Quando mi chiedesti cos'era per me la felicità, esitai.
Gli occhi, grandi globi quasi vitrei, sospesi a guardare qualcosa che non c'era realmente. Poi chinai la testa, sconfitta, e li richiusi.
Una volta scrissi da qualche parte che ero rimasta a guardare troppo a lungo il mare: le mie iridi si erano rivestite di un celeste tendente al verde.
Ho uno sguardo determinato come l'oceano, mi piace scriverlo.
Non potevo dirlo cos'era la felicità: non sarebbe più ritornata.
La mia era stata costellata da libri, due occhi scuri, profumo di pelle salata, notti d'estate.
Tu mi incontrasti quando ancora mi capitava di sorridere all'avventura e assomigliavo a una spensierata, quanto inconsapevole, foglia nel vento.
Mi chiedesti in dono un abbraccio e quando ti guardai interrogativa, mi rispondesti solo:
"Perchè tu non mi conosci. A te posso chiederlo perchè tu non mi guarderai con compassione. Perchè tu potrai rifiutarlo."
Io non lo rifiutai: quella notte che le luci erano più vive e più incomprensibili che mai, io ti ho amato.
Mi hai permesso di amarti e mi hai distrutta.
E le tue lacrime assomigliavano alle mie e ci amammo. Non come i grandi amanti della storia: meglio.
Perchè ti amai senza aver bisogno di troppe parole, perchè amai le tue dita e feci mie le tue lacrime.
Perchè ci fidammo l'uno dell'altra, in quel preciso momento, così intensamente che non ci fu bisogno di conoscersi "seriamente".
Perchè avevano ragione le luci, quella notte.
In quel momento io avevo bisogno di una direzione, un'abbraccio. Come te.
E non ci servì nient'altro per amarci perchè le cose semplici sono quelle più difficili da accettare e noi le accettammo e ci lasciammo trascinare via.
E ci perdemmo e ti raccontai in silenzio tutta la storia della mia vita, in una sola notte, mentre mi accarezzavi i capelli.
Tu trovasti rifugio nei miei sospiri.
E...io esitai.