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Autore: Aerith1992    24/12/2011    1 recensioni
In un mondo fatto di magia, differenze ben marcate dalla forza delle persone in terra di nessuno, dove non esiste una legge, non esiste altro modo di sopravvivere se non fidandosi solo di se stessi e sfruttando al massimo la propria forza. Chi nasce debole non ha futuro davanti a sé oppure… può trasformarsi in un demone, essere odiato dagli umani, costretto ad una vita di solitudine.
Arthur è un demone. Viaggia da solo da ormai 50 anni quando trova in una foresta un bambino abbandonato. Non volendo che il bambino, Alfred, muoia o diventi un demone come lui, decide di adottarlo.
Strane forze si mettono in moto nel mondo intorno a Arthur ed Alfred.
[pairings solo in seguito!]
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Di amore e guerra

Capitolo 2 - Calore familiare

 

Crescere un bambino, da solo, lontano dagli umani non era cosa facile, pensò Arthur. Certo fin da quando lo aveva preso con sé non si era aspettato rose e fiori, ma un minimo di collaborazione! Arthur scosse la testa. Collaborazione. Che andava pensando ormai, inebetito dalla mancanza di sonno.

I primi mesi erano stai i più duri. Non solo c’era Alfred a cui stare attenti, ma anche una casa da costruire. Certamente il fatto che, essendo un demone, aveva poteri magici aveva aiutato e non poco ma non aveva conoscenze su come accudire un bambino, eccetto che per quel poco tempo che aveva vissuto come umano. Senza contare poi che era passato un sacco di tempo da quando aveva potuto osservare una madre con il proprio neonato. Stanco morto e frustrato dalla mancanza di sonno e dai lavori della casa così lenti, però, ce l’aveva fatta.

Aveva sperato di potersi riposare, ma Alfred sembrava aver deciso di voler mangiare tutto ciò che si trovava intorno. Che fosse un ramo, una tavola di legno o la maglia di Arthur, doveva subito prenderla ed infilarsela in bocca. Quanto aveva dovuto penare Arthur per evitare che si facesse male con una scheggia o peggio!

Che emozione invece quando aveva iniziato a parlare! Arthur aveva atteso impazientemente di sentire il proprio nome da Alfred, magari non con una pronuncia perfetta, fino a quando, un giorno, Alfred l’aveva osservato con le sue iridi celesti ed aveva detto: “Mamma”. Arthur, felice di sentire la sua prima parola e allo stesso tempo frustrato dal sentirsi chiamare mamma e non papà, non aveva saputo come reagire ed era stato lì immobile, come pietrificato per qualche minuto buono, fino a quando finalmente, aveva dato un tremolante bacio sulla fronte di Alfred. C’era voluto un sacco di tempo solo per convincere il bambino che lui  non era “mamma” ma “Arthur” e una altro bel po’ di tempo ancora per convincerlo che non si chiamava nemmeno “Artie”, ma ne era valsa la pena e tutto sommato il demone si era anche divertito.

Tra periodi di mancanza di sonno, sorprese e divertimenti, c’erano anche stati momenti in cui Alfred era ancora molto piccolo in cui si era preso certi spaventi! Una volta, lui ed Alfred, che aveva appena 4 anni, stavano camminando insieme per la foresta. A un certo punto, così, all'improvviso, Alfred, adesso un bel bambino dai capelli biondi con un unico ciuffo che andava verso l'alto quasi a voler aumentare l'altezza di Alfred e gli occhi azzurri, gli aveva lasciato la mano ed aveva iniziato a correre, fuori dal campo visivo di Arthur. Il demone lo aveva inseguito urlandogli di fermarsi e che poteva essere pericoloso. Quando era riuscito a vedere di nuovo Alfred, il bambino era di fronte ad un orso selvatico. Spaventato per Alfred ma senza perdere la testa aveva iniziato a preparare una magia che spaventasse l'orso sperando che non fosse troppo tardi. Alfred però aveva agito per primo tirando un pugno all'orso in quel momento in procinto di dargli una piuttosto feroce zampata. La potenza del colpo aveva spedito il povero animale, la cui colpa era semplicemente l'essere stato affamato, contro un albero. Arthur aveva osservato stupito per qualche minuto alternandoli Alfred, che lo aveva salutato sorridente come se nulla fosse successo, e l'orso, che sembrava aver optato per una ritirata strategica e si era poi lasciato scivolare a terra, improvvisamente debilitato a causa dello spavento. Quando poi si era ripreso aveva abbracciato Alfred più forte che poteva ripetendo come una nenia di non scappare più così all'improvviso.

Quell'episodio aveva aperto alcuni interrogativi. Da qualche anno si era chiesto perchè Alfred fosse stato abbandonato, soprattutto alla luce del fatto che era diventato abbastanza robusto da poter vivere tra gli umani. Se prima l'aveva considerato un errore degli umani, si era in quel momento trovato a riconsiderare la propria ipotesi. La forza che aveva dimostrato non sarebbe mai potuta essere umana. Forse avevano pensato che il bambino era un demone o in generale qualcuno diverso che doveva essere allontanato; ma allora, chi era veramente? Arthur aveva bisogno di risposte e Alfred ne avrebbe avuto presto. L'unica cosa possibile per scoprire la verità era di cercare nelle biblioteche dei Grandi Regni, ma per fare ciò avrebbe dovuto lasciare Alfred da solo per lunghi periodi di tempo; ne sarebbe stato capace?

Il tempo era passato. Alfred aveva 11 quando Arthur aveva deciso di iniziare le sue ricerche. Aveva insegnato all'ormai ragazzino e non più bambino ad andare a caccia, rimproverandolo adeguatamente ogniqualvolta si dimostrasse troppo imprudente e aveva annunciato la sua partenza imminente, senza accennare al motivo.

Era il giorno della partenza, ormai.

-Non voglio che parti!- esclamò Alfred.

Arthur si piegò sulle ginocchia per poterlo vedere bene, così impensierito per i giorni solitari che Alfred avrebbe dovuto passare da non preoccuparsi della sua grammatica scorretta. Le iridi blu del ragazzino gli comunicavano un senso di tristezza. Gli poggiò una mano sulla spalla -Devo, Alfred. Non starò via molto e ti manderò dei messaggi con la magia, va bene?- Alfred annuì, leggermente più rinfrancato. -Non avvicinarti ai villaggi, stai attento quando vai a caccia e stai attento a non bruciarti con il fuo… volevo dire, non mi bruciare la casa.- aggiunse Arthur, arrossendo. Alcune cose, come l’impossibilità di esprimere chiaramente a parole il suo affetto non erano per niente cambiate da quando Alfred era entrato nella sua vita, rivoluzionandola.

Si rialzò in piedi con un sorriso e mise una mano tra i capelli del ragazzino, scompigliandoli. -Mi raccomando.- disse, per poi arrossire aggiungendo -Ti voglio bene-

Il suo sguardo era già volto verso la strada che avrebbe dovuto percorrere, il corpo fremente di tornare a ciò che Arthur aveva fatto quasi tutti solo una decina di anni prima, viaggiare. Nonostante tutto Arthur sapeva che non avrebbe potuto non trovare almeno un po’ di piacere nell’essere solo con i pensieri, circondato dalla natura. Prima però di poter fare un singolo passo, Alfred lo abbracciò.

-Ti voglio bene anche io- disse guardandolo negli occhi con spiazzante onestà, tanto che Arthur arrossì imbarazzato di nuovo. Sembrò staccarsi dal demone con estrema riluttanza. -Torna presto!

Il motivo per cui aveva deciso di non portare con sé Alfred, oltre al fatto che la ricerca riguardava lui in prima persona e che non era saggio lasciare che le persone lo notassero quando non si sapeva ancora la sua identità, era la velocità del viaggio. Se, come Arthur aveva previsto, la ricerca avesse richiesto molto più tempo, era importante essere veloce negli spostamenti dalla casa nella radura ai Grandi Regni. Essere un demone, essere non solo magico ma anche molto veloce, di sicuro aiutava, ma Alfred lo avrebbe rallentato.

Così da solo era arrivato alla Biblioteca di uno dei Grandi Regni in pochi giorni e subito aveva iniziato a cercare. Libri sui vari esseri che abitavano il mondo conosciuto, studi sulla Terra di nessuno, osservata con l'occhio distaccato di chi crede di essere superiore e tante altre opere.  Eppure, dopo mesi di ricerca non aveva trovato niente, nulla, nessun dato su umani dalla forza straordinaria come quella di Alfred. Sembrava non poter esistere una sola anomalia.

Arthur sbuffò irritato chiudendo l’ennesimo libro accanto alla piccola montagna di quelli che aveva già letto in quella biblioteca e si passò stancamente le mani tra i capelli. Leggere era un’attività che non gli dispiaceva, ma ormai era stanco di nascondere il suo volto e la sua magia per non farsi riconoscere come demone, stanco di leggere lunghi ed inutili compendi, stanco della solitudine.

Solo una decina di anni prima stare da solo per lui era la norma, come fare di qualsiasi cosa avesse voluto fare l’attività del giorno. Da quando invece aveva accolto Alfred aveva avuto una vita spesso stressante, in cui le attività del giorno erano dettate dai suoi bisogni naturali e dalla parvenza di vita normale che Arthur aveva voluto creare. Nonostante ciò, non solo si era abituato a quei ritmi e a quella vita, ma li aveva anche cominciati ad apprezzare. La compagnia del bambino lo faceva sentire vivo. Stanco, frustrato, divertito, felice, annoiato ma vivo. D’un tratto la solitudine era diventata percepibile.

Era un po’ come vedere il mondo per anni ed anni in un unico modo. Sembra vero e del resto non ne puoi dubitare, non avendo sperimentato niente che possa contraddire la tua idea. Era come sentire sempre e solo caldo: esso non esiste fino a quando non scopri il freddo. Così per Arthur la solitudine non era esistita fino a quando non aveva conosciuto la compagnia di Alfred. Non gli dispiaceva essere solo: niente che lo potesse disturbare né alterare il suo precario equilibrio, sentire solo i pensieri liberi nella sua testa. Solo ora però si accorgeva che chiudersi in se stesso non era sempre un bene.

Sarebbe tornato a casa. Avrebbe preso qualche libro e se lo sarebbe letto a casa, guardando Alfred giocare. Sì, avrebbe fatto così, pensò ormai deciso. Mandò un messaggio ad Alfred con la magia, attento che nessuno lo notasse, lì nella biblioteca, circondato sola da scaffali di legno e un’infinità di libri. Raccolti i libri che aveva deciso di prendere, prima di uscire volse un altro sguardo alla biblioteca: un luogo così magico a cui sarebbe tornato un giorno, se gli sarebbe servito o no. Tutta quella conoscenza avrebbe potuto alimentare una vita immortale ed anche più. Comprò giocattoli e cose che gli sarebbero potute servire e partì di corsa.

Durante il periodo in cui era stato via Alfred aveva risposto con una calligrafia incerta ai suoi messaggi e da quanto aveva potuto leggere Arthur poteva essere certo che il ragazzino se la stessa cavando bene ma non aveva potuto né poteva ancora in quel momento impedirsi di preoccuparsi. Volente o nolente, era un bambino, un ragazzino, quello che aveva lasciato da solo nella radura, sebbene magicamente protetto dagli animali selvatici. Perciò niente poteva rallentare o fermare la sua corsa verso casa se non i suoi bisogni primari.

E un demone che spunta all’improvviso tagliando la strada con un ghigno quasi maniaco stampato sulla faccia.

-Un demone che va di fretta, quale rara visione. Cosa ha un demone di così urgente da fare in una vita immortale?-

Arthur studiò il nuovo arrivato con circospezione. I suoi occhi rossi erano circondati da un tenue alone dello stesso colore dell’iride, come era per tutti i demoni, e, appollaiato sui suoi capelli bianchi, Arthur poté scorgere un pulcino giallo addormentato.

-Cosa ci fa un demone così vicino ad un villaggio?- chiese di rimando, accennando con il volto alla vista di un piccolo villaggio poco lontano da loro, in uno spiazzo libero dagli alberi della foresta.

Il ghigno del demone dei fronte a lui parve allargarsi. -Alcuni umani non possono fare a meno della mia magnifica presenza- rispose con tono arrogante e soddisfatto, prima di emettere una risata roca. Arthur alzò un sopracciglio, scettico.

Il demone parve non restarci caso e gli porse una mano -Sono Gilbert il Magnifico- si presentò.

-Arthur- rispose stringendo la mano del demone.

-Quanto tempo che non vedevo altri demoni! Dobbiamo festeggiare!- esclamo Gilbert dandogli una poderosa pacca sulla spalla.

E così Arthur fu costretto a rimanere. Non voleva insospettire Gilbert con un atteggiamento evasivo, così il demone ebbe il tempo di invitarlo a rimanere quella notte a bere con lui. Così scoprì che Gilbert aveva nel villaggio un fratello umano, Ludwig. Non si era più voluto spostare dai suoi dintorni fin da quando aveva scoperto della sua nascita.

-È un gran bravo ragazzo! E forte! Ha preso tutto dal suo fantastico fratellone!-

Il perché Gilbert gli avesse voluto rivelare così tante informazioni personali, Arthur ipotizzò fosse dovuto alla solitudine e più tardi ebbe modo di scoprire di aver avuto ragione: con l'odio e la paura che gli umani avevano dei demoni, Gilbert non se l'era sentita di avvicinare il fratello. Anche se suo fratello l'avesse accettato, il suo villaggio avrebbe allontanato lui e la sua compagna Alice. Arthur preferì tacere completamente su sé ed Alfred; che poi il bere gli avesse fatto forse uscire dalla bocca qualche piccola informazione era un discorso a parte.

Così Arthur perse una giornata di viaggio ed altro tempo ancora perché Gilbert, non appena Arthur si svegliò il mattino dopo, annunciò che l'avrebbe accompagnato per un tratto di strada e non avrebbe di certo potuto dirgli che aveva fretta! Aveva evitato la prima domanda e di certo non ne voleva altre. Quanto avrebbe voluto prenderlo a pugni, Gilbert e quella sua attitudine arrogante! Però non poteva fare altro che provare un poco di rispetto per lui: non poteva non rispettare chi era andato incontro alla dolorosissima trasformazione in demone e ne era sopravvissuto senza diventare matto.

Alfred se l'era cavata egregiamente senza di lui, dovette ammettere Arthur. Certo la casa era leggermente sporca ed in disordine, ma almeno il ragazzino sembrava aver mangiato a sufficienza e stare bene. Appena era tornato a casa, Alfred non aveva perso tempo ed era subito corso ad abbracciarlo e raccontargli le sue prodezze. Nonostante fosse stremato per il lungo viaggio Arthur non se l'era sentita di interromperlo.

Con il suo ritorno era giunto anche il momento che Arthur temeva: il discorso. Avrebbe dovuto dire ad Alfred non solo che era stato abbandonato ma anche spiegargli la sua vera natura. Lo fece sedere accanto a lui  davanti alla casa, in modo da avere di fronte la radura ed iniziò, un po' titubante, a parlare. Gli disse di come l'aveva trovato e del fatto di aver deciso di accoglierlo.

-Perché mamma e papà mi hanno abbandonato? Non mi volevano bene?- chiese Alfred guardandolo con i suoi spiazzanti occhi blu. Osservando quello sguardo, Arthur non se la sentì proprio di dirgli cosa sospettava né la verità.

Lo abbracciò e poggiò la testa sopra i suoi capelli dorati -Sono sicuro che ti volevano molto bene Alfred, ma ti hanno dovuto lasciare contro la loro volontà- disse accarezzandolo. Alfred ricambiò l'abbraccio senza dire una parola.

Un momento difficile era appena passato, pensò Arthur senza lasciare Alfred, e un altro era alle porte. Doveva sapere chi era Arthur.

-Alfred, c’è un’altra cosa che devi sapere- disse staccandosi dall’abbraccio. Alfred tornò ad osservarlo. Nei suoi occhi Arthur poté leggere un misto di tristezza, curiosità e, scavando bene in fondo, anche paura. -Non sono un umano. Sono un demone- Indicò i suoi occhi -Lo vedi l’alone verde attorno ai miei occhi? È ciò che accomuna i demoni-

Alfred li osservò incuriosito. La traccia di paura era sparita dai suoi occhi azzurri.

-Che cosa è?- chiese.

-Magia. Rispetto agli umani noi demoni ne abbiamo molta e questa si condensa formando l’alone. È uno dei motivi per cui gli umani hanno paura di noi-

-Perché?-

-Una volta un gruppo di demoni attaccò tanti villaggi degli umani, soprattutto grazie all’aiuto della magia che li proteggeva. Per gli umani fu molto difficile liberarsi di loro. Da quel momento tengono alla larga tutti i demoni per timore che una cosa del genere si ripeta. Quello ce non sanno è che quei demoni erano impazziti: la colpa era della trasformazione da umano a demone, tanto dolorosa che essi persero definitivamente il senno.-

-Allora perché si trasformarono?- chiese Alfred.

-Perché per loro come per tutti noi altri demoni era l’unico modo per sopravvivere all’abbandono degli umani.- concluse Arthur con un sorriso triste. Osservò Alfred pensare a tutto ciò che gli aveva detto con timore che il ragazzino volesse allontanarlo; invece Alfred lo osservò con un sorriso e lo abbracciò di nuovo.

-Io ti vorrò sempre bene- lo sentì dire appoggiato contro il suo petto. Il suo cuore perse un battito.

Da quando Arthur aveva detto tutta la verità ad Alfred, gli anni erano passati, tra i suoi continui viaggi verso i Grandi Regni, che non avevano dato ancora frutti, con sua somma frustrazione, e momenti passati a casa. Alfred era ormai diventato un bel giovanotto di quasi 18 anni, forte e robusto, più alto di Arthur, motivo per il quale non perdeva mai l’occasione di prenderlo in giro.

Anche l’atmosfera purtroppo era cambiata. Alfred era cresciuto e non dipendeva più da Arthur e non sopportava più il fatto che il demone fosse tanto protettivo nei suoi confronti. Quando Arthur era a casa, le discussioni erano aumentate sempre di più. Ormai erano rari i momenti in cui passavano del tempo insieme in tranquillità, superato in larga misura dalle tremendi litigate e periodi in cui le uniche volte in cui si parlavano erano dettate unicamente dalla necessità ed entrambi preferivano tenere il muso. Essendo il più grande dei due, Arthur era quello dei due che sarebbe più facilmente, ed anche a ragione, biasimabile; ma Arthur era poco avvezzo alla compagnia, meno che meno poi ad avere a che fare con un adolescente, non solo in piena pubertà, ma anche ignaro della sua identità!  Non che Arthur stesso la conoscesse, tanto per peggiorare le cose. Non poteva dirgli che sospettava che Alfred non fosse un umano sulla base di supposizioni forse errate e che era forse per quel motivo che era stato abbandonato! Dato ciò, non poteva nemmeno spiegargli perché partiva spesso e volentieri, né perché non voleva che si facesse vedere nei villaggi, i motivi principali delle discussioni.

                Fu proprio la mattina del compleanno di Alfred, finalmente diciottenne, che l’ultima discussione, di gran lunga la peggiore, ebbe luogo. Il motivo era piuttosto stupido, a detta di Arthur. Come regalo di compleanno, Alfred aveva chiesto di poter visitare il villaggio più vicino, ed Arthur ovviamente gliel’aveva negato. Da lì avevano iniziato a litigare.

-Non mi fai mai uscire!- esclamò Alfred ad alta voce al diniego.

-È per una buona ragione.- rispose Arthur in tono tranquillo ma serio. Questo parve irritare ancora di più il ragazzo, più che calmarlo.

-È per una buona ragiona allora che tu te ne puoi andare chissà dove e io devo rimanere rinchiuso qui?!- Arthur balbettò parole incoerenti, incapace di trovare una risposta adatta. Cosa avrebbe potuto dirgli, del resto? Non aveva lui stesso delle risposte! Alfred però non lo sapeva e continuò, battendo i piedi sul pavimento come un bambino egoista, -Non ne posso più! Voglio andarmene anche io, come hai fatto tu lasciandomi solo da bambino!

-Non puoi!- esclamò Arthur, infuriato. Alfred gli mise di fronte, approfittando della differenza di altezza che c’era tra loro. Arthur gli scoccò un’occhiataccia infuriata.

-Non potrei?- urlò Alfred egualmente infuriato, dirigendosi verso la porta -Ti faccio vedere io se posso! Me ne vado a cercare i miei genitori!-

-Io non credo!- urlò Arthur seguendolo.

Questa volta Alfred non rispose: lo osservò intensamente sulla soglia prima di voltarsi ed uscire sbattendo la porta.

Arthur la osservò, immobile, per qualche minuto. Dopodiché, come se nulla fosse successo, iniziò a camminare per la casa sistemando le cose in disordine. Sarebbe sembrato tutto normale per un osservatore esterno; ma nella mente di Arthur continuava a ripetersi l’immagine di Alfred che usciva da quella porta. Sarebbe tornato, ne era certo. Un paio d’ore per sbollire e sarebbe tornato.

Un paio d’ore era poco, forse, pensò Arthur. Il sole era calato già da un pezzo ormai. Il demone sedeva appoggiato al muro proprio di fronte alla porta, così avrebbe potuto subito notare Alfred una volta tornato. Era stanco ed affamato, ma i suoi occhi erano e sarebbero rimasti incollati alla porta. Era penoso, lo sapeva, ma non gli importava. Voleva esserci al ritorno di Alfred.

                 Fu due giorni dopo che qualcosa cambiò. Niente era successo nella casa che Arthur avesse potuto notare e forse fu proprio la mancanza assoluta di avvenimenti quella che lo sbloccò. Un attimo prima era ancora convinto di poter  vedere Alfred ricomparire sorridente, salutandolo affettuosamente; l’attimo dopo un pensiero quasi sconvolgente cancellò la precedente certezza.

Alfred non sarebbe tornato.

Non sarebbe tornato.

Dopo due giorni passati lì seduto, in uno stato di apatia, si alzò in piedi, ignorando il dolore del corpo che per troppo tempo era rimasto nella stessa posizione. I suoi occhi verdi guardarono distrattamente la casa che aveva costruito da solo per lui, per Alfred.

Non sarebbe tornato.

Rabbia, dolore, tristezza e solitudine lo pervasero completamente e fu preso da un bruciante odio. Non verso Alfred, no. Non avrebbe mai potuto odiarlo. Era odio per se stesso. Non aveva avuto compagnia per decenni, come si era meritato per essere un demone, e aveva avuto persino il coraggio di crescere Alfred? No, non se lo meritava.

Alfred non sarebbe tornato e faceva bene.

Prima attorno a lui c’era il legno della casa. Poi, in un attimo, le fiamme lo avvolgevano.

 

 

 

Note dell’autrice: dato che non so se pubblicherò altro su EFP fino al 2012 (sicuramente non nuovi capitoli di questa fan fiction), vi auguro adesso un buon Natale e felice Anno Nuovo. Al prossimo anno!

  
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