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Autore: MissNothing    22/12/2011    4 recensioni
"Quelle notti invernali troppo fredde per essere passate da soli e quelle sere d'estate troppo belle per essere sprecate a dormire. Quegli sguardi che solo noi possiamo capire e quegli sguardi che, purtroppo, non capisci. E poi i baci, le carezze, i sospiri. Quei momenti che speri non finiscano mai e quei momenti in cui capisci che l'infinito, paragonato ad uno di quegli attimi in cui ci apparteniamo, non è niente. L'infinito è relativo. Non lo puoi immaginare, eppure io penso di averlo trovato in uno di quegli istanti in cui ho il tuo fiato sul collo e le tue mani sulla schiena, perché quando in quel silenzio sento la lancetta scoccare, non me ne capacito che sia passato solo un secondo. Allora capisco che io, il tempo, quando lo passo con te, ce l'ho in mano."
[E' una storia abbastanza vecchia, probabilmente ci saranno molti errori grammaticali, chiedo scusa in anticipo ma non voglio modificarli perché in un certo senso sono la prova dei miglioramenti -anche se piccoli- che credo di aver fatto! Ci sono altri due seguiti :3]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Until You're Over Me.'
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maròòò
Salve a todo e.e Innanzitutto, BUONE FESTE! L'atmosfera che c'è nell'aria mi ispira un sacco, perciò ho messo insieme un po' di roba in due ore (se non di meno).. spero non faccia troppo schifo, che non sia piena di errori di battitura (sè) o ancora peggio, grammaticali. *coffcoff* Questo è l'ultimo aggiornamento prima di Natale, e penso proprio anche l'ultimo prima di Gennaio. :33 Oserei dire che ci siamo quasi, sì ç.ç *vuoto interiore*.. la fic è quasi finita °O°
Auguri di nuovo, pace, amore, baci e unicorni. :*
xMN.



7.
Her name's.. what's your name?





Erano le due e dieci. Eravamo tutti a tavola eccetto il signorino, e regnava un silenzio piuttosto imbarazzante. Solo dopo cinque minuti di conversazioni piene di clichè e domande stupide di quelle che, prima o poi dovrai fare per forza, decise di presentarsi.

-Allora, Emily.. umh, sei di qui?- Le domandò Ray.
-Bhè, sì, ci vivo, ma sono originaria di Hawthorne, nel Nevada!-
-Oh, wow, fic..- Non fece nemmeno in tempo a terminare la frase che entrò Gerard con una ragazza al seguito. Alzai gli occhi al cielo, perché questa volta era veramente troppo. A giudicare da come era "vestita", poteva essere solo due cose: o una spogliarellista, o proprio una troia. Chissà su quale tangenziale l'aveva rimediata. Sembravano (e credetemi, lo erano) entrambi ubriachi. Si sentiva la puzza di alcool anche da due metri di distanza e sbandavano come due alcolizzati. Lei gli teneva un braccio intorno alle spalle così da sorreggersi, lui, per tutta risposta, le palpava il culo mentre fumacchiava una sigaretta praticamente accesa da qualche secondo. La bionda (bhè, ovviamente sarebbe cascato il cielo se per una volta fosse stata bruna), continuava a ridacchiare con la sua voce stridula. Credetemi, avrei tirato una sberla in faccia ad entrambi.. se solo ne avessi avuto la forza.
Emily si voltò a guardarmi come per chiedere spiegazioni. L'unica cosa che riuscì a fare in quel momento, fu prendermi la testa fra le mani, chiudere gli occhi e fare un respiro profondo. Mi carezzò la schiena come a farmi coraggio, ma niente.
-Gerard, sei ubriaco?- Domandò Mikey. Non appena proferì parola, alzai di scatto il capo e osservai la scena. Così preoccupato lo avevo visto veramente poche volte, e si trattava sempre di cose più.. gravi. Come, ad esempio, quando lo stesso barbone che si era appena seduto a tavola, andò riabilitazione.
-Complimenti, Jessica Fletcher dei miei coglioni!- Replicò, cominciando a ridacchiare.
-Perfetto.- Continuò il minore fra i fratelli, sarcasticamente. -E hai intenzione di farla sedere a terra?- Fece appena un cenno con il capo verso la ragazza senza nome. Mi accorsi solo in quel momento che non c'erano più posti al tavolo, e non eravamo in una trattoria in cui basta prendere la sedia libera accanto. Tutt'altro.
-Nono!- La fece sedere sulle sue gambe. E di nuovo, insieme, cominciarono a ridere. Non riuscivo nemmeno a guardare quella scena. Mi metteva solo tanta, tanta, tanta tristezza addosso. Ems, intanto, continuava nella sua missione (fallita) di "consolarmi".
-Mi dispiace..- Le sussurrai all'orecchio. Non che fosse colpa mia, ma avrei voluto presentarla ai ragazzi, non far diventare Gerard il protagonista e centro di tutto. Involontariamente, diedi un'occhiata veloce ai due, nel tentativo di scorgere l'orario sull'enorme orologio posto sulla parete frontale. Purtroppo scorsi anche più dettagli di quanti non avrei mai voluto vedere; fattori complici erano un po' la lunghezza di quel tovagliolo che spacciava per gonna, un po' le mani di quella cazzo di piovra coi capelli rossi che aveva accanto e un po' il suo essere troia di default, ma riuscivo a vederle persino gli slip. E non era una bella immagine.
-Lei dev'essere Emily.- Constatò, annuendo ritimcamente col capo senza un preciso motivo mentre spegneva la sigaretta proprio nel centro del piatto di porcellana, proveniente da chissà dove.
-Già. E lei si chiama..?- Cercai di ridurre il contatto visivo al minimo
-Oh, lei si chiama..- Cominciò la frase tutto convinto (per quanto uno ubriaco possa risultare convincente), per poi stopparsi improvvisamente con la bocca aperta, quasi avesse il nome sulla punta della lingua. -Come hai detto che ti chiami?- Continuò. Io in una situazione del genere mi sarei trovato non in imbarazzo, di più. Sarei corso via sperando che la terra si aprisse in quel preciso momento, ma a quanto pareva, per lui era una cosa normale.
-Mi chiamo Michelle.- Replicò lei, masticando una chewingum che prima non mi ero nemmeno accorto che avesse.
-Giusto, Michelle.- Le sorrise, baciandola. Più che un bacio sembrava che fossero in procinto di spogliarsi e farlo stesso lì sul pavimento, ma non importava. Non più.
A giudicare dalle facce degli altri tre presenti, ebbero tutti reazioni diverse. Emily sembrava shoccata (e benvenuta nel mio mondo.. ormai ci sono abitutato), Mikey sembrava semplicemente triste.. probabilmente sperava che suo fratello non ci ricadesse più, eppure non era andata così. Quel poverello di Ray, invece, sembrava sentirsi fuori posto. Io morivo di gelosia e Mikey di sconfroto, quindi probabilmente, lui che viveva la situazione in maniera un po' diversa da me che lo amo e da lui che è suo fratello, si sentiva dispiaciuto semplicemente come amico. E forse anche un po' in imbarazzo.
-Complimenti.- Mi alzai di scatto. In quel momento tutti i presenti si voltarono verso di noi, ma ormai non poteva fottermene di meno. Si staccò da Michelle lentamente e si voltò a guardarmi. In quel momento anche Emily lasciò il posto a sedere per seguirmi.
-Già, anche a voi due.- Sospirò, senza staccarmi lo sguardo di dosso nemmeno mentre me ne andavo. Anche se ero voltato di schiena, riuscivo a sentirlo. Niente da fare, ormai avevo sviluppato un sesto senso per gli sguardi di Gerard, e avevo una certa abilità sia nel seguirli che nel trovarli.. purtroppo. In una stanza con cento persone, i primi occhi che avrei scorto sarebbero stati i suoi. Questo lo sapevo per certo.



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Eravamo saliti in camera, io ed Emily. Avevo troppa poca voglia di pensare e tanta di distrarmi, perciò cominciammo a parlare del più e del niente. Fuori pioveva: era una giornata scura e cupa, comprensibile, siccome tra pochi giorni sarebbe stato dicembre. Per questo motivo le finestre erano sigillate, e solo di tanto in tanto mi capitava di voltarmi a guardare fuori: tutto quel grigiore poteva farmi tutto meno che bene, perciò tentai di evitare.
Avevo la testa poggiata sulle sue gambe, che intanto, erano incrociate a mo' di indiano. Il mio sguardo avrebbe incontrato il soffitto se non ci fosse stato il suo volto davanti, e diciamo che in parte lo faceva. Giocherellava con un ciuffetto dei miei capelli, e intanto mi guardava sorridente. Ironico come ci fossimo praticamente scambiati i ruoli.
-Se mai dovesse succedere qualcosa.. mi presenteresti ai tuoi genitori?- Lasciò che il suo sguardò si perdesse nel vuoto per un momento, sospirando. Probabilmente pensava a qualcosa, probabilmente immaginava.
-Bhe, io sì. Io scommetto che a mia madre piaceresti.- Ridacchiai, pensando alla prima volta che avevo portato una fidanzata a casa: avevamo 16 anni, era prima del ballo di fine anno, e lei aveva un piercing, qualche tatoo di quelli da ragazza, e qualche ciocca rosa. Questo bastò a mia madre per reputarla come una specie di figlia del demonio, anche se mentalmente era anche più apposto di me: anche se in quel periodo portavo solo un labret salutariamente, facevo pensieri ben più strani. A volte persino lei finiva per afferrarmi per pazzo.
-Dici?- Lasciò stare i capelli,  percorrendo pian piano tutto il braccio, sino ad arrivare ai numerosi tatuaggi colorati che avevo sulle mani. Tatuaggi che, con estrema lentezza, continuava a ricalcare col dito di tanto in tanto. A tratti mi faceva anche il solletico.
-Io dico proprio di sì. E tu mi presenteresti ai tuoi?- In un primo momento non me ne resi conto, ma forse non avrei dovuto proprio dirlo: sul suo volto si disegnò un'espressione piuttosto preoccupata e scontenta, e comicniai a farmi una mezza idea di quello che poteva essere successo.
-Lo farei, sei mia madre non fosse in fin di vita. E poi ti presenterei a mio padre, ma prima vorrei conoscerlo io..- Si vedeva che era una ferita ben aperta, e anche se effettivamente non potevo saperne niente, mi sentivo in colpa.
-Mi.. dispiace.- No, in quel momento era la cosa più stupida da dire. Era ovvio che mi dispiacesse, ma non era abbastanza. -Posso chiederti cos'ha oppure..?- Non sapevo come finire la frase. Perché come al solito ero un coglione. Sua mamma stava morendo, non voleva parlarne, ed io le chiedevo che aveva. Potrei meritarmi il nobel per le figure di merda.
-Ha la leucemia.- Disse, con una certa calma. Forse per nascondere il fatto che, in realtà, le importava più di quanto potesse dare a vedere. Si lasciò scappare un sorriso, mentre le si facevano gli occhi lucidi. Feci finta di non notarlo perché di tanto in tanto un pianto liberatorio fa bene, e chi ero io per negarglielo?
Si stese, liberandomi da quella specie di presa. Io cominciai a rotolarmi per tutto il letto nel tentativo di sgranchirmi un po' i muscoli, ormai intorpiditi da più di due ore passate nella stessa posizione. Passò qualche minuto di silenzio, e solo in quel momento mi ricordai dell'interivsta che avevamo fissato alle cinque. Mi alzai di scatto, guardandomi intorno. Lei quasi sobbalzò, non sapendo, giustamente, che cazzo m'avesse preso da un momento all'altro.
-Dio, che ore sono!?- Domandai, girando su e giù alla ricerca di qualcosa di caldo da mettermi in caso fossi in ritardo e avessi dovuto precipitarmi nella hall.
-Umh..- Anche lei cominciò a guardarsi intorno, finché non notò la sveglia. -Sono le quattro e quarantatrè.- Esclamò con una certa calma ritrovata.
-Devo scappare, merda.- Borbottai fra me e me, saltellando a destra e a manca nel tentativo di infilarmi le scarpe. Emily si sedette al centro esatto del letto con le gambe strette al busto.
-Che hai da fare?- Mi domandò con un tono abbastanza abbattuto. Forse le piaceva veramente passare il tempo con me. Non riuscivo a capire cosa ci fosse di bello nello stare insieme ad un coglione del genere, ma se a lei faceva piacere così, per me non poteva andare meglio.
-Intervista.. anche io ho un lavoro!- Le sorrisi, aprendo la porta. -Io dovrei tornare presto, se vuoi rimanere..- Feci spallucce, mentre lei si alzava con fare frettoloso.
-No, no, tranquillo!- Si infilò pantalone, scarpe e giacca in qualche frazione di secondo. Meno male che le donne sono quelle che ci mettono tanto a prepararsi, poi. Arrotolò una sciarpa di lana rossa intorno al collo e si controllò per un secondo allo specchio, aggiustandosi i capelli. Per qualche strano motivo sbuffò. Per me stava bene, ma nella logica femminile, probabilmente sembrava uno dei Cure.
-'Dah, ma vieni, che sei bellissima così!- La presi per mano, trasciandola via. Chiusi la porta alle mie spalle, questa volta controllando di avere le chiavi prima di trovarmi chiuso in camera con lui. Non so perché, ma un complimento così semplice le fece scappare un sorrisetto sotto i baffi. E per un attimo, avrei tanto voluto non conoscerlo mai e potermi innamorare di lei.



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-Ciao New York! Sono James Daverson, e oggi sono qui con i My Chemical Romance, che si esibiranno proprio nella nostra città fra tre giorni! Com'è essere qui a NY?- Domandò l'intervistatore della radio. Era un tipo biondo sulla cinquantina, probabilmente si era fatto quale lifting venuto male, perché l'accenno di pelle cadente si notava abbastanza bene. La stanzatta, invece, era piuttosto angusta. Le pareti nere di certo non aiutavano, ma era pur sempre una stazione radio. C'erano degli sgabellini rivestiti di tessuto rosso sulla seduta, e noi eravamo seduti proprio su quelli. Mentre mi perdevo fra i miei pensieri, non mi resi conto che Gerard aveva già cominciato a parlare, così cercai di riprendere il filo del discorso.
-..è sempre una delle tappe che aspettiamo di più, forse proprio per questo!-
Sembrava che magicamente avesse smaltito la sbornia in due ore, ma dovevo fingere che non mi interessasse.
-Bhe, e noi siamo contenti che sia così!- Fece un sorrisone. Sembrava piuttosto finto, ma dopotutto era un giornalista.
-E dopo il divorzio? E' tutto ok?- A giudicare dalla noncuranza con cui gli fece questa domanda, sembrava quasi che fossero amici. Io sapevo che a lui non importava più di tanto, ma.. se glie ne fosse importato?
-Non penso siano fatti vostri, né di nessuno in ascolto.- Accavallò le gambe, stringendo le braccia al petto con fare spregiudicato e strafottente. Ecco, erano mesi che non ero così d'accordo con lui. Spesso mi capitava di voler rispondere proprio così (se non peggio) a parecchi giornalisti, ma per timidezza non lo facevo mai.
-Oh-oh, un po' nervosetto? la solutidine si sente?-
-Parecchio. L'essere una sanguisuga che guadagna sui problemi altrui, invece, come la fa sentire? oh-oh, un po' una merda? è bello pensare che se lei ha una casa, è perché anche le persone famose hanno problemi? Non sapete cosa mi passa per la testa, non sapete come sto. Non mi conoscete. Nessuno lo sa. E nessuno.. nessuno mi conosce veramente.- Mi lanciò un'occhiataccia, quasi si stesse rivolgendo a me con quel "Nessuno lo sa". Quasi volesse sottointendere che forse, nemmeno io sapevo quanto credevo di sapere. Abbassai il capo non'appena incontrai quei suoi smeraldi che tanto mi mettevano in soggezione. Scosse il capo sotto gli sguardi shoccati di tutti, alzandosi per andare via. Fu seguito a catena da Mikey, che chiese fettolosamente scusa agli addetti che c'erano in stazione. Rimanemmo io e Ray a parlare di due o tre stronzate che non potevano veramente interessare a nessuno. Sentivo che se fossi stato in piedi, le gambe avrebbero ceduto. Ero stanco di qualsiasi cosa, ma più di tutto, di quella solita situazione.
Way junior ed il suo compagnotto erano in una specie di magazzino, pieno di riflettori, microfoni, casse di legno. Un posto piuttosto inquietante, a dirla tutta. Non passava un filo di luce, se non quella poca che filtrava dalla tenda che c'era a coprirlo.. tenda dietro alla quale mi nascosi, nel tentativo di capire che succedeva.
-Gerard, mi dispiace vederti così.. sono tuo fratello, puoi dirmi tutto.- Mikey quasi lo implorava. Avrebbe fatto di tutto pur di non farlo smarrire di nuovo. Gerard era quasi la sua luce guida, in quanto fratello maggiore. Non c'era nessun Mikey senza Gerard, fine. E questo entrambi lo sapevano bene.
-Forse non voglio dirtelo, ci hai pensato?- Sbuffò il rosso, alzandosi di scatto. Prima era seduto a terra, con le spalle appoggiate contro un'enorme cassa di legno. Adesso, invece, si avviava verso un'uscita di emergenza, indicata da un'insegna luminosa, senza la quale, probabilmente, nemmeno l'avrebbe vista.
-G..Gerard..- Mikey sussurrò appena. Non aveva più la forza di seguirlo, così come l'avevo persa anche io. Eppure, se non per quello stronzo, dovevo farlo per lui. Cioè, dovevo provarci.
Feci un respiro profondo, inghiottì il fastidioso groppo che avevo in gola, e poi sbucai fuori dal tendone nero. Fortunatamente lo scorgevo ancora in lontananza. Scambiai un'occhiata complice col biondo e poi uscì fuori. Il freddo pungente mi pizzicò subito tutto il volto, e in pochi secondi mi avvolse completamente. C'era qualche grado sotto zero, probabilmente, ed io non avevo nemmeno un giubbotto. Eppure lo seguì, continuai a camminare come se niente fosse.
-Gerard..- La mia voce risultava tremante per via del gelo, ma ero sicuro che in quel momento, se non fosse stato per quello, avrei avuto un tono autoritario.
-Sì, è il mio nome.- Si voltò, sbuffando come se gli avessi chiesto chissà cosa.
-Gerard, smettila. Ci sei caduto una volta, ci cadrai anche un'altra. Per favore, fare l'ubriacone non è la risposta ai tuoi problemi.. qualunque essi siano.- Cercai di non prendere a piangere per svariati motivi: in quei giorni non facevo altro che lacrimare e andare in paranoia, sembravo quasi una teenager.. in più, se avessi pianto, avrei perso quell'unico briciolo di serietà che mi rimaneva nella voce. Respirò a pieni polmoni, incurante di tutto.
-Il mio problema sono io, ecco. Se voglio ubriacarmi, drogarmi, o anche ammazzari, io lo faccio. Stop. E' come se non importasse a nessuno.. potrei scomparire domani e forse stareste tutti meglio. Non servo a nessuno.- Lo fissai allontanarsi, senza proferire parola. C'era stato molto vicino alla morte, tante volte, ma il pensiero che potesse morire sul serio non mi aveva mai nemmeno sfiorato. E per quanto a volte desiderassi non averlo mai conosciuto, il pensiero di una vita senza lui non riesco nemmeno ad immaginarlo. Sentì i battiti nel petto accelerare, accelerare, acclerare fino a diventare insostenibili. Mi sembrava che da un momento all'altro mi sarebbe sbucato il cuore fuori dal torace, per quanto fisicamente fosse impossibile.
-N..n..no..- Fu l'unica cosa che riuscì a sussurrare fra me e me, ma la sua esile figura ormai si era allontanata nel grigiore della nebbia Newyorkese. "Tu servi a me".
   
 
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