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Autore: Marrs    23/12/2011    2 recensioni
'Forse un po’ troppo spesso sentiamo raccontare storie a cui ci è difficile credere, perché non le sentiamo nostre. Tra tutte, la mia vicenda probabilmente sembrerà un banalissimo incidente di percorso. [...] Non mi sarei mai più rialzata; non avrei ricostruito quel muro, perché con sé portava troppa sofferenza. O meglio, così credevo…'
'Christopher. Il cambiamento avrebbe portato il suo nome.'
Dal diario di Elisa. Un diario che la farà rimbalzare continuamente tra passato e presente.
Storia sospesa a tempo indeterminato. Mi scuso immensamente
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo DUE - Un tuffo nel passato


 

"Christopher. Questo cambiamento avrebbe portato il suo nome."
 

- Te lo dirò una volta sola. Rispetta la tua decisione, fingi di non conoscermi. Non voglio che tu mi offra un caffè perché ti senti in colpa per come ti sei comportato. Hai scelto chi meriti la tua compagnia? Perfetto, anche io. E tu non rientri nella categoria di queste persone da molti mesi ormai. -
Spietata. Le mie parole sarebbero suonate cattive a chiunque in quel bar probabilmente; ma lui sarebbe apparso altrettanto insensibile per il comportamento che mi aveva riservato dopo due anni di stretta amicizia. Potevamo considerarci quasi pari. Quasi.
Mi ero poi voltata con i due caffè in mano, attenta a non rovesciarli per il troppo nervosismo, e mi ero allontanata dal bancone ingoiando quel groppo alla gola che minacciava lacrime da un momento all’altro. Quella giornata era cominciata male.
Mentre attraversavo la sala lasciavo scivolare l’attenzione su genitori apprensivi che controllavano che la loro piccola non combinasse disastri con quella brioche farcita di marmellata; coppiette felici che trascorrevano la colazione insieme, preferendo comunque ad un cappuccino il perdersi nello sguardo l’un dell’altro alla ricerca di quell’amore tangibile che li legava; o ancora anziani che battibeccavano per chi quella mattina sarebbe dovuto andare a prendere il nipotino a scuola, decidendo che la miglior cosa sarebbe stata andarlo a prendere insieme e scambiandosi infine un sorriso carico di tutta quella complicità propria solo di chi ha passato gli ultimi quarant’anni prendendosi cura del compagno o della compagna. Poi c’erano loro. Due ragazzi sedevano ad un tavolino in disparte e sorseggiavano distrattamente un caffè, probabilmente il più lungo della loro giovane vita. La loro attenzione sembrava essere concentrata su particolari insignificanti come le pieghe della tovaglia o il numero di bustine di zucchero presenti nel cestino. Una persona con qualche anno in più di esperienza però si sarebbe subito accorta della fugacità dei loro sguardi che cercavano di studiarsi a vicenda, abbassandosi poi non appena  l’imbarazzo affiorava sulle loro gote.
Distolsi immediatamente lo sguardo, terrorizzata all’idea che la genuinità di quel rapporto potesse intaccare il mio già precario equilibrio. A poco valsero i miei sforzi però.
Solo pochi minuti prima avevo dovuto affrontare Christopher, quello che ancora faticavo a considerare parte del mio passato. Il mio affetto nei suoi confronti non era ancora svanito, piuttosto affievolito di quel poco sufficiente a lasciar spazio alla delusione. Avevo permesso che entrasse a far parte della mia vita senza neanche accorgermene, illusa che una persona difficile non dovesse essere obbligatoriamente pericolosa per il muro che mi ero costruita intorno. Non potevo ancora sapere quanto mi sbagliavo.
 
- Ehi, ce l’hai fatta! - mi accolse Micaela non appena le porsi il suo caffè.
- Scusa, c’era coda al bancone - le mentii.
Non sopportavo raccontare bugie alla mia migliore amica, ma sapevo che se fosse venuta a conoscenza del fatto che Christopher lavorasse al Coffee Dream non avrebbe esitato a trovare un altro bar preferito. E io, da brava masochista quale ero, non sopportavo l’idea di dovermi allontanare di nuovo da lui. Certo, quella mattina gli avevo imposto di fingere di non conoscermi quando lui mi aveva chiesto come stessi. Non ero pronta però a sentire il mio nome completo pronunciato dalle sue labbra, le stesse che fino a qualche mese prima s’imprimevano sulla mia fronte quando avevo bisogno di conforto. Perché lui sapeva sempre quando io avevo bisogno di lui. E allo stesso modo lui, sin da primo giorno, aveva deciso di aver bisogno di me. Da quel momento avevamo abbandonato le nostre corazze per costruirne una sola, insieme.
Probabilmente erano questi stessi pensieri che mi avevano svegliata la notte precedente, costringendomi ad accendere il computer e scrivere del nostro primo incontro…

 
- Possibile che tu debba sempre farmi salire quelle maledettissime scale? Ti ostini a farti considerare una ragazza quasi adulta, ma non rinunci mai a dei stupidi capricci per uscire dal letto la mattina!-
Serena, questo era il nome della donna appena comparsa nella mia stanza. Questo era il nome di mia madre.
- Mmm-
Elisa, questo era invece il nome della ragazza che aveva appena mugugnato, scatenando la reazione poco pacata della madre. Questo era il mio nome.
- Possibile che quella ragazzina non sia capace di portare rispetto a chi si sacrifica per lei? L’hai viziata troppo!-
Ed ecco riaffiorare le critiche poco velate che mia madre era solita rivolgere a mio padre nei momenti di esasperazione. Le stesse critiche che a breve avrebbero portato quell’uomo a risponderle, dando inizio alla solita diatriba che caratterizzava le nostre giornate.
- Che novità! Quando qualcosa non ti va a genio, la colpa non può che essere la mia! Peccato non si tratti solo di mia figlia e che le colpe siano imputabili ad entrambi. Forse te lo sei dimenticata tra un colpo di spazzola e l’altro!-
- Io almeno posso spazzolarmeli i capelli.-
Non c’era nulla da fare. Quelle frecciatine demenziali sarebbero terminate solo con l’uscita trionfale di mia madre che sbatteva la porta di casa dietro sé e mio padre che mi portava a scuola in auto senza proferire parola. Sapevo quanto a entrambe pesasse dover discutere sempre a causa mia, ma nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso. Per quanto potessero arrabbiarsi con me, io sarei rimasta sempre la loro piccola Lisi.
Così anche quella mattina giunsi all’istituto d’arte che frequentavo attorniata da un silenzio pesante come una zavorra.
- Grazie. Buon lavoro, papà- sussurrai uscendo dalla vettura.
-Ciao.-
Per quel giorno sapevo di dovermi far bastare quel saluto tirato. Avevo di nuovo rotto la quiete familiare.

><><><>< 

 
Non appena varcai la soglia della classe, fui assalita da una Micaela frizzante e gioiosa come poche volte. E dire che Micaela era una ragazza tutt’altro che spenta e asociale.
- Eli, finalmente sei arrivata! - mi urlò in un orecchio, sfiorandomi con un bacio la guancia per il consueto saluto. Inutile dire quanto poco il mio cervello gradì tutto quell’entusiasmo. Se c’era una cosa che non tolleravo di prima mattina erano le chiacchiere, ancor più se queste non rientrassero nella categoria ‘sussurri’.
-Beh, sai quel detto? Chi non muore, si rivede…- sputai acida per l’esclamazione di molte ottave sopra la normalità.
- Ah. Ah. Ah. Mi chiedo sempre perché ti abbiano chiamata Elisa. Limone sarebbe stato decisamente più adatto.-
- L’originalità delle tue dimostrazioni di affetto è sempre stata un mistero, per me!-
Il nostro rapporto si basava su punzecchiamenti quotidiani e chiacchierate che potevano protrarsi per ore senza che noi ce ne rendessimo conto. La verità era che Micaela era la migliore amica che avevo sempre desiderato, la persona da cui correvo quando l’aria di casa diventava irrespirabile. Era il mio tutto e questo lei lo avrebbe sempre saputo.
Dopo aver sbuffato, quel vulcano di vitalità riprese a parlare.
- Passando a cose più serie, devo assolutamente farti conoscere una persona!-
- E tu avresti disturbato la mia quiete mattutina per delle stupide presentazioni?! Ti prego, ricordami ancora una volta perché quel giorno ho deciso di darti confidenza! -
- Eri in astinenza da caffè, tesoro. Non avresti mai potuto rifiutare una mano amica, soprattutto se teneva in pugno le sorti della tua stressante giornata - rispose lei con affabilità. Se c’era una cosa che le riempisse il cuore di immensa gioia era ricordarmi quanto io le fossi debitrice. Naturalmente si trattava dell’ennesimo gioco implicito nel quale ci dilettavamo. Ci eravamo incontrate una mattina per caso, davanti al distributore automatico che non voleva funzionare. Micaela mi aveva offerto il suo aiuto e, qualche spintarella dopo, il caffè era finalmente sceso. Comunque avevo riscattato quel debito aprendole il mio cuore e lei non aveva dubitato nel fare lo stesso; quindi quel caffè era diventato semplicemente il simbolo di quella meravigliosa amicizia che ogni giorno celebravamo con qualche sorso di caffeina per l’appunto.
- Ancora rimpiango di essermi scordata caffettiera e fornelletto elettrico a casa!-
- Farò finta di non aver sentito. Comunque, è tornato in Italia! Ancora non riesco a crederci…- e la sua voce andò via via affievolendosi, persa in qualche ricordo.
- Dovrei sapere di cosa o chi parli?- le chiesi inarcando un sopracciglio.
Micaela era fatta così; urlava la sua felicità al mondo intero, ma senza mai darne una spiegazione. La differenza tra me e il resto del mondo stava proprio in questo. Io avrei sempre ottenuto la risposta che altri non avrebbero mai conosciuto. Anche in quel caso la soluzione al dilemma non tardò ad arrivare. Col senno di poi però, quella motivazione credo sarebbe stato meglio tacerla.
Mi disse brevemente che un suo vecchio amico d’infanzia era appena tornato dalla Francia, dove si era trasferito quando avevano solo nove anni, e che presto me lo avrebbe fatto conoscere. Poi il discorso morì lì. Nessuna delle due sapeva che presto quello sarebbe diventato il discorso più gettonato delle nostre giornate.
Le ore di lezione trascorsero lente, come sempre d’altronde. Latino, italiano, matematica, inglese e ancora una volta italiano. Giunti alla fine della terza ora cominciammo a chiedere in giro se qualcuno avesse una corda a portata di mano; il lunedì era la giornata più pesante in assoluto e spesso ci eravamo chiesti quale ottuso professore avesse potuto programmarlo così. Inutile dire che il responsabile fosse il professor Giannetti, meglio conosciuto come ‘S’ Man. Il significato di questo nome era piuttosto banale: ‘S’ come ‘stupid’. Mai soprannome fu più adatto al mio professore di letteratura inglese. Comunque, nonostante il desiderio collettivo di alzarci nel bel mezzo della lezione di italiano e scappare fuori dall’aula, arrivammo indenni all’intervallo.
Micaela mi trascinò immediatamente fuori dall’uscita di emergenza, dove era solita accendersi una sigaretta. Al contrario, io non avevo mai provato il desiderio di fare anche solo un tiro; quindi mi limitavo a farle compagnia spettegolando sulla gente che frequentava la nostra scuola o insultando qualche professore per un test a sorpresa. Quel giorno però qualcosa cambiò.
- Eccolo!- esclamò ad un tratto la mia amica.
- Anche questa volta dovrei sapere di chi parli?- le chiesi sarcastica.
- Il ragazzo di cui ti parlavo. Vieni, te lo presento!-
Non so quante volte mi diedi della stupida negli anni a venire. Ma al tempo ancora non potevo sapere quanto quegli occhi di ghiaccio potessero essere nocivi.
-  Chris! Chris!- urlò Micaela sbracciandosi e facendo girare quasi tutti quelli che si trovavano in cortile come noi. Tra quei volti ne riconobbi uno più curioso sul quale si poggiò lo sguardo della mia amica. Lui doveva essere Chris. Lui sarebbe stato la mia rovina.
- I vizi sono duri a morire, eh Michi? Mi sembra strano che quei due vecchietti non si siano girati per vederti correre e sbraitare come una gallina nel pollaio- le disse quello stesso ragazzo non appena fummo più vicine. A quel punto temetti che Micaela lo prendesse a schiaffi; ma con mia grande sorpresa si aprì in un sorriso radioso.
- E tu resti sempre il solito gentiluomo, eh Chris?- gli rispose al contrario ironicamente lei mentre i suoi occhi sembravano assumere una sfumatura diversa. Evidentemente questo Chris aveva dovuto contar molto nell’infanzia della mia migliore amica; non avrei saputo spiegare altrimenti la confidenza che avevano l’uno con l’altra.
- Mi mancavano i tuoi complimenti- ribatté lui subito dopo. Fu in quel momento che si accorse di me; la sua espressione mutò impercettibilmente. Sembrava quasi che il suo sguardo si stesse pietrificando, assumendo le sembianze di un iceberg. Ancora a quel tempo non ne potevo capire il motivo, ma ben presto mi sarei ritrovata a cercare con smania quegl’occhi di ghiaccio.
Anche Micaela sembrò ricordare che ci fossi anch’io con lei e che il motivo per cui mi aveva trascinata lì era proprio fare le presentazioni ufficiali.
- Comunque, Elisa lui è Christopher. Christopher lei è Elisa, la mia migliore amica.-
- Piacere- dissi titubante allungando la mano educatamente. Ma tutto ciò che lui si limitò a dire fu un ‘ciao’ strascicato e senza avere il coraggio di guardarmi negli occhi mentre lo pronunciava.
Fu a quel punto che la mia migliore amica cominciò a ridacchiare, fino a che la sua smorfia non si trasformò sempre più in una vera e propria risata. Dovetti sostenerla per un braccio, perché non sembrava in grado di reggersi in piedi tanto forti erano gli spasmi.
- Michi? Ti senti bene?- tentai di chiederle, mentre la sua ilarità non sembrava diminuire.
- Sì, sì! E’ che…- Ma non riuscì a terminare la frase perché un’altra scossa di risa convulse la sorprese. In quell’istante, per la prima volta, io e Christopher incrociammo il nostro sguardo. Anzi, lo incatenammo l’uno a quello dell’altra. Nessuno mi avvertì in tempo, quindi mi ritrovai a maledire quel giorno per lungo tempo successivamente.
Al suono della campanella che annunciava la fine dell’intervallo, Micaela sembrava essere tornata in sé; ma non ci volle spiegare il motivo della sua reazione. Solo qualche anno dopo ne scoprì la causa.
- Forse sarebbe meglio rientrare. ‘S’ Man non tollera i ritardi e noi abbiamo già avuto due richiami- azzardai nel vedere tutti gli studenti rientrare nelle proprie classi.
- Hai ragione, Eli. Ci vediamo presto, Chris!- E di sfuggita notai l’occhiolino che gli fece.
Fortunatamente il professore di letteratura inglese non era ancora arrivato e noi raggiungemmo appena in tempo le nostre postazioni. Non ci fu più una parola circa l’incontro di quella mattina, almeno non finché lo incontrammo quello stesso pomeriggio durante una battuta di shopping.

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Dopo scuola, avevo salutato Micaela all’incrocio che separava le nostre due vie e mi ero diretta a casa. Quando entrai, osservai uno strano silenzio. Non potevo immaginare che quella fosse solo la calma prima della tempesta.
Appesi la giacca sull’appendi abiti e mi trascinai in salotto, dove trovai mia madre immersa nella visione di uno sceneggiato di chissà quale nazionalità. Ad ogni modo, non appena mi notò, si aprì in un sorriso e mi invitò a precederla in cucina dove mi attendeva il pranzo.
- Come è andata a scuola, tesoro?-
- Come al solito- risposi glaciale.
Non è che non volessi bene alla donna che mi aveva messa al mondo, assolutamente. Il fatto è che oramai il nostro rapporto si era congelato; non esistevano progressi né regressi, ma era come se lei non se ne accorgesse. E io ero stanca di girarle vorticosamente intorno come una trottola nella speranza che si accorgesse nuovamente di me. I miei avevano deciso di seguire la politica della resistenza passiva da poco più di un anno, sopportando la presenza l’uno dell’altra a stento ma non sempre in grado di farlo in silenzio. Così mi ero spesso ritrovata a mediare tra di loro, spesso facendone le spese. Probabilmente fu per questo motivo che mi rintanai nella mia stanza solitaria subito dopo aver afferrato un tramezzino, abitudine che ormai avevo da qualche mese. Non avrei sopportato quel peso ancora per molto. Stavo per esplodere e nessuno poteva contenere i danni di quella che si sarebbe rivelata una catastrofe. Nessuno, tranne me.

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Qualche ora dopo fui svegliata da un suono insistente, un ronzio fastidioso che sembrava perforarmi il timpano. Ci misi qualche secondo di troppo a realizzare si trattasse del mio cellulare, tanto che quando riuscì ad afferrarlo smise di vibrare. A quel punto c’erano due possibilità: la prima è che non avrebbe più dato segni di vita per qualche altra ora permettendomi di dormire ancora un po’; la seconda, più probabile, era che il cellulare si animasse nuovamente fino a che non avessi risposto. Questo avrebbe potuto voler dire solo una cosa: Micaela.
E, come previsto…
- Spero sia urgente perché hai appena interrotto il mio sonnellino rigenerante.-
- Shopping. Mezzora. Casa tua. Puntuale!- furono le uniche parole che sentii prima del classico ‘tututu’.  Sapeva benissimo che non avrei mai accettato. Necessitavo di almeno un’ora e mezza di preavviso per poter essere pronta in quasi orario. Dovevo appuntarmi di attaccarle un post-it sulla fronte con le ‘Regole della buona convivenza’ riguardo le mie abitudini. Magari non passava ore davanti all’armadio per trovare qualcosa di decente da mettere come me, ma non rinunciava di sicuro ad un’occhiatina allo specchio prima di uscire. Lo avrei fatto, prima o poi.
Mezzora e un quarto d’ora di ritardo dopo stavo scendendo di corsa le scale per andare incontro a una Micaela palesemente scocciata.
- Un orologio, ecco cosa ti regalerò alla prossima ricorrenza! -
- Perché non un tappeto volante? Visto che sei in vena di richieste impossibili… ‘Mezzora. Puntuale! ‘ Come puoi anche solo pensare che mi basti un preavviso di mezzora?-
- Solitamente le persone normali ce la fanno!-
- Quindi mi consideri una persona normale? Sprechi così l’unica occasione che hai per  non ritenermi tale? Quel giorno mi eri sembrata più assennata…-
- Eri accecata dal bisogno impellente di caffeina-
E, dopo avermi fatto l’occhiolino, si era concentrata sulla guida. Con lei era sempre così facile smettere di pensare al resto del mondo, a quella vita forse un po’ troppo piena per sole diciotto candeline.
- Michi?-
- Dimmi tesoro-
- Ma…-
Avrei voluto chiederle se  pensava che, distributore automatico o meno, credeva fossimo destinate a diventare amiche dal momento che ci eravamo già incontrate, o meglio scontrate, qualche volta nei corridoi. Ma qualcosa attirò la mia attenzione.
- …quello non è il tuo amico francese?-
- Dove?- mi chiese aprendosi in un sorriso spontaneo. - Oh, sì! Chris!- cominciò a urlare abbassando il finestrino e suonando il clacson. Sempre la solita, eh?
Fu in quel momento che i nostri occhi si incrociarono per la seconda volta. Maledetta seconda volta! Quello fu un pensiero che mi accompagnò per molti mesi e che, forse, tuttora sembra tornare a momenti. Non avrei dovuto far notare a Micaela la presenza di quel ragazzo a poche decine di metri da noi. Avrei dovuto far finta di niente. Mi sarei stretta la mano da sola per i giorni a venire.
- Micaela Balzanti, avrei dovuto insegnarti il significato di ‘discrezione’ anni fa! -
- Sei sempre un amore, Chris!-
Non volevo interrompere la loro chiacchierata. Sapevo che non si vedevano da così tanto tempo che probabilmente un mese intero per recuperare non sarebbe bastato. Così avevo deciso di avviarmi verso la libreria che si trovava proprio di fronte alla piazza nella quale avevamo incontrato Christopher, quando fui fermata da una voce poco familiare.
- Elisa?-
Mi voltai per capire chi mi avesse chiamata e quasi non mi cadde la mascella a terra.
- Sì?-
- Devi aiutarmi.-
Niente mezzi termini, lo avrei imparato col tempo. Christopher Dillemi non avrebbe mai utilizzato mezzi termini. Neanche quando ne avrei avuto più bisogno.
- Devo? So a mala pena come ti chiami e devo aiutarti? Hai le idee molto chiare da quanto ho capito.-
- Voglio fare un regalo a Micaela, ma sono passati tanti anni. Troppi. E so cosa prenderle.-
Sbuffai. Aveva palesemente ignorato la mia critica velata. Ma cosa avrei dovuto fare? Avevamo quel piccolo dettaglio in comune: Lei.
- D’accordo, forse so come aiutarti. Prima però ho bisogno di qualche informazione- azzardai.
- Cioè?-
- Come vi siete conosciuti? Che tipo di rapporto avevate? Siete rimasti in contatto in questi anni?-
- E tu, per un regalo, hai bisogno di tutti questi dettagli privati?-
- Vuoi che ti aiuti?- e lo vidi annuire.
- Bene, questi sono i patti.-
Tentennò. Voleva davvero colpire positivamente Micaela con un regalo ad effetto; allo stesso tempo però non voleva rendersi vulnerabile di fronte a me. Ma questa fu una delle tante constatazioni che riuscì a fare dopo averlo visto andar via da me per sempre. O quasi.
- D’accordo- accettò, non potendo farne a meno.
Seppi che si erano conosciuti quando avevano poco più che tre anni, alla scuola materna dove avevano frequentato la stessa sezione. L’affetto che li legava era cresciuto con gli anni, intervallato da qualche pollice rovesciato a indicare un’interruzione momentanea dell’amicizia che non avrebbe mai visto la parola ‘fine’. All’età di cinque anni avevano persino reclutato un compagno che celebrò la funzione matrimoniale che avrebbe dovuto unirli finché morte non li avrebbe separati. Peccato che Micaela fosse la bambina più realista mai esistita e che informò Christopher ‘di non provare nulla per lui se non un grande affetto pari a quello per il fratello che lei non aveva mai avuto’. Fortuna volle che il piccolo Chri-Chri, come era solita chiamarlo lei, la pensasse allo stesso modo.
- Quindi, non è stato facile separarsi da lei…-
La mia non era una domanda. Avevo visto nello sguardo sfuggevole di Christopher il trasporto con il quale parlava di quella bambina piena di vita che aveva riempito i suoi giorni in quei sette anni di amicizia incondizionata.
- Mia madre mi disse che ci saremmo trasferiti la settimana successiva. Avremmo vissuto a Marsiglia, in Francia. A nove anni sei sufficientemente grande per capire, ma non abbastanza da poter imporre le tue idee. Così non mi restò altro da fare se non salutare Micaela e prometterle che un giorno sarei tornato. Le promisi che il giorno del suo diploma sarei stato con lei; le promisi che avrebbe condiviso la felicità per la laurea ottenuta con me; sarei stato il suo testimone di nozze e il padrino dei suoi bambini. A nove anni può sembrare inverosimile un discorso del genere, ma stando con Micaela imparai subito a diventare ‘grande’. Naturalmente sapere che solo io avrei seguito mia madre in questo trasferimento mi aiutò a crescere più in fretta, ma lei non lo seppe fino a qualche anno dopo.-
- Ne deduco siate rimasti in contatto- fu la mia ovvia osservazione.
- Per qualche anno, assiduamente. Un sabato lei chiamava me, il sabato successivo sarebbe stato il mio turno. Giunti all’età di tredici anni le nostre chiamate si ridussero agli auguri di Natale e buon compleanno, anche se in quelle occasioni facevamo il pieno e ci raccontavamo mesi di vita sconosciuta l’uno all’altra. Erano quasi dieci anni che non la vedevo e, nonostante ciò, abbracciarla è stata la cosa più spontanea che mi sia venuta da fare.-
Terminò la frase scuotendo il capo, come se non si capacitasse della naturalezza di quel suo stesso gesto. Ma entrambi sapevamo la risposta a quell’inaspettato slancio di affetto: Micaela.  
Quel pomeriggio cominciai per la prima volta a far parte del difficile mondo di Christopher, un ragazzo che portava sulle spalle un peso più grande di lui, quello di aver lasciato il suo papà a soli nove anni per trasferirsi a centinaia di chilometri di distanza e quello di un dolore di cui ne avrei conosciuto l’origine solo qualche mese dopo.
Dopo poco più di un’ora ritornammo in piazza con i nostri sacchetti in mano, ritrovando Micaela e gli altri ragazzi.
- Eccovi finalmente! Ma che fine avevate fatto?- esordì la nostra amica.
- Che impicciona! E io che credevo di dovermi impegnare per conoscere una nuova Micaela al mio ritorno!-
Non facevano altro che provocarsi e dovevo ammettere che non ridere dei loro battibecchi era quasi impossibile.
- Ci siamo avvicinati a una vetrina e abbiamo deciso di entrare. Abbiamo fatto qualche acquisto, tutto qui- decisi di intervenire io prima che Micaela ribattesse.
- Mmm, per questa volta vi perdono. Rimandiamo il pomeriggio di shopping a domani, Eli? Ormai si è fatto tardi.-
- Per me va bene- le sorrisi.
- E tu cerca di non rapirmi la mia amica un’altra volta!- minacciò poi Micaela con il dito puntato contro Christopher.
- Ci proverò-
Quello sarebbe dovuto essere il primo campanello d’allarme, ma io ero troppo impegnata a cercare il significato di quella improvvisa sfacciataggine. Capii solo successivamente che anche lui era stato rinchiuso nel suo guscio per troppo tempo e vedeva in me l’ultima persona che avrebbe potuto farlo soffrire di nuovo. Eravamo così simili, entrambi nascosti dietro una parvenza di freddezza incapaci di affrontare quel mondo che ci aveva feriti troppe volte.
Quello che nessuno poteva immaginare era il legame che si sarebbe instaurato tra di noi. Nessuno tranne Micaela che con quella risata aveva lasciato intendere molte cose.
Cose che appresi solo qualche anno dopo.




Buonasera a tutti.
Lo so, ho pubblicato il primo capitolo di questa storia più di un mese fa ormai. Poi sono sparita.
Il fatto è che la scuola mi ruba un sacco di tempo e io sono ossessivamente perfezionista quindi non mi faccio mai piacere quel che scrivo. Neanche questo capitolo mi convince, a dirla tutta. Comunque ho pensato di dovervelo, dopo aver letto le recensioni e dopo aver visto crescere il numero di persone che la seguivano.
Cercherò di essere più costante d'ora in poi; magari una volta pubblicato questo, comincerò a scrivere il terzo per cui ho già qualche idea.
In questo capitolo ho lasciato più spazio al diario di Elisa perchè mi sembrava doveroso spiegare almeno come si fossero incontrati lei e Christopher. Capiterà ogni tanto che io adotti questa tecnica, ma la gran parte dei capitoli dovrebbe essere al presente, salvo poi interrompersi per dare spazio a qualche flashback utile a ricostruire la storia.
Prima di aggiornare però, mi è sembrato doveroso correggere il primo capitolo perchè temevo di non aver spiegato bene alcuni passaggi [e perchè ho notato con orrore alcuni errori di ortografia!]. Quindi spero risulti tutto più comprensibile ora; in caso contrario esprimete pure i vostri dubbi e io cercherò di rispondere a tutto.
Non mi resta quindi che ringraziare chi ha dato fiducia a questa storia sin dal primo capitolo e darvi appuntamento al prossimo capitol
o!

Un bacio.
Sara

 
 

  
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