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Autore: Evelyn    22/12/2011    3 recensioni
Quando con Alman iniziammo a reclutare i primi combattenti dell’Armata, non credevamo davvero che avremmo mai potuto opporci alle temibili forze di Arles. Noi tuttavia avevamo dalla nostra qualcosa di più grande della sua malvagità: L’amore per la patria, per la famiglia, per le tradizioni. Nessuno avrebbe potuto portarcelo via. Protagonisti: Dohko, Camus, Saga, Kanon, Milo, Shaka, Shun e Hyoga saranno i personaggi principali, ma un piccolo spazio è dedicato un po' a tutti. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8




Il clima di Luxor era secco e freddo, ma di un freddo più sopportabile di come Milo lo rammentava. La gente si spostava per le strade affollate con addosso mantelli leggeri e i soldati vestiti della sola armatura di cuoio, a differenza di lui stesso che, quando aveva abitato lì, aveva sempre provveduto a bardarsi bene, rimpiangendo ogni volta il sole cocente della terra del Sud da cui la sua famiglia proveniva.

A poco a poco, i ricordi legati a quel posto dall’aspetto vitale e sicuro avevano iniziato a riaffiorare con la stessa prepotenza che muoveva il soffio mortale del Sair sulle cime innevate dell’estremo Nord, recando con loro immagini confuse di momenti trascorsi tra le mura irregolari della città.
Per prima aveva ricordato la casa in cui era cresciuto. L’aveva vista allo snodo che la strada principale realizzava con la via che portava all’arena, un percorso che negli ultimi anni aveva calcato innumerevoli volte. I suoi genitori erano morti molto tempo addietro, prima ancora che l’avvolgente vegetazione del Confine l’accogliesse tra le sue spire muschiate, ricche di rossi frutti di niobe, e Shaka l’aveva informato che ora vi risiedeva una coppia di giovani sposi.

“Pagano una piccola pigione al Comando, una cifra modesta in verità, ma noi la usiamo per finanziare l’addestramento delle reclute…”
Milo aveva annuito, sforzandosi di contenere il turbamento che l’aveva colto alla vista del muro di mattoni scuri costruito da suo padre quando lui era ancora un bambino. Nonostante fossero passati ormai tre giorni dalla sua ricomparsa e i compagni avessero provveduto ad aggiornarlo sul suo passato con tutta la delicatezza e l’entusiasmo di cui erano capaci, il cavaliere di Scorpio continuava a fingere che la sua mente fosse completamente all’oscuro di ogni cosa. Del resto, l’unico motivo per cui si trovava a Luxor era la missione assegnatagli da Arles, missione che era sempre ben determinato a condurre a termine.
“E laggiù c’è l’arena…te la senti di andare a vederla?”

Shaka l’aveva guardato dritto negli occhi, attraverso le innaturali iridi perlescenti. Il suo sguardo limpido e inquietante l’aveva trapassato da parte a parte, come se stesse cercando di sondare le profondità dei suoi pensieri. Milo era arretrato impercettibilmente, convinto che quell’uomo dall’aspetto ancestrale sospettasse qualcosa che pure non era ancora riuscito bene a definire. Solo lui, tra tutti, era stato il più freddo e imperscrutabile di fronte al suo ritorno. Dopo l’incredulità iniziale, lo stratega della legione della vergine si era come ritirato in un silenzio inquisitorio, in cui Milo era certo avesse segretamente valutato ogni suo più piccolo movimento.

“Non lo so…mi sento molto stanco…” buttò lì sentendosi improvvisamente a disagio “E poi tutto questo non mi dice niente…non so…”
“Raccontami di nuovo di come hai vissuto a pochi passi dal Confine…è un miracolo che tu sia sopravvissuto…”
Shaka gli aveva posto quella domanda più di una volta. Milo aggrottò le sopracciglia, avvertendo l’arteria al lato della tempia pulsare convulsamente.
“Te l’ho già detto…sono finito a Talia, la città libera guidata dai ribelli della Fenice che neppure Arles stesso è riuscito a sottomettere…” almeno per il momento, proseguì tra sé.
“Dunque non ci sei proprio arrivato al Confine…mentre Camus e Kanon sì…” incalzò il cavaliere di Virgo.

“C’è stata una battaglia…” rispose incerto, la voce vagamente incrinata. La sua gola era secca come il vento Sair.
“Questo l’ho capito…”
“Il fatto è che sono così confuso…dopo che Talia è stata attaccata sono riuscito a fuggire…e ho vagato fino a qui…”
“Proprio fino a qui…che fortuna…”
“Già…”

I due guerrieri si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, densa di mille parole. Shaka sapeva. Ma non ne era sicuro. Per questo Milo aveva deciso di agire prima che il sospetto di Virgo assumesse i contorni della certezza.

“Domani tutte le dodici legioni saranno schierate ai rispettivi avamposti. Faremo corda al fronte. L’armata Rossa finirà nelle braccia della bianca senza nemmeno rendersene conto. Ormai ci giochiamo il tutto per tutto, non abbiamo scelta.”
Scorpio aveva incassato. Ricambiò l’occhiata penetrante del suo compagno con la stessa intensità, senza replicare.
“Qualunque cosa Arles avesse avuto in mente, ora non ha più importanza, perché nessuno potrebbe rivelare alle sue lunghe orecchie quanto stiamo per fare, nemmeno una delle sue abilissime spie…la loro fama le precede, ma in verità nessuna di loro è mai riuscita a penetrare fino al Nord…”
“Perché mi stai dicendo tutto questo?”
La maschera d’imperturbabilità di Shaka per un istante si era incrinata in un sorriso tirato.
“Perché anche tu fai parte del nostro esercito…” gli disse grave, mettendogli entrambe le mani sulle spalle “Anche se la tua mente forse non lo ricorda, il tuo cuore per certo lo sa.”

***

Dohko aveva trovato Natassia nella bottega di Sept, l’armaiolo. Tempo addietro, la giovane vedova gli aveva commissionato la riparazione della vecchia spada di Camus, la pregiata arma vergata in zafronio che suo marito aveva ricevuto il giorno stesso dell’investitura. Dopo gli ultimi sconcertanti eventi che avevano coinvolto l’avamposto nono, le legioni al completo si sarebbero riunite al fronte, e suo figlio questa volta vi avrebbe fatto parte.

I nuovi cavalieri erano stati investiti molto in fretta. Nell’aria del Nord tirava un vento gelido che profumava di neve e tempesta, un vento che portava con sé l’odore pungente del ghiaccio eterno che ricopriva la terra al di là della fascia montuosa di Balmoria. Dohko sapeva che non era cosa buona questa. Gli dei che regnavano sui loro destini non comunicavano mai direttamente con le persone, ma a volte lanciavano dei segnali inequivocabili celati dietro il linguaggio elementare della natura. Il gelo del Nord, quei piccoli cristalli invisibili che s’insinuavano nelle narici e che sapevano di pioggia, aveva sempre preannunciato grosse sventure.

“Buongiorno Natassia…”
“Buongiorno a te, Dohko…”
La giovane vedova gli aveva rivolto un sorriso stanco e tirato, rischiarato appena dai riverberi dorati che le braci arroventate della forgiatura producevano nel piccolo ambiente.

Il cavaliere di Libra si guardò attorno con occhio critico, soffermando l’attenzione sulle numerose lame affilate che Sept aveva disposto sulla parete l’una accanto all’altra, pronte per essere completate con l’elsa ed essere arrotate un’ultima volta. Ne aveva contate almeno cinquanta. E chissà quante altre l’armaiolo teneva accatastate nel deposito, vergate di fretta e furia per andare in una battaglia che aveva già tutto l’aspetto di un’indesiderata sconfitta.

“Ecco mia Signora…l’ho fatta tornare quasi come nuova…”
Natassia aveva afferrato incerta la lunga arma dall’impugnatura, avvertendo un fremito al contatto coll’argento tirato a ludico. Camus aveva stretto innumerevoli volte quella stessa arma nelle sue mani forti e aristocratiche, facendola volteggiare nell’aria come una fronda scomposta dal vento. D’istinto risaldò la presa, mentre un grosso groppo doloroso le troncava il respiro all’altezza della gola, dove incerta fece scorrere i polpastrelli.

“Lo zafronio è diventato molto raro…” disse Dohko avvicinandosi all’amica “Ed è la lega metallica più resistente del pianeta...”
Natassia annuì, riconsegnando l’arma a Sept che l’avvolse nel suo fodero originale.
“Comunque Hyoga non ne avrà bisogno…è un cavaliere adesso…” aggiunse poi cercando di sorridere ed apparire sicuro, anche se qualcosa di vagamente spiacevole aveva preso ad agitarsi dentro di lui, all’altezza dello stomaco. Sebbene le nuove reclute avessero appreso ormai tutte le tecniche che li avevano resi degni dell’armatura, nulla, se non la guerra stessa, avrebbe insegnato loro come adoperarle con perizia.

Quando uscirono dalla bottega, la luce del sole li investì in pieno, costringendoli a ripararsi gli occhi dietro lo schermo delle loro mani. La città era in fermento: le donne si muovevano freneticamente in ogni direzione, trasportando con fatica provviste ed attrezzature militari, in vece degli uomini impegnati ad apprendere le disposizioni strategiche e ad assistere alle ultime sedute d’allenamento. Vedere Luxor prepararsi in quel modo alla battaglia mise addosso allo stratega della settima legione una strana inquietudine.
“Non c’è altro modo, vero Dohko?”

Saga passò davanti a loro, senza notarli. Il suo andamento zoppicante si confondeva con lo scalpiccio che i cavalli facevano quando trascinavano carri ricolmi di armi, conferendogli un’andatura nervosa, tutta tesa in avanti e come piegata verso il basso. Sulla sua chioma, un tempo morbida e lucente, si distingueva qualche ciocca grigia, opaca come il resto della capigliatura.
“No…” rispose Libra a Natassia “Ormai non possiamo fare altro che scendere in battaglia…” proseguì seguendo con gli occhi la schiena ricurva del cavaliere di Gemini prima che scomparisse dietro l’angolo di un’abitazione. Qualcosa si rivoltò nella sua mente. Rapidamente passò in rassegna i momenti più recenti che aveva trascorso accanto al compagno e con stupore dovette osservare quanto Saga fosse visibilmente invecchiato in poco tempo. Ma che diavolo

“Oh, no…”
Natassia svoltò rapida a destra, a testa bassa. Dohko per poco non cadde nel tentativo di starle dietro.
“C’è Milo…” spiegò lei improvvisamente pallida.
“Non l’hai ancora visto…”
“No…”

Quando Milo era rientrato alla base, il tempo a Luxor si era come fermato. La sua figura alta e possente aveva calcato spaesata le strade su cui innumerevoli volte aveva camminato assieme ai suoi compagni, dando l’impressione di vedere per la prima volta la rete intricata di vie che si dispiegava sulla città. Era stato allora che il vento aveva iniziato a soffiare, gelido.
“Perché Nat?”
Natassia non rispose. Strinse a sé il fodero della spada, prendendo un profondo respiro.
“Perché stupidamente ho ricominciato a sperare…”

Dohko inchiodò, afferrandola per il gomito per costringerla a fermarsi. Intrecciò le mani alle sue, ignorando lo sfarfallio interiore che avvertiva ogni volta che aveva un contatto diretto con la sua amica d’infanzia.
“Milo è tornato…” disse mentre nella sua testa un altro pensiero prendeva forma. Come potrebbe tornare anche Camus…ma lo tenne per sé. “Ti farebbe bene parlarci…anche se ricorda ben poco del suo passato…”

Natassia stava per ribattere, quando una risata squillante di giovane donna, in netto contrasto con l’atmosfera pesante che c’era ormai a Luxor, catturò la sua attenzione.

Hyoga veniva nella sua direzione, dalla via opposta rispetto a quella in cui si trovava Milo, mano nella mano con la bella figlia del panettiere - Erii, le sembrava si chiamasse - che si stringeva a lui con molta confidenzialità e civetteria. A differenza sua, il figlio aveva incontrato il cavaliere di Scorpio. Da che Milo era tornato, una nuova fiducia si era composta nel suo cuore. L’agitazione nervosa che a lungo aveva animato ogni suo gesto, quella smania di combattere e di mettersi alla prova, si era come affievolita dopo l’incontro con lui, lasciando spazio al desiderio più misurato di partecipare alla causa e salvare assieme all’esercito il Nord. Natassia sapeva bene che Hyoga contava di ritrovare il padre nella loro marcia verso il Confine. In fondo, mai notizia certa aveva davvero confermato che Camus fosse morto.

“Vedo che Hyoga si dà da fare…” la prese in giro Dohko, incrociando le braccia al petto con un’espressione divertita sul volto.
“Sono giovani…” rispose sibillina, come se i suoi trent’anni pesassero al punto da farla sentire vecchia.
“Anch’io sono giovane!” replicò Dohko fingendosi offeso.

Un ragazzo dall’aria minuta sgusciò rapidamente a fianco di Erii, il cappuccio del pesante mantello che indossava calato sulla testa, urtandola con la spalla e facendole perdere l’equilibrio.
“Ehi!” sentì suo figlio protestare indignato, afferrando il colpevole per l’indumento.
Natassia sospirò, augurandosi che Hyoga riuscisse a tenere a bada per una volta il pessimo carattere di cui la natura l’aveva sfortunatamente dotato. Prendendo Dohko per la manica lo costrinse a seguirla, in direzione dell’improvvisato gruppetto.

“Scusa, non l’ho fatto apposta.” si giustificò il ragazzo facendo per andarsene, ma Hyoga non sembrava essere dello stesso parere.
“Guarda dove vai mentre cammini, razza d’incapace…” sibilò senza mollare la presa.
L’altro provò a divincolarsi, lasciando scivolare il cappuccio nel tentativo. Occhi verdissimi e grandi si puntarono lucidi sull’avversario, frementi di urgenza e rabbia.
“Non l’ho fatto apposta, come devo dirtelo! E adesso scusami ma ho fretta!” rispose severo, con un tono di voce delicato, stranamente in contrasto con la sicurezza che osteggiava standosene a spalle dritte e fiere davanti alla coppia più invidiata della città.

Shun li conosceva bene. Chi non aveva mai sentito parlare del figlio di Camus, il cavaliere di Aquarius morto in battaglia anni prima? In giro si diceva che fosse abile quanto il padre, nonché straordinariamente bello. E anche straordinariamente antipatico, pensò la giovane guerriera desiderando con tutte le sue forze di possedere il dono del teletrasporto. In quanto a lei, la tipa scialba e delicatina che gli stava accanto con uno stupido sguardo sconcertato sulla faccia, Shun sapeva che era una tutta casa e chiesa, capace di fare tutte quelle cose tipiche di una donna che lei si era sempre rifiutata di apprendere.

“Ragazzi, su, non è successo niente…”
Dohko era apparso alle loro spalle, la bella vedova del cavaliere di Aquarius al suo fianco. Shun avvertì le ginocchia farsi improvvisamente molli e il suo cuore forte iniziare a battere come impazzito.
“Ha cominciato lui!” disse Hyoga affrettandosi a sciogliere la sua mano da quella di Erii, le sue guance vagamente arrossate.
“Ho chiesto scusa! Cos’è, sei sordo per caso?!”
Shun vide il giovane di fronte a lei irrigidirsi all’improvviso, e per poco non arretrò davanti allo sguardo rovente che fu capace di indirizzarle. I suoi occhi chiarissimi si puntarono nei suoi penetranti, come le punte acuminate di un pugnale.

“Da soldato a soldato dovreste mostrarvi un po’ di complicità…” li rimproverò Dohko rivolgendosi ad entrambi. Shun si sentì fremere sotto il tocco della mano di Libra che si strinse sulla sua spalla sottile.
“Soldato questo qui??” indicò Hyoga che vicino a lui sembrava un gigante.
“Sì, un soldato che saprebbe strapparti via un po’ della tua boria a suon di spada!” rispose lei, nonostante la ramanzina dell’uomo di cui si era follemente innamorata.
“Non prima che io ti abbia staccato la testa, e senza spada…”
“Ma prima ancora di tutto questo provvederò io stessa a sculacciarvi come si deve, intesi ragazzini??”

Natassia smorzò le proteste che aveva visto affiorare come una piena sulle labbra di Hyoga, prima ancora che sgorgassero. Si frappose tra i due, facendo l’occhiolino a Shun che subito la trovò simpatica. In quella donna c’era un che di molto affascinante e aristocratico, pensò prima di accennarle un sorriso, qualcosa di caldo ed estremamente confortevole che evidentemente il figlio riuscito male non aveva ereditato.

“Mi dispiace moltissimo mia Signora…è che stavo andando di fretta…non l’ho fatto apposta…” si giustificò Shun, cercando di apparire il più contrita possibile. In realtà era veramente dispiaciuta, ma non di aver urtato quel cafone assieme alla sua slavata ragazza, ma che una donna gentile come Natassia avesse avuto la disgrazia di un figlio del genere.
“Ne sono convinta…”
“Grazie…” rispose senza sapere bene perché. Per un istante rimase ancora impalata lì, nel mezzo di quella strana cerchia di gente da cui sentiva di essere distante milioni di leghe, come incapace di tirare il filo che teneva saldamente uniti volontà a muscoli. Il suo sguardo cadde su quello di Hyoga, di un azzurro intenso più del cielo che quel giorno brillava insolitamente. Lui le rivolse un’occhiata di disprezzo che probabilmente voleva ferirla, ma che, in verità, ebbe il solo potere di accrescere l’acredine che lei avvertiva spontaneamente nei suoi confronti.
“Mia Signora…Generale…” disse infine nel tentativo di prendere commiato. Ignorando le lagnanze di Hyoga, si congedò frettolosamente e si immerse nella folla frenetica che accalcava le strade di Luxor.

  
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