Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    21/12/2011    3 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

21.

 

 

 

 

 

Cinque anni erano passati dalla grande battaglia di Roiconea, che aveva visto vittorioso il regno di Enerios, contrapposto a quello di Vartas.

In una fresca mattina d’autunno, giunse a palazzo una giovane che avrebbe scardinato completamente la vita di Ruak e, in qualche modo, alleviato le sofferenze di Aken.

Finalmente di ritorno dopo quattro anni di apprendistato militare passati a Kantor, presso la corte del marito di Melanth, Ruak aveva appena fatto in tempo a rientrare, quando la notizia gli era giunta tra capo e collo.

I colloqui con la nobile famiglia di Renke si erano tenuti in sua assenza e, grazie soprattutto alla grande amicizia tra il re e il padre della ragazza, tutto si era svolto senza problemi.

Non che la presenza di Ruak, o le rimostranze di Renke, figlia di Lothar di Elcantas, avrebbero contato qualcosa, per re Arkan.

Il rapporto ormai sfilacciato tra il sovrano e suo figlio minore era cosa nota ai più, ormai, così come la decisione di Aken di non prendere moglie.

Il fatto che Ruak fosse stato avvisato solo al suo ritorno, quindi, non aveva stupito nessuno, neppure il diretto interessato.

Aken non aveva neppure mettere voce in merito, visto il suo rifiuto tassativo di partecipare attivamente alla discendenza della loro famiglia.

Famiglia che, invece, Melantha aveva già provveduto ad allargare.

Quanto meno, nel regno di Karton.

Dopo poco meno di un anno dal suo matrimonio, aveva dato due gemelli al principe Mynias.

Nelle sue lettere ai fratelli, teneva sempre a sottolineare quanto, la sua nuova vita, fosse assai più lieta di quanto, in un primo momento, avesse anche solo osato sperare.

Nel vedere come Melantha si fosse prodigata per il suo nuovo reame, si era quindi spazientito con i due figli, iniziando così a cercare una moglie per Ruak.

Il sovrano desiderava a sua volta che un pargolo lanciasse il suo vagito all’interno delle mura di palazzo ma, contrariamente a quanto aveva sperato, la scelta si era rivelata difficile.

Erano occorsi anni per trovare una donna che incontrasse il suo favore ma ora, grazie a Renke, sperava di poter controllare almeno le sorti di uno dei due figli.

Poiché con Aken tutto era ormai perso, Arkan puntava su Ruak per una discendenza sana e forte.

Un evento inaspettato, però, intrecciò i cammini dei futuri sposi prima che la mano dei potenti potesse unirli.

La mattina del giorno d’autunno in cui Ruak avrebbe incontrato, come da accordi, la sua futura sposa, il principe scese prima del solito nella stalla per occuparsi del  proprio stallone.

Sperava di trovare, in quei gesti così naturali e rilassanti, un balsamo per il nervosismo che lo aveva attanagliato durante tutta la notte precedente.

L’intera corte sarebbe stata presente, lieta di officiare tali nozze e pronta a sparlare alle spalle di entrambi i giovani eredi al trono.

Non dubitava di questo; sarebbe stato come dubitare della vita stessa, o dell’aria che respirava.

Era quasi certo che, come era stato per Melantha a suo tempo, le dame di corte si sarebbero spartite la compagnia della futura regina per ottenere favori e concessioni.

Pur sapendo di non poter fare diversamente, la notizia del fidanzamento ufficiale con una donna mai incontrata neppure una volta, lo aveva lasciato esterrefatto, se non addirittura basito.

Aveva sempre sperato di poter incontrare una fanciulla da amare almeno la metà di quanto il fratello Aken amava la sua Eikhe.

Invece, veniva proposta per lui la grande unione con una casata nobiliare dalla superba nomea.

Un’unione con una donna di cui conosceva solo il nome, e null’altro.

Cos’avrebbe mai potuto sperare, da un matrimonio simile? Nulla.

In quegli anni di separazione, Aken non aveva mai smesso di pensare a Eikhe, nonostante non avesse più avuto da lei alcuna notizia, nonostante di lei non si sapesse più nulla.

In barba a tutto, il fratello continuava ad amarla, soffrendo incessantemente, ma rimanendo dolcemente fedele a quel sentimento così profondo.

Quanto avrebbe dato, lui stesso, per un amore simile? Tutto.

Ma, avendo concesso la sua parola al padre, giurando che avrebbe pensato in prima persona al proseguo del loro lignaggio, Ruak doveva accettare a bocca chiusa le scelte del re.

E farsi perciò andare bene la donna che lui, e il Concilio, avevano scelto dopo attenta e approfondita analisi.

Un vero strazio, insomma.

Fu con passo strascicato e un pesante sospiro che entrò nella stalla, illuminata dal sole che penetrava dalle finestre socchiuse.

Data una pacca sul fianco al suo stallone Enki, Ruak mormorò sommessamente: “Quanto vorrei essere al tuo posto, amico mio.”

Lo stallone nitrì scrollando la testa, come se avesse compreso le parole del padrone.

Il principe, con un risolino, prese il necessario per strigliarlo ed entrò nel box armato di spazzola e di un secchio di legno ricolmo d’acqua fresca.

Nulla lo tranquillizzava più dello stare con i suoi amati e fidati compagni a quattro zampe e quel giorno, di tranquillità, ne aveva bisogno più che mai.

Conoscere una donna con cui, nel giro di poche settimane, sarebbe finito a letto con l’unico scopo di generare un figlio, gli sembrava non solo un’idea ignobile, ma davvero disgustosa.

E decisamente capace di stroncare sul nascere qualsiasi tipo di pulsione sessuale.

Dèi! Quella donna avrebbe potuto essere anche un’autentica ninfa dei boschi dallo sguardo ammaliante, e forse non sarebbe riuscito a combinare niente lo stesso, tanta era la tensione che provava in quel momento!

Sarebbe stato tutto molto più facile se non avesse badato ai sentimenti di entrambi, e avesse guardato all’atto puramente fisico, ma gli era davvero impossibile.

Non era un troglodita, né un uomo delle caverne.

Era più che sicuro che la misteriosa donna in questione non si sentisse più tranquilla di lui.

Inoltre, per una fanciulla illibata, il sesso doveva apparire come un autentico incubo a occhi aperti!

E lui doveva iniziarla. Oh, cielo! Il solo pensiero lo atterriva!

“Più ci penso, e peggio mi sembra l’intera faccenda” brontolò tra sé Ruak, spazzolando con energia il manto sericeo del cavallo, mentre quest’ultimo scodinzolava tranquillo sotto il suo tocco esperto.

Del tutto preso da quei gesti ritmici, e dall’effetto terapeutico e calmante che il suo stallone Enki aveva su di lui, il giovane si sorprese non poco quando, da uno dei box, giunse un rumore soffuso e un bisbiglio flebile.

Più che convinto che, a quell’ora antelucana, nessuno degli stallieri fosse già al lavoro, Ruak si levò lesto per controllare chi fosse dunque presente nella stalla.

Uscito che fu dal suo box, seguì la traccia sonora che l’aveva incuriosito, udibile ora in maniera più chiara, e si affacciò oltre una spalliera di legno per controllare la fonte di quel brusio.

Tale fu la sua sorpresa nello scorgere una ragazza impegnata a ripulire lo zoccolo di una giumenta che, a bocca aperta, fissò basito la giovane amazzone.

Fu con quell’espressione di totale sconcerto che la giovane lo trovò, i suoi occhi di giada screziati d’oro puntati su di lui e vagamente incuriositi.

Un lento sorriso sorse a piegare all’insù le belle labbra carnose mentre la voce, bassa e suadente, esordì dicendo: “Non avete mai visto una donna prendersi cura della propria cavalcatura?”

Riscuotendosi da quel momentaneo stato di shock, Ruak si aggrappò al box e replicò per contro: “Nessuna che io conosca, in tutta onestà, mia Signora. Mia sorella non si avvicinerebbe neppure lontanamente agli zoccoli di un cavallo.”

“Allora la compiango” scrollò le spalle la fanciulla dall’aspetto esotico e i bei capelli bruni legati in una trina di trecce.

Tornando a occuparsi dello zoccolo con attenti movimenti dello scalpello, la giovane mormorò atona: “Permettetemi di finire, poi mi offrirò volentieri alle mille domande che vi stanno passando per la mente e sul volto, messere.”

Ruak rise del suo dire e, intrecciate le braccia al petto, si appoggiò a una delle pareti dei box in quieta attesa della giovane fanciulla che, così sfrontatamente, gli aveva parlato.

Doveva esserle parso più che evidente quanto la sua presenza lo avesse sorpreso, se gli aveva offerto una simile risposta.

Solitamente, era più bravo a schermare i suoi pensieri ma, in tutta onestà, non si era aspettato di trovare una fanciulla infilata in box a quell’ora del mattino e, a quanto pareva, una nobile fanciulla.

Chi poteva mai essere? Di certo, non l’aveva mai incontrata prima di allora.

Forse, era la figlia di qualche nobilotto di provincia, giunto in città per il suo imminente matrimonio.

Il solo pensiero lo fece rabbrividire.

La ragazza rimase in ginocchio nella paglia per almeno un’altra decina di minuti, senza mai rivolgergli una seconda occhiata.

La sua attenzione era massima, e interamente rivolta alla bella giumenta dal manto grigio.

Quando infine annunciò di aver terminato il suo lavoro, e ripose diligente scalpello e lima in un secchio, sorrise a Ruak da sopra la spalliera e dichiarò: “Ora, mi potrete martellare con le vostre domande.”

Non appena la vide uscire e chiudersi la porta dello stallaggio alle spalle, Ruak si sorprese ulteriormente.

Indossava solo una camiciola di lino, un paio di calzoni da equitazione e alti stivali al ginocchio, il tutto interamente cosparso da un leggero strato di polvere.

Ruak rimase incantato da tale semplice, disarmante candore.

Con un movimento fluido, crollò ai suoi piedi poggiando un ginocchio a terra e, teatrale, le afferrò una mano ancora sporca di terriccio, chiedendole ironicamente di sposarla.

Non che non ci avesse pensato sul serio, vedendo quella splendida amazzone comparire davanti ai suoi occhi a quel modo, ma dubitava fortemente che suo padre glielo avrebbe permesso.

Anche se avesse tessuto le lodi della sua famiglia di nobili natali, qualunque essa fosse.

Nessuna donna di umile discendenza avrebbe potuto permettersi quegli stivali borchiati d’oro, o il bracciale che le solleticava l’esile polso.

Inoltre, lui aveva già il nome di una donna, nel suo futuro.

Sognare per qualche minuto, però, non lo avrebbe certo fatto morire, no?

La fanciulla, presa alla sprovvista da quella dichiarazione capitata all’improvviso, fu così sorpresa dal suo dire che sorrise deliziata, e disse per contro: “Temo dovrete battervi con il principe per ottenere la mia mano, mio buon stalliere, poiché mio padre ha preso accordi per offrirmi in sposa a lui.”

La notizia lo lasciò basito per un minuto buono, minuto in cui temette che la splendida ragazza che lo stava osservando con espressione divertita, si stesse riferendo al fratello Aken.

Quando lei si decise a correre in suo soccorso, aggiunse: “Mio padre si è accordato con re Arkan perché io sposi il principe Ruak, visto che il fratello maggiore sembra destinato a condurre vita monacale a tempo indeterminato.”

Quella notizia lo rincuorò non poco ma, ben deciso a non scoprire ancora le sue carte, mormorò educato: “Suppongo che voi non conosciate neppure di vista il principe Ruak.”

“No, purtroppo, visto che non abito a Rajana, né vi sono mai stata prima di oggi. Oh, mio padre è stato fin troppo prodigo di complimenti, tanto che mi chiedo se un giovane così perfetto possa esistere” disse a quel punto la ragazza, guardando a momenti alterni la mano ancora stretta in quella di Ruak.

Il principe gliela lasciò andare solo a fatica e, per un attimo, la ragazza rimase con la mano distesa verso di lui, prima di ritirarla verso i seni, quasi spiacente.

“Io mi chiedo, piuttosto, come possa pretendere che rispetti un uomo che accetta una donna offertagli solo per il buon nome che essa porta” aggiunse infine lei, sospirando leggermente.

“Lo riterreste un debole?” chiese allora lui, sogghignando nel rialzarsi da terra per poi spazzolarsi il calzoni con piccoli gesti delle mani.

Renke. Quella ragazza meravigliosa era destinata a lui e, a quanto pareva, lei non aveva una grande opinione del principe che lui era.

 “Questo è dire poco!” annuì fermamente lei, prima di cambiare argomento, ben decisa a non irritarsi ulteriormente. “Lo stallone di cui vi stavate prendendo cura… di chi è?”

“Del principe Ruak, mia Signora” disse il principe, con un mezzo sorriso.

“Sono Dama Renke. O semplicemente Renke, messere” replicò la ragazza con un risolino. “Posso vederlo?”

“Sarà un vero onore mostrarvelo, Dama Renke” annuì Ruak, profondendosi in un inchino che la fece sorridere deliziata.

“Sicuro di essere un semplice stalliere, messere? O forse, qui a Rajana, insegnano l’etichetta di corte a tutta la servitù?” ridacchiò Renke, seguendolo lungo la stalla.

“Una cosa o due le ho imparate anch’io. E poi, avendo a che fare con un sacco di amazzoni, qualche finezza bisogna pure elargirla” commentò lui, scrollando le spalle, indicandole poi il box di Enki.

Il principe la fece avvicinare all’animale subito dopo essersi esibito in un’atra stupida riverenza – che la fece ridere deliziata – e, carezzata la fronte di Enki, Ruak sussurrò all’amico dolci parole perché non si imbizzarrisse.

Lo stallone sbuffò una sola volta prima di calmarsi, non appena Renke gli carezzò la serica criniera.

Con voce soffusa, la giovane mormorò al cavallo: “Sei un magnifico animale, amico mio, l’emblema stesso della regalità. Almeno nei cavalli, il principe ha buon gusto. Potremmo andare d’accordo, su questo punto.”

“Vi piace cavalcare, mia Signora?” chiese Ruak, attirando di nuovo la sua attenzione e rivolgendole un sorriso cordiale.

Renke lo fissò per un momento a occhi socchiusi, lasciando scivolare la mano dalla fronte del cavallo fino alla sua spalla.

Con un gesto aggraziato quanto improvviso, poi, montò in groppa allo stallone, che rimase immobile sotto il suo delicato peso, in attesa di una sua mossa.

Sorpreso e ammirato da quel gesto impavido quanto inaspettato, il principe ne osservò la postura perfetta e lo sguardo sicuro e, accentuando il suo sorriso, dichiarò: “Se anche mio padre non avesse accettato le richieste del vostro, penso proprio che avrei usato la mia spada e il mio pugno, pur di avervi.”

A quel punto Renke fece tanto d’occhi e, a bocca aperta e con un delicato rossore a imporporarle le gote, esalò sgomenta: “Il principe?”

“In carne e ossa, mia Signora. Al vostro servizio per qualunque cosa vi potesse servire” asserì Ruak, inchinandosi nuovamente con fare scherzoso.

La giovane rise imbarazzata nello scendere dal cavallo e, dandogli uno scherzoso schiaffo sulla spalla, esclamò: “Mi avete presa in giro! Non è giusto! Vi siete burlato di me fino a questo momento!”

“Solo in parte” precisò lui, tornando serio. “Non mentivo, prima, quando vi ho chiesto di sposarmi.”

“Non siamo destinati in ogni caso a questo grandioso evento?” replicò Renke, divenendo seria al pari suo.

“Non desidero ascoltare quel che dirà mio padre, o il vostro, né interessarmi di quanto questa unione porterà all’una o all’altra casata. Voglio una risposta onesta da parte vostra. Solo questo conterà, per me. Non i vaneggiamenti della corte, o di qualche togato di parte” replicò con veemenza, fissandola con intensità senza mai abbandonare la presa dal suo sguardo acceso di interesse.

“Se la mettete così, allora, risponderò a voi come ho risposto a mia madre prima di partire per giungere qui. Avrei amato e onorato il principe solo se si fosse dimostrato un uomo, e non un fantoccio guidato dagli interessi del padre. L’uomo che ho di fronte a me, potrei amarlo e onorarlo” dichiarò Renke, sorridendo leggermente.

“Perché?” chiese allora Ruak, inclinando il capo a scrutarla curioso.

“Perché vi siete sporcato le mani per pulire gli zoccoli del vostro cavallo, e avete preso la mia mano tra le vostre senza curarvi del fatto che fossero impolverate e macchiate di terra.”

Nel dirlo, si scrutò le mani impolverate e sorrise imbarazza, prima di proseguire nel suo dire.

“Mi avete guardata con interesse nonostante avessi i capelli in disordine, gli abiti sporchi e null’altro a rendermi donna se non le forme del mio corpo. Insomma, è stato abbastanza lusinghiero, secondo me.”

“Neppure con vesti d’oro, potreste apparirmi più bella di quanto non siate già ora” ammise onestamente Ruak, scrollando le spalle.

Renke allora rise di gusto e, arrischiandosi a baciare Ruak su una guancia, mormorò: “Manterremo per noi questo entusiasmo reciproco. Non sia mai che i nobili della vostra corte non pensino di poterci controllare. Non vorrei rovinare loro la festa prima ancora che inizi.”

“Mi trovate d’accordo, mia Signora” annuì il principe, ridendo di cuore assieme a lei.

Adorava già il modo in cui la sua voce trillante gli solleticava le orecchie.  

“Di questa conversazione non parleremo con nessuno, e io mi mostrerò solo pacatamente soddisfatto di voi, una volta nella Sala del Trono.”

“Mentre io farò finta di essere terrorizzata da voi, e rassegnata all’inevitabile” commentò ironica Renke, fissandolo con aria da cospiratore.

Risero ancora, le mani che si sfioravano come in una muta promessa e, con un ultimo sorriso complice, si accomiatarono.

Il proseguo della giornata fu, per entrambi, fonte di ansia e aspettativa, anche se non per i motivi che i più pensarono nel vederli così carichi di nervosismo.

Contare le ore che li separavano dal loro incontro ufficiale, fu la cosa più snervante che i due giovani dovettero sopportare.

Quando, finalmente, trombe dai suoni squillanti annunciarono l’arrivo della futura sposa, il diretto interessato si passò una mano sul cuore per il terrore che esso scoppiasse per la troppa agitazione.

Era sciocco comportarsi a questo modo – dopotutto, aveva visto Renke quella stessa mattina – eppure, non riusciva a trovare il modo di calmare il proprio respiro e il proprio cuore fuori controllo.

Aken, al suo fianco, si piegò verso di lui per sussurrargli: “Guarda che dovresti arrivare al ‘sì’ da vivo, e non da morto. Pensi di farcela?”

“Cercherò di non restarci secco, ma è dura” celiò roco Ruak prima di sgranare leggermente gli occhi non appena la giovane entrò nel suo campo visivo.

Come un’autentica visione idilliaca, Renke avanzò al fianco del padre indossando un sontuoso abito di seta blu scuro a balze, stretta in un corpetto nero come la notte che non faceva che evidenziarne le forme flessuose e sensuali.

Nonostante la bellezza dell’abito, la prima cosa che balzò alla mente del principe non fu quanto fosse bella, ma la sensazione delle sue labbra sulla guancia.

Era davvero fregato. E ne era ben felice.

Cercando comunque di darsi un contegno per non attirare troppo l’attenzione su di sé, Ruak si impose di fissarla con quieto favore.

Mentre ella avanzava con passo leggero lungo la navata, ricoperta di pesanti panneggi color rosso fuoco recanti lo stemma del lupo, lui non poté evitare di scorgere il luccichio vittorioso nei suoi occhi di giada screziata d’oro.

Era divertita e questo, invece di farlo scoppiare a ridere, gli diede la forza per mantenere il suo contegno impeccabile.

Arkan, alla destra di Ruak, osservò a sua volta la futura sposa del figlio avanzare con grazia e regalità assieme e, annuendo con vigore e soddisfazione, disse al secondogenito: “Questa donna sarà l’orgoglio della nostra corona.”

“Sì, padre” annuì semplicemente lui, imponendosi di non dire altro.

Era ovvio quanto quelle parole fossero, al tempo stesso, rivolte sia a lui che al fratello maggiore.

Per quanto fosse d’accordo sul fatto che Renke sarebbe stata una regina stupenda, mal sopportò l’implicito rifiuto ad accordare un simile tributo anche a Eikhe.

La figlia sacra era donna di valore, indipendentemente dal suo sangue non nobile, ma questo non avrebbe mai potuto dirlo ad alta voce.

E non a suo padre.

Quando, però, Renke raggiunse il palco dove si trovava Ruak, lasciò da parte qualsiasi altro pensiero e, allungando una mano in direzione della giovane genuflessa, disse: “La Corona di Enerios è lieta di accogliere tra le sue forti braccia un simile fiore di perfezione.”

A quelle parole, lei sollevò i suoi occhi screziati a scrutare il viso luminoso del principe e, accennando un sorriso compito, la fanciulla replicò soave: “E’ un onore e un piacere essere accettata in una così grande e potente casata.”

Null’altro udirono le loro orecchie, da quel momento in poi.

Né le promesse reciprocamente scambiate dai genitori, né il contratto prematrimoniale letto con voce stentorea da un messo reale a tutta la corte.

Il banchetto in loro onore si svolse senza che nessuno dei due fosse attivamente partecipe alla serata, ma nessuno se ne curò.

Seppur dando risposte argute ogni qualvolta uno dei due giovani venne interpellato, a Ruak e Renke non interessò minimamente ciò che avvenne quella sera.

La cerimonia matrimoniale si sarebbe svolta da lì a due settimane ma, per i due ragazzi, questo non contava affatto.

Per quel che li riguardava, i voti erano già stati scambiati quella mattina, tra la paglia profumata della stalla, sotto lo sguardo curioso dei cavalli e il bacio leggero del sole mattutino.

***

Autoproclamatosi accompagnatore dei due giovani, Aken si ritrovò a sorseggiare del buon vino aromatizzato, spaparanzato su un divano di uno dei tanti salottini di palazzo.

Sogghignando all’indirizzo del fratello, celiò: “Avete ben giocato il vostro ruolo di compiti promessi sposi, ragazzi, ma con me non funziona.”

Le scuse accampate dai due giovani, in quei giorni, erano state molteplici e molto fantasiose, e tutte mirate a un unico scopo; restare un po’ di tempo da soli.

Rinchiusisi in quel salottino del terzo piano per essere al sicuro dalle occhiate dei cortigiani, la futura coppia di sposi fissò con un mezzo sorriso Aken, prima di scoppiare a ridere di fronte al suo sguardo indagatore.

Fu così che, entrambi gaudenti, spiegarono al giovane del loro primo, folgorante incontro nelle stalle, e della decisione di nascondere alla corte quel particolare, quanto il subitaneo affiatamento nato tra loro.

Annuendo compiaciuto e soddisfatto, Aken abbracciò entrambi e disse con voce stentorea, colma di affetto incondizionato: “La sorte vi ha fatto un dono prezioso quanto raro. Stringetelo a voi con tutte le vostre forze, e non permettete a nessuno di incrinarlo.”

Percettiva come pochi, Renke sorrise al suo futuro cognato e, in un abbraccio consolatorio, gli disse: “Non lascerò mai che qualcuno spezzi il mio legame con Ruak. Ve lo prometto, Aken.”

E fu così che Renke si unì alla loro famiglia, dando alla corona un figlio dopo neppure un anno dal suo matrimonio con Ruak.

Il bimbo venne ufficialmente adottato da Aken, perché diventasse suo erede designato, mettendo così finalmente a tacere il padre e le sue continue, incessanti richieste di mantenere al sicuro il trono.

Renke non chiese mai al cognato il perché della sua scelta di restare solo, né domandò mai a Ruak spiegazioni in tal senso.

Cercò, però, in tutti i modi di spezzare il velo di apatia che, anno dopo anno, vide calare sul volto a lei caro dell’uomo che, più di tutti, giunse a considerare come un fratello.

***

Intenta a sistemare il filo della sua daga, mentre Antalion scrutava la madre con attenzione quasi maniacale, Sendala giunse a cavallo in compagnia di Enok.

Scesa dalla sella quando ancora la cavalcatura non si era fermata, corse dall’amica e disse a gran voce, con il fiato corto: “E’ il principe! E il principe Ruak a essersi sposato!”

Lasciando quasi cadere la daga a terra, Eikhe si levò lesta dal treppiede su cui era seduta e, fissando l’amica con la paura nel cuore, esalò: “Sei sicura, vero?”

Annuendo più volte, Sendala la afferrò per le spalle mentre Enok si avvicinava a loro con un mezzo sorriso sulle labbra.

Con voce a stento controllata, la giovane ripeté ancora: “E’ Ruak a essersi sposato. Ruak!”

Eikhe abbracciò con forza la ragazza mentre Antalion, fissando la madre e la zia acquisita, chiedeva a Enok: “Che c’è?”

Preso in braccio il bimbo di quasi sei anni, il giovane si diresse verso il torrente che scorreva nei pressi della baita e, afferrati un paio di secchi con la mano libera, mormorò: “Prendiamo un po’ d’acqua per la mamma e Sendala, mentre loro chiacchierano.”

“Cose da donne?” storse il naso il bambino con un sorriso sbieco.

“Già” ammiccò il giovane con un risolino.

Scostandosi da Sendala quando sentì il sangue tornare a fluire nel corpo, Eikhe si sedette sul treppiede, incerta se essere o meno capace di restare in piedi.

L’amica si accoccolò a terra, dinanzi a lei, e sorrise lieta.

“Beh, dopotutto ha mantenuto la promessa.”

Quando erano giunte voci di un prossimo matrimonio per il principe della casa regnante, Eikhe era sprofondata nella più nera disperazione, pur sapendo che presto o tardi avrebbe dovuto accadere.

Vedere Antalion crescere, e divenire sempre più simile al padre, era già un tormento enorme, ma scoprire che la promessa del suo unico amore sarebbe stata presto infranta, l’aveva quasi uccisa.

Sendala aveva praticamente malmenato Konis, reo di essere piombato alla baita tutto allegro, portando quella notizia smozzicata e priva di certezze.

Fin da quel primo momento di sconcerto totale, la donna-lupo si era messa alla ricerca di qualche commerciante proveniente da Rajana, con la speranza che sapesse qualcosa di più sul grande matrimonio previsto per uno dei principi di Rajana.

Chiedere al borgomastro sarebbe stato impossibile, del resto.

Nessuna donna-lupo era ben accetta alla sua porta, e di questo non poteva che esserne lieta.

Avere a che fare con gli uomini della corona non era certo uno dei suoi sogni nascosti, questo era poco ma sicuro!

Dopo settimane di andirivieni tra Marhna e la baita, settimane in cui Eikhe aveva fatto di tutto per non mostrare la propria tristezza al figlio ignaro, Sendala era infine riuscita ad avere la meglio.

Trovato un commerciante appena giunto dalla pianura, si era fatta descrivere con dovizia di particolari la giovane coppia di sposi.

Felice come poche altre volte era stata, Sendala era corsa da Enok per dargli la bella notizia – anche lui aveva mostrato preoccupazione nel vedere Eikhe così abbattuta – e, insieme, si erano diretti a spron battuto verso la baita.

Esalando un profondo respiro, Eikhe sorrise all’amica, dicendo: “Dopo tanti anni di silenzio da parte sua, pensavo di fosse dimenticato di me. Eppure, questo matrimonio vuole dire l’esatto contrario.”

“D’altra parte, tesoro, come pretendi che lui possa scriverti, o anche solo contattarti, se tu non ti fai sentire? Come potrebbe mai trovarti, qui?” precisò Sendala, accigliandosi. “Lui ti crede ancora a Nestar e stai pur certa che, se ha provato a contattarti là, tua madre avrà sicuramente bruciato ogni lettera del tuo bello.”

Accigliandosi leggermente, Eikhe le chiese: “Hai saputo come sta?”

Scrollando le spalle con fare noncurante, Sendala borbottò: “Tua sorella mi ha detto che si è ripresa un po’, ma non parla più. La Falce di Haaron* ha minato il suo corpo e il suo spirito, e più di quanto il medico chiamato da Marhna avesse diagnosticato in un primo momento.”

Reclinando leggermente il capo, Eikhe sospirò mestamente, ripensando a quando Tyura le aveva portato la notizia della malattia improvvisa della madre, e delle condizioni disperate in cui versava.

La Falce di Haaron colpiva pesantemente colui che era sottoposto a simile travaglio, privando il più delle volte il malato della capacità di muoversi e, in alcuni casi, strappandogli via la vita stessa.

Kaihle, per certi versi, era stata fortunata, sopravvivendo al peggio grazie alla sua tempra di guerriera ma, della donna di un tempo, era rimasto ben poco.

Costretta a letto per la maggior parte del tempo, troppo debole per rimanere in piedi per più di qualche ora, la donna non aveva più aperto bocca dal primo giorno della malattia.

Secondo il medico, il tutto era dovuto ai danni che la Falce aveva prodotto nel suo corpo.

Pur sapendo quanto fosse sbagliato, Eikhe non era riuscita a trovare nel suo cuore il perdono e, solo per quello, si sentiva un’ingrata.

Avrebbe dovuto essere migliore di così, eppure non ci riusciva.

Poggiando una mano su quella dell’amica, Sendala le sorrise benevola.

“Dai tempo al tempo, Eikhe. Per ogni cosa.”

Con un mezzo sorriso, l’amica mormorò mesta: “Il tempo non mi manca, e so di certo come riempirlo.”

Entrambe le donne volsero lo sguardo verso il torrente, dove Enok stava aiutando Antalion a riempire uno dei due secchi con l’acqua zampillante.

Ammiccando all’amica, Sendala ammise: “Era davvero in ansia per te.”

“Come sempre” scrollò le spalle Eikhe, prima di aggiungere: “Mi sembra di avere un fratello maggiore sempre alle calcagna.”

“Fratello… maggiore?” esalò la donna-lupo, sollevando dubbiosa un sopracciglio.

Annuendo a più riprese, la figlia sacra asserì: “Enok si comporta così, con me. E dovresti sentire le paternali che mi fa!”

“Oh. Mi sono persa questo spettacolo!” esclamò lei, divertita.

Storcendo il naso, Eikhe replicò: “Fossi in te, non spererei di esserne la protagonista. Neppure mio padre è così puntiglioso, quando vuole farmi qualche reprimenda. Cosa rara, tra l’altro.”

“E tu dici che non sono le attenzioni di un innamorato” si interessò Sendala, scrutandola con aria indagatrice.

“Riconosco gli sguardi di una persona innamorata, e lui non lo è più, te lo posso assicurare” ammiccò Eikhe, tornando a osservare Enok che, con fare premuroso, stava osservando Antalion, tutto impegnato a riportare indietro il suo secchio colmo a metà di acqua cristallina. “Adora An, e vuol bene a me, ma non più come prima. Il suo sguardo non è percorso né dal rammarico, né dal desiderio.”

“Ah” sbatté le palpebre, Sendala, vagamente sorpresa. “Beh, sono passati anni dal tuo rifiuto. Può darsi gli sia passata davvero.”

“Io ne sono convinta” annuì l’amica, rialzandosi per raggiungere figlio e amico. “Ma come sei stato bravo, An! Guarda quant’acqua!”

Aprendosi in un sorriso mezzo sdentato, Antalion le mostrò orgoglioso il secchio.

“Zio Enok dice che va bene!”

Eikhe lanciò un sorriso grato all’uomo prima di annuire e dire al figlioletto: “E ha ragione. Hai fatto un ottimo lavoro. Ora, lo verso nella botte, così avremo acqua a sufficienza per un po’.”

“Tutto bene?” le sussurrò Enok, vedendosela passare accanto.

“Ottimamente, grazie” replicò lei, infilandosi in casa sotto il suo sguardo soddisfatto.

Avvicinandosi ai due, Sendala sorrise al figlioccio e dichiarò soddisfatta: “Stai diventando davvero un ometto forte, eh, An?”

Mostrando i muscoli, Antalion esclamò: “Forte, io!”

“Molto” annuì lei, mostrandosi impressionata.

Enok ridacchiò dell’espressione buffa di Sendala prima di dire a gran voce, all’indirizzo di Eikhe – che ancora si trovava in casa: “Io vado! Tornerò dopodomani con le nuove ordinazioni dall’emporio!”

“Va bene!” urlò di rimando lei, dall’interno della baita.

“Vai già, zio?” chiese a quel punto Antalion, mettendo il broncio.

“Sarà per poco, cucciolotto. Tornerò presto, vedrai” gli promise Enok, scompigliandogli i capelli prima di rivolgersi a Sendala con un sorriso.

Chinatosi verso di lei, le sussurrò all’orecchio: “Ci vediamo, Sendy.”

Detto ciò, le sfiorò la guancia con un bacio prima di avviarsi tranquillo verso il suo cavallo, consapevole degli occhi puntati su di sé, e quasi certo dell’espressione basita della donna-lupo.

Senza voltarsi indietro, balzò in sella e si allontanò al trotto dalla baita.

Sul suo viso brillava un bel sorriso soddisfatto mentre la depositaria del suo bacio, ancora a occhi spalancati e bocca socchiusa, lo fissava senza avere il coraggio di parlare.

Antalion, di tutt’altro avviso, ridacchiò ghignante prima di indicarla e urlare: “Zio Enok ha baciato zia Sendy… l’ha baciata, l’ha baciata!”

Sulla porta, poggiata contro lo stipite e l’aria divertita come poche altre volte le era capitato in quegli anni, Eikhe commentò: “Ma tu guarda…”

Volgendosi di scatto come se l’avesse punta una vespa, Sendala avvampò in viso e fissò l’amica in cerca di una qualsiasi banalità da dire, ma Eikhe la precedette.

“Qui, qualcuno mi nasconde qualcosa.”

“Non. Osare. Dire. Niente” sbottò Sendala, arrossendo, se possibile, ancor più di prima.

Scoppiando a ridere assieme al figlio, Eikhe esalò senza fiato: “Oh, dèi, dovresti vedere la tua faccia, Sendala.”

Sbuffando a più riprese, la giovane donna-lupo la spinse da parte per entrare in casa e, bofonchiando tra sé, ringhiò: “Uomini! Ah!”

 

 

 

 

-----------------------------------------------

*Falce di Haaron: E’ l’equivalente del nostro ictus.

-----------------------------------------------

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark