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Autore: xhellsangel    19/12/2011    3 recensioni
Dicono che gli opposti si attraggono, pensavo fosse una grande cazzata.
Marta. Sedicenne -quasi diciassettenne- con una vita normale, da quest'ultima non pretende niente. Sa che non può avere tutto, ma ciò che può avere, lo pretende. Non è mai stata innamorata, è in uno stato di credo/non credo in questo sentimento.
Mattia. Diciassettenne irritante come pochi, attraente come nessuno. Non cerca niente di serio nella vita, si diverte a cambiare le ragazze come un paio di mutande, poiché è estremamente consapevole delle sue doti. Vuole divertirsi, solo divertimento.
Cosa potrebbe succedere se le loro vite si incrociassero?
Disastro.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5:
nemici all'attacco


 

Il lunedì mattina era sempre qualcosa di tremendamente orrendo, era come dover scegliere tra la nutella e l'insalata: ovviamente la prima opzione.
In questo caso, il paragone con la nutella era il mio bel letto accogliente e, l'insalata, quella fottuta sveglia che non vedevo l'ora di fracassare contro il muro. 
Mi tirai le coperte sulla testa, poco m'importava del fatto che mi mancasse l'aria li sotto, volevo solo dormire, almeno altre cinque ore. 
Dio mio, quella sensazione di pace col mondo, di caldo accogliente, quel calore fisico che ieri -invece- avevo provato metaforicamente durante il bacio con Morici.
Il bacio.
Mi passai istintivamente la lingua sulle labbra, sembrava ancora sentirne il sap..
- Nononono - gridai alzandomi a sedere, catapultando le coperte per terra.
Dio, no, tutto ma non questo. 
Sembravo una bambina di quattordici anni che si ritrovava ad avere a che fare con i propri ormoni, avendo il desiderio di scoparsene uno al giorno. 
Era facile, non dovevo pensarci, ne a lui, ne ai suoi modi da cafone rompicoglioni.
Con tutta la lentezza di cui ero dotata, entrai in bagno sotto forma di zombie e aprii il getto d'acqua del lavandino.
Fredda.
Mi serviva acqua fredda e, quando l'acqua che fuoriusciva dalla fontana fu abbastanza fredda, abbassai il capo e mi idratai il viso.
Mi passai le dita sulla fronte quasi volessi cancellare tutto ciò che conteneva, o almeno, solo i ricordi del giorno precedente.
La mia pelle congelava mentre dentro stavo andando a fuoco, fantastico.
Chiamate dei pompieri, qui c'è rischio incendio.
- Basta - urlai al mio riflesso nello specchio. Stupendo, parlavo anche da sola.
- Marta, tesoro, stai bene? - certo, ci mancava solo mio padre che adottava i ruoli da genitore preoccupato.
Sbuffai. Quando volevo casa vuota, c'era sempre lui.
Ero sempre sola tranne quando lo desideravo, bella merda.
- Mai stata meglio - mentii a fin di bene.
A mio padre non interessavano le mie lagne da adolescente, quindi, valeva la pena risparmiargliele.
Quando mi ero ritrovata ad affrontare le mie primi crisi adolescenziali, o i primi problemi di cuore, come vogliamo chiamarli, mi ero appena trasferita da mio padre. 
Apprezzavo i suoi sforzi, quando fingeva di darmi ascolto. 
Ero cresciuta senza una figura femminile pronta a darmi supporto, quando mia madre mi chiamava, sembrava lei l'adolescente in piena crisi.
Ero io quella che doveva subirsi le sue lagne, poiché secondo lei, il suo compagno non le dava le giuste attenzioni.
Non l'avevo mai sentita come una madre, Carla -l'avevo sempre chiamata per nome-, più che altro era come una sorella.
Anche prima ancora che divorziasse da papà, mi tirava dal letto la domenica mattina per accompagnarla a fare shopping. 
Mi ero sempre sentita esclusa dal mondo dell'infanzia, quello nella quale la madre del bambino accompagna il proprio figlio a scuola e tanto se ne va quando il bambino, dopo averle dato un bacio, entra nella scuola.
Carla non si era mai proposta per accompagnarmi a scuola, c'era il servizio pulmino per quello.
Mia madre -solo biologicamente- mi aveva aiutata a diventare la ragazza che ero oggi, forte, senza aver bisogno dell'aiuto di nessuno e, soprattutto, dipendente da nessuno. 
Avevo iniziato davvero male la settimana, decisamente.
Infilai un paio di jeans e una t-shirt nera con le Adidas nere, abbigliamento in accordo con il mio stato d'animo, perfetto.
Non avevo voglia di fare colazione e, quindi, mi precipitai verso la porta d'entrata già con la borsa issata in spalla.
- Vedo che sei di fretta - affermò papà affacciandosi dalla porta della cucina.
- Si, papà.-
- Avevo un regalo per te, vabbé, vuol dire che te lo darò stasera.- 
In altre circostanze avrei insistito per sapere almeno cosa fosse, ma quella era una circostanza al quanto particolare.
Sospirai scollando le spalle.
- Vabbene, ciao.- mormorai chiudendomi la porta alle spalle.
 
 
Era stressante il fatto che, nonostante stessimo al quarto anno, continuassero a dividerci quando si manifestava la mancanza di un professore.
Era stressante il fatto che, nonostante non stessimo facendo niente, continuassi a muovere meccanicamente il piede accavallato sulla mia gamba.
Gio al mio fianco mi guardava di sottecchi, non le entrava in testa il fatto che non avessi niente.
Oggi era un giorno stupendo, filava tutto liscio come l'olio. Certo.
- Che cazzo hai, Marta? - l'ennesimo tentativo di Giorgia. 
Purtroppo mi conosceva troppo bene per bersi il mio 'va tutto bene'.
Una delle poche persone che mi conosceva fin troppo bene e questo a volte era un mio svantaggio.
- Niente Giorgia, credimi.- sbuffai continuando a sventolare il piede destro il quale era accavallato sulla gamba sinistra.
La vidi spazientirsi, poiché si girò completamente verso di me.
Le avrei voluto dire cosa avessi, se solo l'avessi saputo almeno io.
- Cazzo Marta, secondo me è per il bacio con Mattia.- sbottò come se niente fosse.
Sgranai gli occhi alle sue parole, tanto per non scoppiarle a ridere in faccia.
Fortunatamente non era in quella classe con noi, forse qualcuno dall'alto aveva voluto mandarmi una grazia.
Avevo baciato decine di ragazzi, che mi sarebbe mai potuto importare di un suo bacio?
- Dio Giorgia, no, non m'importa un cazzo di Morici e lo sai bene.- 
- Non me la conti giusta, nono.- 
Non potevo resistere ancora chiusa in quella classe, avevo bisogno di rimettere.
Esagerata, mi dissi io stessa. 
Fatto restava che non era da me stare seduta da brava, senza fare un giro per i corridoi. 
- Prof, posso andare in bagno? - chiesi alzandomi in piedi.
Vidi un bambino di seconda sorridermi, sfigato. 
Gli risposi con una smorfia, la quale corrispondeva a mandarlo a quel paese.
- Vai - rispose la vecchia scrollando le spalle. 
Non me lo feci ripetere una seconda volta ed uscii da quell'insulsa classetta, richiudendomi la porta alle spalle e guardando il corridoio come se fosse il più lussuoso degli hotel. 
Mi avviai verso i bagni delle ragazze, senza entrarci, e rimasi fuori alla porta appoggiandomi con un braccio al muro.
- Martuccia bella, pensavo ci avessi lasciate sole oggi, non sei proprio uscita dalla classe.- 
- Non mi andava.- risposta da telegramma.
Non ero mai stata un'alunna modello, studiavo un po', tanto per essere promossa e stavo più fuori che dentro alla classe.
Prima della separazione dei miei, alle scuole medie, ero un'alunna modello. 
Dopo la loro separazione, si erano devastati tutti i miei equilibri e avevo iniziato a non studiare.
- Ehi, splendore - sentii qualcuno appoggiare le mani sul mio ventre, al di sotto della t-shirt, la quale si era scostata stando appoggiata al muro. 
Riconobbi all'istante il calore di quelle mani. 
Mi girai di colpo sentendo la risata del mio migliore amico infrangersi contro la mia guancia, sulla quale aveva appena stampato un bacio.
- Staccati da dosso, stupido - borbottai girandomi.
- Quanta dolcezza nanetta - sbuffò. 
Davide Zanetti, lo conoscevo praticamente da tutta la mia vita.
C'era stata una specie di storia -se così si poteva chiamare- in seconda media.
Dopo un due settimane passate a sbaciucchiarci, l'avevo mollato. Mi sentivo ancora tutt'ora in colpa.
Dave, però, essendo una persona meravigliosa, mi era sempre restato accanto, contro tutto e tutti.
Lui e Giorgia erano la mai forza. 
Gli sorrisi gettandogli le braccia al collo per abbracciarlo. 
- Non sono una nana, stronzo - sbottai offesa dopo essermi staccata.
- Si, come no - scherzò lui. 
Sentii la campanella suonare, segno che dovevo ancora trascorrere un'ora in quel carcere minorile.
- Senti nana, io ora devo andare perché la mia classe esce un'ora prima, ci sentiamo dopo - 
- Sempre il solito culone tu, eh? Ciao stupido - borbottai stampandogli un bacio sulla guancia prima di vederlo dileguarsi tra i ragazzi che uscivano dalle aule.
Sfilai dai jeans una moneta, pronta per avviarmi al distributore.
Feci solo qualche passo quando sentii una voce rivolgersi a me.
- Prima o poi devi organizzarmi un appuntamento con il tuo amico - trillò la mia amica.
Sorrisi continuando a camminare.
Dave era un bel ragazzo, bruno con gli occhioni marroni. 
Ero gelosa di lui tanto quanto lui lo era di me, era un fratello per me, un fratello rompicoglioni, decisamente.
Svoltai il corridoi per raggiungere il distributore ma quello che vidi non mi piacque.
O meglio, chi vidi.
Appoggiato al distributore in tutta la sua strafottenza, mentre sorseggiava da una lattina di the. 
Mi avviai verso lui, senza voler andare davvero da lui.
Gli passai davanti in modo indifferente, come se lui non fosse lì.
Infilai la moneta nel distributore e selezionai una bottiglina d'acqua naturale. 
Uno.Due.Tra.Quattro.Cinque.Sei.Sette.Otto.Nove.Dieci.Undici.Dodici.Tredici.Quattordici.Quindici.
- 'Fanculo - sbottai spingendo il distributore. 
Si era fottuto di nuovo i soldi senza darmi l'acqua, non poteva essere possibile.
Gli atterrai un altro pugno, ma l'unica cosa che ottenni fu un dolore pulsante nella mano destra.
- Stai antipatica anche al distributore, Cuneo - la sua voce.
Avrei volentieri usato la sua testa per spintonare il distributore, tanto, già gli era partito il cervello.
Dovevo mantenere la calma, come diceva quella canzone? Ci vuole calma e sangue freddo.
- Che cazzo vuoi, Morici? Oggi non è giornata - sbottai serrando le palpebre. 
- Come siamo acide, oggi. Anzi no, sempre per quanto ti riguarda - ghignò lui.
Strinsi i pugni tanto da farmi diventare le nocche bianche. 
Ispirai una boccata d'aria e cercai di far sbollire la rabbia dentro di me, prima che potessi sbollirla a sue spese.
Però, mica male l'ultima idea.
- Dio mio, Morici, quanto cazzo ti odio.- 
Solo lui era capace di istigarmi in quel modo così insulso.
Solo lui sapeva risvegliare in me la mia parte violenta, parte che neanche sapevo esistesse in me.
- Davvero? Eppure non sembrava da come mi hai ficcato la lingua in bocca, ieri - mi irrigidii seduta stante.
- Era solo uno scambio di saliva, eppure sembrava ti fosse piaciuto da come hai serrato gli occhi, sai? - continuò lui.
Da come mi hai ficcato la lingua in bocca.
Solo uno scambio di saliva.
Mi sentii improvvisamente male e, questa volta, per davvero. 
Come se tutto ciò che avessi nello stomaco, qualunque organo o qualunque cosa ci fosse, si attorcigliasse a se. 
Lo guardai disgustata.
Anche per me era stato solo un bacio, niente di eclatante, ma io almeno avevo il coraggio di chiamarlo per nome. Bacio.
- Fai schifo - esclamai disgustata.
Istintivamente cercai di afferrargli la lattina di tè che aveva tra le mani, per rovesciargliela addosso. 
Tuttavia, non calcolai la sua altezza -e la sua forza- maggiore della mia e, il tè, si rovesciò sulla maglietta della sottoscritta.
Quel ragazzo aveva i minuti contati.
- Oh-oh - ghignò Morici soddisfatto.
- Morici! Cuneo! - dio, non lei, non proprio lei.
- In punizione, entrambi! - trillò l'Abate. 
Quel giorno, decisamente, sarei dovuta restare a casa.
 
 
- Io vado in vicepresidenza, non azzardatevi a mettere un piede fuori di qui - e, a completare il quadretto, quest'oggi il turno delle punizioni era tenuto dall'Abate.
Desiderai sotterrarmi.
Io e Morici non eravamo soli.
In punizione con noi c'erano anche la Cabassi e Facini, anche se ancora non avevo capito cosa facessero lì, no che mi importasse ma..
- Il tempo dobbiamo passarlo, quindi, che ne dite, verità obbligo o salvataggio? - trillò la Cabassi. 
Sbuffai rumorosamente, ancora non mi spiegavo come un tempo potevamo essere amiche, certo, lei era notevolmente diversa.
- Per me va bene - esclamò Facini.
- Andate a fare in culo - si unì Morici. 
Certo, io non volevo essere l'eremita esclusa e, quindi, mi unii a loro.
Iniziò Facini, facendo delle domande idiota a tutti.
Continuai io, punzecchiando la Cabassi e ignorando Morici con una domanda stupida.
Poi fu il turno di Morici che, a sua volta, ricambiò la mia poca attenzione nei suoi confronti.
Infine, per concludere il primo turno, la Cabassi.
- Verità obbligo o salvataggio? - mi domandò.
- Verità - l'obbligo se lo sarebbe sognata, sarebbe stata capace di farmi spogliare davanti a due animali e un'oca. 
- La tua prima volta? - domandò agghiacciante.
Deglutii a vuoto. 
Cosa cazzo voleva dire con quella domanda?
E, soprattutto, cosa le avrei mai dovuto rispondere?
- C-cosa? - brava Marta, complimenti, la carta della  finte imbecille non funziona con lei, dovresti saperlo. 
Mi sorrise, un sorriso che mi ghiacciò anche il sangue nelle vene.
Non poteva saperlo.
- Si, Marta, perché non ci racconti com'è stato farti sverginare da mio fratello al mio sedicesimo compleanno? - e lì, mi sentii morire. 
Ancora una volta, quell'errore, mi stava cadendo addosso, facendomi crollare un muro fatto di menzogne, facendomi soffocare sotto le macerie.
In quell'istante, percepii il cuore sgretolarsi, o almeno, si sgretolarono gli ultimi pezzi rimasti.
Dovevo essere rossa quanto un peperone, ma poco m'importava.
Sentii le lacrime bruciarmi gli occhi e, la vergogna, mangiarmi viva.
Ero sicura che non lo sarebbe mai venuto a sapere, ma certo, lui era sempre suo fratello e chissà quanto se ne era vantato.
Scoparmi ancora vergine e poi, il giorno dopo, ognuno per la propria strada.
Sapevo cosa voleva dire sbagliare e conoscevo anche il significato di pagare per i propri errori.
Per mesi e mesi mi ero sentita uno schifo, non gliene avrei mai parlato per quanto, a quei tempi, fossimo abbastanza amiche.
Massimo, suo fratello, mi aveva promesso che lo stesso avrebbe fatto lui. 
Parole gettate al vento. 
Sentii una morsa al petto, centro-sinistra, proprio dove era deposto il cuore. 
Ero consapevole di quanto dovessi vergognarmi per ciò che avevo fatto, ma dopotutto ero una quindicenne sotto l'effetto dell'alcool e.. e avevo sbagliato.
- I-io..- e la voce mi uscì incrinata per colpa delle lacrime che scalciavano per uscire.
Percepii tutti gli occhi puntati su di me e, alzando lo sguardo, osservai lo sguardo di Morici.
Pena.
Questo ci lessi nei suoi occhi. 
Nessun dispiacere, nessuna preoccupazione, solo pietà e, io pietà, non avrei mai fatto a nessuno. 
Per quanto sarei voluta scoppiar a piangere e affogare nelle mie stesse lacrime, mi astenni dal rendermi ridicola, dal dare a tutti un'ennesima soddisfazione.
- Dai Marta, davvero pensi che non sarei mai venuta a sapere con quanta facilità l'hai data a mio fratello? - continuò ad umiliarmi.
E non potei far altro che star zitta.
Eppure, non ero io quella che si era scopata ben mezza scuola, ma lei.
Io avevo solo commesso un errore, non potevo tornar indietro e non potevo continuar a piangermi addosso. 
Affondai i denti nel labbro inferiore, sicura che avrebbe potuto sanguinare da un momento all'altro. 
Magari il dolore fisico avrebbe potuto attenuare il dolore nello squarcio che si era appena creato nell'animo.
- Cosa state combinato? Tornate subito ai vostri posti - e, per una volta, ringraziai l'Abate che aveva appena fatto capolino alla porta.
Mi alzai senza guardare nessuno negli occhi e mi sedetti più lontano possibile da quegli sguardi indiscreti.
Sicura che domani sarei stata sulla bocca di tutti.
Per qualcuno sarebbe potuto essere un orgoglio essere andati a letto con il fratello della Cabassi, il quale era uno di quelli 'belli e impossibili', ma non per me, non per Marta Cuneo che era sempre stata una ragazzina responsabile e attenta ai propri passi.
Sentii uno strano rumore, come vetro che s'infrangeva, ma capii che l'unica cosa che si stava infrangendo in quel momento, ero io con tutti i miei sentimenti. 

   
 
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