21.
Cinque anni erano passati dalla
grande battaglia di Roiconea, che aveva visto vittorioso il regno di Enerios,
contrapposto a quello di Vartas.
In una fresca mattina
d’autunno, giunse a palazzo una giovane che avrebbe scardinato completamente la
vita di Ruak e, in qualche modo, alleviato le sofferenze di Aken.
Finalmente di ritorno dopo
quattro anni di apprendistato militare passati a Kantor, presso la corte del
marito di Melanth, Ruak aveva appena fatto in tempo a rientrare, quando la
notizia gli era giunta tra capo e collo.
I colloqui con la nobile
famiglia di Renke si erano tenuti in sua assenza e, grazie soprattutto alla
grande amicizia tra il re e il padre della ragazza, tutto si era svolto senza
problemi.
Non che la presenza di Ruak,
o le rimostranze di Renke, figlia di Lothar di Elcantas, avrebbero contato
qualcosa, per re Arkan.
Il rapporto ormai
sfilacciato tra il sovrano e suo figlio minore era cosa nota ai più, ormai, così
come la decisione di Aken di non prendere moglie.
Il fatto che Ruak fosse
stato avvisato solo al suo ritorno, quindi, non aveva stupito nessuno, neppure
il diretto interessato.
Aken non aveva neppure
mettere voce in merito, visto il suo rifiuto tassativo di partecipare
attivamente alla discendenza della loro famiglia.
Famiglia che, invece, Melantha
aveva già provveduto ad allargare.
Quanto meno, nel regno di
Karton.
Dopo poco meno di un anno
dal suo matrimonio, aveva dato due gemelli al principe Mynias.
Nelle sue lettere ai
fratelli, teneva sempre a sottolineare quanto, la sua nuova vita, fosse assai
più lieta di quanto, in un primo momento, avesse anche solo osato sperare.
Nel vedere come Melantha si
fosse prodigata per il suo nuovo reame, si era quindi spazientito con i due
figli, iniziando così a cercare una moglie per Ruak.
Il sovrano desiderava a sua
volta che un pargolo lanciasse il suo vagito all’interno delle mura di palazzo
ma, contrariamente a quanto aveva sperato, la scelta si era rivelata difficile.
Erano occorsi anni per
trovare una donna che incontrasse il suo favore ma ora, grazie a Renke, sperava
di poter controllare almeno le sorti di uno dei due figli.
Poiché con Aken tutto era
ormai perso, Arkan puntava su Ruak per una discendenza sana e forte.
Un evento inaspettato, però,
intrecciò i cammini dei futuri sposi prima che la mano dei potenti potesse
unirli.
La mattina del giorno d’autunno
in cui Ruak avrebbe incontrato, come da accordi, la sua futura sposa, il
principe scese prima del solito nella stalla per occuparsi del proprio stallone.
Sperava di trovare, in quei
gesti così naturali e rilassanti, un balsamo per il nervosismo che lo aveva
attanagliato durante tutta la notte precedente.
L’intera corte sarebbe stata
presente, lieta di officiare tali nozze e pronta a sparlare alle spalle di
entrambi i giovani eredi al trono.
Non dubitava di questo;
sarebbe stato come dubitare della vita stessa, o dell’aria che respirava.
Era quasi certo che, come
era stato per Melantha a suo tempo, le dame di corte si sarebbero spartite la
compagnia della futura regina per ottenere favori e concessioni.
Pur sapendo di non poter
fare diversamente, la notizia del fidanzamento ufficiale con una donna mai incontrata
neppure una volta, lo aveva lasciato esterrefatto, se non addirittura basito.
Aveva sempre sperato di
poter incontrare una fanciulla da amare almeno la metà di quanto il fratello
Aken amava la sua Eikhe.
Invece, veniva proposta per
lui la grande unione con una casata nobiliare dalla superba nomea.
Un’unione con una donna di
cui conosceva solo il nome, e null’altro.
Cos’avrebbe mai potuto
sperare, da un matrimonio simile? Nulla.
In quegli anni di separazione,
Aken non aveva mai smesso di pensare a Eikhe, nonostante non avesse più avuto
da lei alcuna notizia, nonostante di lei non si sapesse più nulla.
In barba a tutto, il
fratello continuava ad amarla, soffrendo incessantemente, ma rimanendo
dolcemente fedele a quel sentimento così profondo.
Quanto avrebbe dato, lui
stesso, per un amore simile? Tutto.
Ma, avendo concesso la sua
parola al padre, giurando che avrebbe pensato in prima persona al proseguo del
loro lignaggio, Ruak doveva accettare a bocca chiusa le scelte del re.
E farsi perciò andare bene
la donna che lui, e il Concilio, avevano scelto dopo attenta e approfondita
analisi.
Un vero strazio, insomma.
Fu con passo strascicato e
un pesante sospiro che entrò nella stalla, illuminata dal sole che penetrava
dalle finestre socchiuse.
Data una pacca sul fianco al
suo stallone Enki, Ruak mormorò sommessamente: “Quanto vorrei essere al tuo
posto, amico mio.”
Lo stallone nitrì scrollando
la testa, come se avesse compreso le parole del padrone.
Il principe, con un
risolino, prese il necessario per strigliarlo ed entrò nel box armato di
spazzola e di un secchio di legno ricolmo d’acqua fresca.
Nulla lo tranquillizzava più
dello stare con i suoi amati e fidati compagni a quattro zampe e quel giorno,
di tranquillità, ne aveva bisogno più che mai.
Conoscere una donna con cui,
nel giro di poche settimane, sarebbe finito a letto con l’unico scopo di
generare un figlio, gli sembrava non solo un’idea ignobile, ma davvero
disgustosa.
E decisamente capace di
stroncare sul nascere qualsiasi tipo di pulsione sessuale.
Dèi! Quella donna avrebbe
potuto essere anche un’autentica ninfa dei boschi dallo sguardo ammaliante, e
forse non sarebbe riuscito a combinare niente lo stesso, tanta era la tensione
che provava in quel momento!
Sarebbe stato tutto molto
più facile se non avesse badato ai sentimenti di entrambi, e avesse guardato
all’atto puramente fisico, ma gli era davvero impossibile.
Non era un troglodita, né un
uomo delle caverne.
Era più che sicuro che la
misteriosa donna in questione non si sentisse più tranquilla di lui.
Inoltre, per una fanciulla
illibata, il sesso doveva apparire come un autentico incubo a occhi aperti!
E lui doveva iniziarla. Oh,
cielo! Il solo pensiero lo atterriva!
“Più ci penso, e peggio mi
sembra l’intera faccenda” brontolò tra sé Ruak, spazzolando con energia il
manto sericeo del cavallo, mentre quest’ultimo scodinzolava tranquillo sotto il
suo tocco esperto.
Del tutto preso da quei
gesti ritmici, e dall’effetto terapeutico e calmante che il suo stallone Enki
aveva su di lui, il giovane si sorprese non poco quando, da uno dei box, giunse
un rumore soffuso e un bisbiglio flebile.
Più che convinto che, a
quell’ora antelucana, nessuno degli stallieri fosse già al lavoro, Ruak si levò
lesto per controllare chi fosse dunque presente nella stalla.
Uscito che fu dal suo box,
seguì la traccia sonora che l’aveva incuriosito, udibile ora in maniera più
chiara, e si affacciò oltre una spalliera di legno per controllare la fonte di
quel brusio.
Tale fu la sua sorpresa
nello scorgere una ragazza impegnata a ripulire lo zoccolo di una giumenta che,
a bocca aperta, fissò basito la giovane amazzone.
Fu con quell’espressione di
totale sconcerto che la giovane lo trovò, i suoi occhi di giada screziati d’oro
puntati su di lui e vagamente incuriositi.
Un lento sorriso sorse a
piegare all’insù le belle labbra carnose mentre la voce, bassa e suadente,
esordì dicendo: “Non avete mai visto una donna prendersi cura della propria
cavalcatura?”
Riscuotendosi da quel
momentaneo stato di shock, Ruak si aggrappò al box e replicò per contro:
“Nessuna che io conosca, in tutta onestà, mia Signora. Mia sorella non si
avvicinerebbe neppure lontanamente agli zoccoli di un cavallo.”
“Allora la compiango”
scrollò le spalle la fanciulla dall’aspetto esotico e i bei capelli bruni
legati in una trina di trecce.
Tornando a occuparsi dello
zoccolo con attenti movimenti dello scalpello, la giovane mormorò atona: “Permettetemi
di finire, poi mi offrirò volentieri alle mille domande che vi stanno passando
per la mente e sul volto, messere.”
Ruak rise del suo dire e,
intrecciate le braccia al petto, si appoggiò a una delle pareti dei box in
quieta attesa della giovane fanciulla che, così sfrontatamente, gli aveva
parlato.
Doveva esserle parso più che
evidente quanto la sua presenza lo avesse sorpreso, se gli aveva offerto una
simile risposta.
Solitamente, era più bravo a
schermare i suoi pensieri ma, in tutta onestà, non si era aspettato di trovare
una fanciulla infilata in box a quell’ora del mattino e, a quanto pareva, una nobile fanciulla.
Chi poteva mai essere? Di
certo, non l’aveva mai incontrata prima di allora.
Forse, era la figlia di
qualche nobilotto di provincia, giunto in città per il suo imminente
matrimonio.
Il solo pensiero lo fece rabbrividire.
La ragazza rimase in
ginocchio nella paglia per almeno un’altra decina di minuti, senza mai
rivolgergli una seconda occhiata.
La sua attenzione era
massima, e interamente rivolta alla bella giumenta dal manto grigio.
Quando infine annunciò di
aver terminato il suo lavoro, e ripose diligente scalpello e lima in un secchio,
sorrise a Ruak da sopra la spalliera e dichiarò: “Ora, mi potrete martellare
con le vostre domande.”
Non appena la vide uscire e
chiudersi la porta dello stallaggio alle spalle, Ruak si sorprese
ulteriormente.
Indossava solo una camiciola
di lino, un paio di calzoni da equitazione e alti stivali al ginocchio, il
tutto interamente cosparso da un leggero strato di polvere.
Ruak rimase incantato da
tale semplice, disarmante candore.
Con un movimento fluido,
crollò ai suoi piedi poggiando un ginocchio a terra e, teatrale, le afferrò una
mano ancora sporca di terriccio, chiedendole ironicamente di sposarla.
Non che non ci avesse
pensato sul serio, vedendo quella splendida amazzone comparire davanti ai suoi
occhi a quel modo, ma dubitava fortemente che suo padre glielo avrebbe permesso.
Anche se avesse tessuto le
lodi della sua famiglia di nobili natali, qualunque essa fosse.
Nessuna donna di umile
discendenza avrebbe potuto permettersi quegli stivali borchiati d’oro, o il
bracciale che le solleticava l’esile polso.
Inoltre, lui aveva già il
nome di una donna, nel suo futuro.
Sognare per qualche minuto,
però, non lo avrebbe certo fatto morire, no?
La fanciulla, presa alla
sprovvista da quella dichiarazione capitata all’improvviso, fu così sorpresa
dal suo dire che sorrise deliziata, e disse per contro: “Temo dovrete battervi
con il principe per ottenere la mia mano, mio buon stalliere, poiché mio padre ha
preso accordi per offrirmi in sposa a lui.”
La notizia lo lasciò basito
per un minuto buono, minuto in cui temette che la splendida ragazza che lo
stava osservando con espressione divertita, si stesse riferendo al fratello
Aken.
Quando lei si decise a
correre in suo soccorso, aggiunse: “Mio padre si è accordato con re Arkan
perché io sposi il principe Ruak, visto che il fratello maggiore sembra
destinato a condurre vita monacale a tempo indeterminato.”
Quella notizia lo rincuorò
non poco ma, ben deciso a non scoprire ancora le sue carte, mormorò educato: “Suppongo
che voi non conosciate neppure di vista il principe Ruak.”
“No, purtroppo, visto che
non abito a Rajana, né vi sono mai stata prima di oggi. Oh, mio padre è stato
fin troppo prodigo di complimenti, tanto che mi chiedo se un giovane così
perfetto possa esistere” disse a quel punto la ragazza, guardando a momenti
alterni la mano ancora stretta in quella di Ruak.
Il principe gliela lasciò
andare solo a fatica e, per un attimo, la ragazza rimase con la mano distesa
verso di lui, prima di ritirarla verso i seni, quasi spiacente.
“Io mi chiedo, piuttosto,
come possa pretendere che rispetti un uomo che accetta una donna offertagli
solo per il buon nome che essa porta” aggiunse infine lei, sospirando
leggermente.
“Lo riterreste un debole?”
chiese allora lui, sogghignando nel rialzarsi da terra per poi spazzolarsi il
calzoni con piccoli gesti delle mani.
Renke. Quella ragazza
meravigliosa era destinata a lui e, a quanto pareva, lei non aveva una grande
opinione del principe che lui era.
“Questo è dire poco!” annuì fermamente lei,
prima di cambiare argomento, ben decisa a non irritarsi ulteriormente. “Lo
stallone di cui vi stavate prendendo cura… di chi è?”
“Del principe Ruak, mia
Signora” disse il principe, con un mezzo sorriso.
“Sono Dama Renke. O
semplicemente Renke, messere” replicò la ragazza con un risolino. “Posso
vederlo?”
“Sarà un vero onore
mostrarvelo, Dama Renke” annuì Ruak, profondendosi in un inchino che la fece
sorridere deliziata.
“Sicuro di essere un
semplice stalliere, messere? O forse, qui a Rajana, insegnano l’etichetta di
corte a tutta la servitù?” ridacchiò Renke, seguendolo lungo la stalla.
“Una cosa o due le ho
imparate anch’io. E poi, avendo a che fare con un sacco di amazzoni, qualche
finezza bisogna pure elargirla” commentò lui, scrollando le spalle, indicandole
poi il box di Enki.
Il principe la fece
avvicinare all’animale subito dopo essersi esibito in un’atra stupida riverenza
– che la fece ridere deliziata – e, carezzata la fronte di Enki, Ruak sussurrò
all’amico dolci parole perché non si imbizzarrisse.
Lo stallone sbuffò una sola
volta prima di calmarsi, non appena Renke gli carezzò la serica criniera.
Con voce soffusa, la giovane
mormorò al cavallo: “Sei un magnifico animale, amico mio, l’emblema stesso
della regalità. Almeno nei cavalli, il principe ha buon gusto. Potremmo andare
d’accordo, su questo punto.”
“Vi piace cavalcare, mia Signora?”
chiese Ruak, attirando di nuovo la sua attenzione e rivolgendole un sorriso
cordiale.
Renke lo fissò per un
momento a occhi socchiusi, lasciando scivolare la mano dalla fronte del cavallo
fino alla sua spalla.
Con un gesto aggraziato
quanto improvviso, poi, montò in groppa allo stallone, che rimase immobile
sotto il suo delicato peso, in attesa di una sua mossa.
Sorpreso e ammirato da quel
gesto impavido quanto inaspettato, il principe ne osservò la postura perfetta e
lo sguardo sicuro e, accentuando il suo sorriso, dichiarò: “Se anche mio padre non
avesse accettato le richieste del vostro, penso proprio che avrei usato la mia
spada e il mio pugno, pur di avervi.”
A quel punto Renke fece
tanto d’occhi e, a bocca aperta e con un delicato rossore a imporporarle le
gote, esalò sgomenta: “Il principe?”
“In carne e ossa, mia Signora.
Al vostro servizio per qualunque cosa vi potesse servire” asserì Ruak,
inchinandosi nuovamente con fare scherzoso.
La giovane rise imbarazzata nello
scendere dal cavallo e, dandogli uno scherzoso schiaffo sulla spalla, esclamò:
“Mi avete presa in giro! Non è giusto! Vi siete burlato di me fino a questo
momento!”
“Solo in parte” precisò lui,
tornando serio. “Non mentivo, prima, quando vi ho chiesto di sposarmi.”
“Non siamo destinati in ogni
caso a questo grandioso evento?” replicò Renke, divenendo seria al pari suo.
“Non desidero ascoltare quel
che dirà mio padre, o il vostro, né interessarmi di quanto questa unione
porterà all’una o all’altra casata. Voglio una risposta onesta da parte vostra.
Solo questo conterà, per me. Non i vaneggiamenti della corte, o di qualche
togato di parte” replicò con veemenza, fissandola con intensità senza mai
abbandonare la presa dal suo sguardo acceso di interesse.
“Se la mettete così, allora,
risponderò a voi come ho risposto a mia madre prima di partire per giungere
qui. Avrei amato e onorato il principe solo se si fosse dimostrato un uomo, e
non un fantoccio guidato dagli interessi del padre. L’uomo che ho di fronte a
me, potrei amarlo e onorarlo” dichiarò Renke, sorridendo leggermente.
“Perché?” chiese allora
Ruak, inclinando il capo a scrutarla curioso.
“Perché vi siete sporcato le
mani per pulire gli zoccoli del vostro cavallo, e avete preso la mia mano tra
le vostre senza curarvi del fatto che fossero impolverate e macchiate di terra.”
Nel dirlo, si scrutò le mani
impolverate e sorrise imbarazza, prima di proseguire nel suo dire.
“Mi avete guardata con
interesse nonostante avessi i capelli in disordine, gli abiti sporchi e
null’altro a rendermi donna se non le forme del mio corpo. Insomma, è stato
abbastanza lusinghiero, secondo me.”
“Neppure con vesti d’oro, potreste
apparirmi più bella di quanto non siate già ora” ammise onestamente Ruak,
scrollando le spalle.
Renke allora rise di gusto
e, arrischiandosi a baciare Ruak su una guancia, mormorò: “Manterremo per noi
questo entusiasmo reciproco. Non sia mai che i nobili della vostra corte non
pensino di poterci controllare. Non vorrei rovinare loro la festa prima ancora
che inizi.”
“Mi trovate d’accordo, mia Signora”
annuì il principe, ridendo di cuore assieme a lei.
Adorava già il modo in cui
la sua voce trillante gli solleticava le orecchie.
“Di questa conversazione non
parleremo con nessuno, e io mi mostrerò solo pacatamente soddisfatto di voi,
una volta nella Sala del Trono.”
“Mentre io farò finta di essere
terrorizzata da voi, e rassegnata all’inevitabile” commentò ironica Renke,
fissandolo con aria da cospiratore.
Risero ancora, le mani che
si sfioravano come in una muta promessa e, con un ultimo sorriso complice, si
accomiatarono.
Il proseguo della giornata
fu, per entrambi, fonte di ansia e aspettativa, anche se non per i motivi che i
più pensarono nel vederli così carichi di nervosismo.
Contare le ore che li
separavano dal loro incontro ufficiale, fu la cosa più snervante che i due
giovani dovettero sopportare.
Quando, finalmente, trombe
dai suoni squillanti annunciarono l’arrivo della futura sposa, il diretto
interessato si passò una mano sul cuore per il terrore che esso scoppiasse per
la troppa agitazione.
Era sciocco comportarsi a
questo modo – dopotutto, aveva visto Renke quella stessa mattina – eppure, non
riusciva a trovare il modo di calmare il proprio respiro e il proprio cuore
fuori controllo.
Aken, al suo fianco, si
piegò verso di lui per sussurrargli: “Guarda che dovresti arrivare al ‘sì’ da vivo, e non da morto. Pensi di
farcela?”
“Cercherò di non restarci
secco, ma è dura” celiò roco Ruak prima di sgranare leggermente gli occhi non
appena la giovane entrò nel suo campo visivo.
Come un’autentica visione
idilliaca, Renke avanzò al fianco del padre indossando un sontuoso abito di
seta blu scuro a balze, stretta in un corpetto nero come la notte che non faceva
che evidenziarne le forme flessuose e sensuali.
Nonostante la bellezza
dell’abito, la prima cosa che balzò alla mente del principe non fu quanto fosse
bella, ma la sensazione delle sue labbra sulla guancia.
Era davvero fregato. E ne
era ben felice.
Cercando comunque di darsi
un contegno per non attirare troppo l’attenzione su di sé, Ruak si impose di
fissarla con quieto favore.
Mentre ella avanzava con
passo leggero lungo la navata, ricoperta di pesanti panneggi color rosso fuoco
recanti lo stemma del lupo, lui non poté evitare di scorgere il luccichio
vittorioso nei suoi occhi di giada screziata d’oro.
Era divertita e questo,
invece di farlo scoppiare a ridere, gli diede la forza per mantenere il suo
contegno impeccabile.
Arkan, alla destra di Ruak,
osservò a sua volta la futura sposa del figlio avanzare con grazia e regalità
assieme e, annuendo con vigore e soddisfazione, disse al secondogenito: “Questa
donna sarà l’orgoglio della nostra corona.”
“Sì, padre” annuì
semplicemente lui, imponendosi di non dire altro.
Era ovvio quanto quelle
parole fossero, al tempo stesso, rivolte sia a lui che al fratello maggiore.
Per quanto fosse d’accordo
sul fatto che Renke sarebbe stata una regina stupenda, mal sopportò l’implicito
rifiuto ad accordare un simile tributo anche a Eikhe.
La figlia sacra era donna di
valore, indipendentemente dal suo sangue non nobile, ma questo non avrebbe mai
potuto dirlo ad alta voce.
E non a suo padre.
Quando, però, Renke
raggiunse il palco dove si trovava Ruak, lasciò da parte qualsiasi altro
pensiero e, allungando una mano in direzione della giovane genuflessa, disse:
“La Corona di Enerios è lieta di accogliere tra le sue forti braccia un simile
fiore di perfezione.”
A quelle parole, lei sollevò
i suoi occhi screziati a scrutare il viso luminoso del principe e, accennando
un sorriso compito, la fanciulla replicò soave: “E’ un onore e un piacere
essere accettata in una così grande e potente casata.”
Null’altro udirono le loro
orecchie, da quel momento in poi.
Né le promesse
reciprocamente scambiate dai genitori, né il contratto prematrimoniale letto
con voce stentorea da un messo reale a tutta la corte.
Il banchetto in loro onore
si svolse senza che nessuno dei due fosse attivamente partecipe alla serata, ma
nessuno se ne curò.
Seppur dando risposte argute
ogni qualvolta uno dei due giovani venne interpellato, a Ruak e Renke non
interessò minimamente ciò che avvenne quella sera.
La cerimonia matrimoniale si
sarebbe svolta da lì a due settimane ma, per i due ragazzi, questo non contava
affatto.
Per quel che li riguardava,
i voti erano già stati scambiati quella mattina, tra la paglia profumata della
stalla, sotto lo sguardo curioso dei cavalli e il bacio leggero del sole
mattutino.
***
Autoproclamatosi accompagnatore
dei due giovani, Aken si ritrovò a sorseggiare del buon vino aromatizzato,
spaparanzato su un divano di uno dei tanti salottini di palazzo.
Sogghignando all’indirizzo
del fratello, celiò: “Avete ben giocato il vostro ruolo di compiti promessi
sposi, ragazzi, ma con me non funziona.”
Le scuse accampate dai due
giovani, in quei giorni, erano state molteplici e molto fantasiose, e tutte
mirate a un unico scopo; restare un po’ di tempo da soli.
Rinchiusisi in quel
salottino del terzo piano per essere al sicuro dalle occhiate dei cortigiani,
la futura coppia di sposi fissò con un mezzo sorriso Aken, prima di scoppiare a
ridere di fronte al suo sguardo indagatore.
Fu così che, entrambi gaudenti,
spiegarono al giovane del loro primo, folgorante incontro nelle stalle, e della
decisione di nascondere alla corte quel particolare, quanto il subitaneo
affiatamento nato tra loro.
Annuendo compiaciuto e
soddisfatto, Aken abbracciò entrambi e disse con voce stentorea, colma di
affetto incondizionato: “La sorte vi ha fatto un dono prezioso quanto raro. Stringetelo
a voi con tutte le vostre forze, e non permettete a nessuno di incrinarlo.”
Percettiva come pochi, Renke
sorrise al suo futuro cognato e, in un abbraccio consolatorio, gli disse: “Non
lascerò mai che qualcuno spezzi il mio legame con Ruak. Ve lo prometto, Aken.”
E fu così che Renke si unì
alla loro famiglia, dando alla corona un figlio dopo neppure un anno dal suo
matrimonio con Ruak.
Il bimbo venne ufficialmente
adottato da Aken, perché diventasse suo erede designato, mettendo così
finalmente a tacere il padre e le sue continue, incessanti richieste di mantenere
al sicuro il trono.
Renke non chiese mai al
cognato il perché della sua scelta di restare solo, né domandò mai a Ruak
spiegazioni in tal senso.
Cercò, però, in tutti i modi
di spezzare il velo di apatia che, anno dopo anno, vide calare sul volto a lei
caro dell’uomo che, più di tutti, giunse a considerare come un fratello.
***
Intenta a
sistemare il filo della sua daga, mentre Antalion scrutava la madre con
attenzione quasi maniacale, Sendala giunse a cavallo in compagnia di Enok.
Scesa dalla
sella quando ancora la cavalcatura non si era fermata, corse dall’amica e disse
a gran voce, con il fiato corto: “E’ il principe! E il principe Ruak a essersi sposato!”
Lasciando quasi cadere
la daga a terra, Eikhe si levò lesta dal treppiede su cui era seduta e, fissando
l’amica con la paura nel cuore, esalò: “Sei sicura, vero?”
Annuendo più
volte, Sendala la afferrò per le spalle mentre Enok si avvicinava a loro con un
mezzo sorriso sulle labbra.
Con voce a
stento controllata, la giovane ripeté ancora: “E’ Ruak a essersi sposato. Ruak!”
Eikhe abbracciò
con forza la ragazza mentre Antalion, fissando la madre e la zia acquisita,
chiedeva a Enok: “Che c’è?”
Preso in braccio
il bimbo di quasi sei anni, il giovane si diresse verso il torrente che
scorreva nei pressi della baita e, afferrati un paio di secchi con la mano
libera, mormorò: “Prendiamo un po’ d’acqua per la mamma e Sendala, mentre loro
chiacchierano.”
“Cose da donne?”
storse il naso il bambino con un sorriso sbieco.
“Già” ammiccò il
giovane con un risolino.
Scostandosi da
Sendala quando sentì il sangue tornare a fluire nel corpo, Eikhe si sedette sul
treppiede, incerta se essere o meno capace di restare in piedi.
L’amica si
accoccolò a terra, dinanzi a lei, e sorrise lieta.
“Beh, dopotutto
ha mantenuto la promessa.”
Quando erano
giunte voci di un prossimo matrimonio per il principe della casa regnante,
Eikhe era sprofondata nella più nera disperazione, pur sapendo che presto o
tardi avrebbe dovuto accadere.
Vedere Antalion
crescere, e divenire sempre più simile al padre, era già un tormento enorme, ma
scoprire che la promessa del suo unico amore sarebbe stata presto infranta,
l’aveva quasi uccisa.
Sendala aveva praticamente
malmenato Konis, reo di essere piombato alla baita tutto allegro, portando
quella notizia smozzicata e priva di certezze.
Fin da quel
primo momento di sconcerto totale, la donna-lupo si era messa alla ricerca di
qualche commerciante proveniente da Rajana, con la speranza che sapesse
qualcosa di più sul grande matrimonio previsto per uno dei principi di Rajana.
Chiedere al
borgomastro sarebbe stato impossibile, del resto.
Nessuna
donna-lupo era ben accetta alla sua porta, e di questo non poteva che esserne
lieta.
Avere a che fare
con gli uomini della corona non era certo uno dei suoi sogni nascosti, questo
era poco ma sicuro!
Dopo settimane
di andirivieni tra Marhna e la baita, settimane in cui Eikhe aveva fatto di
tutto per non mostrare la propria tristezza al figlio ignaro, Sendala era
infine riuscita ad avere la meglio.
Trovato un
commerciante appena giunto dalla pianura, si era fatta descrivere con dovizia
di particolari la giovane coppia di sposi.
Felice come
poche altre volte era stata, Sendala era corsa da Enok per dargli la bella
notizia – anche lui aveva mostrato preoccupazione nel vedere Eikhe così abbattuta
– e, insieme, si erano diretti a spron battuto verso la baita.
Esalando un
profondo respiro, Eikhe sorrise all’amica, dicendo: “Dopo tanti anni di
silenzio da parte sua, pensavo di fosse dimenticato di me. Eppure, questo
matrimonio vuole dire l’esatto contrario.”
“D’altra parte, tesoro,
come pretendi che lui possa scriverti, o anche solo contattarti, se tu non ti
fai sentire? Come potrebbe mai trovarti, qui?” precisò Sendala, accigliandosi.
“Lui ti crede ancora a Nestar e stai pur certa che, se ha provato a contattarti
là, tua madre avrà sicuramente bruciato ogni lettera del tuo bello.”
Accigliandosi
leggermente, Eikhe le chiese: “Hai saputo come sta?”
Scrollando le
spalle con fare noncurante, Sendala borbottò: “Tua sorella mi ha detto che si è
ripresa un po’, ma non parla più. La Falce
di Haaron* ha minato il suo corpo e il suo spirito, e più di quanto il medico
chiamato da Marhna avesse diagnosticato in un primo momento.”
Reclinando
leggermente il capo, Eikhe sospirò mestamente, ripensando a quando Tyura le
aveva portato la notizia della malattia improvvisa della madre, e delle
condizioni disperate in cui versava.
La Falce di Haaron colpiva pesantemente
colui che era sottoposto a simile travaglio, privando il più delle volte il
malato della capacità di muoversi e, in alcuni casi, strappandogli via la vita
stessa.
Kaihle, per
certi versi, era stata fortunata, sopravvivendo al peggio grazie alla sua
tempra di guerriera ma, della donna di un tempo, era rimasto ben poco.
Costretta a
letto per la maggior parte del tempo, troppo debole per rimanere in piedi per
più di qualche ora, la donna non aveva più aperto bocca dal primo giorno della
malattia.
Secondo il medico,
il tutto era dovuto ai danni che la Falce aveva prodotto nel suo corpo.
Pur sapendo
quanto fosse sbagliato, Eikhe non era riuscita a trovare nel suo cuore il
perdono e, solo per quello, si sentiva un’ingrata.
Avrebbe dovuto
essere migliore di così, eppure non ci riusciva.
Poggiando una
mano su quella dell’amica, Sendala le sorrise benevola.
“Dai tempo al
tempo, Eikhe. Per ogni cosa.”
Con un mezzo
sorriso, l’amica mormorò mesta: “Il tempo non mi manca, e so di certo come
riempirlo.”
Entrambe le
donne volsero lo sguardo verso il torrente, dove Enok stava aiutando Antalion a
riempire uno dei due secchi con l’acqua zampillante.
Ammiccando
all’amica, Sendala ammise: “Era davvero in ansia per te.”
“Come sempre”
scrollò le spalle Eikhe, prima di aggiungere: “Mi sembra di avere un fratello
maggiore sempre alle calcagna.”
“Fratello…
maggiore?” esalò la donna-lupo, sollevando dubbiosa un sopracciglio.
Annuendo a più
riprese, la figlia sacra asserì: “Enok si comporta così, con me. E dovresti
sentire le paternali che mi fa!”
“Oh. Mi sono
persa questo spettacolo!” esclamò lei, divertita.
Storcendo il
naso, Eikhe replicò: “Fossi in te, non spererei di esserne la protagonista. Neppure
mio padre è così puntiglioso, quando vuole farmi qualche reprimenda. Cosa rara,
tra l’altro.”
“E tu dici che non sono le attenzioni di un innamorato”
si interessò Sendala, scrutandola con aria indagatrice.
“Riconosco gli
sguardi di una persona innamorata, e lui non lo è più, te lo posso assicurare”
ammiccò Eikhe, tornando a osservare Enok che, con fare premuroso, stava
osservando Antalion, tutto impegnato a riportare indietro il suo secchio colmo
a metà di acqua cristallina. “Adora An, e vuol bene a me, ma non più come
prima. Il suo sguardo non è percorso né dal rammarico, né dal desiderio.”
“Ah” sbatté le
palpebre, Sendala, vagamente sorpresa. “Beh, sono passati anni dal tuo rifiuto.
Può darsi gli sia passata davvero.”
“Io ne sono
convinta” annuì l’amica, rialzandosi per raggiungere figlio e amico. “Ma come
sei stato bravo, An! Guarda quant’acqua!”
Aprendosi in un
sorriso mezzo sdentato, Antalion le mostrò orgoglioso il secchio.
“Zio Enok dice
che va bene!”
Eikhe lanciò un
sorriso grato all’uomo prima di annuire e dire al figlioletto: “E ha ragione.
Hai fatto un ottimo lavoro. Ora, lo verso nella botte, così avremo acqua a
sufficienza per un po’.”
“Tutto bene?” le
sussurrò Enok, vedendosela passare accanto.
“Ottimamente,
grazie” replicò lei, infilandosi in casa sotto il suo sguardo soddisfatto.
Avvicinandosi ai
due, Sendala sorrise al figlioccio e dichiarò soddisfatta: “Stai diventando
davvero un ometto forte, eh, An?”
Mostrando i
muscoli, Antalion esclamò: “Forte, io!”
“Molto” annuì lei,
mostrandosi impressionata.
Enok ridacchiò
dell’espressione buffa di Sendala prima di dire a gran voce, all’indirizzo di
Eikhe – che ancora si trovava in casa: “Io vado! Tornerò dopodomani con le
nuove ordinazioni dall’emporio!”
“Va bene!” urlò
di rimando lei, dall’interno della baita.
“Vai già, zio?”
chiese a quel punto Antalion, mettendo il broncio.
“Sarà per poco,
cucciolotto. Tornerò presto, vedrai” gli promise Enok, scompigliandogli i
capelli prima di rivolgersi a Sendala con un sorriso.
Chinatosi verso
di lei, le sussurrò all’orecchio: “Ci vediamo, Sendy.”
Detto ciò, le
sfiorò la guancia con un bacio prima di avviarsi tranquillo verso il suo
cavallo, consapevole degli occhi puntati su di sé, e quasi certo
dell’espressione basita della donna-lupo.
Senza voltarsi
indietro, balzò in sella e si allontanò al trotto dalla baita.
Sul suo viso
brillava un bel sorriso soddisfatto mentre la depositaria del suo bacio, ancora
a occhi spalancati e bocca socchiusa, lo fissava senza avere il coraggio di
parlare.
Antalion, di
tutt’altro avviso, ridacchiò ghignante prima di indicarla e urlare: “Zio Enok
ha baciato zia Sendy… l’ha baciata, l’ha baciata!”
Sulla porta,
poggiata contro lo stipite e l’aria divertita come poche altre volte le era
capitato in quegli anni, Eikhe commentò: “Ma tu guarda…”
Volgendosi di
scatto come se l’avesse punta una vespa, Sendala avvampò in viso e fissò
l’amica in cerca di una qualsiasi banalità da dire, ma Eikhe la precedette.
“Qui, qualcuno
mi nasconde qualcosa.”
“Non. Osare.
Dire. Niente” sbottò Sendala, arrossendo, se possibile, ancor più di prima.
Scoppiando a
ridere assieme al figlio, Eikhe esalò senza fiato: “Oh, dèi, dovresti vedere la
tua faccia, Sendala.”
Sbuffando a più
riprese, la giovane donna-lupo la spinse da parte per entrare in casa e,
bofonchiando tra sé, ringhiò: “Uomini! Ah!”
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*Falce di Haaron: E’ l’equivalente del nostro ictus.
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