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Autore: Mary P_Stark    17/12/2011    4 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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19.

 

 

 

 

 

Passandosi una mano sul volto madido di sudore, ma che tradiva un’indubbia soddisfazione, Eikhe scrutò con occhi scintillanti gli uomini seduti a cavalcioni sul tetto della sua nuova casa.

Tra risate e imprecazioni, stavano terminando di fissare le lastre di pietra, che fungevano da copertura, mediante l’utilizzo di ramponi metallici.

Grazie al passaparola di Harm tra colleghi e amici, Eikhe si era ritrovata a fare da capocantiere a una squadra di almeno venti uomini giovani e in salute che, ben volentieri, si erano messi al suo servizio.

Da principio, Eikhe non si era sentita per nulla tranquilla all’idea di dover aver a che fare con così tante persone, ma Harm l’aveva rassicurata.

Non solo erano tutte degne di fiducia, ma anche giovani devoti alla Corona, desiderosi di ringraziarla per ciò che lei aveva fatto per il regno.

Certo, aver salvato il principe aveva contato di sicuro, ma Eikhe aveva faticato non poco a venire a patti con la loro gratitudine, almeno i primi mesi.

Con l’approssimarsi dell’inverno e della fine dei lavori, però, ormai la giovane aveva fatto amicizia con tutti loro.

E, non pochi tra essi, si erano accollati diversi turni accanto alla culla di Antalion che, per espresso volere della giovane madre, non era mai rimasto lontano da lei.

Ildera e Konis si erano fatti carico di portare loro i viveri, durante quei lunghi mesi di lavoro, nonostante Eikhe si fosse più volte impuntata per il contrario, a tal proposito.

Entrambi, però, l’avevano azzittita adducendo come scusa il desiderio di vedere il nipote, che si trovava sempre al cantiere con lei.

In realtà, e con grande piacere della giovane, aveva ormai compreso che non solo il piccolo Antalion era al centro dei loro pensieri, ma anche lei, nonostante tutto ciò che, fino a un anno prima, li aveva divisi e resi quasi degli estranei.

Quella forzata vicinanza aveva creato un legame duraturo che nulla, neppure la distanza, avrebbe più spezzato, ed Eikhe ne era felice perché, a conti fatti, lei e Antalion potevano contare solo su di loro.

Il luogo in cui era nata e cresciuta, purtroppo per lei, le era ormai ostile.

Nonostante Sendala e Tyura fossero riuscite, in quei mesi, a raggiungerla in diverse occasioni, sapeva che Nestar sarebbe stato per sempre un posto off-limits.

Ma le stava bene anche così.

Aveva Antalion, l’amore del padre e l’affetto della matrigna e del fratellastro, oltre all’amicizia di tutte quelle persone che, nel corso di quei mesi, le si erano avvicinati per dimostrarle appoggio.

Certo, ricominciare da sola sarebbe stato complesso, ma non impossibile.

Inoltre, si trovava solo a mezz’ora di cavallo da Marhna, dalla sua famiglia acquisita. Non era un’eternità.

E lì dove aveva scelto di vivere, nei pressi di un ruscello e nel bel mezzo di un’ampia radura riparata da alti pini da resina, c’era abbondanza di selvaggina.

Ben presto, avrebbe potuto ricominciare a cacciare e preparare nuovi pellami lavorati.

Con i soldi che avrebbe guadagnato, vendendo i suoi articoli d’artigianato, avrebbe acquistato quel poco che la foresta non poteva offrirle e, nel contempo, avrebbe cresciuto il figlio nel rispetto delle leggi di Hevos.

Di tutto il resto, del proprio amore per Aken e della possibilità di rivederlo, non poteva occuparsene, non in quel momento, e neppure nel breve periodo.

Se avesse pensato troppo ad Aken, si sarebbe intristita al punto tale da perdere di vista il suo compito principale, e cioè fare da madre ad Antalion.

E quello era un compito che voleva assolvere nel migliore dei modi.

“Ehi, Eikhe! Vuoi anche un gallo segnavento, sul camino?” le urlò Sebatt, dall’alto del tetto di casa.

Osservando l’imponente falegname, e amico di vecchia data del padre, Eikhe annuì.

“Te ne sarei grata! Fa sempre piacere vederlo puntare il becco a destra e a manca!”

“Come ordina sua signoria!” gridò allora l’uomo, con una gran risata di gola.

Lei rise a sua volta, più composta e Antalion, dalla sua culla, se ne uscì con quello che avrebbe dovuto essere una risata, ma che risultò essere più uno sbuffo confuso.

Sorridendogli, la giovane lo prese in braccio dicendo divertita: “E’ buffo, vero, Sebatt?”

Il bimbo le sorrise, afferrandole una delle trecce che portava poggiate sulle spalle.

Trattenendo un ‘ahia’ non appena il figlio gliela strinse con forza, Eikhe esalò con esasperazione: “Dèi, sei già forte come tuo padre! Figurarsi quando sarai grande!”

Affiancandosi ad Eikhe con una cesta ricolma di legna, il giovane figlio ventenne di Sebatt le sorrise, celiando: “Non potrebbe che esserne orgoglioso, secondo me. E’ davvero bello.”

Volgendosi a mezzo per sorridere all’alto e prestante spaccalegna che, dal padre, aveva preso in tutto e per tutto il sorriso ammaliante, Eikhe replicò: “Può darsi. Peccato che non lo sapremo mai.”

Poggiando la gerla a terra, Enok intrecciò le possenti braccia al petto, dubbioso.

“Un così grande mistero può voler dire solo due cose, Eikhe. E di una, dubito fortemente.”

Sollevando un chiaro sopracciglio sottile, la figlia sacra lo fissò con autentica curiosità prima di chiedere: “Cosa vorresti dire?”

Allungandosi per prendere Antalion in braccio, il quale accettò di buon grado, Enok lo fece ballonzolare per un po’ prima di fissare la donna al suo fianco.

“O si tratta di un delinquente, e perciò non ne vuoi fare menzione… ma dubito sia questa l’ipotesi, perché sei troppo intelligente per farti abbindolare…”

“Oppure?” chiese allora lei, sul chi vive.

“Oppure, il padre di An è di così alto lignaggio che la sua famiglia rifiuterebbe persino di farvi entrare dalla porta d’ingresso” asserì Enok, prima di aprire la bocca per fare una smorfia ad Antalion.

Il bimbo rise di gusto e il giovane, non contento, poggiò le labbra sul pancino del bambino e soffiò forte, producendo assurdi suoni che divertirono un mondo Antalion.

Eikhe sorrise di fronte alle gentilezze di Enok nei confronti di suo figlio, e  immaginò Aken fare le stesse cose, forse in maniera ancor più estremizzata.

Era più che sicura che, con il figlio, sarebbe stato un’autentica calamità, sempre pronto a scherzare, vezzeggiarlo e viziarlo all’inverosimile.

Ma non l’avrebbe mai scoperto, perché non poteva presentarsi a Rajana con Antalion in braccio, e accampare alcun diritto sul principe ereditario del Regno.

Era pur vero che, in quei mesi, nessuna nuova era giunta dalla Capitale del Regno.

Aken non si era ancora formalmente fidanzato con nessuna donna, ma non poteva certo pretendere che questo continuasse in eterno.

Presto o tardi, un messo sarebbe giunto alle porte di Marhna per portare la lieta novella del prossimo matrimonio di Aken di Rajana con la nobile di turno, e lei avrebbe dovuto accettarlo.

Indipendentemente dalle parole confortanti che il suo unico amore le aveva sussurrato il giorno della sua partenza.

Sarò tuo per sempre.

Già, nel suo cuore lo sarebbe stato di sicuro ma, a conti fatti, il re non glielo avrebbe mai permesso.

Inoltre, nessun uomo era giunto a cercarla tra quelle lande a suo nome, perciò anche a lui stava bene mantenere le distanze da lei.

Forse, per la sanità mentale di entrambi.

Era giusto così. Si erano promessi amore eterno, ed era tutto ciò che avrebbero entrambi ottenuto dalla loro breve relazione.

Un sacco di ricordi e lui, il piccolo Antalion, a ricordarle ogni giorno e ogni notte quanto avesse amato colui con cui si era unita per farlo nascere.

Scompigliando la chioma corvina del bimbo, Enok la riportò alla realtà, dicendole seriamente: “Sai bene che non tradirei mai la tua fiducia, Eikhe.”

Sorridendogli mestamente, la giovane replicò: “Sapere il suo nome cambierebbe molto?”

Stringendo il bimbo contro il torace con un braccio solo, il giovane allungò la mano libera per carezzarle la guancia e, con voce resa roca dall’emozione, sussurrò: “Vorrei solo sapere chi sa renderti così triste e così felice al tempo stesso. Vorrei sapere se merita davvero le lacrime che versi, quando guardi dormire tuo figlio.”

Mordendosi un labbro per contenere il flusso di emozioni che quelle parole scatenarono in lei, Eikhe poggiò una mano su quella di Enok, che ancora sfiorava il suo viso.

“Come puoi pretendere di giudicare una persona da un nome, Enok?”

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, lui esalò: “Non è… un uomo di queste parti? Un nobile della montagna che io posso conoscere in qualche modo?”

Scuotendo il capo per negare le sue supposizioni, Eikhe scostò la mano del giovane con gentilezza, pur tenendola stretta tra le sue dita fredde.

Intrecciandole a quelle di Enok, la ragazza mormorò: “Se io ti dico il nome di suo padre, voglio la tua promessa che esso morirà con te.”

Dando una stretta significativa alla mano di Eikhe, lui annuì con veemenza.

“Te l’ho detto. Di me ti puoi fidare!”

“E’ il principe Aken” disse allora la giovane, con semplicità.

Gli occhi azzurri di Enok si sgranarono per la sorpresa mentre, con lentezza, lo sguardo si spostava dal volto sereno di Eikhe al visino paffuto di Antalion, ignaro di tutta la loro discussione.

“Lui ti ha…” tentennò Enok, continuando a fissare Antalion come se non lo avesse mai visto prima.

“Lui mi ha amata fino al giorno in cui ci siamo dovuti dividere, e ha ricevuto la benedizione di Hevos, e ciò mi basta” gli spiegò, scrollando le spalle. “Capisci perché non ne posso parlare, e perché non posso presentarmi al suo cospetto?”

“Il re ti farebbe uccidere all’istante, e così pure tuo figlio” assentì il giovane, adombrandosi. “Per re Arkan, conta solo il sangue di stirpe reale, temo.”

“E’ probabile” ammise Eikhe, prima di aggiungere: “Ora sei più tranquillo, sapendolo?”

Scoppiando in un’aspra risata, Enok scosse il capo e replicò: “Oh, no! Non sono affatto più tranquillo, tutt’altro. So che, grazie a lui, con te non avrò mai speranze.”

Sbattendo le palpebre più volte, del tutto disorientata dal suo dire, Eikhe esalò: “Cosa stai dicendo, Enok?”

Guardandola con disarmante sincerità, ammise: “Pensi che non avrei fatto volentieri da padre a questo frugoletto, se tu mi avessi accettato al tuo fianco? Diamine, An è adorabile, e io lo avrei amato come se ne fossi stato veramente il padre. Ma ora che so chi è il suo vero genitore, dubito che potrò mai chiederti di essere la mia compagna.”

Osservandolo con affetto e comprensione al tempo stesso, la giovane gli carezzò un braccio, asserendo divertita: “Non crederai che il fatto che lui sia un principe sminuisca ciò che tu sei, spero?”

“Forse no, ma… andiamo! E’ di tutt’altra pasta!” celiò lui, ridacchiando imbarazzato. “Vuoi mettere la differenza di educazione?”

Scoppiando in una risatina argentina, rara ormai per lei, la giovane si asciugò una lacrima di ilarità e dichiarò: “Allora, cosa penseresti se sapessi che Aken voleva sculacciarmi, la prima volta che ci siamo conosciuti?”

Il giovane strabuzzò gli occhi per la sorpresa ed Eikhe, tornando seria, disse: “Con me, Aken non ha usato né poesie, né astuzie da damerino, Enok. Anzi, a dire la verità, odia quel genere di cose! Con me è stato semplicemente… Aken. Non il principe, non il guerriero. Solo l’uomo.”

“Allora, deve essere davvero una persona degna di nota, e non solo un grande stratega militare” esalò con sincera ammirazione Enok, sorridendole comprensivo. “Motivo di più per non credere che tu potrai mai volermi come compagno.”

“Se avessi il cuore libero dall’amore che provo per lui, tu saresti un compagno ideale, Enok. Inoltre, a tuo favore va detto che ami davvero mio figlio. Ma per me c’è,  e ci sarà, sempre solo lui, mi spiace. Sarebbe sbagliato illuderti e prenderti al mio fianco, sapendo che non potrei amarti come merita una persona in gamba e buona come te” gli disse sinceramente Eikhe, appoggiandosi un momento a lui prima di scostarsi e sorridergli.

Ammiccando, lui replicò: “Io ti amerei per tutti e due, sai?”

Ridendo suo malgrado, lei scosse il capo e disse semplicemente: “Non funzionerebbe, e finiresti con l’odiarmi. Cosa che, di certo, non voglio.”

“Non potrei mai odiarti, ma ti capisco. E ti sono grato per le premure che nutri nei confronti del mio cuore. Io e lui ti ringraziamo” disse a quel punto lui, sorridendole.

“La donna che sposerai sarà fortunata ad avere un uomo come te al suo fianco” asserì a quel punto Eikhe, dandogli di gomito.

Sentendo uggiolare Liar al suo fianco, tutto allegro e scodinzolante, la sua padrona lo guardò divertita ed Enok, ridacchiando, disse: “Al piccolo, qui, penso io. Tanto, ha mangiato da poco e non avrà bisogno di te che tra qualche ora. Se vuoi portare fuori Liar, fa pure. Ormai, sono settimane che rimandi perché salta sempre fuori qualcosa a bloccarti.”

Sospirando, Eikhe annuì.

“In effetti, questa parte del suo addestramento è stata rimandata anche troppo a lungo. Sicuro di voler tenere An? Posso portarlo da Ildera, se preferisci.”

Scuotendo il capo, il giovane ammiccò all’indirizzo degli uomini sul tetto e disse a bassa voce: “Preferisco rimanere qui a giocare con il tuo bambino, che starmene a cavalcioni su quelle pietre taglienti, con il rischio di danneggiare i sacri gingilli di famiglia.”

Eikhe lo fissò per alcuni attimi, allibita, prima di scoppiare a ridere di gusto.

“Hai perfettamente ragione. Allora, prendo le armi e vado.”

“Fai con comodo. Noi resteremo qui ad aspettarti” dichiarò tranquillo Enok, sistemandosi meglio An contro una spalla.

Il bimbo osservò curioso la madre mentre, con calma, si avvicinava a Leance per preparare il necessario per la caccia e, di colpo, Eikhe tornò a essere una qualunque donna-lupo, e non più soltanto la madre di Antalion.

Con attenzione meticolosa allacciò il fodero della daga alla cintola e, dopo averlo assicurato al cuoio, afferrò un corto pugnale e lo inserì all’interno di uno degli stivali di pelle.

Saggiatane la comodità contro il polpaccio, Eikhe prelevò l’arco, che si mise a tracolla, e la faretra con le frecce, che si sistemò su una spalla con fare professionale.

Armata di tutto punto, Eikhe lanciò un fischio all’indirizzo del padre che, vedendola in armi, le chiese: “Vai a caccia, allora?”

“Sì! Vi porteremo un daino per cena, va bene?” rispose lei, ammiccando tranquilla.

“Sarà un piacere mangiarlo, allora!” commentò Harm, prima di aggiungere: “Fai attenzione, nella foresta!”

“Non sono sempre stata attenta?” replicò lei sorridendo, prima di fare un cenno a Liar perché si tenesse pronto a partire.

Avvicinandosi a grandi passi a Enok, Eikhe tornò per un attimo al suo consueto sguardo dolce e tenero e, baciando Antalion su una guancia, mormorò: “La mamma starà via per poco. Per un po’ starai con zio Enok, va bene?”

Il bimbo lanciò uno strillo prima di aggrapparsi con forza ai capelli del giovane che, trattenendo a stento un ‘ahi’, ridacchiò e disse: “Credo fosse un sì.”

“Ottimo. Ci vediamo dopo, allora” dichiarò a quel punto Eikhe.

“Vai e stendili tutti, Eikhe” la incoraggiò lui, sogghignando.

“Mi basterà stenderne uno” scrollò le spalle lei prima di guardare Liar. “Andiamo, bello mio. Comincia la festa.”

In un attimo, gli occhi di Eikhe tornarono a essere attenti e sicuri, non più lo sguardo della madre amorevole, ma della guerriera tenace e fiera.

Muovendosi al fianco del suo lupo come se fossero stati un’unica entità, sparirono tra gli alberi in un fruscio di pelle e di zampe, scalciate sul terreno morbido della radura.

Sospirando leggermente, Enok mormorò: “Tua madre è davvero splendida, lo sai?”

***

Macchie di viola e di rosso si confondevano con l’azzurro cupo e il blu, annunciando il crepuscolo e il sopraggiungere della sera.

Proprio mentre Enok e gli altri cominciavano a dare i primi segni di ansia di fronte al copioso ritardo di Eikhe, ella comparve dai margini del bosco assieme a Liar.

Insieme, stavano trascinando con fare alquanto scocciato una pesante carcassa di daino, grande almeno il doppio della ragazza.

Subito, Harm e un altro paio di uomini accorsero a darle una mano e lei, sospirando per la gran fatica, esclamò: “Si vede che sono fuori forma! Ci abbiamo messo quasi mezz’ora, per beccarlo.”

“Beh, però mi sembra ne sia valsa la pena” commentò Orgoth, ammiccando all’indirizzo della ragazza.

Sogghignando, lei annuì al mastro ferraio che, assieme agli altri, aveva dato una mano nella costruzione della sua casa.

“Con questo daino, ricaverò una bellissima borsetta per tua moglie, Orgoth, e una cintura per i tuoi utensili. Così, comincerò in qualche modo a ripagarti per il lavoro che hai svolto qui.”

Scoppiando in una grassa risata di gola nel portare la carcassa verso la nuova casa di Eikhe, l’uomo replicò: “Andiamo, bambina, pensi davvero che io sia venuto qui per farmi pagare? L’ho già detto a tuo padre. Era un favore personale, tutto qui.”

“Ugualmente, farò ciò che ho detto” ribatté tranquillamente lei. “Non vorrai davvero offendermi rifiutando i miei doni, vero?”

“Non sia mai!” ridacchiò Orgoth prima di scrutare Enok, che li attendeva sulla porta della baita. “Certo che lo hai ammaestrato bene, il ragazzo.”

Sebatt sghignazzò, strizzando l’occhio a Eikhe, che era lievemente arrossita a quel commento.

“Non prendere in giro la signorina! E poi, come si fa a dirle di no?”

“Siete impossibili” brontolò la giovane, correndo via per raggiungere il figlio.

Con poche, rapide falcate, la giovane raggiunse Antalion che, a braccia spalancate e tese verso di lei, strillò felice quando lei lo accolse nel suo abbraccio.

Baciandolo in viso più volte, sussurrò: “Non vedo l’ora di darti da mangiare. Ho il seno che mi sta scoppiando.”

“Non sono cose da dire davanti a un uomo che vorrebbe essere al posto di tuo figlio” ridacchiò Enok, facendola scoppiare in una bella risata di gola.

“Oh, cielo, scusami! Pensate voi alla carne, mentre io lo allatto?” chiese a quel punto Eikhe, accarezzando distrattamente Liar che, nel frattempo, l’aveva raggiunta e stava tentando di arrampicarsi su una sua gamba per leccare Antalion.

“Penseremo noi a tutto. Dobbiamo stare attenti a non rovinare le pelli, giusto?” si informò Enok, tornando serio.

“Sì, grazie” annuì lei, prima di ridere, scacciare a terra Liar e ordinare: “Basta, Liar! Giocherai con lui dopo che ti sarai lavato il muso dal sangue.”

Con un uggiolio spazientito, il giovane lupo se ne andò via a testa bassa verso il ruscello ed Enok, poggiando le mani sui fianchi con aria divertita, celiò: “Sì, sì,… come si fa a dirti di no?”

“Non ti ci mettere anche tu, Enok” brontolò lei, andandosene in casa con il volto in fiamme.

Lui scoppiò a ridere prima di andare ad aiutare gli altri uomini con il daino.

Quell’animale sarebbe stato il piatto forte della loro prima cena all’interno della nuova casa di Eikhe, finalmente ultimata.

Potevano ritenersi soddisfatti del lavoro svolto in quei mesi, perché ora la ragazza poteva contare su una baita dotata di ogni servizio possibile.

Alle finestre – dotate di piccole pannellature di vetro molato a mano – erano state montate pesanti inferriate per proteggerla dall’eventuale attacco di qualche orso troppo zelante.

La porta d’ingresso, composta da due pannelli di quercia sovrapposti, era stata rinforzata con un’intelaiatura di ferro temprato.

L’interno era composto di tre camere, una cucina dotata di stufa in ghisa e un ampio soggiorno, dove sorgeva un enorme camino in pietra.

All’esterno, gli uomini avevano inoltre costruito una piccola stalla rinforzata, sempre a prova di orso, e un recinto per il cavallo.

Il tetto, interamente ricoperto di pietra e fissato con possenti chiodi di ferro, avrebbe retto anche le nevicate più forti e, grazie al forte angolo spiovente, non avrebbe rischiato di trattenere troppa neve.

“Cosa guardi, ragazzo?” chiese a un certo punto Harm, interrompendo le divagazioni di Enok.

Sobbalzando leggermente, il giovane disse: “Oh, nulla. Stavo solo pensando che la casa è venuta bene.”

“Direi di sì. Abbiamo cercato di renderla il più sicura possibile, e penso ci siamo riusciti” annuì l’uomo, afferrando un coltello per eviscerare il daino.

“Credo che Antalion crescerà bene, qui” ammiccò Enok, prima di chiedere: “Penso io a spellarlo?”

“Tu tira, noi teniamo questo bestione” annuì il padre, afferrando una delle zampe dell’animale.

In breve, l’animale fu spellato, eviscerato, infilato su un enorme spiedo, e infine condotto su un trespolo preparato appositamente per la sua cottura sul fuoco.

All’interno della casa, nel frattempo, Eikhe terminò di allattare An prima di metterlo a riposare nella sua cesta di vimini.

Ildera si era premurata di prepararle una piccola scorta di emergenza, per i primi giorni in cui avrebbe abitato nella baita tutta da sola e, tra sé, la ringraziò calorosamente.

Quello che la madre non le aveva offerto, lei glielo aveva donato a braccia aperte.

Pur se non avrebbero mai avuto la stessa opinione sul suo personale stile di vita, ormai avevano imparato ad apprezzarsi vicendevolmente, e questo non sarebbe mai più mutato.

Avrebbe sempre avuto un pensiero gentile per Ildera, anche a distanza di anni.

***

Battendosi una mano sull’ampia pancia, ora rigonfia di cibo e di birra speziata, Nedor sospirò soddisfatto, esalando: “Mai mangiato così tanto in vita mia.”

Dandogli una pacca sul braccio, Harm replicò: “Dubito fortemente che, avendo per moglie la cuoca di un’osteria, tu non abbia mangiato così altre volte.”

Eikhe passò attorno al tavolo versando loro un altro giro di birra, prima di dire a difesa del vecchio amico del padre: “A onor del vero, Lenoria è sempre stata molto attenta a ciò che mangia il marito.”

“Vedi? Ascolta la tua figliola. Lei sì che ha sale in zucca” commentò Nedor, sghignazzando.

“Solo perché ti sta difendendo?” replicò Harm, prima di scoppiare a ridere con il resto del gruppo.

Eikhe sorrise divertita di fronte alla tavola imbandita, e circondata da cinque uomini gaudenti e sfamati appieno.

Con una leggera smorfia ironica, si chiese cos’avrebbe pensato la madre.

Penserebbe che mi sono rammollita, visto che ho chiesto aiuto a degli uomini, pensò tra sé la ragazza, sghignazzando.

Levando il capo a scrutarla curioso, Enok si levò in piedi, cominciando a raccogliere i piatti.

Dandole un colpetto con la spalla, sussurrò: “Come mai quella faccia?”

“Pensieri profondi” replicò lei, facendo spallucce, prima di udire a sorpresa lo scalpiccio di un cavallo nella radura antistante la baita.

Tutti i presenti si azzittirono di colpo ed Enok, lasciati da parte i piatti, si affrettò ad andare alla finestra, subito seguito a ruota da Eikhe.

Al colmo dello stupore, e vagamente preoccupata per l’ora tarda – la notte era scesa ormai da tempo – uscì di gran fretta dalla baita per raggiungere cavallo e cavallerizza, esalando sgomenta: “Sendala, per tutti gli dèi, che ci fai qui?!”

Smontata dalla sella con un volteggio elegante e fluido, la giovane si sistemò la treccia dietro la schiena e, con un gran sorriso, esclamò: “E’ questo il benvenuto che dai alla tua nuova coinquilina?”

Gli uomini, che erano usciti fuori da casa quasi calpestandosi l’uno con l’altro per la fretta, osservarono confusi le due giovani accanto al cavallo mentre Eikhe, a occhi sgranati, esalava al colmo della sorpresa: “Ma che stai blaterando?”

Con una scrollata di spalle, e indicando con il pollice la sella del cavallo – completamente sguarnita di sacche da viaggio – Sendala si  limitò a dire: “Mi sono fatta sbattere fuori dal villaggio, esattamente come te.”

La figlia sacra sollevò ironica un sopracciglio e, indicandole la pancia piatta e abbracciata da una pesante cintura di cuoio scuro, replicò serafica: “Dubito che sia esattamente come me.”

Seguendo il suo dito, Sendala ridacchiò imbarazzata.

“Beh, insomma, non proprio per lo stesso motivo, ma quasi.”

Nello scuotere il capo con espressione esasperata e affettuosa assieme, Eikhe poggiò le mani sui fianchi e borbottò: “Cosa devo fare, con te? Non volevo che ti cacciassi nei guai per me.”

“Non l’ho fatto solo per te, ma anche per me stessa” replicò Sendala tornando seria. “Sono stanca di regole a cui non credo più. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che sta accadendo nei villaggi di donne-lupo, ma le Anziane non vogliono capirlo. Beh, io non rimarrò là ad aspettare che aprano gli occhi, perciò ho deciso di venire via, mandando alla malora tutto e tutte.”

“E tua madre?” le chiese gentilmente l’amica, mentre gli uomini alle loro spalle ascoltavano curiosi la storia della ragazza.

Ridacchiando con fare da cospiratore, Sendala ammise: “Questa è la parte più divertente. Mamma era d’accordo con me, ma non poteva mandarmi via così semplicemente, così mi ha presa per un orecchio nel bel mezzo della via, mi ha praticamente sbattuta dentro casa urlandomi dietro di tutto e poi, una volta al riparo dagli sguardi di tutte, ha preso la sferza e ha cominciato a picchiare il letto, mentre io mi lamentavo e imprecavo al suo indirizzo.”

Concedendosi un risolino, Eikhe chiosò: “Riana è sempre stata mitica.”

“Eh, già. A mamma è spiaciuto vedermi andare via, ma sapeva che venivo da te, quindi era tranquilla” scrollò le spalle Sendala, prima di guardare oltre la figura di Eikhe e ironizzare: “Ti sei data alla pazza gioia, tesoro?”

Gli uomini al gran completo scoppiarono a ridere mentre la figlia sacra, arrossendo leggermente, replicava: “Ma dai, che vai a pensare?! Mio padre te lo ricordi, no? Gli altri sono suoi amici, e mi hanno aiutato con la costruzione della baita.”

Accigliandosi leggermente, Sendala li squadrò bene uno per uno, prima di aprirsi in un sorriso di riconoscimento.

“Ah, ora ricordo un paio di loro! Scusa, sono venuta così poco, qui, che alcuni non li ho proprio visti.”

Avvolgendole la vita con un braccio, Eikhe la scrollò leggermente, dicendo: “Beh, allora, benvenuta a casa, amica mia.”

“Grazie” le sorrise lei, prima di indicare col capo il suo cavallo e chiedere: “Dove posso infilare Kray?”

“Nella stalla c’è posto anche per lui” le spiegò l’amica, indicandogliela.

Rivoltasi poi al lupo di Sendala, aggiunse: “Epos, vai dentro a giocare un po’ con Liar. Si sente solo.”

Il lupo in questione, annuendo con il bel muso grigio, trotterellò in casa oltrepassando lo schieramento di uomini senza neppure fare loro caso.

Abbracciando infine di slancio l’amica, Eikhe esclamò: “Sono così felice di saperti qui, Sendala!”

“E io di essere venuta” le sussurrò lei, stringendola con calore.

***

Dopo le presentazioni di rito e i commenti più o meno spiritosi sull’arrivo a sorpresa di Sendala, gli uomini si avviarono verso l’uscita della baita con il chiaro intento di tornarsene a casa.

Sulla porta, Enok si volse a sorridere ad Eikhe, dicendo: “Sono contento che tu non sia da sola, qui nel bosco.”

Dandogli una spintarella nel sorridergli benevola, lei replicò: “Dimentichi spesso che, assieme a me, avrei sempre avuto Liar e la mia fida daga da guerra.”

Con una scrollatina di spalle, lui si limitò a dire: “Due daghe e due lupi, sono meglio di uno.”

“Vero. Ora vai, però. E’ tardi” dichiarò Eikhe, tornando seria.

“Potrò venire a trovarti ugualmente, anche se la casa è finita, e tu mi hai rifiutato il più grande dei regali?” ammiccò a quel punto Enok, sollevando le belle sopracciglia arcuate.

Ridacchiando, lei lo spinse fuori di casa.

“Potrai venire tutte le volte che vorrai, basta che la pianti con questa storia.”

“Come vuole lei” scherzò il giovane, esibendosi in un frivolo inchino. “E’ stato un piacere conoscerti, Sendala. Buonanotte a entrambe voi.”

“Buonanotte a te, Enok” mormorò Sendala, salutandolo con un cenno della mano mentre lui balzava sul cavallo prima di lanciarlo al trotto per raggiungere il resto del gruppo, già avviatosi verso Marhna.

Dopo aver atteso che anche l’ultima ombra dei loro cavalli fosse scomparsa nel bosco, Eikhe chiuse la porta, sprangandola.

A quel punto, volgendosi in direzione di Sendala, intrecciò le braccia sotto il seno e disse: “Ebbene? Dimmi quello che ti frulla nella mente.”

“E’ carino” commentò solo lei, sbuffando comicamente.

“Non è Aken, e lui lo sa” replicò l’amica. “Ma mi fa piacere avere la sua amicizia. Pensi sia sbagliato?”

“Affatto. Mi è sembrato un bravo giovane e, quando è andato a dare un bacio ad Antalion prima di andarsene, l’ho guardato ben bene. Adora tuo figlio, e questo non può che deporre a suo favore” scrollò le spalle Sendala, seria in viso.

Senza dire nulla, Eikhe si recò al camino per buttare alcuni ceppi di legno nel fuoco.

Direttasi poi verso la stanza che avrebbe diviso con Sendala, almeno fino all’arrivo di un nuovo letto per lei, si tolse la tunica e mormorò: “Non posso farci niente se il mio amore per Aken è così forte, ma quasi mi sembra di fargli un torto.”

“Sei stata onesta con lui” ribatté Sendala, imitando l’amica. “Se gli avessi mentito, quello che sarebbe stato un torto vero e proprio.”

Eikhe le sorrise grata, lieta che l’amica fosse lì a consolarla con le sue parole.

Ammiccando al suo indirizzo, disse: “Sarò egoista, ma sono contenta che tu ti sia fatta sbattere fuori dal villaggio.”

Ridendo sommessamente per non svegliare Antalion, che dormiva saporitamente nella culla, Sendala si infilò sotto le pesanti coltri di pelliccia e celiò: “L’ho sempre detto che sei matta, tu.”

“Allora, siamo un’accoppiata vincente, perché neppure tu scherzi” replicò la figlia sacra, scivolando sotto le coperte pesanti prima di poggiare il capo sul guanciale.

“Buonanotte, coinquilina.”

“Buonanotte a te, figlia sacra” disse sommessamente Sendala, sorridendole dall’altra parte dell’enorme letto a due piazze.

Con un sorriso, Eikhe chiuse gli occhi e si assopì e, per la prima volta da mesi, non sognò. E di questo fu molto grata.

 

 

 

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N.d.A.: Piccolo spaccato della vita di Eikhe. Dal prossimo capitolo, comunque, tornerà anche Aken.
  
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