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Autore: Silver Pard    20/12/2011    5 recensioni
Il lieto fine dipende dal punto di vista.
[ Raccolta di rivisitazioni fiabesche:
01 ~ Cenerentola – Lei era acqua, e non esiste ostacolo che non possa superare.
02 ~ La bella addormentata – Profondamente addormentata e indescrivibilmente bella: se l’è cercata.
03 ~ La bella e la bestia – Le manca la Bestia.
04 ~ Il gatto con gli stivali – Il Gatto non è più tanto accomodante.
05 ~ Cappuccetto Rosso – Facciamo un gioco.
06 ~ Le fate – A volte le si tagliavano così tanto le labbra che i diamanti parevano rubini.
07 ~ I sei cigni – Il sesto fratello, il sesto cigno si abbandona alla deriva, dilaniato tra due mondi.
08 ~ Biancaneve – E si sveglia con il labbro rotto a morsi e gli occhi neri di odio e il cuore pieno di ghiaccio.
09 ~ Mr Fox – Osa, osa, ma non osare troppo, o il sangue dentro il cuore ti si ghiaccerà di botto.
10 ~ Hansel e Gretel – Soprattutto, ha paura del modo in cui sua sorella guarda alla strega.
11 ~ Tremotino – Il tuo nome è panna nella sua bocca, ma nelle dosi giuste, tutto è veleno. ]
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Nota: la versione base è probabilmente quella più popolare della fiaba, ma credo che l’influenza del bel film Disney sia evidente :)
31/06/2012: … no, wait, ho parlato con l'autrice e mi ha detto che in realtà la storia è fondamentalmente basata sul film Disney con alcuni elementi presi dall’originale e altre versioni, lol xD



Faded ~ Appassito





È notte, e viene svegliata dalle lacrime che le bagnano il cuscino. Suo marito si rigira nel letto, ma è il movimento delicato dei sogni remoti. Non ne è turbata; tanto non vorrebbe che lo sapesse.

Ma la Bestia, ah, la Bestia l’avrebbe saputo.

Forse percepiva l’odore della sua inquietudine e della sua tristezza nell’aria; certo è che sapeva sempre quando si svegliava tanto in pena, istantaneamente, indipendentemente da dove si trovassero tutti e due. Faceva irruzione nei suoi appartamenti con un’esecrabile mancanza di decoro, esigendo spiegazioni. Lei strillava e gli spintonava il petto ampio, e lui si faceva buttare fuori dalle sue stanze, sapendo quanto la divertiva l’idea che una creatura così potente si prostrasse davanti alla sua fragilità, e dopo ne parlavano, una volta che lei ritornava un po’ in sé.

La Bestia le manca.

Sa che è finita nel modo giusto – il principe meritevole riacquista la forma umana per riprendere la corona umana, la servitù torna visibile, l’incantesimo sul castello si spezza. Chi è lei per negare loro tutto questo? Lei non è una principessa. Non ha affrontato alcuna tribolazione, non ha combattuto alcun mostro (se ne è innamorata). Non è coraggiosa, o saggia, o bella, o buona. Lei era (è) semplicemente una donna innamorata. Non vuole essere ingrata o struggersi per qualcosa che è andato perduto.

Ma la Bestia le manca lo stesso.

Lo osserva costantemente, suscitando il divertimento garbato e complice dei domestici, dei nobili e delle dame di corte. Cerca la Bestia. Non lo trova, benché qualche volta lo intraveda.

La pelle del suo principe è tanto liscia, tanto chiara e glabra. Mangia educatamente – non graffia la porcellana né capovolge bicchieri per via delle grosse zampe deformi, troppo grandi e troppo ingombranti, poco adatte a compiti tanto delicati. Le sue mani ora sono affusolate ed eleganti, le unghie tagliate con cura.

Si chiama Reuben. Non si sognerebbe mai di vagare per i corridoi chiamando il suo nome (adesso hanno domestici che riferiscono a ciascuno di loro che si stanno cercando, e il nome le lascia ancora uno strano sapore sulle labbra. Non lo usa mai, e lui non pare accorgersene). Ha una voce dolce, melodiosa. Porta vestiti eleganti che gli calzano a pennello – è un tripudio di guarnizioni dorate, bottoni d’oro e ricami d’avorio. Risplende, dalla punta dei capelli a quella degli stivali lucidati, risplende effimero e pallido come un raggio di sole in un giorno grigio.

Le manca il cupo rimuginare della Bestia, il suo pelo scuro, il suo odore pesante. Le manca appoggiarsi a lui e sentire il battito forte e fermo del suo cuore, tanto diverso da quello di suo marito. Di notte gli posa una mano sul petto e gli sente il cuore attraverso pelle, invece della pelliccia, lo sente muoversi a un ritmo più veloce, e debole.

Le manca il silenzio del castello. Quando invisibile, la servitù non aveva potuto parlare, ed era passato molto tempo prima che la Bestia le rivolgesse la parola al di fuori delle proposte di matrimonio che le faceva ogni notte. Il castello stesso sembrava attutire ogni suono (sta cominciando a dimenticarlo; un giorno si sveglierà e non avrà alcuna idea del perché il suono del proprio cuore, il suono del cuore della Bestia, avesse avuto tanta importanza). I suoi tacchi non risuonavano sul pavimento; il fuoco non crepitava o sibilava nei camini, e la sua forchetta non tintinnava mai quando toccava il piatto. Si era detta che così doveva essere il limbo. Ascoltava il suono del proprio cuore per rassicurarsi di non essere morta o di non star sognando. Ascoltava quello di lui per sapere di non essere sola.

Il castello ora è tutto un rumore, pieno di voci allegre, fuochi scoppiettanti e suoni su suoni, non più tenui bisbigli nella polvere.

I suoi occhi sono tanto gentili. Non li riconosce più. Le manca il fuoco della Bestia.

Non è mai stato violento da che lo ha conosciuto, in parte era già domato, ma sapeva lo stesso che era nella sua natura – che nelle prime fasi dell’incantesimo era stato preda di furenti attacchi d’ira, aveva ruggito ed era stato una vera bestia, sapeva che un tempo nella sua pelle c’era stata la foresta, nei suoi occhi il bagliore rosso del fuoco. La guida paziente di tutti gli invisibili non aveva potuto placare completamente quella ferocia. Per questo, quella prima notte, aveva avuto paura di incontrarlo.

L’aveva amata con passione, possessivamente, sin dal primo momento in cui l’aveva vista, il riconoscimento istantaneo di una femmina attraente, una possibile compagna, da parte di un animale maschio. Aveva ricordato una variante dello sguardo nei suoi occhi, vista accesa negli occhi dei ragazzi con cui era cresciuta e negli occhi degli sconosciuti che l’avevano pregata di ballare e poi avevano provato a portarla via. Per questo, dopo la prima notte, la paura era rimasta.

Nel corso del tempo quello sguardo si era ingentilito, ma aveva sempre saputo che da qualche parte nella Bestia quel fuoco non si era estinto. Quando iniziò a conoscerlo, a intessere con lui una confortevole rete di abitudini, a ritrovarsi sposata a lui senza cerimonie o anelli, smise di temerlo. Aveva imparato ad amarlo non a dispetto della sua natura selvaggia, ma grazie a quella.

L’amore che le dimostra adesso è fiacco e pallido al confronto, e ripensa alla loro vecchia vita con un dolore per la sua fine che sa non condiviso da lui. Le manca il silenzio e le manca la solitudine, e le manca quando erano soltanto loro due, nessun altro, e le manca più di tutto la sua presenza.

Sapeva sempre quando c’era, dovunque si trovasse nel castello. Lui lo riempiva della sua presenza, il suo spirito si spiegava e rimbombava tra corridoi stregati e stanze dimenticate. Potevano trovarsi in due ali opposte, e lei sapeva comunque che lui era nel castello, che quello era il suo castello. Ora che è uomo, sa che c’è solo quando lo vede.

Ha preso l’abitudine di andarsene sempre più spesso a leggere in biblioteca. L’uomo che era la sua Bestia non ha più il tempo (l’inclinazione?) di farle da ombra, di profondere tempo ed energie per divertirla. Ha troppo da fare con la vita da re, con discussioni parlamentari, decreti, commerci, e chissà cos’altro. Va a caccia con i suoi uomini nella foresta mentre lei se ne sta in biblioteca, a rammentare i giorni tanto lontani in cui la Bestia la guardava in silenzio da un punto qualunque della stanza, a ricordare di quando ogni tanto abbandonava il libro per sedersi accanto a lui ed essere felice semplicemente di stare con lui. Si tendeva verso di lui e discutevano di ciò che aveva letto, e sovente lui si accigliava, ricordandole bruscamente che era una bestia, condizione che dimenticava sempre più di frequente. A volte suo marito entra in biblioteca mentre lei è presente, e se ne accorge solo quando allunga una mano per toccarle una spalla.

Le manca la sensazione della pelliccia folta e ruvida sulle dita, le manca il suo odore pesante di fumo di legno e di pino, e di un qualcosa di intenso e muschiato che non ricorda più a dovere. Quando spinge il naso in una pelliccia di lupo appena fatta e inspira profondamente, qualcosa nella sua mente si scuote, sussurra della Bestia, ma persino quella fragile connessione si sta dissipando.

Le mancano i suoi ruggiti gutturali e le manca la sua voce profonda e rauca. Le manca essere la cosa più importante della sua vita. Le manca essere l’unica persona che lo facesse sorridere.

Aveva soltanto voluto dirgli che lo amava. Nulla di più. Non l’aveva detto per salvarlo; non l’aveva detto per l’uomo pallido che l’ha rivendicata come sua moglie, o per altro. Il suo cuore era stato semplicemente troppo pieno, e la paura che lui morisse senza saperlo troppo grande. Non aveva mai desiderato quest’uomo pallido, questo principe, quest’ombra della Bestia.

Lei aveva amato la Bestia, era stata felice e soddisfatta della Bestia. Non aveva mai rimuginato molto sul futuro, era stata troppo contenta del presente, ma se mai ci aveva pensato pure solo di sfuggita, aveva semplicemente immaginato le loro vite scorrere come avevano sempre fatto: solo loro due, legati dall’amicizia (dall’amore), fino alla fine dei loro giorni nella tenebrosa foresta, gli unici a conoscere e piangere la scomparsa l’una dell’altro. Una vita semplice. Una vita piacevole. Una vita appagata.

Certi giorni si mette nuda davanti allo specchio e percorre le cicatrici chiare che ha sulle mani, sulle braccia: i segni lasciati dagli artigli quando non faceva abbastanza attenzione. Lei adora quei segni, ma suo marito non li sopporta. Fa l’amore con lei con gli occhi chiusi perché non riesce a tollerare la vista dei segni dentellati sulla sua clavicola, dove una volta l’aveva afferrata per scuoterla in balia di una rabbia disperata e iper-protettiva, e gli artigli dei pollici avevano penetrato nella carne fino a tagliarla. Non gli piace vedere i graffi delle volte in cui provava a prenderle il braccio per portarla da qualche parte e le perforava accidentalmente la pelle. La memoria del suo tempo da Bestia si sta disgregando come l’incantesimo, e un giorno non sarà più in grado di ricordare nulla se non per la cronaca sulla sua pelle.

Questa è di quella volta che, troppo impaziente di mostrarmi la sala da ballo appena ripulita, si dimenticò di stare attento.

La ricorda come la prima volta in cui si era veramente resa conto di quanto fosse espressivo il suo volto, nonostante la pelliccia, le zanne, il grugno. Era stato prima speranzoso e ansioso di compiacerla, e poi costernato per la propria goffaggine e addolorato dalla vista della sua ferita.

Quella è successa quando gli ho fatto una sorpresa e si è girato troppo in fretta per fermarsi.

Era stata una delle rare occasioni, dopo il consolidarsi delle loro confortanti abitudini, in cui l’aveva temuto. Fu più che altro sorpresa, nel vederlo voltarsi di scatto con le zanne scoperte e il braccio proteso. In quell’istante le erano venuti in mente gli orsi e le loro maestose zampe pesanti, capaci di spezzare la spina dorsale di un uomo in un sol colpo.

Questi sono di quella volta che mi stavo arrampicando sulla grande quercia in cortile, sono caduta e lui mi ha presa.

Non si era mai arrampicata su di un albero prima di allora. Adesso, certo, è una regina; non potrà indossare mai più i suoi semplici vestitini fatti in casa e tirarsi le gonne sopra le ginocchia per arrampicarsi sugli alberi. Non si era mai arrampicata sugli alberi prima di diventare l’ospite della Bestia perché le figlie beneducate dei mercanti semplicemente non si arrampicavano sugli alberi. Ci aveva messo molto tempo a sentirsi a suo agio in presenza della Bestia, e gli invisibili (che però non sono più invisibili e dovrebbe smetterla di pensare a loro in questi termini) la innervosivano, e un giorno, tutto d’un tratto, mentre guardava la quercia le fu chiaro che da lì nessuno l’avrebbe giudicata più. Non c’era nessuno oltre alla Bestia, e come avrebbe potuto condannarla per essersi arrampicata sopra un albero?

L’aveva sgridata severamente per aver fatto una cosa così stupida (il terrore provocato dalle sue urla era già un ricordo) e lei aveva avuto il buon gusto di mostrarsi mortificata fino al ritorno nella sua stanza per spalmarsi del balsamo sui lividi e sui lunghi graffi seminati dagli artigli che l’avevano sfiorata; poi era scoppiata a ridere e non era riuscita a fermarsi.

Eccola lì. La prima volta in cui si era resa conto che con lui poteva essere felice.

Quei pallidi semicerchi sono di quella volta che ho provato a farlo ballare con me e lui continuava a pestarmi il piede.

Lui non voleva ballare. Aveva protestato affermando (non a torto) che la sua psicologia non era esattamente progettata per la danza. Lei se ne era infischiata, infiammata dal desiderio di ribaltare la situazione ed essere lei a divertirlo, per una volta. Ogni suo capriccio sarebbe stato esaudito, le aveva detto quando era arrivata al castello – glielo ricordò quando gli chiese di ballare, insistendo con fermezza che era suo capriccio che lui ballasse con lei – e nel suo piccolo voleva ripagarlo.

Si erano arresi dopo che lei aveva guaito dal dolore (non più per la sorpresa) per la quinta volta. Lui si era accigliato ed era stato di una sincerità commovente nell’assicurarsi che non fosse gravemente ferita, e lei gli aveva gettato le braccia al collo e si era messa a ridere come una pazza nella sua folta criniera, desiderando di potersi tenere stretta quel momento per sempre.

Eccolo lì. Il momento in cui aveva capito di poterlo amare.

Lì.

Una volta gli aveva preparato una torta. Gli invisibili (ma non sono più invisibili; non allo stesso modo) l’avevano servita a cena. Era scialba e poco invitante nel bel mezzo del banchetto regale che le faceva trovare ogni notte, ma lui aveva preso comunque una fetta, anche se gli si era sbriciolata tra gli artigli e le zanne, e le briciole erano ruzzolate fin dentro la pelliccia scura e intricata.

Eccola lì. La prima volta in cui gli aveva sorriso.

Aveva lavorato nei giardini, determinata a farvi nascere fiori che non fossero rose, e quando aveva visto i primi germogli verdi era stata estasiata e si era girata verso di lui, ridendo euforicamente.

Eccola lì. La prima volta in cui aveva riso con lui.

Benvenuta, Bella, non aver timore

Qui sei regina e padrona.


Ha paura. Ha paura di non essere nulla più di un ornamento da appendere al braccio e con cui scaldare il letto alla sera, perché sicuramente la sua vita non ha più niente del semplice appagamento di prima. Ha paura che l’amore che provava per lui sia appassito come il suo per lei. Ha paura che si sia sciolto come neve, lasciando null’altro che terra spoglia.

Coltiva lo spazio freddo che lui ha lasciato dietro di sé. Col tempo, spera, qualcosa potrebbe fiorire.
   
 
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