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Autore: Angemon_SS    20/12/2011    2 recensioni
Il mio primo giorno di scuola superiore fu alquanto movimentato. Mi accusarono di omicidio, mi ruppero il naso e feci una visitina al pronto soccorso. Ci furono anche rimpatriate con vecchie facce come quella di merda di Shaorang e la mia vecchia amica Tomoyo. Potevo lasciar perdere le accuse di omicidio ma quando la polizia cercò di arrestarmi dovetti correre verso il luogo dove accadde tutto. Se non sbaglio il colpevole torna sempre sul luogo del delitto, ed oltre l'avventura da Road Movie non dimenticherò mai che ho rischiato di morire e di cancellare un'intera città dalle cartine mondiali. La storia spero vi piaccia però va letta solo da chi è in grado di credere davvero alle carte di Clow Reed e all'esistenza dell'esoterismo del sud Europa. Vostra Sakura
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quinto

 

Dal tranquillo e rilassante rettilineo autostradale ci ritrovammo a scappare per le vie della periferia napoletana. Roberto sembrava abituato all’alta velocità, io invece, non potevo che sospirare ad ogni auto superata o evitata. I carabinieri ci raggiunsero in poco tempo e si incollarono al nostro paraurti a sirene spiegate. Avevo una gran paura, temevo che da un momento all’altro potesse succedere come nei film e cominciassero a sparare nel tentativo di fermarci, fortunatamente si limitarono solo a tamponarci cercando di mandarci fuori strada e di rallentarci.

Quando uscimmo dall’autostrada ci eravamo infilati in città e nel navigatore satellitare di Roberto lessi Poggioreale, poi quello schermo fu l’ultima cosa che lessi, ero intenta ad osservare nello specchietto i carabinieri che ci inseguivano. In pochi minuti le macchine diventarono due e più di una volta, una di queste cercò di superarci nel tentativo di sbarrarci la strada.

Col senno di poi sarei anche potuta intervenire con le carte di Clow ma la velocità e la paura mi impedirono di fare qualsiasi movimento all’infuori di quelli per reggermi ben salda; ancora oggi ricordo la nausea dovuta a tutti quegli scossoni.

Il motore della macchina era assordante e le gomme fischiavano ad ogni curva alzando di tanto in tanto fumo bianco maleodorante. Non so se fosse la mia immaginazione ma ad un certo punto, Roberto si infilò in una stradina più stretta delle altre per poi sbucare dentro una molto più larga, con varie corsie, circondata da palazzi oltre i quali mi sembrò di intravvedere il mare e le grandi gru del porto. Non mi impegnai molto a capire se fosse immaginazione o meno, perché dal verso di marcia opposto sbucò un'altra macchina dei carabinieri e dopo aver invaso la nostra corsia, saltando un isola spartitraffico, cercò di tamponarci. A dir la verità ci colpì di striscio, staccando lo specchietto di Roberto e graffiando vistosamente l’auto. Fortunatamente il nostro autista aveva buoni riflessi e riuscì ad evitare di perdere il controllo rendendo vano quel tentativo.

Ricordo che Roberto fece una curva all’ultimo momento per cercare di seminare i carabinieri ma ci ritrovammo in una strada piena di macchine in doppia fila e bambini ovunque. Eravamo in prossimità di una scuola ed era ora di pranzo, i bambini si riversarono per strada ma invece di rallentare andammo ancora più veloci.

Ricordo di non aver mai pregato così intensamente in vita mia come quando Roberto riuscì a fare lo slalom tra decine e decine di bambini che correvano in ogni direzione per la paura.

Funzionò.

I carabinieri si fermarono e ci dileguammo per le vite di Napoli il più veloce possibile, ancora con il cuore a mille.

“Vi lascio appena siamo in un posto tranquillo, le valige farò in modo di farvele trovare questa notte. Andate per mezzanotte nella strada che c’è tra il cimitero nuovo e il cimitero monumentale. I due ingressi sono uno di fronte all’altro e li vicino ci sono dei cassonetti. Troverete le valige li dietro.” Roberto giudò per altri minuti e poi si fermò senza dare nell’occhio in una rotonda.” Scendete nella metropolitana e prendere il primo treno che passa,  andate verso il centro, dove ci sono le comitive di turisti asiatici.”

“Grazie Roberto.” Non riuscimmo a dire altro perché ripartì subito. In lontananza sentimmo alcune sirene e seguimmo il suggerimento, scendemmo le scale e, dopo aver comprato due biglietti al terminale automatico attendemmo il primo treno che andava in direzione del centro. All’interno della carrozza trovammo due posti vicini e ci sedemmo accanto ad una signora anziana con il nipotino che giocava con una console portatile. Non era così affollato come ero abituata a vedere in Giappone e ricordo che il vagone era alquanto sporco.

“Dove scendiamo?” Mi rilassai cercando di far rallentare il cuore mentre il treno cominciava la sua corsa sotterranea.

“Dante.” Li scrutò attentamente la mappa della metro e penso che abbia scelto una destinazione a caso. Avevo studiato inglese alle scuole medie ma non ero mai stata un genio con le lingue straniere, alcune lettere dell’alfabeto occidentale mi risultavano ignote. Fortunatamente l’istruzione che aveva avuto Li era di molto superiore alla mia, era un bene averlo al mio fianco. “Dobbiamo sembrare turisti, quindi dobbiamo accodarci alle comitive come abbiamo fatto a Roma; sarà necessario fare molta attenzione perché ora sanno tutti che siamo a Napoli, usare la carta di credito vicino al Vaticano ci ha smascherato e la sfortuna di aver incontrato i carabinieri ha indicato la nostra posizione esatta. Ora sanno che siamo in città ed allontanarsi diventerà molto più difficile.”

Tra una fermata e l’altra la gente continuò a salire e scendere senza badare alla nostra presenza. Quando arrivò la fermata scelta da Li, attendemmo che si aprissero le porte del treno e cautamente ci incolonnammo alla folla in direzione delle scale. La fermata era molto colorata e vivace, c’era molta gente che sostava vicino a negozietti molto invitanti, alcune pareti erano abbellite da installazioni di arte moderna, o così pareva, una era molto particolare e rappresentava alcune sfere di vari colori su sfondo blu, un’altra, invece, rappresentava delle sbarre di ferro saldati su alcune scarpe, capelli e trenini giocatolo. Molto strana l’arte moderna.

Dopo aver vagato un po’ tra un binario e l’altro decidemmo di risalire in superficie sperando che non ci fossero orde di carabinieri in tenuta antisommossa pronti a catturarci. Salimmo le scale fino ad una copertura in vetro e acciaio che ci accompagno sulla piazza Dante, dove troneggiava la statua di Alighieri ed un palazzo a semicerchio che pareva tanto un’altra scuola, aveva una torre con un orologio e il tetto era costeggiato da statue che osservavano la piazza con sguardo saccente. Erano presenti alcune comitive di turisti che fotografavano la statua e alcuni bambini che correvano da una parte all’altra inseguendo piccioni, la strada era alquanto trafficata e c’era un gran viavai di gente; abbiamo avuto fortuna.

“Che facciamo?” Avevo fame ed una gran sete, la paura mi aveva disidratato.

“Non lo so, ho usato gli ultimi spiccioli per i biglietti della metro.” Li aveva ragione, appena arrivati all’Aeroporto di Roma, Roberto l’aveva accompagnato per cambiare alcuni yen in euro, aveva cambiato solo poche decine di euro così da non dare nell’occhio,  purtroppo li avevamo già utilizzati tutti. Cambiare di nuovo in qualche banca equivaleva al dire “Ehi siamo qui, vi stiamo aspettando.”

Senza sapere che fare cominciammo a camminare lungo il marciapiede. Destinazione ignota. Seguimmo la folla lungo quella che a tratti era una via trafficata e subito dopo diventava zona pedonale, a quanto pare ci trovavamo al centro: era pieno di bar, negozi, pub, uffici, c’erano alcuni palazzi antichi con facciate davvero belle con grandi colonne e scritte nel marmo. Ricordo che camminammo per quasi mezz’ora, sembrava che stessimo scendendo a valle. Di tanto in tanto ci si avvicinava qualche venditore ambulante ma dopo aver fatto capire che non parlavamo italiano, si allontanavano subito.

Poi ci ritrovammo in una piazza con una fontana al centro di un rotonda e, successivamente in una piazza gigantesca sorvegliata da una chiesa che mi ricordò molto quella di San Pietro al Vaticano, aveva attorno un colonnato, molto più piccolo di quello romano, ed un ingresso maestoso formato da colonne e un architrave triangolare, sembrava l’ingresso di un tempio greco; dietro poi, c’erano tre cupole, due ai lati, piccole, ed una enorme con un croce cristiana sulla sommità.

“Dovrebbe essere Piazza del Plebiscito.” Li aveva una mappa turistica in mano e la stava studiando attentamente.

“Da dove l’hai tirata fuori?”

“Era in terra. Si, lo so che non si raccoglie niente da terra, ma siamo in emergenza, sarà indispensabile averla con noi.”

“Che bella dormita.” Kerochan aprì lo zaino e mise la testa fuori. Dopo le ferite riportate il giorno prima, e nonostante tutti gli scossoni dell’inseguimento, aveva dormito come un ghiro. La cosa non mi stupiva affatto. “Siamo già a Salerno?”

“Siamo a Napoli, abbiamo avuto un problemino con i carabinieri.”

Carra…cosa?”

“Polizia, problemi con la polizia.” Li ripiegò la mappa e la mise in tasca. Si guardò attorno e dopo aver frugato in tasca riuscì a tirare fuori qualche spicciolo. Contammo le monete  e scoprimmo di avere poco più di due euro e sessanta centesimi, quasi duecentosettanta yen. Tropo poco per riuscire a mangiare e bere in tre.

“Sakura, c’è qualcuno che sa maneggiare la magia!” Con un rapido movimento Li Kerochan venne ricacciato dentro il mio zaino perché ci passarono accanto alcuni bambini. Ci guardammo intorno ma le uniche cose che avevamo davanti agli occhi erano comitive di turisti, cittadini comuni, piccioni, auto e moto.

“Mostrami la mano.” Silenzioso come un fantasma si era avvicinato un ragazzo vestito in modo elegante, aveva la pelle scura e capelli nerissimi, corti, due occhi altrettanto neri che ti imprigionavano e una postura e presenza che parevano ipnotiche. Sembrava che dalla sua persona arrivassero vibrazioni, calore, freddo, tutto insieme, ero attratta come se fosse un magnete. “Posso vedere la tua mano destra?” Parlava in una lingua sconosciuta, pareva Arabo, ma nella mia mentre si materializzava l’esatto significato.

“Che vuole questo tipo, Sakura?” Li cercò di farmi indietreggiare tirandomi per lo zaino ma riuscii a sfilarlo con un movimento rapido e mi avvicinai ancora di più a quello strano individuo che mi si era parato davanti. Gli ero vicino tanto quanto bastava per toccarlo. Era più grande di noi e doveva avere vent’anni o poco più. Mi porse la mano e comparve un cerchio nero con al centro un numero romano che rappresentava il due, II. Feci lo stesso e porsi la mano destra tenendola accanto alla sua. Con molto solletico, nel mio palmo, comparve come un tatuaggio lo stesso simbolo, identico se non fosse stato per il colore. Il mio era rosso.

“Che significa?” Li si mise tra noi due e afferrò il ragazzo, che mantenne la calma, per il colletto. Il ragazzo mi guardò facendomi capire che non aveva capito nulla di ciò che le avesse dello il mio accompagnatore. Quindi feci da interpreti e ripronunciai la domanda.

“Quindi, sei tu l’avversario a non essere a conoscenza delle prove.”

“Quali prove?”

“Non sai davvero niente?”

Feci di no con la testa. Il misterioso ragazzo mosse la mano vicino al viso di Li e gli si illuminarono gli occhi per un istante, appena impercettibile.

“Avete già mangiato?” Anche Li capì la domanda e lo lasciò andare per mettersi di fronte a me, nel tentativo di proteggermi. “Mi sembrate stanchi ad affamati, vi propongo di venire a pranzo, miei ospiti ovviamente, e vi spiegherò tutto. Tranquilli, non vi attaccherò, io ho il simbolo nero e il vostro è diverso, quindi sarei eliminato all’istante.”

“Fidiamoci.” Kerochan sbucò di nuovo dallo zaino e lo scrutò attentamente. “E’ un essere in grado di maneggiare i poteri magici ma non emana vibrazioni negative, non è ostile.”

“Ascoltate il guardiano mostriciattolo.”

“Conosci Kerochan?” La mia domanda era d’obbligo.

“Lo letto molto sui suoi poteri, se non sbaglio questa non è la sua vera forma, solo quella…tascabile. Giusto?”

“A chi hai chiamato mostriciattolo tascabile!? Ripetilo se hai il coraggio brutto figlio di papà viziato!” Kerochan gridò con tutto il suo fiato ma Li lo ricacciò dentro lo zaino prima che qualcuno potesse notarlo. Non potemmo che ridere alla visione di quella scenetta.

“C’è un ristorante carino qui vicino, piccolino, ma cucinano divinamente.” Il ragazzo cominciò a camminare in direzione del locale. Non potemmo che seguirlo, diciamo che io venni trascinata dall’influenza enigmatica di quella persona. L’avevamo appena conosciuto, eppure mi sembrava di averlo sempre avuto intorno a me, conosceva il mio segreto e la magia, era una specie di cugino.

“Il tuo nome?” Fu Li a fare la domanda, sembrava che non si fidasse.

“Mi chiamo ‘Adel.” Rispose senza nemmeno voltarsi.

“Turco?” Cominciava a non piacermi il tono di Li.

“Emirati Arabi Uniti, sono nato nell’emirato di Abu Dhabi, ma grazie al lavoro di mio padre ho residenza in tutti e sette.”

Allah, al-Waṭan, al-Rais” Il tono di Li mi piaceva sempre di meno.

“Esatto: Allah, Patria, Presidente,vedo che sei…colto.”

“Mi piace la storia contemporanea e gironzolare su Wikipedia.”

Seguimmo ‘Adel fino ad un ristorante che si affacciava sulla via che avevamo appena percorso io e Li. Entrammo nel locale e, tra i tavoli, venimmo accolti da una ragazza carinissima che ci accompagnò al nostro posto e ci porse i menù prima di andare ad accogliere altri clienti entrati poco dopo di noi. Anche se pur sapendo che non potevamo abbassare la guardia, cercammo lo stesso di rilassarci e la cosa ci venne piuttosto bene quando ordinammo dei piatti di pasta giganti. Noi ordinammo delle bibite normali ma ‘Adel ordinò del vino e cominciò a sorseggiarlo con gusto.

“Sei giapponese, giusto?” ‘Adel posò il bicchiere e si pulì la bocca con il tovagliolo. Armeggiava le forchette da maestro mentre io Li avevamo un po’ più di problemi nel portarci l’antipasto alla bocca. “Mi risulta che Clow Reed fosse di origine cinese.”

“Ho trovato le carte di Clow dentro un libro nella biblioteca di mio padre, non so come ci sia finito, ipotizzo che essendo un professore universitario possa esserselo procurato durante le sue ricerche. Ho acquisito i poteri e non nascondo che ancora oggi non so come utilizzarle al cento per centro, a dir la verità non ne trovo motivo.”

“A differenza tua, io ho sempre saputo di essere discendente di una famiglia di stregoni. I miei antenati erano nomadi e quindi si muovevano ogni qual volta che avevano necessità di viveri, denaro, eccetera. Durante gli spostamenti andavano di città in città e si incontravano con altre persone con i poteri – sembra che non fosse così strano nell’antichità – e si scambiavano conoscenze acquisendo reciprocamente capacità magiche ed altre conoscenze. Ovviamente in famiglia c’e sempre stata la tradizione di tramandare tutti i saperi della tribù, niente escluso; negli anni poi c’è stata la necessità di stabilirsi da qualche parte e la storia mi ha insegnato che decidemmo di stabilirci negli Emirati Arabi, anche se al tempo non erano ancora uno stato. Successivamente, in tempi recenti, i componenti della mia famiglia hanno utilizzato le loro capacità per creare servizi e lavoro che, come dire, ci hanno fruttato fortuna, in famiglia non abbiamo di certo problemi di soldi.”

“Ma non mi dire, non si notava mica.” Li osservava i tavoli vicini senza nemmeno guardare colui che ci aveva invitato a pranzo.

“Puoi scusarci un momento, ‘Adel?” Presi Li e lo trascinai in strada. Si divincolò dalla mia presa quasi subito con un gesto di stizza ed incrociò le braccia voltandosi da tutt’altra parte. Che voglia di prenderlo a schiaffi!

“Io non avevo finito di mangiare!” Li stava davvero rischiando di essere picchiato sul serio.

“Che cos’hai? Perché ti rivolgi a lui con quel tono odioso?”

“Non mi fido!” Sbottò lui.

“Non ti fidi di ‘Adel?”

“Pensaci! Si è avvicinato come una lince, avrebbe potuto ucciderci in un attimo se tu non avessi avuto quella specie di tatuaggio di un colore diverso dal suo. Và considero come un nemico, penso che siamo capitati dentro qualcosa che va oltre il fatto dell’omicidio del Signor Suzuki, comincio a pensare che sia stato solo un diversivo, o peggio, un metodo per attirare la nostra attenzione.”

“Non ti nascondo che anche io ho avuto questa sensazione, fatto sta che non è un buon motivo per trattare male la persona che ci sta offrendo il pranzo. Inoltre siamo in una città ed in uno stato straniero, non conosciamo ne la lingua ne il posto, abbiamo bisogno di qualcuno che sia nostro amico. Non possiamo più contare su Roberto e avere ‘Adel ci farebbe molto comodo.” Bloccai Li che cercava di rientrare nel ristorante. “Sento che possiamo fidarci.”

Ci guardammo per alcuni secondi negli occhi. Ho cercato di fare lo sguardo più serio che potessi ma sono sicura di aver fatto solo la figura della scema. Come per darmi il contentino, Li entrò calmo nel ristorante cercando di essere il più naturale possibile.

“Che cos’è?” Dissi io ancora prima di sedermi di nuovo al tavolo, mostrando il segno che avevo nella mano e che, sembrasse, comparire solo in sua presenza. Li mi aveva ricordato quel dettaglio, non so perché ma mi ero totalmente dimenticata a causa del fascino di quel ragazzo e della storia della sua gente. A dir la verità ciò che ci raccontò fu molto di più ma non ricordo bene ogni singolo dettaglio, non sono mai stata un genio in storia. Presi di nuovo posto e il tatuaggio sparì.

“E’ un torneo. Non come quelli che vedi nei film ma ci siamo.” ‘Adel, finì un altro bicchiere di vino.

“Stai scherzando, vero? A Roma ci hanno attaccati, sono morte delle persone, è stato distrutto un argine e ci sono ancora dispersi, il tutto per un fottuto torneo tra maghi?” Senza accorgersene, credo, Li gridò.

“Non è un torneo, è Il Torneo Haab.” ‘Adel non si scompose. “Tutti i maghi, stregoni, sciamani, sacerdoti e alchimisti di ogni tempo e terra, sono a conoscenza di questo torneo, un incantesimo lo invoca e viene data la possibilità ad ogni persona dotata di certe conoscenze, l’onore di parteciparvi, sta a lei decidere se farlo o no.”

“Che significa Haab?” Chiesi io.

“Il primo torneo risale ai Maya e agli Atzeki, la leggenda narra che tra gli sciamani e gli stregoni di varie città e villaggi ci fosse malcontento, uno dei più saggi creò la formula per il torneo Haab. Questo prende il nome dal ciclo di 365 giorni del calendario Maya e si deve arrivare ad un vincitore entro i giorni del ciclo, pena, la morte di tutti i concorrenti. Erano abbastanza drastici questi Maya. La chiamata era inclusa nell’incantesimo stesso e tutti i concorrenti avrebbero saputo dove si sarebbero svolte le prove.” ‘Adel accolse con un sorriso i piatti di pasta che ci venivano messi sotto il naso e, se pur a tratti con la bocca piena, continuò la spiegazione. “Nei secoli l’incantesimo è stato modificato, a volte semplificato, altre reso più complicato per accogliere più concorrenti e, in tempi moderni, affinché la chiamata fosse nascosta, in modo che le persone prive di poteri non potessero sapere dello svolgimento del torneo. Si tratta però di una soluzione drastica, molto recente, dato che ormai le persone che riescono a padroneggiare le conoscenze adatte per partecipare si contano sulle dita delle mani. E’ necessario creare una chiamata diversa per ogni persona che parteciperà al torneo, sperando che questa recepisca il messaggio. Un tempo il torneo era pubblico e il vincitore otteneva gloria eterna e poteri infiniti che gli sarebbero serviti per incontrarsi con gli dei e fiancheggiarli; attualmente l’incantesimo permette poteri infiniti solo per un sole, ovvero dall’alba del giorno successivo alla vittoria fino all’alba successiva. Praticamente si è un dio per un giorno intero.”

Non nascondo che ero sconvolta, non riuscivo nemmeno a mangiare.

“Qual è stata la tua chiamata?” Chiese Li.

“A dir la verità ho sentito da subito che venivo attratto dall’Europa, poi ho cominciato a riscontrare stranezze, sogni particolari dove apparivano sempre le tre piramidi della piana di Ghiza, al Cairo. Ho fatto delle ricerche e mi sono consultato con alcuni parenti, anch’essi dotati di conoscenze. Alla fine sono partito e ho affrontato il mio avversario ai piedi della sfinge si è arreso.” ‘Adel finì sorridente la usa porzione di pasta al sugo.

“C’è la possibilità di arrendersi?” Cominciavo ad essere un po’ più sollevata.

“Certo. Ovviamente chi partecipa sa che è molto pericoloso e partecipa con uno scopo importate, che può portare a compimento solo con la vittoria dell’Haab. Se però durante il torneo arriva ad un punto tale da rischiare la vita e, il gioco non vale la candela, può arrendersi.”

“Qual è il motivo per il quale partecipi?”

“E’ complicato da spiegare e non so se potete capire, piuttosto, sono curioso di conoscere la vostra di chiamata.”

“Ci hanno accusati di omicidio. Siamo venuti in Italia perché volevamo capire meglio la situazione, a Roma abbiamo incontrato un tipo che ci ha attaccato e mi sono difesa. Quando però l’ho attaccato io è sparito e non si è più fatto vedere. Spero di non averlo ucciso.”

“Sarebbe rimasto il cadavere, dovete sapere che l’incantesimo, tra la varie modifiche, permette di farti arrendere in automatico se sei ferito in modo così grave da non poter continuare la lotta.” ‘Adel ci sorrise e il cameriere si avvicinò con il secondo, carne alla piastra. “L’accusa di omicidio è la prima volta che la sento come chiamata. Però mi pare sensato, voi venite dall’altra parte del mondo e solo un fatto così grave vi avrebbe potuto portare fin qui. E’ anche vero che in questo modo siete costretti a vincere per riportare tutto alla normalità; piuttosto, perché siete in due?”

“Siamo entrambi dotati di poteri. Io sono il discendente genetico di Clow Reed, lei invece ha acquisito i poteri in un, come dire, incidente. Penso che siamo qui per questo motivo: entrambi i discendenti sono ancora in vita, ma solo uno è il destinato al torneo.” Fu Li a rispondere alla domanda e finalmente abbandonò quel tono irritante, inoltre aveva detto una cosa sensata, il suo ragionamento filava. “E perché sono stato trascinato qui contro la mia volontà.”

Parlai troppo presto e dopo quell’ultima frase di Li non gli rivolsi la parola per tutto il resto del pranzo. Ero talmente furiosa da non riuscire nemmeno a mangiare una sola briciola in più. Torturai tutti i fazzoletti e i tovaglioli presenti sul tavolo finché ‘Adel, sempre con il sorriso sul viso, non pagò il conto con tanto di carta di credito dorata. Durante il resto del pranzo Li gli aveva spiegato per bene la nostra situazione e si offrì di ospitarci nella casa che aveva preso in affitto. Ovvio che non potevamo accettare ma si fece talmente insistente che per farlo stare zitto non potemmo che seguirlo fino all’appartamento. Aveva trovato alloggio in un palazzo vicino ad un’area militare, visto dall’alto il palazzo risultava tra l’aeroporto e il centro direzionale dove c’era la stazione dei treni; notammo di aver avuto un altro colpo di fortuna perché il cimitero, dove avremo dovuto recuperare le valigie, era proprio li vicino; durante il tragitto ‘Adel ci spiegò di aver preso casa proprio li perché se avesse avuto bisogno di partire immediatamente sarebbe stato a pochi isolati dai grandi mezzi si trasporto.

“Prendetevi la libertà di fare come se fosse casa vostra. Tanto non è nemmeno mia.” ‘Adel aprì la porta ed entrammo nel soggiorno bello e luminoso di una casa che, a prima vista pareva, al quanto piccola. Nel soggiorno era presente anche la cucina e due divani stavano attorno ad una televisione sul muro opposto. Posò le chiavi di casa sul tavolo accanto alla cucina ed aprì il frigo per tirare fuori due lattine di pepsi. “Ormai sono a Napoli da due mesi, il mio nemico è qui in città ma ancora non sono riuscito ad incontrarlo, evidentemente nel suo ultimo scontro è rimasto ferito e deve ancora riprendersi. Per questo quando ho sentito la presenza di Sakura, mi sono avvicinato in modo così sospetto: vogliate perdonarmi.”

Ci guardammo intorno e mi venne l’istinto di togliermi le scarpe, notando poi che la casa non aveva il pavimento in legno, ma in piastrelle rosa, non le tolsi e feci il solito inchino prima di varcare la soglia, Li e Kerochan, al contrario, era già andati ad accomodarsi sul divano. Lanciai loro un’occhiata assassina ma ignorarono la mia minaccia di morte. Aiutai ‘Adel a prender i bicchieri per le bibite e mi sedetti al tavolo con lui, tirò fuori da un mobile della cucina anche un pacchetto di patatine e lo mise sul tavolo in modo che potessimo servirci da soli.

“Perché ci aiuti?” Dato che Li si era acceso la televisione cercai di fare un po’ di conversazione. “Secondo come va il resto delle battaglie finiremo con l’essere nemici.”

“Lo so.” Sospirando aprì il sacchetto delle patatine e mi versò un po’ di pepsi nel bicchiere. “Sono stato educato ad essere sempre cordiale e ospitale con tutti, conoscenti e sconosciuti, è più forte di me e non mi va di vedervi come nemici. Inoltre se ci fosse uno scontro tra noi due io non avrei possibilità di vittoria. Conosco le qualità e la potenza delle carte di Clow, sono molto famose tra i conoscenti delle arti magiche. Al tempo della loro creazione erano due le persone più forti tra i maghi & co.: Clow Reed, con le sue conoscenze praticamente infinite ed un sorriso perenne sul viso, e Ferrante Croce, uomo dalle grandi conoscenze arcaiche del sud Italia e del nord Africa, nonché grande studioso dei misteri Greci e Egiziani. Questi due era meglio averli come alleati che come nemici, Clow era amichevole mentre Croce al quanto irascibile e famoso per la sua noncuranza della vita altrui.”

“Li e Kerochan mi avevano accennato qualcosa del genere.”

“Il numero due sulle nostre mani rappresenta la prima vittoria, ovvero che abbiamo il diritto di partecipare alla seconda fase contro un nemico che ha il nostro stesso simbolo. Il torneo contava  otto concorrenti, vincendo la prima battaglia siamo rimasi in quattro, noi due e i nostri nemici. Se vinciamo anche questo secondo scontro ci incontreremo nella finale.”

“Non posso lottare contro di te.”

“Dobbiamo, altrimenti moriremo. Possiamo però fare un patto.”

“Esponimelo.”

“Utilizzando le carte di Clow sei la favorita. Potremo lottare per una mezz’oretta e, ad un certo punto, io mi arrenderò consegnando a te la vittoria del torneo.”

“Potrei arrendermi io, perché devi farlo tu?”

“Come ho detto prima, sei la favorita. Inoltre avrai la possibilità di sistemare la situazione dell’accusa di omicidio e tornare subito a casa.” ‘Adel mangiò alcune patatine e poi il suo viso si fece molto serio. “In cambio voglio solo che tu possa esaudire il motivo per il quale partecipo al torneo.”

Era un’idea geniale sulla carta, ma avevo il presentimento che qualcosa non avrebbe funzionato. Era permesso truccare la lotta in quel modo? Non sapevo ancora che cosa voleva ‘Adel in cambio e soprattutto, non sapevo se sarei riuscita ad arrivare alla finale. Lottare non era il mio modo preferito di far uso delle carte di Clow, potevo morire o peggio, uccidere qualcuno. Mi sentivo ancora molto in colpa per ciò che era successo a Roma; la notte prima avevo sognato le persone che avevano perso la vita, ogni volta mi ridestavo dal sogno ma continuavano ad apparire; non ero fatta per usare quel potere per far del male alle altre persone. “Così mi obblighi a continuare il torneo ed io non ho ancora deciso se andare avanti.”

“Mi piacerebbe dirti che puoi tirarti indietro ma, avendo affrontato il primo nemico a Roma non puoi non continuare, se non lo fai il tuo avversario verrebbe a cercarti e, in caso non riuscisse a trovarti il toreo finirebbe senza un vincitore, in questo modo tutti i partecipanti al torneo morirebbero, te compresa.”

 

Non si riceve tutti i giorni la notizia “o combatti o muori”. Rimasi al quanto scossa da quelle parole di ‘Adel, non riuscii nemmeno a mangiare la pizza che avevamo ordinato a domicilio e, a detta di Kerochan, era la migliore che avesse mai mangiato; insieme a li non fecero altro che stare stravaccati sul divano mentre io e ‘Adel parlavamo e parlavamo. Abbiamo chiacchierato di tutto: lui mi ha raccontato degli Emirati Arabi Uniti, della scuola e dell’università, dei suoi amici ad Abu Dhabi e del lavoro part-time che dovrà cominciare a settembre nell’azienda del padre; io gli raccontai del Giappone e della scuola media, del primo giorno di scuola superiore, di come ho trovato le carte di Clow e di tutte le avventure passate nel tentativo di recuperarle; e arrivò la mezzanotte.

Fece capolino così veloce che non mi accorsi del tempo trascorso. Roberto avrebbe lasciato le valige proprio in quegli istanti.

“Se vuoi accompagno io Sakura, conosco la zona e potrei darle un’occhiata, puoi restare a casa se ti va.” Potete immaginare benissimo cosa risposero Li e Kerochan a quella proposta di ‘Adel. Esatto: si gettarono nuovamente sul divano!

Ci incamminammo da soli verso il punto indicatoci da Roberto e in appena venti minuti fummo in una via circondata da muri alti oltre i quali si intravvedevano strutture funerarie ancora più alte. Ai piedi dei muri cassonetti qua e la, e decine e decine di banchetti scheletrici di venditori di fiori vuoti. Nonostante la strada fosse illuminata da alcuni lampioni con luce gialla/arancione, incuteva un certo timore. ‘Adel mi spiegò che quella strada tagliava a metà il cimitero della città e che da una parte si trovava quello antico con le costruzioni monumentali, per le autorità e per le famiglie più ricche, mentre dall’altra parte c’era il cimitero nuovo. Finalmente arrivammo nel punto dove i cancelli dei due cimiteri stavano uno di fronte all’altro. Si poteva riconoscere l’ingresso più elaborato del cimitero antico e quello più sobrio del cimitero più recente. Lì vicino due cassonetti uno accanto all’altro; ci avvicinammo senza dare nell’occhio, anche se la strada era deserta, e dall’ombra recuperammo le valige. Era mezzanotte e mezza e mi incuriosii il fatto che i cancelli dei cimiteri erano aperti.

La tasca frontale della mia valigia era aperta e trovai dentro una busta che non era stata messa da me. Quando la aprii rimasi sorpresa nel vedere che conteneva alcune centinaia di euro; osservando meglio trovai anche un biglietto scritto in ideogrammi da Roberto, ci spiegava che Tomoyo lo aveva chiamato e chiesto di lasciare noi del denaro della società, inoltre ci lasciava il suo numero di cellulare e gli auguri di buona fortuna. Non credo che si possa trovare migliore amica di Tomoyo.

Sentimmo gridare dietro di noi e quando ci voltammo era apparsa dalla curva una macchina con dei lampeggianti spenti che ci veniva incontro. Un uomo dal finestrino ci gridava cose che non capivo mentre il conducente aveva azionato gli abbaglianti per poterci vedere meglio.

“Polizia.” ‘Adel indietreggiò di alcuni passi verso i cancelli del cimitero monumentale.

“Che facciamo.” Appena io finii di pronunciare la frase uno degli uomini scese tenendo la mano appoggiata al fianco, vicino alla fondina della pistola.

“Sakura Kinomoto?” Sebbene con un accento strano il poliziotto aveva detto il mio nome e mi gelai in quella posizione. Fece alcuni passi verso di me e mi sentii in trappola, pronunciò altre volte il mio nome ma sembrava aver capito che ero proprio io quella che stava cercando.

Seguimi!” ‘Adel prese entrambe le valige per il manico e corse dentro il cimitero monumentale e non potei che seguirlo. Sentimmo dietro di noi la macchina della polizia che accendeva le sirene e accelerava violentemente. Riuscimmo a correre per alcuni metri dentro il cimitero fino ad arrivare ad una biforcazione e dalla nostra sinistra sbucò il motivo per il quale i cancelli erano aperti a quell’ora della notte: una macchina dei carabinieri; appena ci notarono accesero anche loro le sirene e si misero all’inseguimento.

Cosa ci poteva essere di peggio? Inseguiti da polizia e carabinieri, fuggivamo a piedi con le valige sotto braccio e per giunta, in un cimitero buio pieno di statue che ti guardano dall’ombra. Posso dire con certezza che in vita mia non ci fu più niente che mi spaventò dopo quella fuga.

 

 

 

 

P.S.Curiosità

 

Il nome arabo ‘Adel significa Il Giusto.

 

L’area metropolitana di Napoli, secondo il Censis, è la seconda area metropolitana d’Italia per abitanti ed espansione dopo la Mega regione Lombarda (Milano) e precede quella di Roma; è il 18° comune d’Europa per popolazione e l’86° al mondo.

 

Il Calendario Maya è un antico sistema utilizzato da Maya, Toltechi, Aztechi e da altri popoli dell’America Centrale.  Si tratta di un calendario molto complicato e si basa su tre cicli di diversa durata e utilizzo:

  • Ciclo Tzolkin, aveva una durata di 260 giorni.
  • Ciclo Haab, aveva una durata di 364 giorni, più il "giorno fuori dal tempo".
  • Lungo computo, indicava il numero di giorni dall'inizio dell'era maya.

Per maggiori informazioni:     http://www.marianotomatis.it/index.php?page=count-2012

http://it.wikipedia.org/wiki/Calendario_maya

 

 

“I napoletani discendono dagli dèi, questa è la verità, non sono né greci né oschi né romani, sono dèi. Che per vivere sulla terra si sono fatti come siamo; un misto di spirito attico grazie agli ateniesi, di tenacia al lavoro osca, di intelligenza indulgente ed acuta quale si conviene ad esseri divini.”

Paolo Monelli

 

   
 
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