Quinto
Dal tranquillo e
rilassante rettilineo autostradale ci ritrovammo a scappare per le vie della
periferia napoletana. Roberto sembrava abituato all’alta velocità, io invece,
non potevo che sospirare ad ogni auto superata o evitata. I carabinieri ci
raggiunsero in poco tempo e si incollarono al nostro paraurti a sirene
spiegate. Avevo una gran paura, temevo che da un momento all’altro potesse
succedere come nei film e cominciassero a sparare nel tentativo di fermarci,
fortunatamente si limitarono solo a tamponarci cercando di mandarci fuori
strada e di rallentarci.
Quando uscimmo
dall’autostrada ci eravamo infilati in città e nel navigatore satellitare di
Roberto lessi Poggioreale, poi quello schermo fu
l’ultima cosa che lessi, ero intenta ad osservare nello specchietto i
carabinieri che ci inseguivano. In pochi minuti le macchine diventarono due e
più di una volta, una di queste cercò di superarci nel tentativo di sbarrarci
la strada.
Col senno di poi
sarei anche potuta intervenire con le carte di Clow ma la velocità e la paura
mi impedirono di fare qualsiasi movimento all’infuori di quelli per reggermi
ben salda; ancora oggi ricordo la nausea dovuta a tutti quegli scossoni.
Il motore della
macchina era assordante e le gomme fischiavano ad ogni curva alzando di tanto
in tanto fumo bianco maleodorante. Non so se fosse la mia immaginazione ma ad
un certo punto, Roberto si infilò in una stradina più stretta delle altre per
poi sbucare dentro una molto più larga, con varie corsie, circondata da palazzi
oltre i quali mi sembrò di intravvedere il mare e le grandi gru del porto. Non
mi impegnai molto a capire se fosse immaginazione o meno, perché dal verso di
marcia opposto sbucò un'altra macchina dei carabinieri e dopo aver invaso la
nostra corsia, saltando un isola spartitraffico, cercò di tamponarci. A dir la
verità ci colpì di striscio, staccando lo specchietto di Roberto e graffiando
vistosamente l’auto. Fortunatamente il nostro autista aveva buoni riflessi e
riuscì ad evitare di perdere il controllo rendendo vano quel tentativo.
Ricordo che
Roberto fece una curva all’ultimo momento per cercare di seminare i carabinieri
ma ci ritrovammo in una strada piena di macchine in doppia fila e bambini
ovunque. Eravamo in prossimità di una scuola ed era ora di pranzo, i bambini si
riversarono per strada ma invece di rallentare andammo ancora più veloci.
Ricordo di non
aver mai pregato così intensamente in vita mia come quando Roberto riuscì a
fare lo slalom tra decine e decine di bambini che correvano in ogni direzione
per la paura.
Funzionò.
I carabinieri si
fermarono e ci dileguammo per le vite di Napoli il più veloce possibile, ancora
con il cuore a mille.
“Vi lascio
appena siamo in un posto tranquillo, le valige farò in modo di farvele trovare
questa notte. Andate per mezzanotte nella strada che c’è tra il cimitero nuovo
e il cimitero monumentale. I due ingressi sono uno di fronte all’altro e li
vicino ci sono dei cassonetti. Troverete le valige li dietro.” Roberto giudò
per altri minuti e poi si fermò senza dare nell’occhio in una rotonda.”
Scendete nella metropolitana e prendere il primo treno che passa, andate verso il centro, dove ci sono le
comitive di turisti asiatici.”
“Grazie
Roberto.” Non riuscimmo a dire altro perché ripartì subito. In lontananza
sentimmo alcune sirene e seguimmo il suggerimento, scendemmo le scale e, dopo
aver comprato due biglietti al terminale automatico attendemmo il primo treno
che andava in direzione del centro. All’interno della carrozza trovammo due
posti vicini e ci sedemmo accanto ad una signora anziana con il nipotino che
giocava con una console portatile. Non era così affollato come ero abituata a
vedere in Giappone e ricordo che il vagone era alquanto sporco.
“Dove
scendiamo?” Mi rilassai cercando di far rallentare il cuore mentre il treno
cominciava la sua corsa sotterranea.
“Dante.” Li
scrutò attentamente la mappa della metro e penso che abbia scelto una
destinazione a caso. Avevo studiato inglese alle scuole medie ma non ero mai
stata un genio con le lingue straniere, alcune lettere dell’alfabeto
occidentale mi risultavano ignote. Fortunatamente l’istruzione che aveva avuto
Li era di molto superiore alla mia, era un bene averlo al mio fianco. “Dobbiamo
sembrare turisti, quindi dobbiamo accodarci alle comitive come abbiamo fatto a
Roma; sarà necessario fare molta attenzione perché ora sanno tutti che siamo a
Napoli, usare la carta di credito vicino al Vaticano ci ha smascherato e la
sfortuna di aver incontrato i carabinieri ha indicato la nostra posizione
esatta. Ora sanno che siamo in città ed allontanarsi diventerà molto più difficile.”
Tra una fermata
e l’altra la gente continuò a salire e scendere senza badare alla nostra
presenza. Quando arrivò la fermata scelta da Li, attendemmo che si aprissero le
porte del treno e cautamente ci incolonnammo alla folla in direzione delle scale.
La fermata era molto colorata e vivace, c’era molta gente che sostava vicino a
negozietti molto invitanti, alcune pareti erano abbellite da installazioni di
arte moderna, o così pareva, una era molto particolare e rappresentava alcune
sfere di vari colori su sfondo blu, un’altra, invece, rappresentava delle
sbarre di ferro saldati su alcune scarpe, capelli e trenini giocatolo. Molto
strana l’arte moderna.
Dopo aver vagato
un po’ tra un binario e l’altro decidemmo di risalire in superficie sperando
che non ci fossero orde di carabinieri in tenuta antisommossa pronti a
catturarci. Salimmo le scale fino ad una copertura in vetro e acciaio che ci
accompagno sulla piazza Dante, dove troneggiava la statua di Alighieri ed un
palazzo a semicerchio che pareva tanto
un’altra scuola, aveva una torre con un orologio e il tetto era costeggiato da
statue che osservavano la piazza con sguardo saccente. Erano presenti alcune
comitive di turisti che fotografavano la statua e alcuni bambini che correvano
da una parte all’altra inseguendo piccioni, la strada era alquanto trafficata e
c’era un gran viavai di gente; abbiamo avuto fortuna.
“Che facciamo?”
Avevo fame ed una gran sete, la paura mi aveva disidratato.
“Non lo so, ho
usato gli ultimi spiccioli per i biglietti della metro.” Li aveva ragione,
appena arrivati all’Aeroporto di Roma, Roberto l’aveva accompagnato per
cambiare alcuni yen in euro, aveva cambiato solo poche decine di euro così da
non dare nell’occhio, purtroppo li
avevamo già utilizzati tutti. Cambiare di nuovo in qualche banca equivaleva al
dire “Ehi siamo qui, vi stiamo aspettando.”
Senza sapere che
fare cominciammo a camminare lungo il marciapiede. Destinazione ignota. Seguimmo
la folla lungo quella che a tratti era una via trafficata e subito dopo diventava
zona pedonale, a quanto pare ci trovavamo al centro: era pieno di bar, negozi,
pub, uffici, c’erano alcuni palazzi antichi con facciate davvero belle con
grandi colonne e scritte nel marmo. Ricordo che camminammo per quasi mezz’ora,
sembrava che stessimo scendendo a valle. Di tanto in tanto ci si avvicinava
qualche venditore ambulante ma dopo aver fatto capire che non parlavamo
italiano, si allontanavano subito.
Poi ci
ritrovammo in una piazza con una fontana al centro di un rotonda e,
successivamente in una piazza gigantesca sorvegliata da una chiesa che mi
ricordò molto quella di San Pietro al Vaticano, aveva attorno un colonnato,
molto più piccolo di quello romano, ed un ingresso maestoso formato da colonne
e un architrave triangolare, sembrava l’ingresso di un tempio greco; dietro
poi, c’erano tre cupole, due ai lati, piccole, ed una enorme con un croce
cristiana sulla sommità.
“Dovrebbe essere
Piazza del Plebiscito.” Li aveva una mappa turistica in mano e la stava
studiando attentamente.
“Da dove l’hai
tirata fuori?”
“Era in terra.
Si, lo so che non si raccoglie niente da terra, ma siamo in emergenza, sarà
indispensabile averla con noi.”
“Che bella
dormita.” Kerochan aprì lo zaino e mise la testa fuori. Dopo le ferite
riportate il giorno prima, e nonostante tutti gli scossoni dell’inseguimento,
aveva dormito come un ghiro. La cosa non mi stupiva affatto. “Siamo già a
Salerno?”
“Siamo a Napoli,
abbiamo avuto un problemino con i carabinieri.”
“Carra…cosa?”
“Polizia,
problemi con la polizia.” Li ripiegò la mappa e la mise in tasca. Si guardò
attorno e dopo aver frugato in tasca riuscì a tirare fuori qualche spicciolo.
Contammo le monete e scoprimmo di avere
poco più di due euro e sessanta centesimi, quasi duecentosettanta yen. Tropo poco
per riuscire a mangiare e bere in tre.
“Sakura, c’è
qualcuno che sa maneggiare la magia!” Con un rapido movimento Li Kerochan venne
ricacciato dentro il mio zaino perché ci passarono accanto alcuni bambini. Ci
guardammo intorno ma le uniche cose che avevamo davanti agli occhi erano
comitive di turisti, cittadini comuni, piccioni, auto e moto.
“Mostrami la
mano.” Silenzioso come un fantasma si era avvicinato un ragazzo vestito in modo
elegante, aveva la pelle scura e capelli nerissimi, corti, due occhi
altrettanto neri che ti imprigionavano e una postura e presenza che parevano
ipnotiche. Sembrava che dalla sua persona arrivassero vibrazioni, calore,
freddo, tutto insieme, ero attratta come se fosse un magnete. “Posso vedere la
tua mano destra?” Parlava in una lingua sconosciuta, pareva Arabo, ma nella mia
mentre si materializzava l’esatto significato.
“Che vuole
questo tipo, Sakura?” Li cercò di farmi indietreggiare tirandomi per lo zaino
ma riuscii a sfilarlo con un movimento rapido e mi avvicinai ancora di più a
quello strano individuo che mi si era parato davanti. Gli ero vicino tanto
quanto bastava per toccarlo. Era più grande di noi e doveva avere vent’anni o
poco più. Mi porse la mano e comparve un cerchio nero con al centro un numero
romano che rappresentava il due, II. Feci lo stesso e porsi la mano destra
tenendola accanto alla sua. Con molto solletico, nel mio palmo, comparve come
un tatuaggio lo stesso simbolo, identico se non fosse stato per il colore. Il
mio era rosso.
“Che significa?”
Li si mise tra noi due e afferrò il ragazzo, che mantenne la calma, per il
colletto. Il ragazzo mi guardò facendomi capire che non aveva capito nulla di
ciò che le avesse dello il mio accompagnatore. Quindi feci da interpreti e ripronunciai la domanda.
“Quindi, sei tu
l’avversario a non essere a conoscenza delle prove.”
“Quali prove?”
“Non sai davvero
niente?”
Feci di no con
la testa. Il misterioso ragazzo mosse la mano vicino al viso di Li e gli si
illuminarono gli occhi per un istante, appena impercettibile.
“Avete già
mangiato?” Anche Li capì la domanda e lo lasciò andare per mettersi di fronte a
me, nel tentativo di proteggermi. “Mi sembrate stanchi ad affamati, vi propongo
di venire a pranzo, miei ospiti ovviamente, e vi spiegherò tutto. Tranquilli,
non vi attaccherò, io ho il simbolo nero e il vostro è diverso, quindi sarei
eliminato all’istante.”
“Fidiamoci.” Kerochan
sbucò di nuovo dallo zaino e lo scrutò attentamente. “E’ un essere in grado di
maneggiare i poteri magici ma non emana vibrazioni negative, non è ostile.”
“Ascoltate il
guardiano mostriciattolo.”
“Conosci
Kerochan?” La mia domanda era d’obbligo.
“Lo letto molto
sui suoi poteri, se non sbaglio questa non è la sua vera forma, solo quella…tascabile. Giusto?”
“A chi hai
chiamato mostriciattolo tascabile!? Ripetilo se hai il coraggio brutto figlio
di papà viziato!” Kerochan gridò con tutto il suo fiato ma Li lo ricacciò
dentro lo zaino prima che qualcuno potesse notarlo. Non potemmo che ridere alla
visione di quella scenetta.
“C’è un
ristorante carino qui vicino, piccolino, ma cucinano divinamente.” Il ragazzo
cominciò a camminare in direzione del locale. Non potemmo che seguirlo, diciamo
che io venni trascinata dall’influenza enigmatica di quella persona. L’avevamo
appena conosciuto, eppure mi sembrava di averlo sempre avuto intorno a me,
conosceva il mio segreto e la magia, era una specie di cugino.
“Il tuo nome?”
Fu Li a fare la domanda, sembrava che non si fidasse.
“Mi chiamo
‘Adel.” Rispose senza nemmeno voltarsi.
“Turco?”
Cominciava a non piacermi il tono di Li.
“Emirati Arabi
Uniti, sono nato nell’emirato di Abu Dhabi, ma grazie al lavoro di mio padre ho
residenza in tutti e sette.”
“Allah, al-Waṭan, al-Ra’is” Il tono di Li mi piaceva sempre di meno.
“Esatto: Allah, Patria, Presidente,vedo che sei…colto.”
“Mi piace la
storia contemporanea e gironzolare su Wikipedia.”
Seguimmo ‘Adel
fino ad un ristorante che si affacciava sulla via che avevamo appena percorso
io e Li. Entrammo nel locale e, tra i tavoli, venimmo accolti da una ragazza
carinissima che ci accompagnò al nostro posto e ci porse i menù prima di andare
ad accogliere altri clienti entrati poco dopo di noi. Anche se pur sapendo che
non potevamo abbassare la guardia, cercammo lo stesso di rilassarci e la cosa
ci venne piuttosto bene quando ordinammo dei piatti di pasta giganti. Noi
ordinammo delle bibite normali ma ‘Adel ordinò del vino e cominciò a
sorseggiarlo con gusto.
“Sei giapponese,
giusto?” ‘Adel posò il bicchiere e si pulì la bocca con il tovagliolo.
Armeggiava le forchette da maestro mentre io Li avevamo un po’ più di problemi
nel portarci l’antipasto alla bocca. “Mi risulta che Clow Reed fosse di origine
cinese.”
“Ho trovato le
carte di Clow dentro un libro nella biblioteca di mio padre, non so come ci sia
finito, ipotizzo che essendo un professore universitario possa esserselo
procurato durante le sue ricerche. Ho acquisito i poteri e non nascondo che
ancora oggi non so come utilizzarle al cento per centro, a dir la verità non ne
trovo motivo.”
“A differenza
tua, io ho sempre saputo di essere discendente di una famiglia di stregoni. I
miei antenati erano nomadi e quindi si muovevano ogni qual volta che avevano
necessità di viveri, denaro, eccetera. Durante gli spostamenti andavano di
città in città e si incontravano con altre persone con i poteri – sembra che
non fosse così strano nell’antichità – e si scambiavano conoscenze acquisendo
reciprocamente capacità magiche ed altre conoscenze. Ovviamente in famiglia c’e
sempre stata la tradizione di tramandare tutti i saperi della tribù, niente
escluso; negli anni poi c’è stata la necessità di stabilirsi da qualche parte e
la storia mi ha insegnato che decidemmo di stabilirci negli Emirati Arabi,
anche se al tempo non erano ancora uno stato. Successivamente, in tempi
recenti, i componenti della mia famiglia hanno utilizzato le loro capacità per
creare servizi e lavoro che, come dire, ci hanno fruttato fortuna, in famiglia
non abbiamo di certo problemi di soldi.”
“Ma non mi dire,
non si notava mica.” Li osservava i tavoli vicini senza nemmeno guardare colui
che ci aveva invitato a pranzo.
“Puoi scusarci
un momento, ‘Adel?” Presi Li e lo trascinai in strada. Si divincolò dalla mia
presa quasi subito con un gesto di stizza ed incrociò le braccia voltandosi da
tutt’altra parte. Che voglia di prenderlo a schiaffi!
“Io non avevo
finito di mangiare!” Li stava davvero rischiando di essere picchiato sul serio.
“Che cos’hai? Perché
ti rivolgi a lui con quel tono odioso?”
“Non mi fido!”
Sbottò lui.
“Non ti fidi di
‘Adel?”
“Pensaci! Si è
avvicinato come una lince, avrebbe potuto ucciderci in un attimo se tu non
avessi avuto quella specie di tatuaggio di un colore diverso dal suo. Và
considero come un nemico, penso che siamo capitati dentro qualcosa che va oltre
il fatto dell’omicidio del Signor Suzuki, comincio a pensare che sia stato solo
un diversivo, o peggio, un metodo per attirare la nostra attenzione.”
“Non ti nascondo
che anche io ho avuto questa sensazione, fatto sta che non è un buon motivo per
trattare male la persona che ci sta offrendo il pranzo. Inoltre siamo in una
città ed in uno stato straniero, non conosciamo ne la lingua ne il posto,
abbiamo bisogno di qualcuno che sia nostro amico. Non possiamo più contare su
Roberto e avere ‘Adel ci farebbe molto comodo.” Bloccai Li che cercava di
rientrare nel ristorante. “Sento che possiamo fidarci.”
Ci guardammo per
alcuni secondi negli occhi. Ho cercato di fare lo sguardo più serio che potessi
ma sono sicura di aver fatto solo la figura della scema. Come per darmi il
contentino, Li entrò calmo nel ristorante cercando di essere il più naturale
possibile.
“Che cos’è?”
Dissi io ancora prima di sedermi di nuovo al tavolo, mostrando il segno che
avevo nella mano e che, sembrasse, comparire solo in sua presenza. Li mi aveva ricordato
quel dettaglio, non so perché ma mi ero totalmente dimenticata a causa del
fascino di quel ragazzo e della storia della sua gente. A dir la verità ciò che
ci raccontò fu molto di più ma non ricordo bene ogni singolo dettaglio, non
sono mai stata un genio in storia. Presi di nuovo posto e il tatuaggio sparì.
“E’ un torneo.
Non come quelli che vedi nei film ma ci siamo.” ‘Adel, finì un altro bicchiere
di vino.
“Stai
scherzando, vero? A Roma ci hanno attaccati, sono morte delle persone, è stato
distrutto un argine e ci sono ancora dispersi, il tutto per un fottuto torneo
tra maghi?” Senza accorgersene, credo, Li gridò.
“Non è un
torneo, è Il Torneo Haab.” ‘Adel non si scompose. “Tutti i maghi,
stregoni, sciamani, sacerdoti e alchimisti di ogni tempo e terra, sono a
conoscenza di questo torneo, un incantesimo lo invoca e viene data la
possibilità ad ogni persona dotata di certe conoscenze, l’onore di
parteciparvi, sta a lei decidere se farlo o no.”
“Che significa Haab?” Chiesi io.
“Il primo torneo
risale ai Maya e agli Atzeki, la leggenda narra che
tra gli sciamani e gli stregoni di varie città e villaggi ci fosse malcontento,
uno dei più saggi creò la formula per il torneo Haab. Questo prende il nome dal
ciclo di 365 giorni del calendario Maya e si deve arrivare ad un vincitore
entro i giorni del ciclo, pena, la morte di tutti i concorrenti. Erano
abbastanza drastici questi Maya. La chiamata era inclusa nell’incantesimo
stesso e tutti i concorrenti avrebbero saputo dove si sarebbero svolte le
prove.” ‘Adel accolse con un sorriso i piatti di pasta che ci venivano messi
sotto il naso e, se pur a tratti con la bocca piena, continuò la spiegazione.
“Nei secoli l’incantesimo è stato modificato, a volte semplificato, altre reso
più complicato per accogliere più concorrenti e, in tempi moderni, affinché la
chiamata fosse nascosta, in modo che le persone prive di poteri non potessero
sapere dello svolgimento del torneo. Si tratta però di una soluzione drastica,
molto recente, dato che ormai le persone che riescono a padroneggiare le
conoscenze adatte per partecipare si contano sulle dita delle mani. E’
necessario creare una chiamata diversa per ogni persona che parteciperà al
torneo, sperando che questa recepisca il messaggio. Un tempo il torneo era
pubblico e il vincitore otteneva gloria eterna e poteri infiniti che gli
sarebbero serviti per incontrarsi con gli dei e fiancheggiarli; attualmente
l’incantesimo permette poteri infiniti solo per un sole, ovvero dall’alba del giorno successivo alla vittoria fino
all’alba successiva. Praticamente si è un dio per un giorno intero.”
Non nascondo che
ero sconvolta, non riuscivo nemmeno a mangiare.
“Qual è stata la
tua chiamata?” Chiese Li.
“A dir la verità
ho sentito da subito che venivo attratto dall’Europa, poi ho cominciato a
riscontrare stranezze, sogni particolari dove apparivano sempre le tre piramidi
della piana di Ghiza, al Cairo. Ho fatto delle
ricerche e mi sono consultato con alcuni parenti, anch’essi dotati di
conoscenze. Alla fine sono partito e ho affrontato il mio avversario ai piedi
della sfinge si è arreso.” ‘Adel finì sorridente la usa porzione di pasta al
sugo.
“C’è la
possibilità di arrendersi?” Cominciavo ad essere un po’ più sollevata.
“Certo.
Ovviamente chi partecipa sa che è molto pericoloso e partecipa con uno scopo
importate, che può portare a compimento solo con la vittoria dell’Haab. Se però
durante il torneo arriva ad un punto tale da rischiare la vita e, il gioco non
vale la candela, può arrendersi.”
“Qual è il
motivo per il quale partecipi?”
“E’ complicato
da spiegare e non so se potete capire, piuttosto, sono curioso di conoscere la
vostra di chiamata.”
“Ci hanno
accusati di omicidio. Siamo venuti in Italia perché volevamo capire meglio la
situazione, a Roma abbiamo incontrato un tipo che ci ha attaccato e mi sono
difesa. Quando però l’ho attaccato io è sparito e non si è più fatto vedere.
Spero di non averlo ucciso.”
“Sarebbe rimasto
il cadavere, dovete sapere che l’incantesimo, tra la varie modifiche, permette
di farti arrendere in automatico se sei ferito in modo così grave da non poter continuare
la lotta.” ‘Adel ci sorrise e il cameriere si avvicinò con il secondo, carne
alla piastra. “L’accusa di omicidio è la prima volta che la sento come
chiamata. Però mi pare sensato, voi venite dall’altra parte del mondo e solo un
fatto così grave vi avrebbe potuto portare fin qui. E’ anche vero che in questo
modo siete costretti a vincere per
riportare tutto alla normalità; piuttosto, perché siete in due?”
“Siamo entrambi
dotati di poteri. Io sono il discendente genetico di Clow Reed, lei invece ha
acquisito i poteri in un, come dire, incidente. Penso che siamo qui per questo
motivo: entrambi i discendenti sono ancora in vita, ma solo uno è il destinato
al torneo.” Fu Li a rispondere alla domanda e finalmente abbandonò quel tono
irritante, inoltre aveva detto una cosa sensata, il suo ragionamento filava. “E
perché sono stato trascinato qui contro la mia volontà.”
Parlai troppo
presto e dopo quell’ultima frase di Li non gli rivolsi la parola per tutto il
resto del pranzo. Ero talmente furiosa da non riuscire nemmeno a mangiare una
sola briciola in più. Torturai tutti i fazzoletti e i tovaglioli presenti sul
tavolo finché ‘Adel, sempre con il sorriso sul viso, non pagò il conto con
tanto di carta di credito dorata. Durante il resto del pranzo Li gli aveva
spiegato per bene la nostra situazione e si offrì di ospitarci nella casa che
aveva preso in affitto. Ovvio che non potevamo accettare ma si fece talmente
insistente che per farlo stare zitto non potemmo che seguirlo fino
all’appartamento. Aveva trovato alloggio in un palazzo vicino ad un’area
militare, visto dall’alto il palazzo risultava tra l’aeroporto e il centro
direzionale dove c’era la stazione dei treni; notammo di aver avuto un altro
colpo di fortuna perché il cimitero, dove avremo dovuto recuperare le valigie,
era proprio li vicino; durante il tragitto ‘Adel ci spiegò di aver preso casa
proprio li perché se avesse avuto bisogno di partire immediatamente sarebbe
stato a pochi isolati dai grandi mezzi si trasporto.
“Prendetevi la
libertà di fare come se fosse casa vostra. Tanto non è nemmeno mia.” ‘Adel aprì
la porta ed entrammo nel soggiorno bello e luminoso di una casa che, a prima
vista pareva, al quanto piccola. Nel soggiorno era presente anche la cucina e
due divani stavano attorno ad una televisione sul muro opposto. Posò le chiavi
di casa sul tavolo accanto alla cucina ed aprì il frigo per tirare fuori due
lattine di pepsi. “Ormai sono a Napoli da due mesi, il mio nemico è qui in
città ma ancora non sono riuscito ad incontrarlo, evidentemente nel suo ultimo
scontro è rimasto ferito e deve ancora riprendersi. Per questo quando ho
sentito la presenza di Sakura, mi sono avvicinato in modo così sospetto: vogliate
perdonarmi.”
Ci guardammo
intorno e mi venne l’istinto di togliermi le scarpe, notando poi che la casa
non aveva il pavimento in legno, ma in piastrelle rosa, non le tolsi e feci il
solito inchino prima di varcare la soglia, Li e Kerochan, al contrario, era già
andati ad accomodarsi sul divano. Lanciai loro un’occhiata assassina ma ignorarono
la mia minaccia di morte. Aiutai ‘Adel a prender i bicchieri per le bibite e mi
sedetti al tavolo con lui, tirò fuori da un mobile della cucina anche un pacchetto
di patatine e lo mise sul tavolo in modo che potessimo servirci da soli.
“Perché ci
aiuti?” Dato che Li si era acceso la televisione cercai di fare un po’ di
conversazione. “Secondo come va il resto delle battaglie finiremo con l’essere
nemici.”
“Lo so.”
Sospirando aprì il sacchetto delle patatine e mi versò un po’ di pepsi nel
bicchiere. “Sono stato educato ad essere sempre cordiale e ospitale con tutti,
conoscenti e sconosciuti, è più forte di me e non mi va di vedervi come nemici.
Inoltre se ci fosse uno scontro tra noi due io non avrei possibilità di
vittoria. Conosco le qualità e la potenza delle carte di Clow, sono molto
famose tra i conoscenti delle arti magiche. Al tempo della loro creazione erano
due le persone più forti tra i maghi & co.: Clow
Reed, con le sue conoscenze praticamente infinite ed un sorriso perenne sul
viso, e Ferrante Croce, uomo dalle grandi conoscenze arcaiche del sud Italia e
del nord Africa, nonché grande studioso dei misteri Greci e Egiziani. Questi
due era meglio averli come alleati che come nemici, Clow era amichevole mentre
Croce al quanto irascibile e famoso per la sua noncuranza della vita altrui.”
“Li e Kerochan
mi avevano accennato qualcosa del genere.”
“Il numero due
sulle nostre mani rappresenta la prima vittoria, ovvero che abbiamo il diritto
di partecipare alla seconda fase contro un nemico che ha il nostro stesso
simbolo. Il torneo contava otto concorrenti,
vincendo la prima battaglia siamo rimasi in quattro, noi due e i nostri nemici.
Se vinciamo anche questo secondo scontro ci incontreremo nella finale.”
“Non posso
lottare contro di te.”
“Dobbiamo,
altrimenti moriremo. Possiamo però fare un patto.”
“Esponimelo.”
“Utilizzando le
carte di Clow sei la favorita. Potremo lottare per una mezz’oretta e, ad un
certo punto, io mi arrenderò consegnando a te la vittoria del torneo.”
“Potrei
arrendermi io, perché devi farlo tu?”
“Come ho detto
prima, sei la favorita. Inoltre avrai la possibilità di sistemare la situazione
dell’accusa di omicidio e tornare subito a casa.” ‘Adel mangiò alcune patatine
e poi il suo viso si fece molto serio. “In cambio voglio solo che tu possa
esaudire il motivo per il quale partecipo al torneo.”
Era un’idea
geniale sulla carta, ma avevo il presentimento che qualcosa non avrebbe
funzionato. Era permesso truccare la lotta in quel modo? Non sapevo ancora che
cosa voleva ‘Adel in cambio e soprattutto, non sapevo se sarei riuscita ad
arrivare alla finale. Lottare non era il mio modo preferito di far uso delle
carte di Clow, potevo morire o peggio, uccidere qualcuno. Mi sentivo ancora
molto in colpa per ciò che era successo a Roma; la notte prima avevo sognato le
persone che avevano perso la vita, ogni volta mi ridestavo dal sogno ma
continuavano ad apparire; non ero fatta per usare quel potere per far del male
alle altre persone. “Così mi obblighi a continuare il torneo ed io non ho
ancora deciso se andare avanti.”
“Mi piacerebbe
dirti che puoi tirarti indietro ma, avendo affrontato il primo nemico a Roma
non puoi non continuare, se non lo fai il tuo avversario verrebbe a cercarti e,
in caso non riuscisse a trovarti il toreo finirebbe senza un vincitore, in questo
modo tutti i partecipanti al torneo morirebbero, te compresa.”
Non si riceve
tutti i giorni la notizia “o combatti o muori”. Rimasi al quanto scossa da
quelle parole di ‘Adel, non riuscii nemmeno a mangiare la pizza che avevamo
ordinato a domicilio e, a detta di Kerochan, era la migliore che avesse mai
mangiato; insieme a li non fecero altro che stare stravaccati sul divano mentre
io e ‘Adel parlavamo e parlavamo. Abbiamo chiacchierato di tutto: lui mi ha raccontato
degli Emirati Arabi Uniti, della scuola e dell’università, dei suoi amici ad
Abu Dhabi e del lavoro part-time che dovrà cominciare a settembre nell’azienda
del padre; io gli raccontai del Giappone e della scuola media, del primo giorno
di scuola superiore, di come ho trovato le carte di Clow e di tutte le
avventure passate nel tentativo di recuperarle; e arrivò la mezzanotte.
Fece capolino
così veloce che non mi accorsi del tempo trascorso. Roberto avrebbe lasciato le
valige proprio in quegli istanti.
“Se vuoi
accompagno io Sakura, conosco la zona e potrei darle un’occhiata, puoi restare
a casa se ti va.” Potete immaginare benissimo cosa risposero Li e Kerochan a
quella proposta di ‘Adel. Esatto: si gettarono nuovamente sul divano!
Ci incamminammo da
soli verso il punto indicatoci da Roberto e in appena venti minuti fummo in una
via circondata da muri alti oltre i quali si intravvedevano strutture funerarie
ancora più alte. Ai piedi dei muri cassonetti qua e la, e decine e decine di
banchetti scheletrici di venditori di fiori vuoti. Nonostante la strada fosse
illuminata da alcuni lampioni con luce gialla/arancione, incuteva un certo
timore. ‘Adel mi spiegò che quella strada tagliava a metà il cimitero della
città e che da una parte si trovava quello antico con le costruzioni
monumentali, per le autorità e per le famiglie più ricche, mentre dall’altra
parte c’era il cimitero nuovo. Finalmente arrivammo nel punto dove i cancelli
dei due cimiteri stavano uno di fronte all’altro. Si poteva riconoscere l’ingresso
più elaborato del cimitero antico e quello più sobrio del cimitero più recente.
Lì vicino due cassonetti uno accanto all’altro; ci avvicinammo senza dare nell’occhio,
anche se la strada era deserta, e dall’ombra recuperammo le valige. Era
mezzanotte e mezza e mi incuriosii il fatto che i cancelli dei cimiteri erano
aperti.
La tasca
frontale della mia valigia era aperta e trovai dentro una busta che non era
stata messa da me. Quando la aprii rimasi sorpresa nel vedere che conteneva
alcune centinaia di euro; osservando meglio trovai anche un biglietto scritto
in ideogrammi da Roberto, ci spiegava che Tomoyo lo aveva chiamato e chiesto di
lasciare noi del denaro della società, inoltre ci lasciava il suo numero di
cellulare e gli auguri di buona fortuna. Non credo che si possa trovare
migliore amica di Tomoyo.
Sentimmo gridare
dietro di noi e quando ci voltammo era apparsa dalla curva una macchina con dei
lampeggianti spenti che ci veniva incontro. Un uomo dal finestrino ci gridava
cose che non capivo mentre il conducente aveva azionato gli abbaglianti per
poterci vedere meglio.
“Polizia.” ‘Adel
indietreggiò di alcuni passi verso i cancelli del cimitero monumentale.
“Che facciamo.”
Appena io finii di pronunciare la frase uno degli uomini scese tenendo la mano
appoggiata al fianco, vicino alla fondina della pistola.
“Sakura Kinomoto?” Sebbene con un accento strano il poliziotto
aveva detto il mio nome e mi gelai in quella posizione. Fece alcuni passi verso
di me e mi sentii in trappola, pronunciò altre volte il mio nome ma sembrava
aver capito che ero proprio io quella che stava cercando.
“Seguimi!” ‘Adel prese entrambe le valige per il manico e
corse dentro il cimitero monumentale e non potei che seguirlo. Sentimmo dietro
di noi la macchina della polizia che accendeva le sirene e accelerava violentemente.
Riuscimmo a correre per alcuni metri dentro il cimitero fino ad arrivare ad una
biforcazione e dalla nostra sinistra sbucò il motivo per il quale i cancelli
erano aperti a quell’ora della notte: una macchina dei carabinieri; appena ci
notarono accesero anche loro le sirene e si misero all’inseguimento.
Cosa ci poteva
essere di peggio? Inseguiti da polizia e carabinieri, fuggivamo a piedi con le
valige sotto braccio e per giunta, in un cimitero buio pieno di statue che ti
guardano dall’ombra. Posso dire con certezza che in vita mia non ci fu più
niente che mi spaventò dopo quella fuga.
P.S.Curiosità
Il nome arabo ‘Adel significa Il Giusto.
L’area metropolitana
di Napoli, secondo il Censis, è la seconda area metropolitana
d’Italia per abitanti ed espansione dopo la Mega regione Lombarda (Milano)
e precede quella di Roma; è il 18°
comune d’Europa per popolazione e l’86° al mondo.
Il Calendario Maya è un antico sistema utilizzato da Maya, Toltechi, Aztechi e da altri popoli dell’America Centrale. Si tratta di un calendario molto complicato e si basa su tre cicli di diversa durata e utilizzo:
- Ciclo Tzolkin,
aveva una durata di 260 giorni.
- Ciclo Haab, aveva una
durata di 364 giorni, più il "giorno fuori dal tempo".
- Lungo computo, indicava il numero di giorni dall'inizio dell'era maya.
Per maggiori informazioni: http://www.marianotomatis.it/index.php?page=count-2012
http://it.wikipedia.org/wiki/Calendario_maya
“I napoletani
discendono dagli dèi, questa è la verità, non sono né greci né oschi né romani, sono dèi. Che per vivere sulla terra si
sono fatti come siamo; un misto di spirito attico grazie agli ateniesi, di
tenacia al lavoro osca, di intelligenza indulgente ed acuta quale si conviene
ad esseri divini.”
Paolo Monelli