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Autore: Mary P_Stark    14/12/2011    3 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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Un po’ di risposte e una verità davvero scomoda, per il nostro eroe dal cuore impavido. Ma che ci volete fare, almeno per un po’, deve andare così. Spero non mi odierete. Buona lettura!

 


 

 

17.

 

 

 

 

 

Il fatto di non dover più preoccuparsi di faccende pesanti, come dar da mangiare agli animali o pulire le stalle, non voleva certo dire che Eikhe non si rendesse utile al villaggio.

Sorda a tutte le raccomandazioni di amiche e sorella, Eikhe aveva continuato imperterrita a prendersi cura dei lupacchiotti nella stalla.

Insegnava a tutti loro ciò che c’era da imparare per vivere nel villaggio e, soprattutto, assieme alle donne-lupo.

Il bimbo che cresceva a vista d’occhio dentro di lei, a ogni modo, non sempre era stato d’accordo con la sua scelta di vita.

Ben più di una volta era dovuta rimanere a letto, percorsa da dolori tremendi al ventre, o trafitta da atroci tormenti provocati da lancinanti mal di schiena.

In non poche occasioni, si era ritrovata a imprecare all’indirizzo di Aken, per poi pentirsene amaramente un attimo dopo che il male era svanito.

Quella mattina, però, la fitta di dolore che la colpì fu molto diversa dal solito.

Ansando quando, nell’attraversare la via principale del villaggio, avvertì un dolore lancinante al basso ventre, Eikhe si portò le mani in grembo, sconvolta. 

Guardando Sendala al suo fianco – e che teneva tra le braccia un cucciolotto di pochi mesi – esalò con voce tremula: “Credo che ci siamo.”

Impallidendo visibilmente, l’amica lanciò un fischio a una bambina perché prendesse il lupetto e lo conducesse dagli altri, dopodiché si volse verso Eikhe, che se ne stava con le mani serrate sotto il pancione.

Rapida, Sendala la afferrò saldamente a un braccio ed esclamò: “Torniamo subito a casa, Eikhe! Non vorrai partorire in mezzo alla strada, spero!”

“Non ci penso neanche!” esalò lei, prima di bloccarsi quando una contrazione le fece perdere le forze, costringendola ad addossarsi completamente a Sendala.

“Oh, cielo!”

“Ti prego, non svenirmi qui!” esalò la ragazza-lupo, spaventata a morte. “Kilana, presto, vieni!”

Kilana, a quel richiamo, osservò le due ragazze e, intuendo al volo cosa stesse succedendo, corse da loro.

Nell’uscire sul pianerottolo di casa, richiamata dalle urla di Sendala, Kaihle assistette alla scena con occhi torvi e la mente pronta.

Finalmente, era giunto il giorno.

Accompagnata Eikhe nella sua capanna sotto lo sguardo curioso di molte donne, Kilana lasciò la ragazza nelle mani dell’amica e si affrettò a stendere sul letto un telo pulito.

Ordinato a Sendala di far bollire dell’acqua, prese poi per la vita la partoriente e la invitò a camminare.

“Ora devi camminare, Eikhe. Accompagna il tuo bambino verso la giusta via.”

“Credo lo stia già facendo più che bene da solo” riuscì a ironizzare la figlia sacra, stringendo i denti all’arrivo di una contrazione.

Senza accorgersene, quasi stritolò la mano di Kilana, che teneva saldamente nella sua.

Sorridendole comprensiva, nonostante il male provato a causa della stretta convulsa di Eikhe, la donna le disse incoraggiante: “Te la stai cavando benissimo, figlia sacra, credimi.”

“Se lo dici tu…” esalò Eikhe, osservando turbata Liar che, spaventato, le saltellava al fianco non sapendo bene cosa fare. “Povero amico mio! Stai tranquillo, non mi succederà niente.”

“Quel lupacchiotto sverrà prima del tempo, se non si darà una calmata…” ridacchiò Kilana, prima di veder entrare Kaihle nella capanna. “… Signora…”

Eikhe squadrò la madre senza dire nulla.

La Signora del Villaggio si limitò a poggiarsi a braccia conserte contro la prima parete utile, mantenendo un silenzio di tomba mentre osservava la figlia minore, come a voler decidere della sua sorte.

A pochi attimi di distanza sopraggiunse anche Tyura.

Nel vedere la madre perfettamente immobile mentre Eikhe camminava a fatica, sorretta da Kilana, sbuffò contrariata e andò ad affiancarsi alla sorella.

Ringraziata Tyura con un sorriso, la ragazza strillò non appena una contrazione le fece cedere del tutto le gambe.

Sotto i suoi occhi sorpresi e sgomenti, una chiazza d’acqua e sangue si formò ai suoi piedi, imbrattando il pavimento di legno e la sua tunica di pelle.

“Direi che è cominciato” chiosò Kilana, sciogliendosi dalla sua stretta.

“Tyura, sostienila tu, mentre io pulisco qui.”

Annuendo, la giovane fece scostare una pallidissima Eikhe che, ancora sgomenta e con gli occhi sgranati, osservava il disastro che aveva appena combinato.

Ridendo suo malgrado, esalò con voce roca: “Guarda che casino!”

Scostandole una ciocca di capelli umidi dal viso mentre percorrevano lentamente, un passo alla volta, il perimetro dell’ampia camera da letto, Tyura aggiunse: “Sei sempre stata una combina guai.”

Eikhe cercò di sorriderle, come per ringraziarla, ma le contrazioni la costrinsero a mordersi un labbro per il gran male.

Non avendo coraggio sufficiente per spingere fuori dalla gola altre battute di spirito, Tyura si limitò a sorreggerla, aiutandola a camminare poco alla volta.

A ogni passo, però, avvertiva sempre lo sguardo da falco della madre.

Aggrappandosi completamente alla sorella quando un’altra contrazione la prese, Eikhe cominciò a piangere dal dolore e Kilana, annuendo a Tyura, le concesse di portarla a letto.

“Falla sdraiare, ormai non ne può più.”

Affrettandosi a fare quanto ordinatole, la giovane fece stendere sul letto la sorella.

Strette convulsamente le mani al lenzuolo, Eikhe gridò a una nuova contrazione, maledicendo tutto quello che le venne in mente in quel momento.

Ridendo nonostante tutto, Sendala le arrivò al fianco e, presale una mano, le disse: “Devi avere ancora forza da vendere, se riesci a strillare a quel modo.”

“Piantala di fare la spiritosa…” brontolò lei. “… vorrei vedere te, al mio posto!”

“Questo, scordatelo!” rise l’amica, asciugandole il viso con un pannetto.

“Ne riparleremo a tempo debito, io e te.”

Eikhe sbuffò, cercando di mantenere un ritmo respiratorio il più regolare possibile, ma fu molto, davvero molto difficile.

Sorridendo alle due ragazze, Kilana sollevò la veste della partoriente e le poggiò un telo sulle gambe dopodiché, controllatane attentamente la dilatazione, mormorò: “Siamo ancora indietro, Eikhe. Mi sa che ne avremo per un po’.”

“Ci avrei giurato.”

Un attimo dopo, urlò.

***

Aken affondò la lama nel petto di un nemico prima di levare il capo di scatto e, turbato, guardarsi intorno. Gli era sembrato di udire un grido di donna.

Il grido di Eikhe.

Sapeva che era impossibile, visto che lei era lontana giorni di viaggio dal luogo della battaglia, eppure gli era sembrata proprio la sua voce.

E stava male.  

Sperò ardentemente di sbagliarsi.

***

Ansando all’ennesima contrazione, Eikhe guardò fuori dalla finestra e, notando la colorazione violacea del cielo sopra la cresta frastagliata dei monti, imprecò.

“Ma quanto tempo è passato?!”

“Diverse ore, in effetti” ammise Kilana, tergendosi la fronte con il dorso della mano prima di tornare  a fissare lo sguardo su Eikhe.

“Ma siamo a buon punto, ormai. Sei dilatata a sufficienza. Alla prossima contrazione, spingi.”

“Non ci penserò due volte” sibilò furente la ragazza, stringendo le mani di Sendala e di Tyura.

“Possibilmente, senza spezzarci le dita” sottolineò la sorella, sorridendole nonostante si sentisse a sua volta ormai allo stremo.

“Vedrò di conte…” cercò di dire lei, prima di urlare dal male. “… maledizione!”

“Spingi, Eikhe, spingi!” le ordinò subito Kilana, accigliandosi.

Stringendo i denti, la ragazza gridò nuovamente nel mettere tutte le sue forze residue in quella spinta.

Sorridendo soddisfatta, Kilana esclamò: “Vedo la testa… una bella testolina nera!”

Subito, Kaihle si staccò dal muro ove, per tutto il tempo, era rimasta in silenziosa osservazione dell’esito finale di quello che, per mesi, aveva reputato un autentico abominio.

Uccidere madre e creatura sarebbe stato un errore; solo per questo si era impedita di farlo a suo tempo.

Non le era servito sapere dalle labbra della figlia il nome del miscredente padre, poiché aveva letto la verità sul volto preoccupato del principe Aken, la prima volta che si erano rivisti sulla piana di Royconea.

Quegli occhi smeraldini così pieni di amore, amore verso sua figlia, l’avevano mandata in bestia, ma non aveva potuto fare nulla per sfogare l’ira che aveva sentito montare in lei.

Non si poteva levare la mano su un principe, lo sapeva bene anche lei.

Ma non tollerava che lui avesse insozzato con il suo seme una delle sue figlie, e che quella stessa figlia si fosse fatta abbindolare al punto di innamorarsi del padre del nascituro.

No, era inconcepibile!

La legge lo vietava!

Nessuna donna-lupo poteva permettersi di amare un uomo, soprattutto colui – o coloro – con cui aveva deciso di avere una figlia per la loro stirpe.

Questo avrebbe voluto dire diventarne schiave, non più padrone dei propri sentimenti, non più indipendenti nelle decisioni, ma deboli e indifese di fronte a un sentimento schiacciante e prevaricatore!

No, non avrebbe mai permesso al frutto di quell’unione di rimanere con la propria madre.

Sua figlia avrebbe imparato la lezione, perdendo ciò che la sua carne impura aveva generato, e tutto sarebbe tornato a posto.

L’equilibrio sarebbe stato ripristinato, e nulla sarebbe cambiato.

Se fosse stato un maschio, lo avrebbe consegnato nelle mani delle genti di Marhna, forse allo stesso Harm, perché vivesse tra loro come uomo.

Se Hevos, invece, avesse deciso per una figlia, sarebbe stata lei, ad allevarla, non Eikhe e, per lei, avrebbe disposto l’esilio.

Nessuno sarebbe stato ucciso, e la frehoa non si sarebbe risvegliata. Nessuno avrebbe macchiato col sangue il suo governo su Nestar.

Ma, più di ogni altra cosa, non avrebbe mai permesso Eikhe potesse ottenere ciò che lei si era vietata per una vita intera!

Avvicinandosi silenziosa alla stanza da letto di Eikhe, ristette sulla porta osservandone il viso contratto dal dolore, rammentando il proprio quando l’aveva messa al mondo, rischiando di perdere la vita.

Solo a cose fatte, aveva scoperto con rammarico di avere dato alla luce una di quelle. Una figlia sacra.

Si era sempre rifiutata di dire a Esteria, che guidava super partes le Marchiate di Hevos, della sua esistenza, come invece era previsto dalla legge del branco.

Aveva sempre ritenuto la sua nascita uno spregio, un insulto.

Ma anche, e più di tutto, il chiaro segno che l’amore che si era concessa di provare per l’uomo con cui l’aveva generata era sbagliato, impuro!

Questa era l’ennesima punizione che lei doveva pagare, per ciò che si era concessa in un momento di cedimento.

Quella figlia, nata da un amore che non avrebbe dovuto provare per alcun motivo, ora partoriva un figlio senza il suo consenso, senza il consenso della legge, amando l’uomo con cui aveva generato quella creatura.

Ma lei avrebbe spezzato quella catena di sventure!

Non avrebbe più pagato per i suoi errori di gioventù!

Del tutto ignara dei pensieri torvi della madre, Eikhe diede un’altra spinta, ormai allo stremo delle forze.

Intuendo dalla larghezza delle spalle il sesso del nascituro, Kilana rimase in silenzio finché il bimbo non uscì con uno strillo poderoso, dichiarando al mondo intero la sua nascita.

Una risatina collettiva si levò tra le tre ragazze mentre Kilana, dopo aver clampato e tagliato il cordone ombelicale, avvolse in un telo il frugoletto urlante.

Un attimo dopo, lo depositò sul fasciatoio per pensare alla madre del bimbo.

Dopo averla sollecitata a espellere la placenta con massaggi delicati sull’addome, ripulì Eikhe con delicatezza, mentre il bimbo continuava a strillare alle loro spalle, desideroso di attenzioni.

Stremata ma sorridente, la ragazza sollevò le braccia verso la donna che la stava curando con gentilezza materna e mormorò: “Ti prego, Kilana, dammelo.”

Già sul punto di voltarsi per prendere il bimbo, Kilana lo vide tra le braccia di Kaihle che, furtiva, si era avvicinata a loro proprio nel momento in cui, le maggiori cure, erano spettate alla partoriente.

Rabbiosa e con il volto percorso dall’ira, Kaihle tolse la copertina, esclamando a gran voce: “Un maschio!”

Sgomente, Sendala e Tyura si levarono in piedi lasciando le mani di Eikhe che, senza forze, osservò la madre con il suo bambino in braccio.

“Dammelo… è mio…”

“Non ti permetterò di tenerlo! Sarebbe un sacrilegio! Se ne andrà immediatamente, come è giusto che sia!” ringhiò Kaihle, fissando con occhi spiritati il bimbo che ancora teneva in braccio e che, furioso, strepitava come un’aquila, quasi avesse compreso il pericolo che stava correndo.

“Kaihle, Signora, non costringermi a muovere contro di te” la minacciò Kilana, avanzando di un passo.

Sendala e Tyura imitarono la possente guerriera, sbarrando di fatto qualsiasi fuga a Kaihle.

La Signora del Villaggio le fissò rabbiosa e si strinse il frugoletto tra le braccia, non tanto per proteggerlo, quanto per impedire alle tre donne di toglierglielo dalle mani.

Già sul punto di intimare loro di stare indietro, la donna si volse verso la porta quando udì distintamente il ringhio chiaro e sibilante di un lupo.

Sgomenta, vide Liar puntarla con sguardo rabbioso mentre, sulla porta di casa, altri lupi la scrutavano allo stesso modo.

“Il branco lo protegge. Non puoi decidere per lui, Signora.”

Sendala si avvicinò a lei in fretta e le strappò il bimbo dalle braccia, prima che potesse recuperare la lucidità necessaria per tenerle lontane.

Osservando poi il piccolo con un sorriso stampato sul volto, non trovò nulla di strano nello scorgere i suoi occhi dorati ben spalancati sul viso grinzoso e, con voce limpida, disse: “Benvenuto, figlio sacro.”

“Lui è…?” esalò Eikhe, vedendoselo consegnare dall’amica.

Annuendo, Sendala mormorò: “E’ come te, amica mia. Per questo, il branco gli è fedele. Nessuna di noi potrà toccarlo.”

Stringendoselo al petto con le lacrime agli occhi, Eikhe sussurrò: “Saresti orgoglioso di lui, Aken.”

Il bambino si esibì in un ciangottio allegro che stregò subito la madre.

Ridacchiando, lo baciò sulla fronte sistemandogli i fini capelli neri ma Kaihle, di tutt’altro umore, sibilò: “Sia come vuole il branco, ma non rimarrai al villaggio. Qui governo io, non loro, e non vi ci voglio!”

“Non sarà un problema. Costruirò una nuova casa fuori dal villaggio, se così ordini, madre, ma non osare mai più cercare di separarmi da mio figlio, o te la vedrai con la mia ira” sentenziò lapidaria Eikhe, stringendosi al petto il figlio. “Io e Antalion vivremo per conto nostro, non più sotto il tuo giogo oppressore.”

“Davvero un bel nome” dichiarò Tyura, lanciando uno sguardo spiacente alla madre quando la vide uscire a passo di carica, il viso oscurato da un’ira più che profonda. “Sarà meglio vada da lei, o potrei rischiare di essere bandita  a mia volta. Verrò a trovarti appena la tempesta sarà passata, piccola.”

“Grazie, Tyura, di tutto” le sorrise Eikhe, stringendo calorosamente una sua mano

Strizzandole l’occhio, Tyura celiò: “Sei o no, mia sorella?”

***

Sollevando la testa di Nargan perché tutti la vedessero, Aken lanciò un grido di guerra tale da far tremare coloro che gli erano vicini.

Gridando con lui per l’esultanza assieme a Vesthe e Liase, Ruak esclamò a gran voce, levando alta la spada grondante di sangue: “Gloria al principe di Enerios! Siamo vittoriosi!”

Ora tutto era finito e, finalmente, Aken avrebbe potuto tornare a casa e parlare col padre.

Certo, non sarebbe stato facile fargli comprendere il suo amore per Eikhe e il suo desiderio di non salire al trono dopo di lui.

Il suo unico pensiero, al momento, era abbandonare per sempre Rajana per avvicinarsi il più possibile all’unica donna da lui mai amata.

Sì, Kaihle gli aveva vietato di avvicinarsi a Nestar.

Ma il padre di Eikhe si trovava a Marhna, e a lui sarebbe bastato soggiornare lì per poterla vedere.

A quel modo, avrebbe potuto parlare nuovamente con lei, convincerla a intraprendere una via comune, in cui avrebbero potuto finalmente vivere insieme.

La sola idea gli fece sorgere un sorriso in viso.

Nel tornare vittorioso dai suoi uomini, con la testa di Nargan ben levata verso il cielo, osservò soddisfatto l’esercito nemico che, ormai senza un capo, stava sparpagliandosi per tornarsene da dove era venuto.

A nessuno di loro importava proseguire nella conquista di Enerios, visto che non avevano più nessuno a dar loro ordini.

Tagliata la testa dell’Idra, il corpo del mostro di nome Vartas era morto sul colpo.

Sorridendo al fratello mentre, acclamati dai loro uomini, rientravano tra le loro fila di soldati, disse sollevato: “Ora è tutto compiuto.”

“Sì, fratello mio” sospirò soddisfatto Ruak, sorridendogli.

Il sole illuminò il campo di battaglia, ricoperto di ciò che restava della lunga guerra appena terminata.

Osservando quei corpi distesi e già prede dei corvi, pronti per il banchetto, danzavano sulle loro zampette per avvicinarsi alla carne sanguinolenta, Aken mormorò mesto: “A cosa è servita la sua follia? Solo a ingrossare lo stomaco del vostro dio Haaron.”

Vesthe, al suo fianco, sorrise indulgente.

“Haaron ha banchettato per mesi, grazie alla stupidità di Nargan, ma ora tocca a Hevos dare nuova vita a questi luoghi. E’ un cerchio eterno di nascita e morte, principe. Non dovresti stupirtene. Come non devi pensare che Haaron sia il male incarnato. Deve essere ciò che è, o il ciclo non si chiuderebbe.”

“Parli con saggezza, Vesthe, ma ugualmente piango per tante vite spezzate. E mi chiedo solo quanto ancora andranno avanti queste guerre, prima che l’uomo capisca quanto siano inutili” sospirò Aken, rinfoderando la spada.

Ora che aveva sconfitto Nargan, ogni forza gli era venuta meno, e il suo unico desiderio era quello di trovare la pace.

Per il suo popolo e per se stesso.

“Ti poni una domanda senza risposta, principe. L’uomo, come la donna, sono fatti per combattere, per dare vita e per toglierla... è nella loro natura. In tutti noi, Haaron ed Hevos albergano in egual misura” dichiarò Liase, lanciandogli un’occhiata comprensiva. “Che parla, ora, è la stanchezza, più che lecita dopo tanti mesi di sangue e morte. Non appena rimetterai piede nella tua amata città, tutto andrà a posto.”

“Lo spero, Liase” asserì Aken, trovando la forza per sorriderle.

“Ne sono più che convinta” annuì con vigore la donna.

“E’ giunto il momento di separare le nostre strade, principi. E’ stato un onore e un piacere lottare al fianco di uomini coraggiosi e leali come voi. Io e mia sorella decanteremo le vostre doti alle figlie del branco che non hanno potuto unirsi a noi, perché la vostra gloria non abbia fine, e l’amore verso la Corona sia ancora più saldo di oggi.”

“Grazie a entrambe. Non solo il vostro aiuto è stato prezioso, ma ci ha regalato due nuove amiche che…” e nel dirlo, guardò il fratello Ruak, che sorrise annuendo: “…spero vorranno farci l’onore di rimanere tali per sempre.”

Le due ragazze ridacchiarono imbarazzate prima di annuire e Vesthe, dando una pacca sul braccio ad Aken, celiò: “Ora non cominciare a fare lo sdolcinato, principe, o potremmo sorprenderti, mettendoci a piangere come due viti tagliate.”

Ridendo, Aken la strinse in un rapido abbraccio, allungandosi sulla sella al pari di Ruak, che strinse gentilmente a sé Liase.

Dopo averle osservate ancora un momento in viso per imprimere nelle loro menti quegli ormai familiari  lineamenti, si allontanarono per radunare l’esercito e tornare a Rajana.

Era infine giunto il tempo di rimettere piede nella capitale del Regno.

L’esercito decimato di Nargan era in fuga, ogni velleità di lotta scomparsa nel  mare di sangue sparso tra quei colli ora desolati che, per molto tempo ancora, avrebbero recato sui loro profili il segno tragico di quella guerra insana e folle.

A ogni buon conto, fidarsi di Vartas non era la mossa più sensata da fare, nonostante l’esercito in rotta e la fuga dei comandanti.

Per evitare eventuali recrudescenze, Aken decise di lasciare una compagnia di fanteria sul crinale, con la promessa di un nuovo invio di truppe non appena avessero raggiunto la capitale.

Dopo aver sistemato anche quel problema, con il sole ormai prossimo al crepuscolo, si mise alla testa dell’esercito assieme al fratello e puntò verso sud-ovest, verso casa.

A ogni passo percorso lungo la piccola carovaniera che li aveva condotti in quelle lande, cori di bimbi e acclamazioni di uomini e donne si sommavano a offerte di cibo e di bevande fresche.

Qualsiasi cosa per celebrare semplicemente, ma con grande cuore, la vittoria del loro regno nei confronti dell’odiato Vartas.

Un falco fu fatto levare in direzione di casa, perché il re fosse avvisato del buon esito della spedizione.

Mentre i giorni si affastellavano gli uni sugli altri, i festeggiamenti non vennero mai interrotti, sulla via del ritorno.

Per ogni villaggio attraversato, le stesse scene si ripeterono all’infinito, mentre la voce della vittoria della guerra si espandeva per il reame come un fuoco tra gli sterpi.

Di pari passo con l’avvicinarsi della città, molte coorti si staccarono dal corteo principale per tornare alle rispettive guarnigioni, non senza prima aver ricevuto le lodi dei due principi.

Un premio sarebbe spettato a tutti coloro che coraggiosamente avevano combattuto con valore per le sorti di tutto il regno, così come alle famiglie di coloro che avevano perso la vita tra quelle lande insanguinate.

Quando infine, con l’approssimarsi del ventesimo giorno di viaggio, l’esercito scorse le amene mura di Rajana, i due principi non poterono esimersi dal sorridere lieti, ben felici di essere infine giunti a destinazione.

Grande fu la festa e la pompa, quando varcarono il portone principale della capitale, e infinite furono le libagioni offerte al popolo per rendere onore ai guerrieri tornati dal fronte.

Ogni volto era percorso da un sorriso, e i bambini saltellavano allegri nel veder tornare il proprio padre dal fronte.

Contro ogni aspettativa, le perdite erano state minime, nonostante i lunghi mesi di lotta, e furono poche le famiglie cui Aken dovette portare la triste notizia della dipartita di un padre, di un fratello, di un figlio o di un marito.

Quando finalmente fu il turno per Aken e Ruak di riabbracciare la famiglia, il sole era già reclinato verso occidente, tingendo il cielo dei cupi colori della sera.

I due giovani, scendendo ormai stremati dalle proprie cavalcature, si lasciarono abbracciare dai propri cari, dispensando strette vigorose e baci sentiti e amorevoli.

Ruak stentò a non piangere, stretto tra le braccia tremanti di Anladi e Aken, sorridendo nell’osservarli, si unì a loro stringendo entrambi in un abbraccio stritolante che li fece entrambi scoppiare a ridere.

Melantha trovò parole di lode persino per Aken – cosa alquanto strana, visto che non si sopportavano – ma, visto cosa le era stato risparmiato, il fratello maggiore non trovò difficile comprendere il perché di quei complimenti.

Anladi, dopo aver scrupolosamente controllato che ai due figli non fosse successo niente, si ritirò assieme alla figlia con il cuore più leggero.

Aken, perciò, scelse quel momento per parlare con il padre; la fresca vittoria lo avrebbe reso più disponibile alle sue richieste.

Lanciata un’occhiata furtiva a Ruak, Aken entrò infine all’interno del palazzo assieme al resto della famiglia.

Dopo aver promesso al fratello che avrebbero giocato assieme a wisth, seguì con passo tranquillo il padre, diretti verso il suo studio nel mastio del castello.

Percorse in relativo silenzio le tre rampe di scale necessarie per raggiungere il mastio – non senza aver ricevuto lodi e congratulazioni da tutti coloro che incrociarono nel loro cammino – Aken aprì per il padre la pesante porta di legno.

 Osservatolo entrare con sguardo pensieroso, lo seguì all’interno dell’enorme stanza circolare prima di chiudersi il battente alle spalle.

Dopo essersi accomodato sul suo scranno ricoperto di pelli di lupo, re Arkan fece segno al figlio maggiore di accomodarsi di fronte alla scrivania del suo studio e, orgoglioso, fissò l’uomo che aveva di fronte.

“Come si è comportato, Ruak?”

“Molto bene, padre. E’ un ottimo combattente, e un buon stratega. Ancora un po’ irruente, ma è dovuto all’età. Credo sia pronto per il suo apprendistato all’estero” dichiarò Aken, sorridendo.

“Ottimo. Scriverò a re Ordang domani stesso” annuì più volte Arkan. “Ebbene, figlio, cosa volevi dirmi di così importante da non poter attendere neppure un minuto?”

Sospirando, il figlio poggiò gli avambracci sulle cosce e, allungandosi verso il padre, ammise con voce roca: “Riguarda me, padre. Mi sono reso conto di non volere ciò che la Corona ha da offrirmi e…”

“Cosa stai dicendo, Aken?” lo interruppe subito il padre, fissandolo accigliato.

“Padre, lasciatemi finire, vi prego. Sapevo già di non volere questa vita e, trovandomi con Eikhe in mezzo a quel ginepraio in cui siamo finiti, ne ho avuto la conferma. Io non sono fatto per starmene rinchiuso in questo palazzo, a parlar di politica. Io sono un uomo d’azione, amo la libertà, l’aria aperta, il…” proseguì  Aken con veemenza.

Sbattendo una mano sulla scrivania, Arkan lo interruppe furioso e, levandosi in piedi con ferocia, ringhiò: “Non una parola di più, figlio!”

“Padre, ma…” esalò il giovane, sorpreso dalla sua reazione, fissandolo a occhi sgranati.

“Tu sei mio figlio, l’erede al trono, non un qualsiasi contadino di paese!” sbottò Arkan con tono sempre più rabbioso. “Non voglio sentire da te parole simili, è chiaro?! Tu mi succederai, e questo è quanto!”

“Non è mio desiderio” replicò Aken, cercando di mantenersi calmo.

Aggredire a male parole il padre sarebbe stato oltremodo controproducente.

“Tu ti sposerai, avrai un figlio che erediterà il tuo titolo, e mi succederai al trono!” gli ordinò ancora Arkan, fissandolo con occhi lividi.

“Non farò nulla di tutto ciò. C’è già un’altra donna nella mia vita, perciò non potrei mai prendere in moglie alcun’altra per soddisfare i vostri desiderio. Io desidero vivere con lei, se mi sarà possibile. Ma non qui” ammise allora Aken, sfidandolo a replicare.

Aggrottando pericolosamente la fronte, Arkan oltrepassò la scrivania reggendosi al bastone e, sempre più furioso, esclamò: “Quella puttana di una selvaggia! Lei! E’ stata lei a farti uscire di senno!”

Alzatosi come una furia, Aken fece cadere a terra la poltrona su cui si era accomodato – tanta fu la veemenza del suo gesto – e replicò furente: “Non osate parlare di Eikhe a questo modo! Non merita le vostre parole rabbiose!”

“Non lascerò che mio figlio vada a stare con una pezzente suo pari. Sei il figlio del re, l’erede al trono, ricordalo sempre!”

“E a me non interessa! L’unica cosa che voglio, è lei!” urlò a quel punto anche Aken, picchiando i pugni sulla scrivania.

“Tu obbedirai ai miei ordini, o io la farò uccidere, ti è chiaro?!” sibilò Arkan, facendolo impallidire.

“Non potete far questo. C’è un trattato, con le donne-lupo. Voi non potete!”  tentennò Aken, non essendosi aspettato una simile reazione dal padre. “Vi volete rimangiare tutte le parole di lode che le avete tributato, padre?”

“Non metto in dubbio ciò che a fatto per noi, e tutto quello che le dissi a quel tempo, rispondeva al vero, ma non la accetterò mai come tua moglie. Inoltre, passerò sopra senza problemi al trattato, se potrò evitarti di screditare il buon nome della nostra famiglia. Pensaci bene, Aken, prima di scatenare un’altra guerra, e solo per sfogare i tuoi più bassi istinti.”

 Arkan lo fissò furibondo, gesticolando ampiamente con la mano libera dal bastone.

“E voi pensateci bene, prima di mettere a repentaglio la vita di Eikhe. Se solo vengo a sapere che le avete torto un capello, porrò fine di mia mano alla mia esistenza, così potrete piangere sulla mia tomba e chiedervi se sia valsa la pena impormi simili restrizioni” replicò Aken, con sguardo adamantino quanto fermo.

“Rinunceresti a vivere… per lei?” sibilò Arkan, adombrandosi ulteriormente in viso.

“In qualsiasi momento” annuì il figlio, ergendosi in tutta la sua statura e fissando il padre con fredda determinazione. “E vi dirò di più. Non pensate che io mi sposi perché, se non potrò avere Eikhe, voi non avrete un mio erede. Ci penserà Ruak, se mai vorrà sposarsi, a proseguire la vostra stirpe, ma non certo io. In cambio, vi prometto che rimarrò a Rajana. Ma solo a queste condizioni.”

Arkan lo fissò negli occhi per diversi minuti, troppo furioso per aprire bocca anche solo per ingiuriarlo.

Alla fine, preso un gran respiro, il re annuì e dichiarò: “Sia come vuoi. Non la toccherò, né pretenderò da te che ti sposi, ma non uscirai mai più da Rajana. Non posso rischiare che tu fugga per seguire questa follia, gettando fango sulla nostra casata e sul suo buon nome secolare.”

“E sia” sospirò Aken, reclinando il capo senza più avere la forza di guardare il padre negli occhi. “Preferisco sapere Eikhe libera e viva, che braccata da voi perché io non ho voluto cedere alle vostre minacce.”

“Tu sei folle” scosse il capo Arkan, disgustato.

“Forse, ma non più di voi. Con permesso, padre” disse a quel punto Aken, uscendo dallo studio con passo fiacco.

Non appena si ritrovò nel corridoio, il giovane sobbalzò nel trovare sua madre Anladi a pochi passi da lui e che, con occhi leggermente sgranati, lo fissò turbata.

“Perché urlavate? Cos’è successo?”

“Nulla, madre, non preoccuparti. Va tutto bene” le sorrise mesto lui, stringendola in un abbraccio tremante.

“Aken, tesoro, cos’hai?” gli sussurrò la donna contro il torace ampio e tremante, carezzandogli sommessamente la schiena.

“Permettimi solo di abbracciarti un momento, madre,… ora mi passa” mormorò soltanto lui, sentendosi prossimo alle lacrime.

Non avrebbe più rivisto Eikhe, non avrebbe più scorto i contorni burrascosi dei Monti Urlanti, o le placide colline dei Rinnail, o la cascata di Atrohos.

Nulla, solo le pareti del castello e i tetti delle case di Rajana. Solo fredda, inospitale roccia, fino alla fine dei suoi giorni.

Ma non poteva rischiare che suo padre mettesse a rischio la vita di Eikhe, o il trattato con le donne-lupo.

No, lui avrebbe rinunciato alla sua libertà per lei e, se un giorno gli dèi avessero avuto pietà di lui, avrebbe rivisto i suoi occhi dorati e il suo sorriso sincero.

  
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