ed Orlando.
“Quindi Mario ha lasciato il Policlinico alle 11:45, come conferma il medico che ha sedato e a cui ha, successivamente, rubato gli abiti; ed era a piedi.”
“Esattamente”, confermò Serra.
“E poi, come ha dimostrato Ghiro, alle 12:08 si trovava in via Padova, da dove è partita la chiamata al mio cellulare”, proseguì il Capitano.
“Sì”, assentì Ghirelli, “ma purtroppo ha chiamato da una cabina telefonica, quindi da lì in poi non so più come rintracciarlo.”
“E all'ospedale hanno detto che stava per essere dimesso, pertanto non aveva bisogno di cure particolari e non perdeva sangue”, aggiunse Serra, “praticamente sta benissimo.”
Questo era un punto a loro sfavore. Contavano molto sull'instabilità delle condizioni fisiche del Lupo per tentare di localizzarlo; sapere che quella pista non li avrebbe portati da nessuna parte equivaleva a ricominciare da capo.
“Va bene, ma non perdiamoci d'animo: Pugliese è a piedi, senza un soldo e senza un cellulare, è disarmato e, per quanto ne sappiamo, non ha nemmeno un posto dove passare la notte. Ricordate che la sua foto ha circolato per settimane su giornali e telegiornali; non può andare lontano senza essere riconosciuto, e Rambaudi ha già fatto organizzare i posti di blocco nelle vie principali. Vi posso assicurare che...”
Due colpi alla porta interruppero l'arringa di Lucia nel suo punto cruciale. Era Bart.
“Avanti!”, urlò lei per farsi sentire attraverso al porta di vetro.
Il Tenente Dossena entrò velocemente nella stanza chiudendosi la porta alle spalle.
“Abbiamo risolto il caso, Capitano. Abbiamo arrestato il pirata della strada”, affermò entusiasta.
“Ottimo”, commentò la Brancato, “ha confessato?”
“Sì, Capitano.”
“Perfetto, stendi il rapporto. E quando finisci torna qui con Cecchi e Proietti: ho bisogno di parlare con la squadra al completo.”
“Comandi”, annuì Bart ed uscì velocemente com'era entrato.
“Hai cambiato idea, quindi?”, Ghiro sembrava sorpreso, ma con un po' d'attenzione si poteva notare nella sua voce anche una piccola punta di soddisfazione.
“Ne parlerò solamente a loro, per il momento. Le vostre parole di questa mattina mi hanno fatta riflettere.”
“Direi che come inizio non è male”, anche Serra era soddisfatto.
“Accontentatevi allora, perché non ho nessuna intenzione di farmi mettere sotto sorveglianza dal Generale”, come aveva appena detto Orlando: come inizio non era male, conoscendo il carattere della Brancato.
“Come vuoi”, affermò Ghiro con finta indifferenza, “ma sappi che nessuno qui dentro ti rispetterà di meno se per una volta ammetti d'aver bisogno di aiuto”, ci pensò un attimo, e poi aggiunse “e nemmeno là fuori”, alludendo al Maggiore ed al Generale Abrami, il cui giudizio per lei contava molto.
Ma era ovvio che non bastasse una rassicurazione del genere a placare la tenacia di Lucia: era se stessa che non voleva deludere più che i suoi superiori; voleva dimostrarsi di essere forte e di sapersela cavare da sola, anche se, poi, proprio sola non era. Orlando, che aveva capito tutto, si ripromise che ne quando si fossero trovati da soli ne avrebbe parlato con lei.
“Grazie Daniele, lo terrò a mente”, disse lei, glaciale come al solito, “riguardo Pugliese, dicevamo?”
“Be', praticamente ci stavi dicendo che anche se non abbiamo idea di dove sia, di dove sia stato e di dove abbia intenzione di andare lo prenderemo comunque”, rispose Ghirelli trattenendo a stento le risate.
“Già”, commentò il Capitano con una faccia piuttosto incerta, “detta così sembra un'assurdità, non è vero?”
“Sì!”, esclamarono all'unisono i due interlocutori ed a quel punto esplosero entrambi in una sonora risata.
Lucia li guardò male, ostentando una certa autorità, e loro si dettero subito contegno; ma poi scoppiò a ridere anche lei, e con lei ricominciarono inevitabilmente anche loro.
Ecco perché quelli che le stavano davanti oltre ad essere degli ottimi collaboratori erano anche, insieme a suo fratello Guido, le persone più importanti della sua vita. Perché non importava quale pericolo stesse correndo e quanto alto potesse essere il rischio: se era con loro avrebbe potuto comunque riderci sopra, non pensarci per qualche minuto o per qualche ora; con Orlando e Daniele non era solamente 'il Capitano Brancato', con loro poteva scegliere di essere Lucia, con i suoi pregi e con i suoi difetti.
 
 
 
Ore 7:38 P.M. Sede del R.I.S. Di Roma. Ufficio del Capitano Brancato.
 
Lucia aspettò che tutti avessero preso posto sulla propria sedia, dopo di che si alzò dalla propria ed iniziò a parlare con una calma solenne.
“Capisco che è tardi e mi dispiace di aver organizzato un briefing a quest'ora, ma vi ho convocati qui per parlarvi di una cosa abbastanza importante.”
A questo punto fece una pausa. Tutto taceva, ognuno dei suoi uomini aspettava in silenzio che continuasse a parlare. Solamente due di loro non erano impazienti, solamente uno di questi sapeva con esattezza cosa stesse succedendo nella mente e nel cuore del Capitano.
“Conosciamo l'obiettivo del Lupo”, finalmente parlò.
Un sorriso entusiasta prese posto sulla bocca di Emiliano ed una nuova luce animò gli occhi di Bianca, soltanto Bart aveva capito.
“E quindi? Qual'è quest'obiettivo?”, domandò con più timore che curiosità.
Lucia deglutì.
“Sono io.”
 
 
 
Ore 8:21 P.M. Casa del Capitano Brancato. Roma.
 
“Hai visto che non è stato poi così difficile?”, Orlando, intento a cuocere la pasta, dava le spalle a Lucia che stava comodamente rannicchiata sul divano di fronte la cucina.
“Sì, forse”, lei non era convinta, “sicuramente è più facile parlarne adesso, dopo averne già parlato con la squadra.”
“Come vuoi”, fu la sua risposta distratta. Aveva appena finito di cucinare la cena, distribuì la pasta in due piatti in modo tale che la sua porzione risultasse più sostanziosa e li inondò entrambi con della semplice salsa di pomodoro. Aspettò che Lucia si sedesse a tavola di fronte a lui per toccare il punto importante del discorso.
“Comunque sia, sono fiero di te”, avevano gli occhi incatenati l'una in quelli dell'altro, “non mi aspettavo che ne avresti parlato con il gruppo; cioè, non mi aspettavo che l'avresti fatto così presto.”
“Se devo essere sincera nemmeno io me l'aspettavo. Evidentemente dopo l'esperienza con Dettori ho imparato qualcosa.”
“Già, Dettori”, Orlando quasi sputò quel nome, “persone come Dettori non dovrebbero esistere”, continuò più disgustato di prima.
“Ehi, sono qui sana e salva grazie a te”, quasi senza accorgersene gli aveva preso la mano, “è passato, okay?”
“Sì”, si arrese Orlando buttando fuori la rabbia con un sospiro.
“Be', buon appetito!”, esclamò Lucia sorridendo, smorzando la tensione che si era creata.
“Buon appetito.”
 
Più tardi, nella camera da letto, alla luce più soffusa della luna, Orlando trovò il modo di dar voce ai pensieri che più gli premeva esternare.
Erano raccolti in un caloroso abbraccio. Lucia, accoccolata sul petto del suo uomo, aveva gli occhi chiusi ed un sorriso beato stampato in faccia, ma non dormiva; Orlando le carezzava dolcemente la schiena. Avevano appena fatto l'amore.
“Allora, che cosa devi dirmi?”, con sua grande sorpresa Lucia lo precedette.
“Ehi, un momento... Ma non ero io quello telepatico?”, la mano di Orlando si arrestò a metà del movimento sulle sue spalle bianche. Il respiro irregolare l'aveva tradito.
“Ho fatto un corso accelerato”, rispose ridendo sotto i baffi. “Su, avanti, spara”, lei, al contrario di Orlando, era molto tranquilla.
“Okay, bene. Hai presente quel bel discorso che ha fatto Ghiro oggi pomeriggio sul chiedere aiuto, sulla stima dei superiori, eccetera...?”
“Va be', adesso chiamarlo discorso mi sembra un tantino eccessivo, non è che abbia...”
“Lucia”, la richiamò, “non è quello il punto”. Stava cercando di cambiare discorso, probabilmente aveva già capito dove voleva arrivare.
“Scusa. Sì, ce l'ho presente.”
“Bene. E sai che è la verità, vero?”
Lucia ci pensò un attimo, poi rispose. “Sì, penso di sì.”
“E allora sai anche che devi avere fiducia in te stessa, e che devi avere il coraggio di ammettere a te stessa che hai bisogno di aiuto e di mettere da parte l'orgoglio, giusto?”
“Quindi secondo te è una questione d'orgoglio?”, chiese ironicamente lei.
“Rispondi alla mia domanda”, scandì Orlando con fare autoritario. Lucia sarà anche stata il Capitano del R.I.S., ma una volta tolta la divisa il Tenente prendeva il sopravvento.
“Forse”, si stava comportando come una bambina.
“Lucia...”
“Sì, sì, okay, d'accordo, hai ragione”, in cuor suo aveva già accettato le parole di Orlando ed aveva riconosciuto anche la verità che esse racchiudevano, ma rimaneva sempre quell'unico ostacolo da superare per ammetterlo anche a lui: l'orgoglio. Per fortuna lui capì e non insistette oltre.
“Brava”, disse, e dalla voce Lucia capì che stava sorridendo. Le diede un bacio sulla nuca e tornò ad accarezzarle la schiena liscia e morbida.
Ed ecco riapparire sulle labbra di Lucia quel sorriso beato che solo lui sapeva tirarle fuori. Era tutto perfetto. O quasi.
“Orlando?”, lo chiamò sottovoce, come se temesse di rovinare quella splendida atmosfera.
“Dimmi, tesoro”, anche lui parlava sottovoce.
“Ti amo.”
“Anche io ti amo.”
Ora sì che era tutto perfetto.
 
 
 
Ore 9:55 P.M. Nella pallida oscurità di un vicolo di Roma.
 
Un uomo dal fisico slanciato aveva appena forzato, con fare esperto, la porta di una casa priva di antifurto. Si muoveva furtivamente nel buio al suo interno, con passi misurati e precisi: c'era già stato.
“Bentornato a casa”, disse a se stesso senza badare al tono della voce.
Da una piccola finestra impolverata filtrava debole la luce della luna: due piccoli occhi verdi, visibili attraverso le lunghe e sottili ciocche di capelli neri, esibivano con eleganza la loro cattiveria.

   
 
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