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Autore: itsmemarss    24/12/2011    2 recensioni
Allie ha solo diciassette anni, quando il mondo cade nel caos più totale. Orde di morti cominciano a risvegliarsi e pare che ci sia solo una possibilità per salvarsi: scappare. Ma quando anche l'ultima speranza sembra scomparire, non resta che combattere. E' così che incontrerà Marcus, Jack e altri strambi personaggi che le cambieranno la vita, dandole la speranza che forse al mondo c'è ancora qualcosa per cui vale la pena vivere: l'amore.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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02


Mi lasciai cadere a terra, mentre le ginocchia diventavano molli e il biglietto mi sfuggiva dalle dita, svolazzando via nella coda d’aria creata dall’elicottero. Lo vidi adagiarsi poco più in là, accanto alla sagoma di un pupazzo con un occhio solo: Paula doveva esserselo lasciato sfuggire nella foga di salire a bordo…
Cominciai a piangere, senza riuscire a fermarmi. Era come se la diga si fosse rotta, spazzata via dalla pressione di tutte le cose negative che erano successe nell’ultimo periodo.
Mi sembrò un’eternità, ma passò poco più di un minuto, prima che una sagoma scura entrasse nel mio campo visivo, offuscato dalle lacrime imperterrite.
Doveva trattarsi del ragazzo di poco prima, lo sconosciuto con il biglietto dorato. Aveva la pelle ambrata e i capelli crespi tagliati corti. Avevano lasciato a terra anche lui. Ora eravamo nella stessa barca. Sapere di non essere la sola in quella situazione, mi fece sentire leggermente meglio.
<< Hei! Dobbiamo andarcene di qua, prima che crolli tutto! >> gridò il ragazzo, guardandomi con un paio di occhi neri come la notte. Solo allora feci caso al ronzio assordante dell’edificio accanto che implodeva su se stesso, travolgendo sempre più il nostro.
Mi afferrò per le spalle, costringendomi a tornare alla realtà e ad alzarmi. Poi mi riprese per mano e mi trascinò giù per le scale, contrariamente a come aveva fatto prima. Sentivo la sua presa farsi sempre più stretta, darmi forza.
Scendevamo un piano dopo l’altro, sentendo le pareti sempre più vicine, sempre più intenzionate a inglobarci e a fermarci. Continuavo a sforzare le gambe, in attesa di vedere la luce naturale del sole, non certo quella artificiale che funzionava a intermittenza.
Sentivo che però non avrei retto oltre. A ogni gradino mi facevano sempre più male i muscoli. Ero certa che si sarebbero spezzati ed io sarei crollata giù, lungo il corrimano.
Invece arrivammo nell’atrio del palazzo, sani e salvi. Uscimmo in strada, affiancati dalla folla impaurita, che continuava a guardarsi indietro. Al contrario, io non riuscivo a far altro che fissare le spalle del ragazzo sotto la maglietta, l’aria intorno a noi, che diventava sempre più irrespirabile, lo sfondo del cielo, sempre più grigio e opaco a causa della polvere di gesso e calce.
Sapevo che anche il nostro edificio presto sarebbe scomparso in una nuvola di polvere, come il palazzone B.
La nostra corsa assennata terminò davanti a un supermercato abbandonato, anche lui coperto dalla polvere bianca che faceva sembrare innevata l’intera strada. L’atmosfera era quasi irreale. Sembrava che stesse nevicando.
Fu solo allora che potei riprendere fiato. Sentivo i polmoni bruciare e fui costretta a tossire un paio di volte, prima di sentirmi meglio. Intanto il ragazzo si stava guardando intorno, forse in cerca di qualcosa di specifico o semplicemente in preda alla confusione.
Intanto, oltre che a un battito quasi normale, riacquistai anche la facoltà di parlare.
<< G-grazie… per prima, intendo >> biascicai, guardandolo con sincera gratitudine. In un certo senso, aveva cercato di aiutarmi e poi mi aveva anche salvato la vita, portandomi giù da quella torre di vetro e acciaio, ormai spacciata.
<< Di niente >> rispose lui, guardandomi con attenzione, come se solo adesso si rendesse davvero conto di me.
O forse era solo una mia impressione… molto probabilmente avevo qualcosa che non andava. Beh, oltre al fatto che dovevo essere coperta di polvere da capo a piedi, sembrando ancora più pallida e malconcia.
Me ne diede la conferma, il mio riflesso nella vetrina oscurata. La coda si era smontata, lasciando libertà ai miei capelli di scompigliarsi. Mentre le lacrime di poco prima avevano creato dei disegni sulle mie guance.
In quel momento ripensai ai miei genitori e a Paula. Ora erano salvi, lontani da tutta quella distruzione e morte che lottava contro i vivi per sbranarli. Non li avrei più rivisti, ma saperli al sicuro era già qualcosa. Il principio della consapevolezza che non mi sarei dovuta arrendere, darmi per sconfitta ancora prima di combattere, divenne sempre più opprimente. Lo dovevo a loro, alla mia famiglia, che non avrebbe voluto vedermi in questo stato.
No, dovevo essere forte d’ora in poi. Così mi morsi un labbro e ricacciai indietro anche l’ultima lacrima fuggente e solitaria, cercando poi di togliermi tutto quel bianco dalla faccia, aiutandomi con le maniche della felpa.
<< Comunque io sono Allie >> dissi nuovamente, rompendo quel silenzio tra noi. Ormai non eravamo degli estranei, doveva ammetterlo. In qualche modo si era legato a me nel momento in cui aveva deciso di aiutarmi, di salvarmi.
<< Marcus >> rispose il ragazzo non più sconosciuto, facendo un lieve sorriso, che ricambiai.

Dopo quei convenevoli, però, dovevamo inventarci qualcosa per sopravvivere. Presto la città si sarebbe svuotata dei militari, che avrebbero lasciato la loro base principale per muoversi altrove, dove c’era più bisogno, oppure si sarebbero semplicemente diretti anche loro alle piatteformi. Ormai non c’era più speranza per questo pianeta. Si sarebbe riempito di Erranti, cancellando in modo definitivo la razza umana. Era un futuro orribile ma pressochè possibile. Non c’era bisogno d’illudersi. Forse saremmo riusciti a sopravvivere, ma dovevamo trovare altri come noi, disposti a combattere.
Non ci fu bisogno di parlare. Una scintilla nei suoi occhi mi fece capire che stavamo pensando alla stessa cosa. Dovevamo unirci a un gruppo. Ce n’erano abbastanza per una vasta scelta. Di solito si formavano tra chi non era riuscito a salvarsi grazie ai biglietti o che erano stati abbandonati, proprio come noi due.
Non restava altro che trovarli, al resto ci avremmo pensato dopo.
Fu così che ci incamminammo verso la periferia, lontana dai palazzi presi sotto custodia dal governo, alla larga dal disastro che presto avrebbe richiamato Erranti da ogni dove. Avevo sentito dire da uno dei soldati che potevano sentire il tuo battito da una distanza di cento metri, figuriamoci la distruzione di due palazzi.
Sporchi, stanchi e a piedi arrivammo nel quartiere di Brooklyn verso l’una di pomeriggio.
Le strade si erano sfollate piano piano. A ogni isolato potevi scorgere sempre meno persone. Segno che ci stavamo avvicinando al posto giusto. Infatti, i gruppi di ribelli erano soliti nascondersi, piuttosto che mostrarsi. Tra di loro c’erano ex-criminali e galeotti sfuggiti dalle prigioni, persone che non andavano d’accordo con la legge già prima del disastro e che poi erano diventate un punto di riferimento e di aiuto.
Grazie alla padronanza delle armi, al fiuto per le occasioni e alla conoscenza di ogni angolo più nascosto della città erano riusciti a sembrare “abbastanza capaci” da proteggere anche altre persone, che come loro odiavano il governo e la Fortuna che aveva girato loro le spalle. Si erano auto-eletti protettori delle persone sfortunate, insomma.
Forse avrebbero anche accolto me e Marcus, sempre che fossimo riusciti a non farci scoprire. Anche se alla fine non eravamo riusciti a raggiungere le piatteforme, beh, eravamo comunque stati scelti: non passavi di buon occhio, questo era certo.
Ora che ci pensavo, per tutto il tragitto avevamo parlato ben poco, per non dire “per niente”. Eravamo stati l’uno al fianco dell’altra, così attenti a ogni minimo rumore che ci eravamo dimenticati delle regole della conversazione civile. Avevamo stretto un patto silenzioso, ma davvero potevo fidarmi di lui? A una prima occhiata non sembrava pericoloso, ma non potevo certo basarmi solo sull’aspetto esteriore. Potevo solo intuire dalla sua maglietta – sportiva per via del numero e del nome di un liceo – che doveva aver fatto parte di una squadra, il che spiegava anche la sua capacità di correre più veloce di una persona comune. Poi nient’altro.
In pratica non sapevo niente di Marcus, né della sua storia, eppure inspiegabilmente sentivo che per il momento non mi avrebbe tradito, non mi avrebbe sacrificato per salvarsi la pelle da qualche Errante, non mi avrebbe lasciato da sola. Perché anche lui – me lo diceva l’istinto – doveva aver paura di restare solo, di rimanere l’unico. Ed era stato questo a dargli l’impulso di portarmi giù da quell’edificio in distruzione, senza pensare prima a se stesso.
O almeno lo sperai vivamente.

NDA. è un po' corto, ma spero che piaccia lo stesso!

   
 
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