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Autore: Mary P_Stark    15/12/2011    2 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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18.

 

 

 

 

 

Le rimostranze di molte donne della tribù si unirono allo sguardo feroce di Kaihle che, incessante, seguì i movimenti di Eikhe attraverso la via principale del villaggio.

Con Antalion in braccio e le sue amiche al fianco, si diresse verso il piccolo tempio di Hevos per pregare in onore del nuovo nato.

La notte che aveva seguito la nascita di Antalion si era trascinata lenta e tesa come la corda di un liuto, mentre la notizia si spargeva come fuoco tra le donne-lupo.

Nonostante quel clima di fiele, Eikhe aveva pensato unicamente al suo bimbo, attaccandolo al seno per la prima volta sotto gli occhi vigili e gentili di Sendala e di Kilana.

 Per l’intera nottata, entrambe erano rimaste al suo fianco, mentre Tyura era rimasta fuori dalla porta della casa della sorella per vigilare in compagnia dei lupi.

La mattina seguente, Eikhe aveva almeno in parte recuperato le forze.

Seguita da coloro che più l’avevano spalleggiata, assieme ai lupi del branco di Nestar, la giovane aprì la porta del piccolo tempio votivo dedicato a Hevos.

Lì, una miriade di candele splendevano altalenanti, illuminando le mura dipinte e l’altare di pietra in fondo alla navata, dove si ergeva una statua del dio a grandezza umana.

Il fruscio dei mocassini delle donne-lupo si mescolò al tintinnio delle unghie dei lupi che, senza emettere fiato, si posizionarono ai lati della stretta navata centrale.

La giovane madre invece, con il bimbo perfettamente sveglio e stretto tra le braccia, si avvicinò all’altare e si inginocchiò reclinando ossequiosa il capo.

Dietro di lei, le altre donne presenti la imitarono mentre i lupi, levando i loro musi, si esibirono in un breve ululato collettivo prima di tornare in religioso silenzio.

Quando anche l’ultimo eco fu scomparso tra le quattro mura del tempio, Eikhe tornò a levare il capo.

Scrutando con un sorriso fiducioso il rosone decorato che si trovava alle spalle della statua del dio, esordì dicendo: “Oggi porto al tuo cospetto tuo figlio, Hevos. Egli reca il Marchio, egli porta con sé il mio sangue e il tuo sangue, oh, grande dio-lupo. Egli oggi rivendica la tua benevolenza, in quanto discendente del branco e figlio sacro, depositario della tua nobile stirpe.”

In coro, le donne ripeterono la litania appena cantata da Eikhe, perché vibrasse all’interno delle sacre mura del tempio.

La figlia sacra, nel frattempo, tolse  dall’altare una candela per continuare il rito di benedizione del bambino.

Piegando la candela su un lato, alcune gocce di cera bollente caddero sul suo palmo aperto e, con voce forte e limpida, esclamò: “Sia salda la mia mano nel difenderlo, anche quando il dolore è forte!”

Dietro di lei, le donne ripeterono la stessa frase, mentre i lupi si univano a loro con bassi ululati di gola.

Baciando il figlio sulla fronte liscia e rosea e sulle mani paffute, Eikhe continuò l’omelia.

“Sia gentile la mia mano nel crescerlo, anche se le difficoltà saranno immani.”

Ancora, le donne si unirono alla sua supplica e la ragazza, ergendosi in piedi con grazia, sollevò sopra la sua testa il bimbo perché la luce che attraversava il rosone lo colpisse in pieno.

“Sia sicura la mia mano nel dargli conforto e certezze, anche quando tutto sembrerà insormontabile!”

Detto ciò, si volse verso le sue amiche mentre le ultime frasi del rito venivano cantate con vigore e coraggio.

Con un sorriso, Eikhe sussurrò: “Sia il mio cuore esultante e lieto, poiché oggi è nato un figlio di Hevos.”

In coro, le donne urlarono: “Un figlio di Hevos!”

I lupi tornarono a ululare festanti mentre, all’esterno del tempio, Kaihle passeggiava nervosamente avanti e indietro, lappandosi le labbra secche nel vano tentativo di calmarsi.

Fin da quando quel bambino era nato, il malcontento era sceso su Nestar.

Molte  anziane si erano rivolte alla loro Signora perché Eikhe avesse la sua giusta punizione, assieme al frutto peccaminoso cui lei aveva dato vita.

Kaihle aveva promesso un fio degno di tale nome da comminare alla figlia degenere, ma non poteva in alcun modo mettersi contro un intero branco di lupi, schierato come un fronte compatto in difesa di quel piccolo abominio.  

Inoltre, non voleva ripetere il Massacro di Eskit proprio a casa propria.

Non faticava a comprendere cosa fosse andato storto quella volta, sebbene non approvasse la condotta della figlia.

Uccidere il neonato – anche se maschio – era stato un errore che le sue sorelle avevano commesso senza pensare alle conseguenze.

Togliendo la vita al bambino, le donne-lupo di Eskit avevano attirato la sventura su tutte loro, scatenando la freoha di Luesrea che, come un animale assetato di sangue, si era accanita su di loro, uccidendole tutte.

Quando infine erano giunte le Guardiane di Hevos – allertate da una donna scampata al massacro – tutto si era ormai compiuto.

Le possenti guerriere avevano perciò avuto gioco facile con Luesrea, ormai prosciugata di ogni forza e ridotta a una misera creatura senza più un’anima.

Non era stata promulgata una legge contro le figlie sacre solo perché alcune Anziane dell’Antico Consiglio si erano dimostrate, se non d’accordo, ma disposte a comprendere le azioni di Luesrea.

Ma ora, a distanza di un secolo, si ripeteva il misfatto.

Un altro figlio sacro era nato nelle loro terre e, in un modo o nell’altro, lei avrebbe dovuto liberarsene, evitando così che tutto il villaggio di Nestar venisse colpito dalla sventura.

Tenere lì Eikhe e il suo cucciolo sarebbe stato impensabile, un abominio! La figlia minore non avrebbe passato un solo momento di più in quel villaggio.

Non l’avrebbe permesso, per nessuna ragione al mondo, così come non l’avrebbe più ripresa in seno alla famiglia.

Era morta, per lei.

E, lupi o meno, l’avrebbe sbattuta fuori con le sue stesse mani, quant’era vero Iddio!

Narhu, ferma a pochi passi da Kaihle, interruppe il suo incessante peregrinare sussurrandole: “Hanno terminato, mia Signora.”

La Signora del Villaggio bloccò immediatamente i suoi passi, fissando biecamente la porta del tempietto.

Il branco di lupi uscì assieme alle donne che si erano assiepate all’interno per la benedizione di rito ai nuovi nati e, senza più attendere oltre, esclamò a gran voce: “Non un solo passo di più su questo suolo, za’hrin! Non ti permetterò di insudiciare oltre il mio villaggio!”

Accigliandosi nel sentirsi chiamare ‘traditrice’ con quel tono sprezzante e privo d’amore, Eikhe strinse impercettibilmente al petto il piccolo Antalion e si bloccò a un passo dai gradini.

“Non esistono altre vie per uscire da Nestar, Signora del Villaggio perciò, a meno che io non impari testé a volare, dovrò passare innanzi a te e a tutte coloro che così malignamente mi stanno osservando.”

Facendo  un cenno a Narhu perché andasse a recuperare Leance dalla stalla, Kaihle replicò con stizza a stento controllata: “Procederai in sella al tuo cavallo, e te ne andrai immediatamente da qui! Nessuna delle donne che così ingenuamente ti hanno seguita in questa folle impresa potrà concederti asilo e, per nessun motivo, dovrai ricevere da loro sostentamento, o aiuto! Tu non sei più una figlia di questo villaggio, o mia! Io ti bandisco, Eikhe!”

Un soffuso coro di sgomento si levò tra le donne alle sue spalle mentre la figlia sacra, lo sguardo ancora fisso sul volto pallido della madre, ascoltava quelle parole senza colpo ferire.

Era già pronta a una simile punizione, ed era ben disposta ad accettarla.

Sendala mosse un passo verso di lei, le iridi nocciola percorse da un’agonia così profonda da farle male e, nonostante sapesse di darle un ulteriore dolore, scosse il capo per bloccarla.

“Non un passo di più, Sendala. Hai sentito la Signora del Villaggio.”

“Ma Eikhe…” ansò lei, scuotendo freneticamente il capo. “Hai partorito solo ieri sera! Sei ancora stanca, nonostante tutto. Non puoi metterti in viaggio proprio ora!”

La ragazza le sorrise gentilmente, replicando: “E’ mattina presto, mia gentile amica, e ho tutto il tempo di trovare un luogo ove rifugiarmi assieme ad Antalion.”

Quando, però, vide giungere Leance senza sacche da viaggio, armato solo di sella, Eikhe aggrottò la fronte e domandò: “Posso recuperare le mie cose da casa, oppure devo lasciare tutto qui, Signora del Villaggio?”

“Tutto ciò che è qui ci appartiene di diritto” decretò gelida Kaihle. “Non posso tenere il tuo lupo e il tuo cavallo perché sono legati al tuo spirito, e morirebbero a essere separati da te. Io non li voglio sulla mia coscienza, pur se lo meriterebbero, dopo questo voltafaccia. Ma, tutto il resto, lo terrò come degno risarcimento per il disonore che hai riversato su tutte noi senza minimamente pensare a ciò che facevi.”

Accigliandosi, Eikhe replicò con altrettanta freddezza: “Ho rispettato la legge di Hevos, e questo mi basta. La legge delle donne-lupo non mi appartiene più, e neppure la vorrei, ora che conosco la verità. Vi ritenete sagge a sufficienza per dire a tutte noi quando, e con chi, avere figli, così da poterci tenere sotto controllo e impedirci di vivere la nostra vita pienamente, ma questo non è ciò che voleva Hevos per noi! Non ci ha mai negato l’amore!”

Un brusio nervoso si levò tra la folla di donne assiepate attorno a Kaihle, mentre le ragazze al fianco di Eikhe le sorridevano coraggiose, infondendole forza e sicurezza.

Ugualmente, la giovane lanciò un breve fischio per chiamare accanto a sé Leance e terminò dicendo: “Non discuterò oltre con te, Signora del Villaggio, perché so che non credi a una sola parola di ciò che ti ho detto. Ma basta mio figlio a dire a tutte che io dico il vero. I lupi erano, e sono, con me, mehem Kaihle. Ti serve sapere altro?”

Con un ringhio, la Signora del Villaggio sollevò un braccio per spazzare l’aria attorno a sé.

“Vattene di qui! Non una sola parola in più, maledetta! Vai via! Io non sono più tua madre, quindi non usare con me quello sdolcinato mehem.

Reclinando il capo per baciare la fronte del suo Antalion che, fino a quel momento, se n’era stato in silenzio contro il suo seno, Eikhe sussurrò: “Andiamo a fare un giro per i boschi, mio bel bambino.”

“Eikhe!” esclamò Sendala, afferrandola a un braccio con occhi lucidi di lacrime. “Non andare, ti prego.”

Avvicinandola a sé con un tocco gentile della mano, Eikhe le sorrise tristemente prima di darle un casto bacio sulle labbra.

“Sarai sempre la mia amica più cara, Sendala, ma ora devo andare. Non voglio che voi abbiate a soffrire per causa mia.”

Detto ciò, se la strinse al petto e, perché nessun altro potesse sentirla, sussurrò al suo orecchio: “Cercami da mio padre, quando le acque si saranno calmate.”

“Sì” alitò debolmente Sendala, scostandosi da lei prima di scappare via di corsa, intenzionata a non farsi vedere in lacrime dall’amica.

Un coro silenzioso di sguardi comprensivi e sorrisi commossi la accompagnò, mentre si ergeva sulla sella di Leance.

Dopo aver scrutato le amiche con occhi gentili, si volse verso la madre e il suo comitato di commiato prima di dare un piccolo colpo di tacchi ai fianchi del cavallo.

Subito, l’animale si mosse al passo e, lentamente, attraversò la via principale del villaggio, sotto gli sguardi furiosi delle donne-lupo che avevano seguito Kaihle in quella guerra intestina tra figlie del branco.

Ritta sulla sella e fiera di ciò che teneva teneramente tra le braccia, Eikhe non si volse più indietro per osservare un’ultima volta la sua casa natia.

Poco prima di uscire dal villaggio, trovò però la forza di sorridere alla sorella Tyura che, sola e poggiata mollemente contro un grosso abete, la scrutò da sotto le ciglia scure.

“Dirai a tuo figlio che la zia gli vuole già tanto bene?”

“Lo farò. Ma ora torna dalla mamma, se non vuoi passare un guaio” le sussurrò Eikhe, dando un colpetto a Leance perché accelerasse il passo. “Mi troverai da mio padre.”

La sorella non disse altro, limitandosi ad ammiccare al suo indirizzo prima di rientrare al villaggio con passo strascicato.

Eikhe, ora veramente sola di fronte al sentiero boschivo che si allontanava da Nestar, sospirò e disse: “Andiamo, mio bel stallone. Abbiamo un bel po’ di miglia tra noi e un nuovo tetto sulla testa.”

Leance non si fece pregare e, al trotto leggero, percorse buona parte del tratturo che conduceva a Marhna senza mai fermarsi, ormai pratico di quelle foreste.

Non potendo resistere oltre, la giovane pianse per gran parte del tracciato mentre Antalion, tra le sue braccia, ascoltava muto i suoi esili singhiozzi.

Fermatisi solo per il tempo di dare la poppata al piccolo, che fortunatamente digerì senza problemi e, soprattutto, senza far preoccupare una già tesa Eikhe, lo sparuto gruppetto giunse infine alla cittadina di montagna col fare della notte.

Ormai infreddolita e stanca, la ragazza diresse il cavallo verso la casa del padre, sperando di trovarlo senza dover prima passare dal laboratorio.

Smontando a fatica dalla sella, Eikhe si morse un labbro quando si rese conto di avere la tunica macchiata di sangue.

Non potendo fare altro per se stessa se non bussare alla porta del padre, ordinò a Liar di fermarsi in giardino prima di legare Leance alla staccionata che delimitava la proprietà.

Cominciando a sentire i morsi della fame e la stanchezza per il viaggio, la giovane raggiunse infine l’entrata dell’abitazione del padre.

Lì, dopo aver bussato alla porta, attese alcuni attimi prima di udire dei passi tranquilli raggiungere il battente e aprirlo a metà.

Illuminata dal chiarore delle lanterne accese nell’atrio, Ildera la osservò sorpresa per alcuni attimi prima di sgranare gli occhi alla vista del bimbo tra le sue braccia.

Ma fu soprattutto la macchia scura sulla tunica della ragazza, a spaventarla.

Affrettandosi ad attirarla in casa, Ildera esclamò subito concitata: “Per tutti gli dèi, ragazza, ma cosa ci fai qui?!”

Allungando il bimbo verso la donna, Eikhe riuscì a dire a stento: “Tienilo tu, io…”

Ildera non fece in tempo a prendere quel tenero frugoletto tra le braccia che Eikhe crollò in ginocchio proprio innanzi a lei, stremata e ansante per le troppe emozioni e le troppe fatiche cui era stata sottoposta.

Impallidendo spaventata, la matrona si volse a mezzo verso la porta della cucina e, a gran voce, urlò: “Harm, presto! Vieni qui!”

Giungendo a rapidi passi a seguito di quell’accorato richiamo, l’uomo si affacciò sul piccolo atrio d’entrata e disse: “Ildera, cosa sta…Eikhe! Oh, dèi!”

“Presto, portala in camera!”

Ildera non badò a spiegare nulla al marito, cullando il bimbo tra le sue braccia che, nel frattempo, si era messo a piagnucolare.

“Ti dirò tutto dopo. Ora devo prendermi cura di lei!”

Annuendo senza dire una parola, Harm sollevò tra le braccia la figlia che, poggiando stancamente il capo sulla sua spalla, riuscì a sussurrare spiacente: “Non sapevo dove altro andare… scusatemi.”

“Non devi scusarti di nulla, bimba mia” scrollò la testa Harm, correndo a grandi passi su per la scala di legno per portare la figlia al piano superiore.

Dietro di loro si infilò Ildera e, a pochi passi, il curioso Konis che, sgambettando sulle sue gambe ossute e lunghe, esclamò: “Mamma, che succede?!”

“Konis, vai subito a prendere delle pezzuole pulite e un secchio di acqua calda. Corri!” esclamò la madre, aprendo la porta della stanza matrimoniale con un colpo di spalle mentre Harm vi si infilava in fretta.

Richiamato all’ordine dal monito imperioso della mamma, Konis tornò di sotto di corsa e raccattò tutto il necessario alla svelta.  

Fatto ciò, sollevò uno dei secchi poggiati sulla stufa in cucina e lo portò al piano superiore, tra brontolii sommessi e imprecazioni soffocate.

Quando però mise piede nella camera padronale per consegnare il tutto alla madre, sgranò gli occhi nel vedere la sorellastra – pallida come un cencio e sudata in viso – e un neonato poggiato sul suo ventre leggermente arrotondato.

Posato il secchio a terra, gli occhi ancora sgranati per la sorpresa, Konis esalò: “Mamma… ho il secchio e…”

Voltandosi immediatamente verso il figlio, Ildera annuì in fretta e, preso tutto il necessario per curare Eikhe, disse torva: “Ora, voi uomini andate fuori di qui. Immediatamente!”

“Ma Ildera…” brontolò Harm, accigliandosi. “…preferirei rimanere al fianco di mia figlia…”

“Vola subito fuori di qui, Harm. E anche tu, Konis! Rendetevi utili e preparatemi un infuso di kellara, poi tagliate una delle lenzuola per farne delle fasce per il bimbo. Sbrigatevi!” 

Ildera non li degnò di una sola occhiata, cominciando a slacciare gli alamari della lunga tunica di Eikhe.

Vistosi letteralmente cacciato via dalla stanza assieme al figlio minore, Harm sorrise un momento a Eikhe – che ricambiò – prima di chiudersi la porta alle spalle e dire a Konis: “Sentito la signora? Andiamo.”

“Papà, ma… cos’aveva Eikhe?” chiese a quel punto Konis, confuso.

Scrutando dubbioso la porta chiusa della sua stanza, scosse il capo e dichiarò: “Non vorrei dire stupidaggini, Konis, ma credo tu sia appena diventato zio, e io nonno.”

Il ragazzino sgranò gli occhi per l’ennesima volta mentre Harm, avvolte le spalle del figlio con un braccio, cominciò a scendere lentamente le scale per eseguire gli ordini della moglie.

Per le domande avrebbe avuto tempo in seguito.

***

Ansante e dolorante da capo a piedi, Eikhe osservò grata Ildera mentre, con competenza e gentilezza assieme, la ripuliva dal sudore e dal sangue prima di farle indossare una camicia da notte.

“Non temere, era solo una lieve perdita dovuta alle tante ore passate a cavallo. Un po’ di riposo, e sarai come nuova.”

“Grazie, Ildera, e scusami se sono piombata qui a questo modo, ma non sapevo proprio dove andare” sospirò Eikeh, piegando il capo di lato sul morbido cuscino di piume.

Dandole una goffa pacca sulla spalla, la donna replicò: “Te l’avevo detto io, no, di venire qui, qualora avessi bisogno di aiuto? Hai fatto bene.”

Poi, sorridendo maggiormente nell’osservare il piccolo addormentato al fianco della madre, aggiunse: “Hai davvero un bel bambino.”

Eikhe annuì, allungando una mano per sfiorare la zazzera di scuri capelli che gli cresceva sul capo.

“Peccato che sua nonna non la pensi così.”

“Vi ha cacciati dal villaggio?” chiese torva Ildera, prima di sentire bussare alla porta.

Volgendosi a mezzo, la donna vide entrare un attimo dopo sia Harm che Konis che, dubbiosi e in attesa di un assenso, ristettero sulla porta con l’aria di non sapere bene cosa fare.

Eikhe rise divertita nel vederli così sull’attenti e, alzandosi a sedere sul letto, si posizionò dietro la schiena un altro guanciale per poi celiare: “Avete paura di due donnicciole e di un neonato, forse?”

Harm ridacchiò nell’avvicinarsi, subito seguito da Konis.

“Sbaglierò, ma una sa usare più armi di me, mentre l’altra brandisce il mattarello come un guerriero. Sì, che ho paura!”

Ildera arrossì a quel commento ma sorrise mentre la ragazza, ridacchiando sommessamente, sollevò un sopracciglio con aria divertita.

“Non ti facevo così guardingo, padre.”

Allungandole una tazza di infuso, Harm fissò il bimbo steso accanto alla figlia e, sorridendo spontaneamente, celiò: “E io non sapevo che sarei diventato nonno. Che novità è questa, Eikhe?”

Sorseggiando lentamente l’infuso caldo e profumato, la giovane sospirò labilmente prima di ammettere: “Mi hanno cacciata dal villaggio perché ho voluto tenere lui, rifiutandomi di dire chi è il padre e, più di ogni altra cosa, asserendo che Hevos è dalla mia parte.”

Accigliandosi immediatamente, Harm si accomodò sul ciglio del letto mentre Konis scrutava curioso il neonato addormentato.

Da quanto tempo hai il bambino?”

“Da ieri sera” ammiccò tristemente Eikhe, ben sapendo quale sarebbe stata la reazione del padre a quella notizia.

Come previsto, si adombrò in viso digrignando i denti.

Ildera, più tranquilla e prosaica, gli batté una mano sulla spalla per calmarlo, ben sapendo quanto fosse inutile irritarsi.

“Non innervosirti per niente, Harm.”

“Strangolerei volentieri tua madre, ora come ora, Eikhe” ringhiò l’uomo, furente come poche altre volte era stato in vita sua. “Come le è saltato in mente di metterti su un cavallo, a così poche ore dal parto?!”

“La legge va rispettata, no?” sentenziò ironica Eikhe. “Forse, non voleva un secondo Massacro di Eskit in casa propria.”

Sia Harm che Ildera impallidirono nell’udire quel nome poiché, di quella vicenda, si era narrato per anni e anni anche al di fuori dei villaggi di donne-lupo.

Da racconto sussurrato con timore, era diventato nefasto mito tramandato tra le genti delle montagne.

Konis, curioso come ogni bambino di dieci anni, levò il capo in direzione della sorellastra e chiese: “Che intendi dire, Eikhe?”

Sorridendo debolmente al ragazzino, Eikhe scosse il capo e disse: “Una gran brutta vicenda, Konis. Molto brutta.”

“Con dei morti?” chiese allora Konis, con il candore dei bambini.

“Parecchi” annuì la sorella, prima di rivolgersi ai due coniugi. “Posso rimanere qui, finché non avrò costruito una casa per me e il piccolo Antalion?”

“Potrai restare tutto il tempo che vorrai, anche per sempre, se lo desideri” disse subito Harm, prima di veder annuire la moglie.

Scuotendo il capo, Eikhe replicò gentilmente alla sua offerta.

“Non sono fatta per abitare in città, neppure una carina come Marhna, perciò mi costruirò una casa nel bosco, anche se non troppo lontana dal paese, così sarà facile per me e per voi restare in contatto. Voglio crescere il mio bimbo seguendo le leggi di Hevos.”

Annuendo suo malgrado, Harm asserì: “Se questo può renderti felice, ti aiuterò a costruirla dove vorrai, ma rammenta che qui sarai sempre la benvenuta.”

“Grazie” sussurrò Eikhe.

Un attimo dopo, scoppiò in una risatina nell’udire le proteste del figlio e, dopo averlo preso tra le braccia, mormorò: “Credo abbia fame.”

Tutti risero con lei.

Konis, invece, arrossì leggermente e le chiese: “Posso restare mentre lo allatti?”

“Ma certo, Konis” annuì Eikhe, slacciandosi la camicia da notte per permettere ad Antalion di attaccarsi al seno.

Battendo una mano sul materasso, sorrise al fratello per invitarlo ad avvicinarsi.

“Vieni a sederti qui accanto a me, cucciolo di lupo.”

Ridacchiando nel sentirsi chiamare a quel modo, Konis si arrampicò sul letto per mettersi al fianco della sorella e, ammirando in silenzio il nipotino mentre mangiava, non si accorse dell’occhiata amorevole dei suoi genitori.

Senza alcun rumore, si allontanarono dalla stanza per scendere dabbasso.

“Farà bene a entrambi stare un po’ da soli” disse quasi tra sé Harm, prima di scrutare il giardino e notare la presenza del lupo della figlia e del suo cavallo, legato alla staccionata.

“Mi sa che avranno fame anche loro. Li porto nella stalla, va bene?”

“D’accordo. Io, nel frattempo, preparo una camera per Eikhe e il suo bimbo” annuì Ildera.

Già sul punto di allontanarsi, si bloccò a mani serrate e sbottò per l’irritazione fin lì trattenuta.

“Mi spieghi perché diamine sei stato a letto con una donna capace di cacciare sua figlia a quel modo? Che ti diceva la testa?”

Con un mesto sorriso, Harm scrollò le spalle e disse per contro: “Non riconosco Kaihle in ciò che ha fatto, Ildera, lo ammetto. Non era così, da giovane. Per nulla.”

“Mah! Meglio che vada a dare una ripulita alla camera degli ospiti. Tanto, non la capirò mai quella donna!” sbottò Ildera, andandosene a grandi passi e con le mani piantate sui fianchi.

Tristemente, Harm uscì fuori di casa e, scrutando la luna alta in cielo, cercò in essa risposte che già sapeva non sarebbero venute.

“Cosa ti ha cambiato tanto, Kaihle? Cosa?”

***

“Ecco, vedi come si fa, Konis? Prima pieghi questo angolo poi…” cominciò col dire Eikhe, prima di interrompere la sua lezione nell’udire un ululato fuori casa.

E non si trattava di Liar.

Levato a sua volta il capo, Konis corse in fretta alla finestra per curiosare all’esterno e, con una risatina, richiamò l’attenzione della sorellastra.

“C’è una ragazza-lupo, qui fuori, e sta facendo le coccole a Liar.”

Avvolgendo tra le braccia Antalion, Eikhe raggiunse la finestra in pochi, rapidi passi e, con un sorriso spontaneo, sussurrò: “Sendala.”

“E’ amica tua?” chiese allora il fratellino mentre, insieme, si dirigevano dabbasso.

“Sì, è la mia migliore amica” annuì lei, aprendo la porta d’ingresso prima di dire a gran voce: “Sendala! Ciao!”

Il capo bruno della ragazza si levò di scatto, mostrando i suoi limpidi occhi accendersi di gioia.

Con un rapido scatto di gambe, la giovane fu da lei sulla porta di casa per abbracciarla con calore, stando ben attenta a non fare in alcun modo del male al piccolo Antalion.

“Oh, amica mia… che bello vederti in salute!” ansò Sendala, baciandola sulle guance.

Un attimo dopo, si scostò per sorridere al piccolo Antalion, che la scrutava con i suoi enormi occhi giallo paglierino.

“E tu, An, come stai?”

Il bimbo si esibì in un piccolo strillo acuto prima di allargare le labbra in quello che avrebbe dovuto essere un sorrisone, se solo vi fossero stati i denti a rendergli giustizia.

“Gli stai simpatica” commentò Konis con aria saputa, intrecciando le braccia sullo striminzito petto. “Fa sempre così, con chi trova carino.”

“Buono a sapersi, visto che è un mese che non mi vede” ammiccò Sendala, allungando verso di lui una mano inguantata. “Io sono Sendala, e tu devi essere Konis, il fratellastro della mia amica, giusto?”

“Esatto” annuì lui, stringendo la mano protesa con una stretta decisa.

Sorridendo soddisfatta, la ragazza-lupo tornò a osservare l’amica, dicendo: “Il piccoletto, qui, ha una stretta tenace. Sarà uno zio valido per il bimbo, casomai dovesse servirgli protezione.”

Gonfiandosi come un pavone, Konis annuì con vigore e sorrise tutto soddisfatto.

“Ci penso io a difenderlo!”

Ridendo, Eikhe annuì divertita, passando una mano tra i folti riccioli scuri del fratello.

“Mi affido a te, allora, Konis.”

“Sì, sorella” annuì lui, prima di aggiungere: “Vado a chiamare la mamma nell’orto. Magari si ferma per due chiacchiere anche lei.”

Arrossendo debolmente, Sendala reclinò il viso imbarazzata e replicò stentata: “Oh,… no, non posso fermarmi tanto. Ho usato una scusa per scendere a Marhna ma non posso tardare molto, o capiranno che sono venuta a cercarti. Mi spiace.”

Annuendo, pur dispiacendosi non poco della notizia, Eikhe batté una mano sulla spalla dell’amica.

“Ti capisco. E’ già molto averti rivisto. Di’ a mia sorella che sto bene, Sendala. Di lei ci si può fidare.”

“Va bene” assentì Sendala prima di scrutare Antalion e chiedere: “E… beh, hai avvertito il padre della sua nascita?”

“No” sospirò Eikhe scuotendo il capo. “Né mai dovrà saperlo. Lo affliggono già troppi problemi, e noi non saremmo che uno in più. Va bene così.”

“Mi rimetto al tuo giudizio, ma credo che meriti più di semplice silenzio” brontolò Sendala, facendola sorridere divertita.

“Ma come? Non eri tu che, neppure un anno fa, mi hai quasi malmenato per aver dormito assieme a lui, e averci pure fatto un figlio?” replicò ironica Eikhe.

“Dimentichi che l’ho visto sul campo di battaglia. Ho molto rispetto per lui, Eikhe, e credo debba sapere ma, se tu ritieni diversamente, tant’è. A me sta bene. Ma un giorno lui…” e nel dirlo, indicò Antalion. “… vorrà sapere. E allora, cosa gli dirai?”

“Lo saprò a tempo debito. Non voglio pensarci ora” dichiarò soltanto la figlia sacra, con un leggero sospiro ad accompagnare le sue parole.

Mordendosi un labbro, Sendala la abbracciò dolcemente, non sapendo in quale altro modo perorare la causa di Aken.

“Non voglio litigare con te la prima volta che ti vedo dopo tanto tempo, amica mia. Mi lascerai con un sorriso, vero?”

“Ma certo” annuì Eikhe, dandole un bacio sulla guancia prima di sorriderle con sincero affetto. “Possa Hevos guidare i tuoi passi, Sendala.”

“E l’ululato del lupo guidare il tuo cammino, figlia sacra” replicò la ragazza-lupo, chinandosi poi a baciare Antalion e ripetere la benedizione anche per lui.

Nel vederla allontanarsi in groppa al suo cavallo e con il suo lupo al fianco, Eikhe sussurrò: “Non è ancora il tempo, ma verrà il giorno.”

“Cosa vuoi dire, sorella?” chiese Konis, fissandola curioso.

Liar scelse quel momento per giungere loro a fianco, tutto felice e scodinzolante ed Eikhe, chinandosi per togliergli dal pelo un filo d’erba solitario, sorrise al lupo per un attimo.

“E’ ancora presto per un cambiamento tra noi donne-lupo, Konis, ma presto o tardi avverrà. E Antalion è la prima pietra del nuovo tempio che sorgerà in onore di Hevos.”

“Parli strano, a volte, Eikhe” commentò confuso Konis, prima di avvicinarsi a Liar e chiederle: “Posso giocare un po’ con lui?”

“Prima cambiati, o Ildera ti batterà di sicuro, se sporchi quella tunica nuova. Solo in seguito, potrai giocare con lui” acconsentì Eikhe con indulgenza.

“Vaaa beeeneee” disse a gran voce Konis dando una grattatina dietro le orecchie al lupo. Un attimo dopo, già correva a gambe levate in casa per cambiarsi.

“Grazie” disse alle sue spalle Ildera, giungendo dall’attiguo orto. “Se l’avesse sporcata, mi sarei arrabbiata davvero.”

Volgendosi a mezzo, Eikhe le sorrise.

“Mi arrabbierei anch’io, credimi. Vuoi una mano con le erbe aromatiche?”

“No, grazie. Piuttosto, volevo sapere se potevi rammendare alcune camicie di Harm. Hai una mano migliore della mia, e lui è così pignolo!” esclamò Ildera, scrollando le spalle con enfasi.

Ammiccando, Eikhe annuì dicendo: “Oh, lo so che è pignolo.”

Detto ciò, lanciò uno sguardo alla foresta che si ergeva imponente a poche centinaia di iarde dal confine orientale del paese, dove loro si trovavano.

Con un sospiro, ne osservò le piante sospinte dal vento e ne ascoltò il leggero stormire, provando la consueta nostalgia per quei luoghi a lei così cari.

Affiancandola, Ildera le diede una pacca sulla spalla, mormorando confortante: “Sarà solo questione di qualche mese, Eikhe, e poi sarà pronta.”

“Lo so. E io qui mi trovo bene, ma…” tentennò Eikhe, sorridendole spiacente.

“La foresta è come casa tua, per te. L’ho capito” annuì Ildera, prima di dare un buffetto ad Antalion sul mento, e dire in falsetto: “E tu, bell’ometto? Cosa dici?”

Il bimbo si esibì nel suo solito sorrisone sdentato e la donna, scoppiando a ridere, gli arruffò i corti e sottili capelli.

“La nonna va a prepararti subito il bagnetto, tesorino.”

Sorridendo nel vederla entrare in casa, Eikhe ringraziò silenziosamente Hevos per l’aiuto che Ildera, in quel primo mese passato a casa del padre, le aveva dato per imparare il difficile mestiere di madre.

Non rimpiangeva di aver avuto Antalion, neppure per un momento ma, durante certe notti passate sola nel buio nella sua stanza, ascoltando solo il respiro del figlio al suo fianco, aveva pianto infelice.

Aveva sentito tremendamente la mancanza di Aken e sì, della madre.

Per quanto lei potesse odiarla, o disprezzare ciò che le aveva fatto, rimaneva pur sempre la donna che l’aveva messa al mondo, che l’aveva allattata e curata perché diventasse grande.

Tornando a scrutare il folto della foresta, Eikhe sussurrò: “Spero che un giorno capirai, mamma. E smetterai di odiarmi.”

 
Per un po’ avremo a che fare con Antalion e la sua nuova famiglia, mentre ritroveremo Aken un po’ più avanti. Portate pazienza, e tornerà anche lui! Per ora vi saluto e passo a produrre il prossimo capitolo! Ciao!
  
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