19.
Passandosi una mano sul
volto madido di sudore, ma che tradiva un’indubbia soddisfazione, Eikhe scrutò
con occhi scintillanti gli uomini seduti a cavalcioni sul tetto della sua nuova
casa.
Tra risate e imprecazioni,
stavano terminando di fissare le lastre di pietra, che fungevano da copertura,
mediante l’utilizzo di ramponi metallici.
Grazie al passaparola di
Harm tra colleghi e amici, Eikhe si era ritrovata a fare da capocantiere a una
squadra di almeno venti uomini giovani e in salute che, ben volentieri, si
erano messi al suo servizio.
Da principio, Eikhe non si
era sentita per nulla tranquilla all’idea di dover aver a che fare con così
tante persone, ma Harm l’aveva rassicurata.
Non solo erano tutte degne
di fiducia, ma anche giovani devoti alla Corona, desiderosi di ringraziarla per
ciò che lei aveva fatto per il regno.
Certo, aver salvato il
principe aveva contato di sicuro, ma Eikhe aveva faticato non poco a venire a
patti con la loro gratitudine, almeno i primi mesi.
Con l’approssimarsi
dell’inverno e della fine dei lavori, però, ormai la giovane aveva fatto
amicizia con tutti loro.
E, non pochi tra essi, si
erano accollati diversi turni accanto alla culla di Antalion che, per espresso
volere della giovane madre, non era mai rimasto lontano da lei.
Ildera e Konis si erano
fatti carico di portare loro i viveri, durante quei lunghi mesi di lavoro,
nonostante Eikhe si fosse più volte impuntata per il contrario, a tal
proposito.
Entrambi, però, l’avevano
azzittita adducendo come scusa il desiderio di vedere il nipote, che si trovava
sempre al cantiere con lei.
In realtà, e con grande
piacere della giovane, aveva ormai compreso che non solo il piccolo Antalion
era al centro dei loro pensieri, ma anche lei, nonostante tutto ciò che, fino a
un anno prima, li aveva divisi e resi quasi degli estranei.
Quella forzata vicinanza
aveva creato un legame duraturo che nulla, neppure la distanza, avrebbe più
spezzato, ed Eikhe ne era felice perché, a conti fatti, lei e Antalion potevano
contare solo su di loro.
Il luogo in cui era nata e
cresciuta, purtroppo per lei, le era ormai ostile.
Nonostante Sendala e Tyura
fossero riuscite, in quei mesi, a raggiungerla in diverse occasioni, sapeva che
Nestar sarebbe stato per sempre un posto off-limits.
Ma le stava bene anche così.
Aveva Antalion, l’amore del
padre e l’affetto della matrigna e del fratellastro, oltre all’amicizia di
tutte quelle persone che, nel corso di quei mesi, le si erano avvicinati per
dimostrarle appoggio.
Certo, ricominciare da sola
sarebbe stato complesso, ma non impossibile.
Inoltre, si trovava solo a mezz’ora
di cavallo da Marhna, dalla sua famiglia acquisita. Non era un’eternità.
E lì dove aveva scelto di
vivere, nei pressi di un ruscello e nel bel mezzo di un’ampia radura riparata
da alti pini da resina, c’era abbondanza di selvaggina.
Ben presto, avrebbe potuto
ricominciare a cacciare e preparare nuovi pellami lavorati.
Con i soldi che avrebbe
guadagnato, vendendo i suoi articoli d’artigianato, avrebbe acquistato quel
poco che la foresta non poteva offrirle e, nel contempo, avrebbe cresciuto il
figlio nel rispetto delle leggi di Hevos.
Di tutto il resto, del
proprio amore per Aken e della possibilità di rivederlo, non poteva
occuparsene, non in quel momento, e neppure nel breve periodo.
Se avesse pensato troppo ad
Aken, si sarebbe intristita al punto tale da perdere di vista il suo compito
principale, e cioè fare da madre ad Antalion.
E quello era un compito che
voleva assolvere nel migliore dei modi.
“Ehi, Eikhe! Vuoi anche un
gallo segnavento, sul camino?” le urlò Sebatt, dall’alto del tetto di casa.
Osservando l’imponente
falegname, e amico di vecchia data del padre, Eikhe annuì.
“Te ne sarei grata! Fa
sempre piacere vederlo puntare il becco a destra e a manca!”
“Come ordina sua signoria!”
gridò allora l’uomo, con una gran risata di gola.
Lei rise a sua volta, più composta
e Antalion, dalla sua culla, se ne uscì con quello che avrebbe dovuto essere
una risata, ma che risultò essere più uno sbuffo confuso.
Sorridendogli, la giovane lo
prese in braccio dicendo divertita: “E’ buffo, vero, Sebatt?”
Il bimbo le sorrise,
afferrandole una delle trecce che portava poggiate sulle spalle.
Trattenendo un ‘ahia’ non appena il figlio gliela
strinse con forza, Eikhe esalò con esasperazione: “Dèi, sei già forte come tuo
padre! Figurarsi quando sarai grande!”
Affiancandosi ad Eikhe con
una cesta ricolma di legna, il giovane figlio ventenne di Sebatt le sorrise, celiando:
“Non potrebbe che esserne orgoglioso, secondo me. E’ davvero bello.”
Volgendosi a mezzo per
sorridere all’alto e prestante spaccalegna che, dal padre, aveva preso in tutto
e per tutto il sorriso ammaliante, Eikhe replicò: “Può darsi. Peccato che non
lo sapremo mai.”
Poggiando la gerla a terra,
Enok intrecciò le possenti braccia al petto, dubbioso.
“Un così grande mistero può
voler dire solo due cose, Eikhe. E di una, dubito fortemente.”
Sollevando un chiaro
sopracciglio sottile, la figlia sacra lo fissò con autentica curiosità prima di
chiedere: “Cosa vorresti dire?”
Allungandosi per prendere
Antalion in braccio, il quale accettò di buon grado, Enok lo fece ballonzolare
per un po’ prima di fissare la donna al suo fianco.
“O si tratta di un
delinquente, e perciò non ne vuoi fare menzione… ma dubito sia questa
l’ipotesi, perché sei troppo intelligente per farti abbindolare…”
“Oppure?” chiese allora lei,
sul chi vive.
“Oppure, il padre di An è di
così alto lignaggio che la sua famiglia rifiuterebbe persino di farvi entrare
dalla porta d’ingresso” asserì Enok, prima di aprire la bocca per fare una
smorfia ad Antalion.
Il bimbo rise di gusto e il
giovane, non contento, poggiò le labbra sul pancino del bambino e soffiò forte,
producendo assurdi suoni che divertirono un mondo Antalion.
Eikhe sorrise di fronte alle
gentilezze di Enok nei confronti di suo figlio, e immaginò Aken fare le stesse cose, forse in maniera
ancor più estremizzata.
Era più che sicura che, con
il figlio, sarebbe stato un’autentica calamità, sempre pronto a scherzare,
vezzeggiarlo e viziarlo all’inverosimile.
Ma non l’avrebbe mai scoperto,
perché non poteva presentarsi a Rajana con Antalion in braccio, e accampare
alcun diritto sul principe ereditario del Regno.
Era pur vero che, in quei
mesi, nessuna nuova era giunta dalla Capitale del Regno.
Aken non si era ancora
formalmente fidanzato con nessuna donna, ma non poteva certo pretendere che
questo continuasse in eterno.
Presto o tardi, un messo
sarebbe giunto alle porte di Marhna per portare la lieta novella del prossimo
matrimonio di Aken di Rajana con la nobile di turno, e lei avrebbe dovuto
accettarlo.
Indipendentemente dalle
parole confortanti che il suo unico amore le aveva sussurrato il giorno della
sua partenza.
Sarò tuo per sempre.
Già, nel suo cuore lo
sarebbe stato di sicuro ma, a conti fatti, il re non glielo avrebbe mai
permesso.
Inoltre, nessun uomo era
giunto a cercarla tra quelle lande a suo nome, perciò anche a lui stava bene mantenere
le distanze da lei.
Forse, per la sanità mentale
di entrambi.
Era giusto così. Si erano
promessi amore eterno, ed era tutto ciò che avrebbero entrambi ottenuto dalla
loro breve relazione.
Un sacco di ricordi e lui,
il piccolo Antalion, a ricordarle ogni giorno e ogni notte quanto avesse amato
colui con cui si era unita per farlo nascere.
Scompigliando la chioma
corvina del bimbo, Enok la riportò alla realtà, dicendole seriamente: “Sai bene
che non tradirei mai la tua fiducia, Eikhe.”
Sorridendogli mestamente, la
giovane replicò: “Sapere il suo nome cambierebbe molto?”
Stringendo il bimbo contro
il torace con un braccio solo, il giovane allungò la mano libera per carezzarle
la guancia e, con voce resa roca dall’emozione, sussurrò: “Vorrei solo sapere
chi sa renderti così triste e così felice al tempo stesso. Vorrei sapere se
merita davvero le lacrime che versi, quando guardi dormire tuo figlio.”
Mordendosi un labbro per
contenere il flusso di emozioni che quelle parole scatenarono in lei, Eikhe
poggiò una mano su quella di Enok, che ancora sfiorava il suo viso.
“Come puoi pretendere di
giudicare una persona da un nome, Enok?”
Sollevando un sopracciglio
con evidente sorpresa, lui esalò: “Non è… un uomo di queste parti? Un nobile
della montagna che io posso conoscere in qualche modo?”
Scuotendo il capo per negare
le sue supposizioni, Eikhe scostò la mano del giovane con gentilezza, pur
tenendola stretta tra le sue dita fredde.
Intrecciandole a quelle di
Enok, la ragazza mormorò: “Se io ti dico il nome di suo padre, voglio la tua
promessa che esso morirà con te.”
Dando una stretta
significativa alla mano di Eikhe, lui annuì con veemenza.
“Te l’ho detto. Di me ti
puoi fidare!”
“E’ il principe Aken” disse
allora la giovane, con semplicità.
Gli occhi azzurri di Enok si
sgranarono per la sorpresa mentre, con lentezza, lo sguardo si spostava dal
volto sereno di Eikhe al visino paffuto di Antalion, ignaro di tutta la loro
discussione.
“Lui ti ha…” tentennò Enok,
continuando a fissare Antalion come se non lo avesse mai visto prima.
“Lui mi ha amata fino al
giorno in cui ci siamo dovuti dividere, e ha ricevuto la benedizione di Hevos,
e ciò mi basta” gli spiegò, scrollando le spalle. “Capisci perché non ne posso
parlare, e perché non posso presentarmi al suo cospetto?”
“Il re ti farebbe uccidere
all’istante, e così pure tuo figlio” assentì il giovane, adombrandosi. “Per re
Arkan, conta solo il sangue di stirpe reale, temo.”
“E’ probabile” ammise Eikhe,
prima di aggiungere: “Ora sei più tranquillo, sapendolo?”
Scoppiando in un’aspra
risata, Enok scosse il capo e replicò: “Oh, no! Non sono affatto più
tranquillo, tutt’altro. So che, grazie a lui, con te non avrò mai speranze.”
Sbattendo le palpebre più
volte, del tutto disorientata dal suo dire, Eikhe esalò: “Cosa stai dicendo,
Enok?”
Guardandola con disarmante
sincerità, ammise: “Pensi che non avrei fatto volentieri da padre a questo
frugoletto, se tu mi avessi accettato al tuo fianco? Diamine, An è adorabile, e
io lo avrei amato come se ne fossi stato veramente il padre. Ma ora che so chi
è il suo vero genitore, dubito che
potrò mai chiederti di essere la mia compagna.”
Osservandolo con affetto e
comprensione al tempo stesso, la giovane gli carezzò un braccio, asserendo
divertita: “Non crederai che il fatto che lui sia un principe sminuisca ciò che
tu sei, spero?”
“Forse no, ma… andiamo! E’
di tutt’altra pasta!” celiò lui, ridacchiando imbarazzato. “Vuoi mettere la
differenza di educazione?”
Scoppiando in una risatina
argentina, rara ormai per lei, la giovane si asciugò una lacrima di ilarità e
dichiarò: “Allora, cosa penseresti se sapessi che Aken voleva sculacciarmi, la
prima volta che ci siamo conosciuti?”
Il giovane strabuzzò gli
occhi per la sorpresa ed Eikhe, tornando seria, disse: “Con me, Aken non ha
usato né poesie, né astuzie da damerino, Enok. Anzi, a dire la verità, odia
quel genere di cose! Con me è stato semplicemente… Aken. Non il principe, non
il guerriero. Solo l’uomo.”
“Allora, deve essere davvero
una persona degna di nota, e non solo un grande stratega militare” esalò con
sincera ammirazione Enok, sorridendole comprensivo. “Motivo di più per non
credere che tu potrai mai volermi come compagno.”
“Se avessi il cuore libero
dall’amore che provo per lui, tu saresti un compagno ideale, Enok. Inoltre, a
tuo favore va detto che ami davvero mio figlio. Ma per me c’è, e ci sarà, sempre solo lui, mi spiace. Sarebbe
sbagliato illuderti e prenderti al mio fianco, sapendo che non potrei amarti
come merita una persona in gamba e buona come te” gli disse sinceramente Eikhe,
appoggiandosi un momento a lui prima di scostarsi e sorridergli.
Ammiccando, lui replicò: “Io
ti amerei per tutti e due, sai?”
Ridendo suo malgrado, lei
scosse il capo e disse semplicemente: “Non funzionerebbe, e finiresti con
l’odiarmi. Cosa che, di certo, non voglio.”
“Non potrei mai odiarti, ma
ti capisco. E ti sono grato per le premure che nutri nei confronti del mio
cuore. Io e lui ti ringraziamo” disse a quel punto lui, sorridendole.
“La donna che sposerai sarà
fortunata ad avere un uomo come te al suo fianco” asserì a quel punto Eikhe,
dandogli di gomito.
Sentendo uggiolare Liar al
suo fianco, tutto allegro e scodinzolante, la sua padrona lo guardò divertita
ed Enok, ridacchiando, disse: “Al piccolo, qui, penso io. Tanto, ha mangiato da
poco e non avrà bisogno di te che tra qualche ora. Se vuoi portare fuori Liar,
fa pure. Ormai, sono settimane che rimandi perché salta sempre fuori qualcosa a
bloccarti.”
Sospirando, Eikhe annuì.
“In effetti, questa parte
del suo addestramento è stata rimandata anche troppo a lungo. Sicuro di voler
tenere An? Posso portarlo da Ildera, se preferisci.”
Scuotendo il capo, il
giovane ammiccò all’indirizzo degli uomini sul tetto e disse a bassa voce:
“Preferisco rimanere qui a giocare con il tuo bambino, che starmene a
cavalcioni su quelle pietre taglienti, con il rischio di danneggiare i sacri
gingilli di famiglia.”
Eikhe lo fissò per alcuni
attimi, allibita, prima di scoppiare a ridere di gusto.
“Hai perfettamente ragione.
Allora, prendo le armi e vado.”
“Fai con comodo. Noi resteremo
qui ad aspettarti” dichiarò tranquillo Enok, sistemandosi meglio An contro una
spalla.
Il bimbo osservò curioso la
madre mentre, con calma, si avvicinava a Leance per preparare il necessario per
la caccia e, di colpo, Eikhe tornò a essere una qualunque donna-lupo, e non più
soltanto la madre di Antalion.
Con attenzione meticolosa
allacciò il fodero della daga alla cintola e, dopo averlo assicurato al cuoio,
afferrò un corto pugnale e lo inserì all’interno di uno degli stivali di pelle.
Saggiatane la comodità
contro il polpaccio, Eikhe prelevò l’arco, che si mise a tracolla, e la faretra
con le frecce, che si sistemò su una spalla con fare professionale.
Armata di tutto punto, Eikhe
lanciò un fischio all’indirizzo del padre che, vedendola in armi, le chiese:
“Vai a caccia, allora?”
“Sì! Vi porteremo un daino
per cena, va bene?” rispose lei, ammiccando tranquilla.
“Sarà un piacere mangiarlo,
allora!” commentò Harm, prima di aggiungere: “Fai attenzione, nella foresta!”
“Non sono sempre stata
attenta?” replicò lei sorridendo, prima di fare un cenno a Liar perché si tenesse
pronto a partire.
Avvicinandosi a grandi passi
a Enok, Eikhe tornò per un attimo al suo consueto sguardo dolce e tenero e,
baciando Antalion su una guancia, mormorò: “La mamma starà via per poco. Per un
po’ starai con zio Enok, va bene?”
Il bimbo lanciò uno strillo
prima di aggrapparsi con forza ai capelli del giovane che, trattenendo a stento
un ‘ahi’, ridacchiò e disse: “Credo
fosse un sì.”
“Ottimo. Ci vediamo dopo,
allora” dichiarò a quel punto Eikhe.
“Vai e stendili tutti,
Eikhe” la incoraggiò lui, sogghignando.
“Mi basterà stenderne uno”
scrollò le spalle lei prima di guardare Liar. “Andiamo, bello mio. Comincia la
festa.”
In un attimo, gli occhi di
Eikhe tornarono a essere attenti e sicuri, non più lo sguardo della madre
amorevole, ma della guerriera tenace e fiera.
Muovendosi al fianco del suo
lupo come se fossero stati un’unica entità, sparirono tra gli alberi in un
fruscio di pelle e di zampe, scalciate sul terreno morbido della radura.
Sospirando leggermente, Enok
mormorò: “Tua madre è davvero splendida, lo sai?”
***
Macchie di viola e di rosso
si confondevano con l’azzurro cupo e il blu, annunciando il crepuscolo e il
sopraggiungere della sera.
Proprio mentre Enok e gli
altri cominciavano a dare i primi segni di ansia di fronte al copioso ritardo
di Eikhe, ella comparve dai margini del bosco assieme a Liar.
Insieme, stavano trascinando
con fare alquanto scocciato una pesante carcassa di daino, grande almeno il
doppio della ragazza.
Subito, Harm e un altro paio
di uomini accorsero a darle una mano e lei, sospirando per la gran fatica,
esclamò: “Si vede che sono fuori forma! Ci abbiamo messo quasi mezz’ora, per
beccarlo.”
“Beh, però mi sembra ne sia
valsa la pena” commentò Orgoth, ammiccando all’indirizzo della ragazza.
Sogghignando, lei annuì al
mastro ferraio che, assieme agli altri, aveva dato una mano nella costruzione
della sua casa.
“Con questo daino, ricaverò
una bellissima borsetta per tua moglie, Orgoth, e una cintura per i tuoi
utensili. Così, comincerò in qualche modo a ripagarti per il lavoro che hai
svolto qui.”
Scoppiando in una grassa
risata di gola nel portare la carcassa verso la nuova casa di Eikhe, l’uomo
replicò: “Andiamo, bambina, pensi davvero che io sia venuto qui per farmi
pagare? L’ho già detto a tuo padre. Era un favore personale, tutto qui.”
“Ugualmente, farò ciò che ho
detto” ribatté tranquillamente lei. “Non vorrai davvero offendermi rifiutando i
miei doni, vero?”
“Non sia mai!” ridacchiò
Orgoth prima di scrutare Enok, che li attendeva sulla porta della baita. “Certo
che lo hai ammaestrato bene, il ragazzo.”
Sebatt sghignazzò,
strizzando l’occhio a Eikhe, che era lievemente arrossita a quel commento.
“Non prendere in giro la
signorina! E poi, come si fa a dirle di no?”
“Siete impossibili” brontolò
la giovane, correndo via per raggiungere il figlio.
Con poche, rapide falcate,
la giovane raggiunse Antalion che, a braccia spalancate e tese verso di lei,
strillò felice quando lei lo accolse nel suo abbraccio.
Baciandolo in viso più
volte, sussurrò: “Non vedo l’ora di darti da mangiare. Ho il seno che mi sta
scoppiando.”
“Non sono cose da dire
davanti a un uomo che vorrebbe essere al posto di tuo figlio” ridacchiò Enok,
facendola scoppiare in una bella risata di gola.
“Oh, cielo, scusami! Pensate
voi alla carne, mentre io lo allatto?” chiese a quel punto Eikhe, accarezzando
distrattamente Liar che, nel frattempo, l’aveva raggiunta e stava tentando di
arrampicarsi su una sua gamba per leccare Antalion.
“Penseremo noi a tutto.
Dobbiamo stare attenti a non rovinare le pelli, giusto?” si informò Enok,
tornando serio.
“Sì, grazie” annuì lei,
prima di ridere, scacciare a terra Liar e ordinare: “Basta, Liar! Giocherai con
lui dopo che ti sarai lavato il muso dal sangue.”
Con un uggiolio spazientito,
il giovane lupo se ne andò via a testa bassa verso il ruscello ed Enok,
poggiando le mani sui fianchi con aria divertita, celiò: “Sì, sì,… come si fa a
dirti di no?”
“Non ti ci mettere anche tu,
Enok” brontolò lei, andandosene in casa con il volto in fiamme.
Lui scoppiò a ridere prima
di andare ad aiutare gli altri uomini con il daino.
Quell’animale sarebbe stato
il piatto forte della loro prima cena all’interno della nuova casa di Eikhe,
finalmente ultimata.
Potevano ritenersi
soddisfatti del lavoro svolto in quei mesi, perché ora la ragazza poteva
contare su una baita dotata di ogni servizio possibile.
Alle finestre – dotate di
piccole pannellature di vetro molato a mano – erano state montate pesanti
inferriate per proteggerla dall’eventuale attacco di qualche orso troppo
zelante.
La porta d’ingresso,
composta da due pannelli di quercia sovrapposti, era stata rinforzata con
un’intelaiatura di ferro temprato.
L’interno era composto di
tre camere, una cucina dotata di stufa in ghisa e un ampio soggiorno, dove
sorgeva un enorme camino in pietra.
All’esterno, gli uomini
avevano inoltre costruito una piccola stalla rinforzata, sempre a prova di
orso, e un recinto per il cavallo.
Il tetto, interamente
ricoperto di pietra e fissato con possenti chiodi di ferro, avrebbe retto anche
le nevicate più forti e, grazie al forte angolo spiovente, non avrebbe
rischiato di trattenere troppa neve.
“Cosa guardi, ragazzo?”
chiese a un certo punto Harm, interrompendo le divagazioni di Enok.
Sobbalzando leggermente, il
giovane disse: “Oh, nulla. Stavo solo pensando che la casa è venuta bene.”
“Direi di sì. Abbiamo
cercato di renderla il più sicura possibile, e penso ci siamo riusciti” annuì l’uomo,
afferrando un coltello per eviscerare il daino.
“Credo che Antalion crescerà
bene, qui” ammiccò Enok, prima di chiedere: “Penso io a spellarlo?”
“Tu tira, noi teniamo questo
bestione” annuì il padre, afferrando una delle zampe dell’animale.
In breve, l’animale fu
spellato, eviscerato, infilato su un enorme spiedo, e infine condotto su un
trespolo preparato appositamente per la sua cottura sul fuoco.
All’interno della casa, nel
frattempo, Eikhe terminò di allattare An prima di metterlo a riposare nella sua
cesta di vimini.
Ildera si era premurata di
prepararle una piccola scorta di emergenza, per i primi giorni in cui avrebbe
abitato nella baita tutta da sola e, tra sé, la ringraziò calorosamente.
Quello che la madre non le
aveva offerto, lei glielo aveva donato a braccia aperte.
Pur se non avrebbero mai
avuto la stessa opinione sul suo personale stile di vita, ormai avevano
imparato ad apprezzarsi vicendevolmente, e questo non sarebbe mai più mutato.
Avrebbe sempre avuto un
pensiero gentile per Ildera, anche a distanza di anni.
***
Battendosi una mano
sull’ampia pancia, ora rigonfia di cibo e di birra speziata, Nedor sospirò
soddisfatto, esalando: “Mai mangiato così tanto in vita mia.”
Dandogli una pacca sul
braccio, Harm replicò: “Dubito fortemente che, avendo per moglie la cuoca di
un’osteria, tu non abbia mangiato così altre volte.”
Eikhe passò attorno al
tavolo versando loro un altro giro di birra, prima di dire a difesa del vecchio
amico del padre: “A onor del vero, Lenoria è sempre stata molto attenta a ciò
che mangia il marito.”
“Vedi? Ascolta la tua
figliola. Lei sì che ha sale in zucca” commentò Nedor, sghignazzando.
“Solo perché ti sta
difendendo?” replicò Harm, prima di scoppiare a ridere con il resto del gruppo.
Eikhe sorrise divertita di
fronte alla tavola imbandita, e circondata da cinque uomini gaudenti e sfamati
appieno.
Con una leggera smorfia
ironica, si chiese cos’avrebbe pensato la madre.
Penserebbe che mi sono rammollita, visto che ho
chiesto aiuto a degli uomini, pensò
tra sé la ragazza, sghignazzando.
Levando il capo a scrutarla
curioso, Enok si levò in piedi, cominciando a raccogliere i piatti.
Dandole un colpetto con la
spalla, sussurrò: “Come mai quella faccia?”
“Pensieri profondi” replicò
lei, facendo spallucce, prima di udire a sorpresa lo scalpiccio di un cavallo
nella radura antistante la baita.
Tutti i presenti si
azzittirono di colpo ed Enok, lasciati da parte i piatti, si affrettò ad andare
alla finestra, subito seguito a ruota da Eikhe.
Al colmo dello stupore, e
vagamente preoccupata per l’ora tarda – la notte era scesa ormai da tempo –
uscì di gran fretta dalla baita per raggiungere cavallo e cavallerizza, esalando
sgomenta: “Sendala, per tutti gli dèi, che ci fai qui?!”
Smontata dalla sella con un
volteggio elegante e fluido, la giovane si sistemò la treccia dietro la schiena
e, con un gran sorriso, esclamò: “E’ questo il benvenuto che dai alla tua nuova
coinquilina?”
Gli uomini, che erano usciti
fuori da casa quasi calpestandosi l’uno con l’altro per la fretta, osservarono
confusi le due giovani accanto al cavallo mentre Eikhe, a occhi sgranati,
esalava al colmo della sorpresa: “Ma che stai blaterando?”
Con una scrollata di spalle,
e indicando con il pollice la sella del cavallo – completamente sguarnita di
sacche da viaggio – Sendala si limitò a
dire: “Mi sono fatta sbattere fuori dal villaggio, esattamente come te.”
La figlia sacra sollevò
ironica un sopracciglio e, indicandole la pancia piatta e abbracciata da una
pesante cintura di cuoio scuro, replicò serafica: “Dubito che sia esattamente
come me.”
Seguendo il suo dito,
Sendala ridacchiò imbarazzata.
“Beh, insomma, non proprio per
lo stesso motivo, ma quasi.”
Nello scuotere il capo con
espressione esasperata e affettuosa assieme, Eikhe poggiò le mani sui fianchi e
borbottò: “Cosa devo fare, con te? Non volevo che ti cacciassi nei guai per
me.”
“Non l’ho fatto solo per te,
ma anche per me stessa” replicò Sendala tornando seria. “Sono stanca di regole
a cui non credo più. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che sta
accadendo nei villaggi di donne-lupo, ma le Anziane non vogliono capirlo. Beh,
io non rimarrò là ad aspettare che aprano gli occhi, perciò ho deciso di venire
via, mandando alla malora tutto e tutte.”
“E tua madre?” le chiese
gentilmente l’amica, mentre gli uomini alle loro spalle ascoltavano curiosi la
storia della ragazza.
Ridacchiando con fare da
cospiratore, Sendala ammise: “Questa è la parte più divertente. Mamma era
d’accordo con me, ma non poteva mandarmi via così semplicemente, così mi ha
presa per un orecchio nel bel mezzo della via, mi ha praticamente sbattuta
dentro casa urlandomi dietro di tutto e poi, una volta al riparo dagli sguardi
di tutte, ha preso la sferza e ha cominciato a picchiare il letto, mentre io mi
lamentavo e imprecavo al suo indirizzo.”
Concedendosi un risolino,
Eikhe chiosò: “Riana è sempre stata mitica.”
“Eh, già. A mamma è
spiaciuto vedermi andare via, ma sapeva che venivo da te, quindi era
tranquilla” scrollò le spalle Sendala, prima di guardare oltre la figura di
Eikhe e ironizzare: “Ti sei data alla pazza gioia, tesoro?”
Gli uomini al gran completo
scoppiarono a ridere mentre la figlia sacra, arrossendo leggermente, replicava:
“Ma dai, che vai a pensare?! Mio padre te lo ricordi, no? Gli altri sono suoi
amici, e mi hanno aiutato con la costruzione della baita.”
Accigliandosi leggermente,
Sendala li squadrò bene uno per uno, prima di aprirsi in un sorriso di riconoscimento.
“Ah, ora ricordo un paio di
loro! Scusa, sono venuta così poco, qui, che alcuni non li ho proprio visti.”
Avvolgendole la vita con un
braccio, Eikhe la scrollò leggermente, dicendo: “Beh, allora, benvenuta a casa,
amica mia.”
“Grazie” le sorrise lei,
prima di indicare col capo il suo cavallo e chiedere: “Dove posso infilare
Kray?”
“Nella stalla c’è posto
anche per lui” le spiegò l’amica, indicandogliela.
Rivoltasi poi al lupo di
Sendala, aggiunse: “Epos, vai dentro a giocare un po’ con Liar. Si sente solo.”
Il lupo in questione,
annuendo con il bel muso grigio, trotterellò in casa oltrepassando lo
schieramento di uomini senza neppure fare loro caso.
Abbracciando infine di
slancio l’amica, Eikhe esclamò: “Sono così felice di saperti qui, Sendala!”
“E io di essere venuta” le
sussurrò lei, stringendola con calore.
***
Dopo le presentazioni di
rito e i commenti più o meno spiritosi sull’arrivo a sorpresa di Sendala, gli
uomini si avviarono verso l’uscita della baita con il chiaro intento di
tornarsene a casa.
Sulla porta, Enok si volse a
sorridere ad Eikhe, dicendo: “Sono contento che tu non sia da sola, qui nel
bosco.”
Dandogli una spintarella nel
sorridergli benevola, lei replicò: “Dimentichi spesso che, assieme a me, avrei
sempre avuto Liar e la mia fida daga da guerra.”
Con una scrollatina di
spalle, lui si limitò a dire: “Due daghe e due lupi, sono meglio di uno.”
“Vero. Ora vai, però. E’
tardi” dichiarò Eikhe, tornando seria.
“Potrò venire a trovarti
ugualmente, anche se la casa è finita, e tu mi hai rifiutato il più grande dei
regali?” ammiccò a quel punto Enok, sollevando le belle sopracciglia arcuate.
Ridacchiando, lei lo spinse
fuori di casa.
“Potrai venire tutte le
volte che vorrai, basta che la pianti con questa storia.”
“Come vuole lei” scherzò il
giovane, esibendosi in un frivolo inchino. “E’ stato un piacere conoscerti,
Sendala. Buonanotte a entrambe voi.”
“Buonanotte a te, Enok” mormorò
Sendala, salutandolo con un cenno della mano mentre lui balzava sul cavallo
prima di lanciarlo al trotto per raggiungere il resto del gruppo, già avviatosi
verso Marhna.
Dopo aver atteso che anche
l’ultima ombra dei loro cavalli fosse scomparsa nel bosco, Eikhe chiuse la
porta, sprangandola.
A quel punto, volgendosi in
direzione di Sendala, intrecciò le braccia sotto il seno e disse: “Ebbene?
Dimmi quello che ti frulla nella mente.”
“E’ carino” commentò solo
lei, sbuffando comicamente.
“Non è Aken, e lui lo sa”
replicò l’amica. “Ma mi fa piacere avere la sua amicizia. Pensi sia sbagliato?”
“Affatto. Mi è sembrato un
bravo giovane e, quando è andato a dare un bacio ad Antalion prima di
andarsene, l’ho guardato ben bene. Adora tuo figlio, e questo non può che
deporre a suo favore” scrollò le spalle Sendala, seria in viso.
Senza dire nulla, Eikhe si
recò al camino per buttare alcuni ceppi di legno nel fuoco.
Direttasi poi verso la
stanza che avrebbe diviso con Sendala, almeno fino all’arrivo di un nuovo letto
per lei, si tolse la tunica e mormorò: “Non posso farci niente se il mio amore
per Aken è così forte, ma quasi mi sembra di fargli un torto.”
“Sei stata onesta con lui”
ribatté Sendala, imitando l’amica. “Se gli avessi mentito, quello sì che sarebbe stato un torto vero e
proprio.”
Eikhe le sorrise grata,
lieta che l’amica fosse lì a consolarla con le sue parole.
Ammiccando al suo indirizzo,
disse: “Sarò egoista, ma sono contenta che tu ti sia fatta sbattere fuori dal
villaggio.”
Ridendo sommessamente per
non svegliare Antalion, che dormiva saporitamente nella culla, Sendala si
infilò sotto le pesanti coltri di pelliccia e celiò: “L’ho sempre detto che sei
matta, tu.”
“Allora, siamo un’accoppiata
vincente, perché neppure tu scherzi” replicò la figlia sacra, scivolando sotto
le coperte pesanti prima di poggiare il capo sul guanciale.
“Buonanotte, coinquilina.”
“Buonanotte a te, figlia
sacra” disse sommessamente Sendala, sorridendole dall’altra parte dell’enorme
letto a due piazze.
Con un sorriso, Eikhe chiuse
gli occhi e si assopì e, per la prima volta da mesi, non sognò. E di questo fu
molto grata.
N.d.A.: Piccolo spaccato della vita di Eikhe. Dal prossimo capitolo, comunque, tornerà anche Aken.