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Autore: Chamberlains    24/12/2011    2 recensioni
Egocentrico e narcisista. Così viene definito Andrea Montecarlo, un ragazzo dall'aria strafottente, impegnato a curare la piega dei suoi capelli castani.
Sembra tutto così scontato e da telefilm americano, ma cosa succede se è proprio Andrea stesso a ritenersi un super pallone gonfiato? Se è proprio lui a parlare di se stesso con sincerità e franchezza, mettendo tutto nero su bianco. Chissà cosa ne pensa uno così della vita, della lealtà, dell'amicizia e dell'amore, quello vero, che ti fa battere il cuore all'impazzata.
Chissà cosa invece ne pensate voi, di questi occhi color nocciola, che danno una loro forma e un loro colore al nostro mondo, guidato da un'etica comune, che decide cosa è giusto e cosa no. Ma cosa è realmente giusto e cosa invece è sbagliato? Tutto è relativo, in ogni situazione.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicato a tutte le pecore nere nascoste nel gregge.


Andrea.
Andrea Montecarlo, il nome che è stampato sulla mia carta d’identità, proprio accanto a quella faccia da cazzo che mi ritrovo nella foto.
Fa proprio schifo quella foto, l’ho fatta a quindici anni, il periodo della mia vita in cui ho dato sfogo alla mia parte ribelle. Speravo di essere diverso, originale, di oppormi a qualcosa. Quando poi mi accorsi che erano tutte stronzate e non ero diverso dalla massa, ma uguale a tutti gli altri, con quell’aria da stronzo.
A diciassette non tenevo più ad essere qualcuno di diverso, ma qualcuno di normale. Cercavo l’accettazione dal branco per stare bene, facevo le tipiche stronzate da diciassettenne come tutti gli altri, reagivo d’istinto, non certo usando la capoccia.
La capoccia, è sempre stato questo il mio problema. Ce l’ho sempre avuta troppo dura, troppo pazza per poter essere manipolata da una qualsiasi moda o opinione comune. Gli altri facevano le cose come un ammasso di pecore, io prima ragionavo, ma poi il gregge lo seguivo lo stesso. Sono sempre sembrato una pecora bianca, proprio come tutte le altre, né più, né meno,ma in realtà ero una pecora nera. Sì lo ero dentro, ma non lo davo a notare. Non mi piaceva fare l’alternativo, preferivo fare il cazzaro come tutti gli altri. Non avrei mai guadagnato niente facendo la pecora nera, invece l’uniformarsi alla massa mi aveva regalato amicizie, esperienze, ma soprattutto attenzioni.
Io sono un egocentrico nato. Mi piace fare il buffone della situazione, mi piace essere guardato con gusto, ammirazione, mi piace parlare agli altri di me e sentir parlare loro di me. È bello quando ti accorgi che qualcuno dedica un attimo, un minuto, un’ora o giornate intere a te, ti fa sentire speciale. Sì, perché io ho sempre voluto esserlo, speciale.
E forse un po’ lo sono anche.  Insomma, conoscete qualcuno che si auto dichiara egocentrico e riesce pure a trovare delle giustificazioni al suo difetto?
No, non credo. Io sono io, sono Andrea Montecarlo e nessuno può coniarmi.
Per il mio modo di essere un po’ insolito, mi ritrovo spesso ad essere sottovalutato dalla gente -che è subito prevenuta, a causa del mio atteggiamento-  ma anche, come tutti gli egocentrici super montati- a sopravvalutare troppo me stesso, credendo di potermela cavare in ogni situazione.
Essere sottovalutato mi fa persino ridere, perché gli altri non si aspettano mai un bel niente da me, immaginano forse che nella mia testa ci sia solo musica (in stile Cosmo). Nessuno pretende niente da me, se non che io faccia il mio “mestiere”, ovvero il figo del villaggio.
Sono sempre stato un grande seduttore, sin dalla più tenera età, quando costruivo castelli di sabbia con affascinanti giovani donne in topless. Avevo già capito tutto dalla vita, pur non essendone consapevole.
Le donne erano lì pronte ad attendermi, nel loro mondo fatto di vestiti, tette, scarpe, gioielli, culi e trucchi.
Erano dolci, gentili e simpatiche con me ed io ho sempre avuto una passione per i loro corpi curvilinei, i loro morbidi capelli, le loro labbra pneumatiche. Erano tutte belle, molto belle.
Ma una sola io amavo davvero, mia madre. Quella che tante volte ho lasciato perdere, a cui ho mentito, ma che non ha mai smesso di amarmi, anche quando la mandavo a quel paese (a fanculo mai) e facevo di testa mia. Piangevo sulla sua spalla a tre anni, a sette e continuavo a farlo a venti. Quando tutto sembrava perso lei ancora era lì, era una di quelle uniche persone che non mi avrebbe mai lasciato, per sempre.

 
E certe sere, quando mi ritrovo a pensare, solo e angosciato la chiamo, pur sapendo che dovrei farlo più spesso, che dovrei anche chiamarla per le cose belle e non solo per le mie crisi interiori. Ma lei è la mamma e perdona sempre.
  
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