18.
Le rimostranze di molte
donne della tribù si unirono allo sguardo feroce di Kaihle che, incessante,
seguì i movimenti di Eikhe attraverso la via principale del villaggio.
Con Antalion in braccio e le
sue amiche al fianco, si diresse verso il piccolo tempio di Hevos per pregare
in onore del nuovo nato.
La notte che aveva seguito
la nascita di Antalion si era trascinata lenta e tesa come la corda di un
liuto, mentre la notizia si spargeva come fuoco tra le donne-lupo.
Nonostante quel clima di
fiele, Eikhe aveva pensato unicamente al suo bimbo, attaccandolo al seno per la
prima volta sotto gli occhi vigili e gentili di Sendala e di Kilana.
Per l’intera nottata, entrambe erano rimaste
al suo fianco, mentre Tyura era rimasta fuori dalla porta della casa della
sorella per vigilare in compagnia dei lupi.
La mattina seguente, Eikhe aveva
almeno in parte recuperato le forze.
Seguita da coloro che più l’avevano
spalleggiata, assieme ai lupi del branco di Nestar, la giovane aprì la porta
del piccolo tempio votivo dedicato a Hevos.
Lì, una miriade di candele
splendevano altalenanti, illuminando le mura dipinte e l’altare di pietra in
fondo alla navata, dove si ergeva una statua del dio a grandezza umana.
Il fruscio dei mocassini delle
donne-lupo si mescolò al tintinnio delle unghie dei lupi che, senza emettere
fiato, si posizionarono ai lati della stretta navata centrale.
La giovane madre invece, con
il bimbo perfettamente sveglio e stretto tra le braccia, si avvicinò all’altare
e si inginocchiò reclinando ossequiosa il capo.
Dietro di lei, le altre donne
presenti la imitarono mentre i lupi, levando i loro musi, si esibirono in un
breve ululato collettivo prima di tornare in religioso silenzio.
Quando anche l’ultimo eco fu
scomparso tra le quattro mura del tempio, Eikhe tornò a levare il capo.
Scrutando con un sorriso
fiducioso il rosone decorato che si trovava alle spalle della statua del dio,
esordì dicendo: “Oggi porto al tuo cospetto tuo figlio, Hevos. Egli reca il
Marchio, egli porta con sé il mio sangue e il tuo sangue, oh, grande dio-lupo.
Egli oggi rivendica la tua benevolenza, in quanto discendente del branco e
figlio sacro, depositario della tua nobile stirpe.”
In coro, le donne ripeterono
la litania appena cantata da Eikhe, perché vibrasse all’interno delle sacre
mura del tempio.
La figlia sacra, nel
frattempo, tolse dall’altare una candela
per continuare il rito di benedizione del bambino.
Piegando la candela su un
lato, alcune gocce di cera bollente caddero sul suo palmo aperto e, con voce
forte e limpida, esclamò: “Sia salda la mia mano nel difenderlo, anche quando
il dolore è forte!”
Dietro di lei, le donne
ripeterono la stessa frase, mentre i lupi si univano a loro con bassi ululati
di gola.
Baciando il figlio sulla
fronte liscia e rosea e sulle mani paffute, Eikhe continuò l’omelia.
“Sia gentile la mia mano nel
crescerlo, anche se le difficoltà saranno immani.”
Ancora, le donne si unirono
alla sua supplica e la ragazza, ergendosi in piedi con grazia, sollevò sopra la
sua testa il bimbo perché la luce che attraversava il rosone lo colpisse in
pieno.
“Sia sicura la mia mano nel
dargli conforto e certezze, anche quando tutto sembrerà insormontabile!”
Detto ciò, si volse verso le
sue amiche mentre le ultime frasi del rito venivano cantate con vigore e
coraggio.
Con un sorriso, Eikhe
sussurrò: “Sia il mio cuore esultante e lieto, poiché oggi è nato un figlio di
Hevos.”
In coro, le donne urlarono:
“Un figlio di Hevos!”
I lupi tornarono a ululare
festanti mentre, all’esterno del tempio, Kaihle passeggiava nervosamente avanti
e indietro, lappandosi le labbra secche nel vano tentativo di calmarsi.
Fin da quando quel bambino
era nato, il malcontento era sceso su Nestar.
Molte anziane si erano rivolte alla loro Signora
perché Eikhe avesse la sua giusta punizione, assieme al frutto peccaminoso cui
lei aveva dato vita.
Kaihle aveva promesso un fio
degno di tale nome da comminare alla figlia degenere, ma non poteva in alcun
modo mettersi contro un intero branco di lupi, schierato come un fronte
compatto in difesa di quel piccolo abominio.
Inoltre, non voleva ripetere
il Massacro di Eskit proprio a casa propria.
Non faticava a comprendere cosa fosse andato storto quella volta,
sebbene non approvasse la condotta della figlia.
Uccidere il neonato – anche
se maschio – era stato un errore che le sue sorelle avevano commesso senza
pensare alle conseguenze.
Togliendo la vita al
bambino, le donne-lupo di Eskit avevano attirato la sventura su tutte loro,
scatenando la freoha di Luesrea che,
come un animale assetato di sangue, si era accanita su di loro, uccidendole
tutte.
Quando infine erano giunte
le Guardiane di Hevos – allertate da una donna scampata al massacro – tutto si
era ormai compiuto.
Le possenti guerriere avevano
perciò avuto gioco facile con Luesrea, ormai prosciugata di ogni forza e
ridotta a una misera creatura senza più un’anima.
Non era stata promulgata una
legge contro le figlie sacre solo perché alcune Anziane dell’Antico Consiglio
si erano dimostrate, se non d’accordo, ma disposte a comprendere le azioni di
Luesrea.
Ma ora, a distanza di un
secolo, si ripeteva il misfatto.
Un altro figlio sacro era
nato nelle loro terre e, in un modo o nell’altro, lei avrebbe dovuto
liberarsene, evitando così che tutto il villaggio di Nestar venisse colpito
dalla sventura.
Tenere lì Eikhe e il suo
cucciolo sarebbe stato impensabile, un abominio! La figlia minore non avrebbe
passato un solo momento di più in quel villaggio.
Non l’avrebbe permesso, per
nessuna ragione al mondo, così come non l’avrebbe più ripresa in seno alla
famiglia.
Era morta, per lei.
E, lupi o meno, l’avrebbe
sbattuta fuori con le sue stesse mani, quant’era vero Iddio!
Narhu, ferma a pochi passi
da Kaihle, interruppe il suo incessante peregrinare sussurrandole: “Hanno
terminato, mia Signora.”
La Signora del Villaggio
bloccò immediatamente i suoi passi, fissando biecamente la porta del tempietto.
Il branco di lupi uscì assieme
alle donne che si erano assiepate all’interno per la benedizione di rito ai
nuovi nati e, senza più attendere oltre, esclamò a gran voce: “Non un solo
passo di più su questo suolo, za’hrin!
Non ti permetterò di insudiciare oltre il mio
villaggio!”
Accigliandosi nel sentirsi
chiamare ‘traditrice’ con quel tono sprezzante
e privo d’amore, Eikhe strinse impercettibilmente al petto il piccolo Antalion
e si bloccò a un passo dai gradini.
“Non esistono altre vie per
uscire da Nestar, Signora del Villaggio perciò, a meno che io non impari testé
a volare, dovrò passare innanzi a te e a tutte coloro che così malignamente mi
stanno osservando.”
Facendo un cenno a Narhu perché andasse a recuperare
Leance dalla stalla, Kaihle replicò con stizza a stento controllata:
“Procederai in sella al tuo cavallo, e te ne andrai immediatamente da qui! Nessuna delle donne che così ingenuamente ti
hanno seguita in questa folle impresa potrà concederti asilo e, per nessun motivo, dovrai ricevere da
loro sostentamento, o aiuto! Tu non sei più una figlia di questo villaggio, o
mia! Io ti bandisco, Eikhe!”
Un soffuso coro di sgomento
si levò tra le donne alle sue spalle mentre la figlia sacra, lo sguardo ancora
fisso sul volto pallido della madre, ascoltava quelle parole senza colpo ferire.
Era già pronta a una simile
punizione, ed era ben disposta ad accettarla.
Sendala mosse un passo verso
di lei, le iridi nocciola percorse da un’agonia così profonda da farle male e,
nonostante sapesse di darle un ulteriore dolore, scosse il capo per bloccarla.
“Non un passo di più,
Sendala. Hai sentito la Signora del Villaggio.”
“Ma Eikhe…” ansò lei,
scuotendo freneticamente il capo. “Hai partorito solo ieri sera! Sei ancora
stanca, nonostante tutto. Non puoi metterti in viaggio proprio ora!”
La ragazza le sorrise
gentilmente, replicando: “E’ mattina presto, mia gentile amica, e ho tutto il
tempo di trovare un luogo ove rifugiarmi assieme ad Antalion.”
Quando, però, vide giungere
Leance senza sacche da viaggio, armato solo di sella, Eikhe aggrottò la fronte
e domandò: “Posso recuperare le mie cose da casa, oppure devo lasciare tutto
qui, Signora del Villaggio?”
“Tutto ciò che è qui ci
appartiene di diritto” decretò gelida Kaihle. “Non posso tenere il tuo lupo e
il tuo cavallo perché sono legati al tuo spirito, e morirebbero a essere
separati da te. Io non li voglio sulla mia coscienza, pur se lo meriterebbero,
dopo questo voltafaccia. Ma, tutto il resto, lo terrò come degno risarcimento
per il disonore che hai riversato su tutte noi senza minimamente pensare a ciò
che facevi.”
Accigliandosi, Eikhe replicò
con altrettanta freddezza: “Ho rispettato la legge di Hevos, e questo mi basta.
La legge delle donne-lupo non mi appartiene più, e neppure la vorrei, ora che
conosco la verità. Vi ritenete sagge a sufficienza per dire a tutte noi quando,
e con chi, avere figli, così da
poterci tenere sotto controllo e impedirci di vivere la nostra vita pienamente,
ma questo non è ciò che voleva Hevos
per noi! Non ci ha mai negato l’amore!”
Un brusio nervoso si levò
tra la folla di donne assiepate attorno a Kaihle, mentre le ragazze al fianco
di Eikhe le sorridevano coraggiose, infondendole forza e sicurezza.
Ugualmente, la giovane
lanciò un breve fischio per chiamare accanto a sé Leance e terminò dicendo:
“Non discuterò oltre con te, Signora del Villaggio, perché so che non credi a
una sola parola di ciò che ti ho detto. Ma basta mio figlio a dire a tutte che
io dico il vero. I lupi erano, e sono, con
me, mehem Kaihle. Ti serve sapere
altro?”
Con un ringhio, la Signora
del Villaggio sollevò un braccio per spazzare l’aria attorno a sé.
“Vattene di qui! Non una
sola parola in più, maledetta! Vai via! Io non sono più tua madre, quindi non
usare con me quello sdolcinato mehem.”
Reclinando il capo per
baciare la fronte del suo Antalion che, fino a quel momento, se n’era stato in
silenzio contro il suo seno, Eikhe sussurrò: “Andiamo a fare un giro per i
boschi, mio bel bambino.”
“Eikhe!” esclamò Sendala,
afferrandola a un braccio con occhi lucidi di lacrime. “Non andare, ti prego.”
Avvicinandola a sé con un
tocco gentile della mano, Eikhe le sorrise tristemente prima di darle un casto
bacio sulle labbra.
“Sarai sempre la mia amica
più cara, Sendala, ma ora devo andare. Non voglio che voi abbiate a soffrire
per causa mia.”
Detto ciò, se la strinse al
petto e, perché nessun altro potesse sentirla, sussurrò al suo orecchio:
“Cercami da mio padre, quando le acque si saranno calmate.”
“Sì” alitò debolmente
Sendala, scostandosi da lei prima di scappare via di corsa, intenzionata a non
farsi vedere in lacrime dall’amica.
Un coro silenzioso di
sguardi comprensivi e sorrisi commossi la accompagnò, mentre si ergeva sulla
sella di Leance.
Dopo aver scrutato le amiche
con occhi gentili, si volse verso la madre e il suo comitato di commiato prima di dare un piccolo colpo di tacchi ai
fianchi del cavallo.
Subito, l’animale si mosse
al passo e, lentamente, attraversò la via principale del villaggio, sotto gli
sguardi furiosi delle donne-lupo che avevano seguito Kaihle in quella guerra
intestina tra figlie del branco.
Ritta sulla sella e fiera di
ciò che teneva teneramente tra le braccia, Eikhe non si volse più indietro per
osservare un’ultima volta la sua casa natia.
Poco prima di uscire dal
villaggio, trovò però la forza di sorridere alla sorella Tyura che, sola e
poggiata mollemente contro un grosso abete, la scrutò da sotto le ciglia scure.
“Dirai a tuo figlio che la zia
gli vuole già tanto bene?”
“Lo farò. Ma ora torna dalla
mamma, se non vuoi passare un guaio” le sussurrò Eikhe, dando un colpetto a
Leance perché accelerasse il passo. “Mi troverai da mio padre.”
La sorella non disse altro,
limitandosi ad ammiccare al suo indirizzo prima di rientrare al villaggio con
passo strascicato.
Eikhe, ora veramente sola di
fronte al sentiero boschivo che si allontanava da Nestar, sospirò e disse:
“Andiamo, mio bel stallone. Abbiamo un bel po’ di miglia tra noi e un nuovo
tetto sulla testa.”
Leance non si fece pregare
e, al trotto leggero, percorse buona parte del tratturo che conduceva a Marhna
senza mai fermarsi, ormai pratico di quelle foreste.
Non potendo resistere oltre,
la giovane pianse per gran parte del tracciato mentre Antalion, tra le sue
braccia, ascoltava muto i suoi esili singhiozzi.
Fermatisi solo per il tempo
di dare la poppata al piccolo, che fortunatamente digerì senza problemi e,
soprattutto, senza far preoccupare una già tesa Eikhe, lo sparuto gruppetto
giunse infine alla cittadina di montagna col fare della notte.
Ormai infreddolita e stanca,
la ragazza diresse il cavallo verso la casa del padre, sperando di trovarlo
senza dover prima passare dal laboratorio.
Smontando a fatica dalla
sella, Eikhe si morse un labbro quando si rese conto di avere la tunica
macchiata di sangue.
Non potendo fare altro per
se stessa se non bussare alla porta del padre, ordinò a Liar di fermarsi in
giardino prima di legare Leance alla staccionata che delimitava la proprietà.
Cominciando a sentire i
morsi della fame e la stanchezza per il viaggio, la giovane raggiunse infine
l’entrata dell’abitazione del padre.
Lì, dopo aver bussato alla
porta, attese alcuni attimi prima di udire dei passi tranquilli raggiungere il
battente e aprirlo a metà.
Illuminata dal chiarore
delle lanterne accese nell’atrio, Ildera la osservò sorpresa per alcuni attimi
prima di sgranare gli occhi alla vista del bimbo tra le sue braccia.
Ma fu soprattutto la macchia
scura sulla tunica della ragazza, a spaventarla.
Affrettandosi ad attirarla
in casa, Ildera esclamò subito concitata: “Per tutti gli dèi, ragazza, ma cosa
ci fai qui?!”
Allungando il bimbo verso la
donna, Eikhe riuscì a dire a stento: “Tienilo tu, io…”
Ildera non fece in tempo a
prendere quel tenero frugoletto tra le braccia che Eikhe crollò in ginocchio
proprio innanzi a lei, stremata e ansante per le troppe emozioni e le troppe
fatiche cui era stata sottoposta.
Impallidendo spaventata, la
matrona si volse a mezzo verso la porta della cucina e, a gran voce, urlò:
“Harm, presto! Vieni qui!”
Giungendo a rapidi passi a
seguito di quell’accorato richiamo, l’uomo si affacciò sul piccolo atrio
d’entrata e disse: “Ildera, cosa sta…Eikhe! Oh, dèi!”
“Presto, portala in camera!”
Ildera non badò a spiegare
nulla al marito, cullando il bimbo tra le sue braccia che, nel frattempo, si era
messo a piagnucolare.
“Ti dirò tutto dopo. Ora
devo prendermi cura di lei!”
Annuendo senza dire una
parola, Harm sollevò tra le braccia la figlia che, poggiando stancamente il
capo sulla sua spalla, riuscì a sussurrare spiacente: “Non sapevo dove altro
andare… scusatemi.”
“Non devi scusarti di nulla,
bimba mia” scrollò la testa Harm, correndo a grandi passi su per la scala di
legno per portare la figlia al piano superiore.
Dietro di loro si infilò Ildera
e, a pochi passi, il curioso Konis che, sgambettando sulle sue gambe ossute e
lunghe, esclamò: “Mamma, che succede?!”
“Konis, vai subito a
prendere delle pezzuole pulite e un secchio di acqua calda. Corri!” esclamò la
madre, aprendo la porta della stanza matrimoniale con un colpo di spalle mentre
Harm vi si infilava in fretta.
Richiamato all’ordine dal
monito imperioso della mamma, Konis tornò di sotto di corsa e raccattò tutto il
necessario alla svelta.
Fatto ciò, sollevò uno dei
secchi poggiati sulla stufa in cucina e lo portò al piano superiore, tra
brontolii sommessi e imprecazioni soffocate.
Quando però mise piede nella
camera padronale per consegnare il tutto alla madre, sgranò gli occhi nel
vedere la sorellastra – pallida come un cencio e sudata in viso – e un neonato
poggiato sul suo ventre leggermente arrotondato.
Posato il secchio a terra,
gli occhi ancora sgranati per la sorpresa, Konis esalò: “Mamma… ho il secchio
e…”
Voltandosi immediatamente
verso il figlio, Ildera annuì in fretta e, preso tutto il necessario per curare
Eikhe, disse torva: “Ora, voi uomini andate fuori di qui. Immediatamente!”
“Ma Ildera…” brontolò Harm,
accigliandosi. “…preferirei rimanere al fianco di mia figlia…”
“Vola subito fuori di qui,
Harm. E anche tu, Konis! Rendetevi utili e preparatemi un infuso di kellara, poi tagliate una delle lenzuola
per farne delle fasce per il bimbo. Sbrigatevi!”
Ildera non li degnò di una
sola occhiata, cominciando a slacciare gli alamari della lunga tunica di Eikhe.
Vistosi letteralmente
cacciato via dalla stanza assieme al figlio minore, Harm sorrise un momento a
Eikhe – che ricambiò – prima di chiudersi la porta alle spalle e dire a Konis:
“Sentito la signora? Andiamo.”
“Papà, ma… cos’aveva Eikhe?”
chiese a quel punto Konis, confuso.
Scrutando dubbioso la porta
chiusa della sua stanza, scosse il capo e dichiarò: “Non vorrei dire
stupidaggini, Konis, ma credo tu sia appena diventato zio, e io nonno.”
Il ragazzino sgranò gli
occhi per l’ennesima volta mentre Harm, avvolte le spalle del figlio con un
braccio, cominciò a scendere lentamente le scale per eseguire gli ordini della
moglie.
Per le domande avrebbe avuto
tempo in seguito.
***
Ansante e dolorante da capo
a piedi, Eikhe osservò grata Ildera mentre, con competenza e gentilezza
assieme, la ripuliva dal sudore e dal sangue prima di farle indossare una
camicia da notte.
“Non temere, era solo una
lieve perdita dovuta alle tante ore passate a cavallo. Un po’ di riposo, e
sarai come nuova.”
“Grazie, Ildera, e scusami
se sono piombata qui a questo modo, ma non sapevo proprio dove andare” sospirò
Eikeh, piegando il capo di lato sul morbido cuscino di piume.
Dandole una goffa pacca
sulla spalla, la donna replicò: “Te l’avevo detto io, no, di venire qui,
qualora avessi bisogno di aiuto? Hai fatto bene.”
Poi, sorridendo maggiormente
nell’osservare il piccolo addormentato al fianco della madre, aggiunse: “Hai
davvero un bel bambino.”
Eikhe annuì, allungando una
mano per sfiorare la zazzera di scuri capelli che gli cresceva sul capo.
“Peccato che sua nonna non la
pensi così.”
“Vi ha cacciati dal
villaggio?” chiese torva Ildera, prima di sentire bussare alla porta.
Volgendosi a mezzo, la donna
vide entrare un attimo dopo sia Harm che Konis che, dubbiosi e in attesa di un
assenso, ristettero sulla porta con l’aria di non sapere bene cosa fare.
Eikhe rise divertita nel
vederli così sull’attenti e, alzandosi a sedere sul letto, si posizionò dietro
la schiena un altro guanciale per poi celiare: “Avete paura di due donnicciole
e di un neonato, forse?”
Harm ridacchiò
nell’avvicinarsi, subito seguito da Konis.
“Sbaglierò, ma una sa usare
più armi di me, mentre l’altra brandisce il mattarello come un guerriero. Sì,
che ho paura!”
Ildera arrossì a quel commento
ma sorrise mentre la ragazza, ridacchiando sommessamente, sollevò un
sopracciglio con aria divertita.
“Non ti facevo così
guardingo, padre.”
Allungandole una tazza di
infuso, Harm fissò il bimbo steso accanto alla figlia e, sorridendo
spontaneamente, celiò: “E io non sapevo che sarei diventato nonno. Che novità è
questa, Eikhe?”
Sorseggiando lentamente
l’infuso caldo e profumato, la giovane sospirò labilmente prima di ammettere:
“Mi hanno cacciata dal villaggio perché ho voluto tenere lui, rifiutandomi di dire chi è il padre e, più di ogni altra cosa,
asserendo che Hevos è dalla mia parte.”
Accigliandosi
immediatamente, Harm si accomodò sul ciglio del letto mentre Konis scrutava
curioso il neonato addormentato.
“Da quanto tempo hai il bambino?”
“Da ieri sera” ammiccò
tristemente Eikhe, ben sapendo quale sarebbe stata la reazione del padre a
quella notizia.
Come previsto, si adombrò in
viso digrignando i denti.
Ildera, più tranquilla e
prosaica, gli batté una mano sulla spalla per calmarlo, ben sapendo quanto
fosse inutile irritarsi.
“Non innervosirti per
niente, Harm.”
“Strangolerei volentieri tua
madre, ora come ora, Eikhe” ringhiò l’uomo, furente come poche altre volte era
stato in vita sua. “Come le è saltato in mente di metterti su un cavallo, a
così poche ore dal parto?!”
“La legge va rispettata,
no?” sentenziò ironica Eikhe. “Forse, non voleva un secondo Massacro di Eskit
in casa propria.”
Sia Harm che Ildera
impallidirono nell’udire quel nome poiché, di quella vicenda, si era narrato
per anni e anni anche al di fuori dei villaggi di donne-lupo.
Da racconto sussurrato con
timore, era diventato nefasto mito tramandato tra le genti delle montagne.
Konis, curioso come ogni
bambino di dieci anni, levò il capo in direzione della sorellastra e chiese:
“Che intendi dire, Eikhe?”
Sorridendo debolmente al
ragazzino, Eikhe scosse il capo e disse: “Una gran brutta vicenda, Konis. Molto
brutta.”
“Con dei morti?” chiese
allora Konis, con il candore dei bambini.
“Parecchi” annuì la sorella,
prima di rivolgersi ai due coniugi. “Posso rimanere qui, finché non avrò
costruito una casa per me e il piccolo Antalion?”
“Potrai restare tutto il
tempo che vorrai, anche per sempre, se lo desideri” disse subito Harm, prima di
veder annuire la moglie.
Scuotendo il capo, Eikhe
replicò gentilmente alla sua offerta.
“Non sono fatta per abitare
in città, neppure una carina come Marhna, perciò mi costruirò una casa nel
bosco, anche se non troppo lontana dal paese, così sarà facile per me e per voi
restare in contatto. Voglio crescere il mio bimbo seguendo le leggi di Hevos.”
Annuendo suo malgrado, Harm asserì:
“Se questo può renderti felice, ti aiuterò a costruirla dove vorrai, ma
rammenta che qui sarai sempre la benvenuta.”
“Grazie” sussurrò Eikhe.
Un attimo dopo, scoppiò in
una risatina nell’udire le proteste del figlio e, dopo averlo preso tra le
braccia, mormorò: “Credo abbia fame.”
Tutti risero con lei.
Konis, invece, arrossì
leggermente e le chiese: “Posso restare mentre lo allatti?”
“Ma certo, Konis” annuì
Eikhe, slacciandosi la camicia da notte per permettere ad Antalion di
attaccarsi al seno.
Battendo una mano sul
materasso, sorrise al fratello per invitarlo ad avvicinarsi.
“Vieni a sederti qui accanto
a me, cucciolo di lupo.”
Ridacchiando nel sentirsi
chiamare a quel modo, Konis si arrampicò sul letto per mettersi al fianco della
sorella e, ammirando in silenzio il nipotino mentre mangiava, non si accorse
dell’occhiata amorevole dei suoi genitori.
Senza alcun rumore, si
allontanarono dalla stanza per scendere dabbasso.
“Farà bene a entrambi stare
un po’ da soli” disse quasi tra sé Harm, prima di scrutare il giardino e notare
la presenza del lupo della figlia e del suo cavallo, legato alla staccionata.
“Mi sa che avranno fame
anche loro. Li porto nella stalla, va bene?”
“D’accordo. Io, nel
frattempo, preparo una camera per Eikhe e il suo bimbo” annuì Ildera.
Già sul punto di
allontanarsi, si bloccò a mani serrate e sbottò per l’irritazione fin lì
trattenuta.
“Mi spieghi perché diamine
sei stato a letto con una donna capace di cacciare sua figlia a quel modo? Che
ti diceva la testa?”
Con un mesto sorriso, Harm
scrollò le spalle e disse per contro: “Non riconosco Kaihle in ciò che ha
fatto, Ildera, lo ammetto. Non era così, da giovane. Per nulla.”
“Mah! Meglio che vada a dare
una ripulita alla camera degli ospiti. Tanto, non la capirò mai quella donna!”
sbottò Ildera, andandosene a grandi passi e con le mani piantate sui fianchi.
Tristemente, Harm uscì fuori
di casa e, scrutando la luna alta in cielo, cercò in essa risposte che già
sapeva non sarebbero venute.
“Cosa ti ha cambiato tanto,
Kaihle? Cosa?”
***
“Ecco, vedi come si fa,
Konis? Prima pieghi questo angolo poi…” cominciò col dire Eikhe, prima di
interrompere la sua lezione nell’udire un ululato fuori casa.
E non si trattava di Liar.
Levato a sua volta il capo, Konis
corse in fretta alla finestra per curiosare all’esterno e, con una risatina,
richiamò l’attenzione della sorellastra.
“C’è una ragazza-lupo, qui
fuori, e sta facendo le coccole a Liar.”
Avvolgendo tra le braccia
Antalion, Eikhe raggiunse la finestra in pochi, rapidi passi e, con un sorriso
spontaneo, sussurrò: “Sendala.”
“E’ amica tua?” chiese
allora il fratellino mentre, insieme, si dirigevano dabbasso.
“Sì, è la mia migliore
amica” annuì lei, aprendo la porta d’ingresso prima di dire a gran voce:
“Sendala! Ciao!”
Il capo bruno della ragazza
si levò di scatto, mostrando i suoi limpidi occhi accendersi di gioia.
Con un rapido scatto di
gambe, la giovane fu da lei sulla porta di casa per abbracciarla con calore,
stando ben attenta a non fare in alcun modo del male al piccolo Antalion.
“Oh, amica mia… che bello
vederti in salute!” ansò Sendala, baciandola sulle guance.
Un attimo dopo, si scostò
per sorridere al piccolo Antalion, che la scrutava con i suoi enormi occhi
giallo paglierino.
“E tu, An, come stai?”
Il bimbo si esibì in un
piccolo strillo acuto prima di allargare le labbra in quello che avrebbe dovuto
essere un sorrisone, se solo vi fossero stati i denti a rendergli giustizia.
“Gli stai simpatica” commentò
Konis con aria saputa, intrecciando le braccia sullo striminzito petto. “Fa
sempre così, con chi trova carino.”
“Buono a sapersi, visto che
è un mese che non mi vede” ammiccò Sendala, allungando verso di lui una mano inguantata.
“Io sono Sendala, e tu devi essere Konis, il fratellastro della mia amica,
giusto?”
“Esatto” annuì lui,
stringendo la mano protesa con una stretta decisa.
Sorridendo soddisfatta, la
ragazza-lupo tornò a osservare l’amica, dicendo: “Il piccoletto, qui, ha una
stretta tenace. Sarà uno zio valido per il bimbo, casomai dovesse servirgli
protezione.”
Gonfiandosi come un pavone,
Konis annuì con vigore e sorrise tutto soddisfatto.
“Ci penso io a difenderlo!”
Ridendo, Eikhe annuì
divertita, passando una mano tra i folti riccioli scuri del fratello.
“Mi affido a te, allora,
Konis.”
“Sì, sorella” annuì lui,
prima di aggiungere: “Vado a chiamare la mamma nell’orto. Magari si ferma per
due chiacchiere anche lei.”
Arrossendo debolmente,
Sendala reclinò il viso imbarazzata e replicò stentata: “Oh,… no, non posso
fermarmi tanto. Ho usato una scusa per scendere a Marhna ma non posso tardare
molto, o capiranno che sono venuta a cercarti. Mi spiace.”
Annuendo, pur dispiacendosi
non poco della notizia, Eikhe batté una mano sulla spalla dell’amica.
“Ti capisco. E’ già molto
averti rivisto. Di’ a mia sorella che sto bene, Sendala. Di lei ci si può
fidare.”
“Va bene” assentì Sendala
prima di scrutare Antalion e chiedere: “E… beh, hai avvertito il padre della
sua nascita?”
“No” sospirò Eikhe scuotendo
il capo. “Né mai dovrà saperlo. Lo affliggono già troppi problemi, e noi non
saremmo che uno in più. Va bene così.”
“Mi rimetto al tuo giudizio,
ma credo che meriti più di semplice silenzio” brontolò Sendala, facendola
sorridere divertita.
“Ma come? Non eri tu che,
neppure un anno fa, mi hai quasi malmenato per aver dormito assieme a lui, e
averci pure fatto un figlio?” replicò ironica Eikhe.
“Dimentichi che l’ho visto
sul campo di battaglia. Ho molto rispetto per lui, Eikhe, e credo debba sapere
ma, se tu ritieni diversamente, tant’è. A me sta bene. Ma un giorno lui…” e nel dirlo, indicò Antalion. “…
vorrà sapere. E allora, cosa gli dirai?”
“Lo saprò a tempo debito.
Non voglio pensarci ora” dichiarò soltanto la figlia sacra, con un leggero
sospiro ad accompagnare le sue parole.
Mordendosi un labbro,
Sendala la abbracciò dolcemente, non sapendo in quale altro modo perorare la
causa di Aken.
“Non voglio litigare con te
la prima volta che ti vedo dopo tanto tempo, amica mia. Mi lascerai con un
sorriso, vero?”
“Ma certo” annuì Eikhe,
dandole un bacio sulla guancia prima di sorriderle con sincero affetto. “Possa
Hevos guidare i tuoi passi, Sendala.”
“E l’ululato del lupo
guidare il tuo cammino, figlia sacra” replicò la ragazza-lupo, chinandosi poi a
baciare Antalion e ripetere la benedizione anche per lui.
Nel vederla allontanarsi in
groppa al suo cavallo e con il suo lupo al fianco, Eikhe sussurrò: “Non è
ancora il tempo, ma verrà il giorno.”
“Cosa vuoi dire, sorella?”
chiese Konis, fissandola curioso.
Liar scelse quel momento per
giungere loro a fianco, tutto felice e scodinzolante ed Eikhe, chinandosi per
togliergli dal pelo un filo d’erba solitario, sorrise al lupo per un attimo.
“E’ ancora presto per un
cambiamento tra noi donne-lupo, Konis, ma presto o tardi avverrà. E Antalion è
la prima pietra del nuovo tempio che sorgerà in onore di Hevos.”
“Parli strano, a volte,
Eikhe” commentò confuso Konis, prima di avvicinarsi a Liar e chiederle: “Posso
giocare un po’ con lui?”
“Prima cambiati, o Ildera ti
batterà di sicuro, se sporchi quella tunica nuova. Solo in seguito, potrai
giocare con lui” acconsentì Eikhe con indulgenza.
“Vaaa beeeneee” disse a gran
voce Konis dando una grattatina dietro le orecchie al lupo. Un attimo dopo, già
correva a gambe levate in casa per cambiarsi.
“Grazie” disse alle sue
spalle Ildera, giungendo dall’attiguo orto. “Se l’avesse sporcata, mi sarei arrabbiata
davvero.”
Volgendosi a mezzo, Eikhe le
sorrise.
“Mi arrabbierei anch’io,
credimi. Vuoi una mano con le erbe aromatiche?”
“No, grazie. Piuttosto,
volevo sapere se potevi rammendare alcune camicie di Harm. Hai una mano
migliore della mia, e lui è così pignolo!” esclamò Ildera, scrollando le spalle
con enfasi.
Ammiccando, Eikhe annuì
dicendo: “Oh, lo so che è pignolo.”
Detto ciò, lanciò uno
sguardo alla foresta che si ergeva imponente a poche centinaia di iarde dal
confine orientale del paese, dove loro si trovavano.
Con un sospiro, ne osservò
le piante sospinte dal vento e ne ascoltò il leggero stormire, provando la
consueta nostalgia per quei luoghi a lei così cari.
Affiancandola, Ildera le
diede una pacca sulla spalla, mormorando confortante: “Sarà solo questione di
qualche mese, Eikhe, e poi sarà pronta.”
“Lo so. E io qui mi trovo
bene, ma…” tentennò Eikhe, sorridendole spiacente.
“La foresta è come casa tua,
per te. L’ho capito” annuì Ildera, prima di dare un buffetto ad Antalion sul
mento, e dire in falsetto: “E tu, bell’ometto? Cosa dici?”
Il bimbo si esibì nel suo
solito sorrisone sdentato e la donna, scoppiando a ridere, gli arruffò i corti
e sottili capelli.
“La nonna va a prepararti
subito il bagnetto, tesorino.”
Sorridendo nel vederla
entrare in casa, Eikhe ringraziò silenziosamente Hevos per l’aiuto che Ildera,
in quel primo mese passato a casa del padre, le aveva dato per imparare il
difficile mestiere di madre.
Non rimpiangeva di aver
avuto Antalion, neppure per un momento ma, durante certe notti passate sola nel
buio nella sua stanza, ascoltando solo il respiro del figlio al suo fianco,
aveva pianto infelice.
Aveva sentito tremendamente
la mancanza di Aken e sì, della madre.
Per quanto lei potesse
odiarla, o disprezzare ciò che le aveva fatto, rimaneva pur sempre la donna che
l’aveva messa al mondo, che l’aveva allattata e curata perché diventasse
grande.
Tornando a scrutare il folto
della foresta, Eikhe sussurrò: “Spero che un giorno capirai, mamma. E smetterai
di odiarmi.”
Per un po’ avremo a che fare con Antalion e la sua nuova famiglia, mentre ritroveremo Aken un po’ più avanti. Portate pazienza, e tornerà anche lui! Per ora vi saluto e passo a produrre il prossimo capitolo! Ciao!