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Autore: Katedixon    25/12/2011    1 recensioni
Una raccolta di fanfiction, ognuna avrà il titolo di una canzone di Glee, dalla A alla Z. :)
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ok, credo che sia uno dei capitoli più belli! Mi è venuta l'ispirazione ieri, mentre tutti preparavano la cena di Natale, io invece ho preso il cellulare e ho iniziato a scrivere :P
Faberry :3
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Erano passati due mesi da quella fredda sera di dicembre, il 23 per la precisione, giorno in cui Quinn aveva aprofittato dell'ora di libertà per sgattaiolare a casa di Rachel e darle il suo regalo, visto che a Natale non ci sarebbe stata.

Arrivò a casa Berry con dieci minuti di ritardo, stranamente i suoi genitori avevano fatto storie, ma era riuscita a liberarsene con una semplice frase: «Siete insopportabili, lasciatemi in pace!»
Quei due c'erano rimasti talmente male che l'avevano lasciata andare, borbottando tra loro.
Si aggiustò il vestitino rosso e bussò alla porta, aspettandosi il viso arrabbiato della sua ragazza. Invece ad aprire fu un uomo alto, indossava un paio di pantaloni neri aderenti, un paio di scarpe di pelle e un gilet di velluto, sopra una camicia bianca.
«Signor Berry, buonasera, potrei vedere Rachel?»
Il padre, uno dei due, di Rachel sorrise e la lasciò passare senza obiezioni, la fortuna di due padri gay era che comprendevano certe situazioni, infatti avevano capito sin dall'inizio che tra la loro figlia e la bionda c'era qualcosa.
Quinn salì in fretta le scale ed entrò nella camera della sua ragazza, che stava seduta sul letto con lo sguardo vuoto.
«Rach, tutto ok?» Le chiese dolcemente, con un tono che quasi non era da Quinn Fabray, mentre andava a sedersi accanto a lei, baciandole la fronte.
«Scusa il ritardo.» Sorrise, accarezzandole i capelli. La cosa bella di stare con lei era che poteva essere se stessa senza venir giudicata. I giudizi erano la cosa che temeva di più, per questo non sapeva se sarebbe mai stata pronta a uscire allo scoperto.
«Berry, sei troppo silenziosa, che c'è?» Inclinò la testa di lato per incontrare i suoi occhi castani, non erano occhi particolari, era un colore piuttosto comune, ma proprio quella semplicità l'aveva catturata da subito. Si ricordava anche il loro primo sguardo, lei era con Finn, lo teneva per mano e passeggiava lungo il corridoio, per dare spettacolo davanti a tutti, si girò e sorprese Rachel a fissarli, in quel momento gli occhi smerdaldo e quelli castani si incontrarono e non poterono più fare a meno di staccarsi.
«Non ce la faccio più.» Rispose la mora in un sussurro quasi impercettibile, dalla voce spezzata si sentiva che aveva un groppo alla gola, e osservandola meglio si potevano notare gli occhi lucidi di lacrime.
«A fare cosa?» Chiese pazientemente l'altra, anche se dentro di lei si sentiva esplodere, per prima cosa perché odiava vedere la sua Rachel in quello stato, per seconda cosa perché la cantante era bellissima anche così, e lei la voleva, la voleva da morire. Non riusciva più a trattenersi, prese a baciarle il collo, accarezzandole la gamba nuda. C'era qualcosa di sbagliato però, il corpo di Rachel non era rilassato come al solito, ma teso e ostile.
«A vederti in giro con quell'idiota!» Sbottò, allontanando il viso, non aveva voglia di farlo quella sera, non prima che Quinn le promettesse di lasciare quel bamboccio.
«Lo sai che lui non mi interessa, è solo per mantenere l'immagine!»
Odiava doverlo ripetere ogni volta, era sempre la stessa storia, Rachel le faceva il discorsetto, lei doveva rassicurarla e poi finivano nel letto insieme.
«In questi due mesi ho solo capito che tieni più alla tua immagine che a me.»
Si alzò in piedi e si guardò le pantofole a forma di coniglio, per non incontrare gli occhi verdi di Quinn.
«No, è che se non fossi popolare, non sarei proprio niente.»
«Quindi pensi che io sia niente?»
«Rachel, tu hai i tuoi sogni, sei un'ottima cantante, tu sei tutto! Ma io senza il cheerleading e la popolarità cosa sarei? Non ho altri sogni da inseguire.»
«Hai me.»
La bionda abbassò il capo, non voleva ferirla, ma la ragazza del liceo non le sarebbe bastata per fare carriera, o per sistemarsi, voleva qualcosa di più concreto.
«Ok Quinn, capito, preferisci la popolarità. Ora se non ti dispiace, lasciami sola.»
L'altra sbuffò e aprì bocca per ribattere, ma fu interrotta dall'urlo della sua ragazza, ormai ex. «Fuori!» Le indicò la porta con fare minaccioso. «A meno che non ci ripensi in questi dieci secondi.» Concluse, con gli occhi fiammanti di rabbia, rabbia che poteva trasformasi in passione, dipendeva solo dalla decisione della cheerleader.
Quinn si alzò, le rivolse uno sguardo pieno di significati, amore, tristezza, delusione, tutti i sentimenti che provava in quel momento.
«Bene, ma se esci,
non tornare da me. Non tornare mai
La cheerleader annuì, si morse violentemente il labbro inferiore per cacciare indietro le lacrime e uscì da quella stanza, poi dalla casa, per sempre. Proprio la sera che aveva intenzione di confessarle i suoi sentimenti, veniva trattata così, cacciata via, solo perché non aveva il coraggio di uscire allo scoperto, solo perché voleva difendere la ragazza che amava dai bulli della scuola. Rachel sapeva cos'era successo a Kurt, eppure voleva provarci lo stesso, testarda!
Così ripercorse i cinque isolati che separavano le loro case, asciugandosi le lacrime salate, che ormai le avevano fatto colare tutto il mascara, con i pollici.


Due mesi dopo quella Quinn era del tutto scomparsa, aveva capito che essere dolci ed essere se stessi era una fregatura, preferiva di gran lunga andare in giro per la scuola a prendersela con chi non poteva difendersi.
Un giorno in particolare, il 23 febbraio, si sentiva frustrata, aveva solo voglia di dar fastidio a qualcuno, a qualsiasi essere vivente le si presentasse davanti.
Girò l'angolo del corridoio del Mckinley High e avvistò la sua preda, un ragazzo anche troppo gay per essere reale, Kurt Hummel.
«Ma i tuoi capelli sono naturali o la parrucchiera di tua madre viene ogni mattina a casa tua?»
Ok, sapeva benissimo che la madre era morta e che era un tasto dolente, ma era il 23 febbraio, giorno in cui poteva fare tutte le cattiverie possibili. Si passò una mano tra i capelli dorati, ormai corti fino al collo, e gli rivolse un sorriso. Quello la ignorò e si chinò a bere un sorso d'acqua dalla fontanella.
«Bella maglia, dove l'hai presa? Mi dovrei rifare il guardaroba.» Gli spinse la testa contro l'acqua, facendo in modo di bagnargli tutti i capelli. Era sicura che ci mettesse almeno un'ora per conciarli così, e quella era una consolazione abbastanza grande.
Ma lui continuò a non darle corda, né soddisfazione. E già era nervosa di suo. Lo afferrò per il colletto e gli fece sbattere la schiena contro una fila di armadietti.
«Stammi a sentire, Kurt checca Hummel, sai chi sono? Ovviamente, allora sai ch-»
«So che tu e la mia migliore amica eravate molto... intime, ecco.» Ringhò in un sussurro, se aveva imparato una cosa, era difendersi, e che i bulli sono bulli solo perché hanno subito gli stessi traumi che fanno subire agli altri.
Quinn lo lasciò andare e si passò le mani sulla gonna, iniziava a sudare freddo.
«Non so di cosa parli.» Si sbrigò a chiarire, prima di allontanarsi da lui, da tutti.
Raggiunse il luogo che più amava, quello dove si nascondeva quando aveva bisogno di stare sola, di non essere disturbata. Era un piccolo campo di margherite, si trovava nella periferia di Lima e nessuno ci andava mai. Solo una persona conosceva l'esistenza di quel posto, la stessa persona che era appoggiata a un albero, proprio a centro del campo.
La bionda finse indifferenza e osservò i rami spogli del melo. Il periodo migliore per rilassarsi lì era la primavera, ci si poteva stendere e osservare i piccoli fiori che sbocciavano, sia per terra, sia sull'albero.
L'indifferenza non aveva funzionato, infatti la mora che era appoggiata all'albero aveva iniziato a camminare verso di lei con fare minaccioso e arrabbiato.
«Chi ti credi di essere?» Socchiuse gli occhi in due fessure, solito comportamento da Rachel Berry.
«Vai in giro a lasciare cicatrici, a distruggere l'amore. Chi ti credi di essere?»
Quinn roteò gli occhi al cielo, notando solo in quel momento il grande nuvolone nero che stava sopra le loro teste.
«Credo di essere una ragazza con il cuore spezzato, una ragazza che stava dando tutta se stessa, ma che è stata cacciata solo perché pensava al suo futuro. Vuoi la verità? Tutti pensano che sia io la cattiva, ma in realtà sei tu, sei un'egoista, pensi solo a te stessa, non hai mai pensato che sarei stata rovinata se fossi uscita allo scoperto, nemmeno per un secondo.»
Rachel rimase pietrificata, non pensava di aver sbagliato così tante cose, la bionda aveva ragione forse, doveva pensare anche agli altri.
Un tuono la fece sussultare e istintivamente si rifugiò tra le braccia della bionda, come sempre quando c'era un temporale, almeno in passato.
«Scusa, lo sai che effetto mi fanno i tuoni.» Si allontanò e si ricompose in un secondo, mettendosi a fissare un fiorellino solitario che era sopravvissuto al clima gelido dell'inverno. Lo raccolse e lo infilò dietro l'orecchio di Quinn, sorridendo timidamente. Forse non c'era modo di riparare al male che le aveva fatto, ma voleva solo sentire il suo sapore, un'ultima volta. Si alzò in punta di piedi e appoggiò le labbra su quelle dell'altra, lasciandosi tasportare per qualche secondo interminabile.
Appena si staccò iniziò a sentire piccole gocce di pioggia accarezzarle il viso. Si mise in testa il cappuccio del suo cappotto, le rivolse uno sguardo pieno di amore, solo di amore, e si dileguò nel nulla, dopo aver attraversato il campo spoglio.
Quinn restò lì, immobile, la pioggerellina si era trasformata in un temporale, ma a lei non importava, continuava a tenere l'indice sulle labbra, con le ultime due parole della mora che le frullavano in testa: «Ti amo.»
  
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