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Autore: Feel Good Inc    26/12/2011    4 recensioni
Henry detestava il Natale. Era la cosa più fastidiosa che gli capitasse di vivere una volta all’anno, ogni anno. Gli altri bambini erano ben contenti di correre fuori a schiacciare il naso contro le vetrine delle pasticcerie, fantasticando sui regali che avrebbero ricevuto, con la scuola chiusa e tutto il resto; ma essere ‘il figlio del sindaco’ significava tante cose da fare e tantissime altre da non fare, e così i suoi Natali erano tutti uguali: noiosi, luccicanti e freddi. Proprio come pezzetti di ghiaccio. Proprio come il sorriso di sua ‘madre’.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Once Upon a Christmas ~

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scena Prima

{ I don’t want a lot for Christmas, there’s just one thing I need }

 

 

 

Non era una cosa insolita, in casa Blanchard, scovare Mary Margaret ben sveglia e attiva davanti ai fornelli già praticamente all’alba. Emma aveva registrato la cosa fin dal primo giorno di convivenza, archiviandola come il dato di fatto di un’altra realtà, quella di una persona che ogni giorno raggiungeva il posto di lavoro a piedi. Non che la scuola elementare fosse molto distante – Storybrooke era praticamente un angolo di case sfuggite ai boschi per miracolo. E tuttavia Mary Margaret pareva svegliarsi a quell’ora non per una tanto pragmatica necessità, ma per il puro, semplice gusto di muoversi in casa quando tutto intorno era silenzio, quando la luce non era ancora abbastanza forte da disegnare un’ombra al di qua delle finestre. Era una di quelle cose per le quali Emma si sentiva del tutto inadatta alla civile coesistenza. A Boston l’alba era alle dieci di mattina e il tramonto alle tre di notte, ma... Be’, dettagli.

Ad ogni modo la sorpresa vera fu la melodia mugolata tra le labbra di Mary strette in un sorriso. Sentirla canticchiare, specie dopo la breve e disastrosa esperienza con un certo signor John Doe, era una novità assoluta.

Alzò gli occhi dalle frittelle solo quando Emma prese posto a tavola con un «ehi» assonnato. Ricambiò il saluto, senza smettere di gioire tra sé.

Emma allungò distrattamente la mano verso una tartina già imburrata, cogliendo di sfuggita il proprio riflesso scarmigliato in un cucchiaio.

«Sembri di ottimo umore.»

Mary Margaret rise leggera, sistemando quasi con amorevolezza le pile di frittelle nei due piatti. Emma lottò con l’istinto di stropicciarsi gli occhi per verificare di non essersi sbagliata. Nessuno ride alle sette del mattino.

«Suppongo di esserlo.» Aggiunse una dose generosa di sciroppo d’acero, lanciandole uno sguardo da testimonial pubblicitaria. Aveva un futuro, la ragazza. «Ma è normale, sai... È la vigilia di Natale.»

Emma assimilò la notizia. «Oh» fu il suo solo commento.

Per la prima volta, Mary Margaret parve vacillare. «Come sarebbe, ‘oh’?»

La tartina assunse di colpo un sapore amarognolo. Emma si costrinse a masticarla con cura. Intanto ebbe il suo bel daffare a sfuggire agli occhioni sgranati di Mary.

«Sarebbe» disse deglutendo, «che per me è un giorno come tanti. Non mi cambia niente.»

Mary Margaret appoggiò sul tavolo la bottiglia di sciroppo. Si sedette di fronte a lei, lentamente, così lentamente da farla sentire a disagio – e Emma non si sentiva mai a disagio; solo con lei le succedeva.

«Non ti piace il Natale?»

Se fosse stata un po’ più sveglia e lucida avrebbe sogghignato. «Non è che abbia mai avuto molto da offrirmi, sai. E poi, seriamente, alla fine di che si tratta? Qualche albero, qualche chilo di troppo...»

«È per via dei tuoi genitori, vero?»

Emma la guardò. Mary se ne stava immobile, il mento posato nella mano a coppa, l’espressione di chi cerca – con discreto successo – di radiografare il mondo. Eccola lì di nuovo. Lei e le sue domande scomode e comprensive... Sbuffò.

«Se anche fosse?» Per non essere costretta a sostenere quello sguardo limpido, superò la nausea e attaccò una seconda tartina. «L’unica cosa che mi viene in mente è che avrò qualche ora in più per starmene per i fatti miei.»

Mary Margaret era sì curiosa, ma abbastanza discreta da non insistere mai troppo. Chinò il viso e per qualche istante parve concentrarsi sul proprio piatto.

Aveva smesso di canticchiare e anche di sorridere.

«Quindi» fece Emma a un tratto, più per gentilezza che per altro, «dov’è che passerai la giornata? Non a scuola, immagino.»

«No, certo» rispose Mary conciliante. Con una mano si spianò una piega invisibile del golfino azzurro. «Vado in ospedale a far compagnia a quelle povere persone. Per loro deve essere molto dura, in un momento così felice, ritrovarsi chiuse tra quattro mura e legate a un letto...»

«Mmm» assentì Emma, interessata a metà.

«Perché non vieni con me?»

Alzò gli occhi. Mary Margaret aveva il volto luminoso della bambina che scarta il regalo sotto l’albero in anticipo.

«Capisco che tu sia sempre stata sola, ma pensavo che... potresti stare con me, oggi. Henry probabilmente dovrà passare tutto il giorno con sua madre e... Insomma, se... se ti fa piacere...»

A giudicare dall’abbassamento del suo tono, l’espressione di Emma doveva parlare da sé. Mary capitolò di colpo, scuotendo la testa con energia e facendosi scudo col barattolo della marmellata.

«Senti, non importa. Volevo solo che passassi la vigilia di Natale in compagnia. Ma mi rendo conto che la vedi in modo diverso. Fa’ come se non avessi detto nulla, ti prego.»

Emma si appoggiò pesantemente allo schienale della seggiola, con un sospiro che avrebbe voluto mandar fuori ben più che il fiato. Si portò alle labbra un bicchiere di succo, approfittando anche lei di quel misero riparo.

«Non preoccuparti. Lo apprezzo, sul serio.»

Mary Margaret sembrava sollevata. Emma si strinse nelle spalle.

«È solo che...»

«Lo so» la interruppe, e poi non disse nient’altro.

Prima che i raggi del sole arrivassero a sfiorare il tavolo, Emma si chiese se lo sapesse davvero.

 

 

 

 

 

Scena Seconda

{ I don’t care about the presents underneath the Christmas tree }

 

 

 

Non ci aveva mai fatto caso, prima che la signorina Blanchard gli regalasse il libro. Allo stesso modo in cui non aveva mai notato un mucchio di altre cose.

A Storybrooke non nevicava mai.

Henry detestava il Natale. Era la cosa più fastidiosa che gli capitasse di vivere una volta all’anno, ogni anno. Gli altri bambini erano ben contenti di correre fuori a schiacciare il naso contro le vetrine delle pasticcerie, fantasticando sui regali che avrebbero ricevuto, con la scuola chiusa e tutto il resto; ma essere ‘il figlio del sindaco’ significava tante cose da fare e tantissime altre da non fare, e così i suoi Natali erano tutti uguali: noiosi, luccicanti e freddi. Proprio come pezzetti di ghiaccio. Proprio come il sorriso di sua ‘madre’.

«Devi mangiare qualcosa.»

«Non ho fame.»

«Henry...»

«Non mi va.»

La voce della Regina Cattiva si abbassò pericolosamente. «Non intendo lasciarti digiunare, oggi come qualsiasi altro giorno. Mangia.»

Henry ruotò sulla sedia, così che la finestra, che aveva catturato la sua attenzione fin dall’inizio del pasto, diventò l’unica cosa nel suo campo visivo. Puntò il gomito sul tavolo, e la mano sulla tempia escluse del tutto la figura seduta all’estremità opposta della tavola.

«Oh» la sentì sussurrare. «La metti così.»

Rimase immobile a fissare il cielo pieno di nuvole sopra il giardino. Non ci sarebbe riuscita. Lui non le avrebbe permesso di fare niente. Già era abbastanza schifoso sapere di vivere con una strega che aveva strappato il cuore a tante persone – e forse anche al povero sceriffo che era sempre stato tanto gentile con lui. Ma almeno per la maggior parte dell’anno il sindaco doveva uscire. Oggi, invece, gli toccava restare chiuso in casa con lei senza alcuna possibilità di sfuggirle.

Un altro motivo per cui i suoi Natali facevano schifo.

Senza contare che non poteva neppure correre a fare gli auguri a Mary Margaret e a...

Il rumore di una sedia spinta indietro sul tappeto lo richiamò alla realtà, ma non si lasciò sfuggire nessun sussulto. Non si mosse neanche quando la Regina Cattiva gli venne vicina e si chinò su di lui, intontendolo col suo odioso profumo, sussurrandogli la sua minaccia con la stessa cattiveria che doveva aver avuto con la povera Biancaneve.

«Sia pure. Faremo a modo tuo, Henry. Ma sappi che non ti alzerai da questa sedia finché non avrai mangiato e non ti sarai mostrato adeguatamente felice di passare il Natale con la tua mamma... E, lo sai, se ti muovi di qui lo saprò

Henry sentì i suoi tacchi allontanarsi, lasciandolo lì solo alla tavola ancora apparecchiata. Fece un grosso sospiro.

Sì, sarebbe stato felice di passare il Natale con la sua mamma.

 

 

 

 

 

Scena Terza

{ I just want you for my own, more than you could ever know }

 

 

 

Kathryn aveva dato sicuramente il meglio di sé, perché l’albero che torreggiava nel salotto era un trionfo di colori e neve finta. Ci lavorava da giorni; persino adesso, alla mattina della vigilia, David vide uno svolazzo dei suoi capelli biondi fare capolino tra i rami dell’abete sintetico e rischiare di impigliarsi in tutte quelle decorazioni. Non poté trattenere un sorriso.

Ricordava ancora molto poco di quella donna, sua moglie. A volte, sì, aveva dei lampi improvvisi: l’immagine di lei che rideva davanti al frigo vuoto, dicendo che le sue lacrime avrebbero inondato casa; un litigio risolto in un abbraccio; oppure ancora quella porta sbattuta che aveva sancito la fine – o l’inizio?... Eppure era difficile riconoscere quella realtà come giusta. Benché l’avesse accettata, non passava un giorno senza che si dicesse che quelle carezze, quei baci avevano un sapore del tutto sconosciuto. Non come le labbra che l’avevano salvato.

Non era ancora riuscito a fare l’amore con lei.

Kathryn emerse dall’albero sistemandosi i capelli, ansante ma radiosa. Lo vide sulla soglia e gli andò subito incontro.

«Buon Natale, amore.»

David si lasciò baciare, ricambiando l’abbraccio senza stringere. Socchiuse un occhio e sbirciò l’orologio sulla parete.

«Voglio che sia una giornata speciale» riprese Kathryn, restando aggrappata a lui mentre si guardava intorno nella stanza con aria eccitata. «Ci pensi? Non abbiamo solo il Natale da festeggiare, ma anche la nostra riappacificazione. E il fatto che sei... che sei...» gli sorrise con gli occhi lucidi, «vivo

David abbozzò un mezzo sorriso in risposta, chiedendosi disperatamente perché continuasse a vedere altri occhi, davanti ai suoi, riempirsi di lacrime e restare lo stesso così belli da mozzare il fiato...

«Ci divertiremo, vedrai. Cosa ti piacerebbe fare? Potremmo passare da Regina, le farebbe piacere vedere che stai bene...»

«Meglio di no» la interruppe, «la signora Mills mi spaventa.»

Kathryn rise. «Non dire sciocchezze! È una donna squisita!»

David si sforzò di non alzare gli occhi al cielo. Un’altra cosa da tenere a mente: era evidente che lui e sua moglie non avevano la stessa concezione del termine ‘squisito’.

Guardò ancora una volta l’orologio: chissà se poteva mettere in pratica quella pazzia... Non sapeva niente di quella roba. Ricordava con sorprendente chiarezza soltanto l’orario di apertura dell’ospedale.

«Ho anche sentito Ellen, ieri, e ha detto che sarebbe stata felice di ospitarci a cena. Ma ti capisco, vorresti qualcosa di più intimo... Perché allora non ce ne stiamo qui, soli» e intanto lo attirava con dolcezza verso il divano, dove si lasciò cadere a sedere tenendogli le mani nelle sue, «a recuperare tutto il tempo perduto?»

David non oppose resistenza. Quando si ritrovò tra lo schienale morbido e il petto di Kathryn che sfiorava il suo, per un minuto chiuse gli occhi e cercò di convincersi che, ma sì, era giusto così. Erano un uomo e una donna che vivevano insieme e che erano anche legati da un vincolo che ottimisticamente veniva detto inscindibile – per quanto lui non ricordasse nulla del giorno del loro matrimonio. Ma quella era la donna per la quale aveva rinunciato a una scelta veloce e istintiva che pertanto avrebbe potuto rivelarsi sbagliata. Era la certezza di un passato incerto, che però c’era.

Ma non era lei.

Si ritrasse e impedì alle mani di Kathryn di scendere sulla sua camicia.

«No, aspetta...» bofonchiò, «ho un’altra idea.»

Kathryn soppresse in fretta la delusione, accoccolandoglisi in grembo come in attesa. «Ti ascolto.»

«Be’...» esordì David. Era decisissimo a mascherare le sue vere motivazioni. Ricorse alla salvezza di una mezza verità. «Lo sai, il Natale è un giorno importante... Non si tratta solo di stare insieme, ma anche di farsi del bene, l’uno con l’altro. Ed è un’occasione unica per dare una mano a chi ne ha bisogno.»

Kathryn annuiva, partecipe. Il suo sguardo appassionato lo incoraggiò.

«Dunque cos’hai intenzione di fare?»

David sorrise. Dovette lottare con se stesso per non tornare con la mente a quegli occhi più belli – e per non sentirsi troppo in colpa.

«Hai mai pensato al volontariato?»

 

 

 

 

 

Scena Quarta

{ Santa Claus won’t make me happy with a toy on Christmas day }

 

 

 

Avrebbe dovuto immaginarlo.

Mary Margaret era uscita presto, come annunciato, avvolgendosi in un cappotto e in una lunga sciarpa, lasciandola alle prese con la sua personale solita solitaria vigilia. Emma aveva dovuto amaramente constatare che, se in una metropoli quella poteva rivelarsi una giornata seccante anche al di là dei molteplici locali in cui chiunque poteva sempre rifugiarsi e mescolarsi alla folla, per illudersi di non essere solo, qui in questo buco di mille anime dove tutti conoscevano tutti era ancor più difficile tentare di arrivare a sera senza dare di matto. Non si vedeva un solo fiocco di neve, ma il paesino era invaso lo stesso da quella febbrile atmosfera natalizia che induceva la gente a urlarsi gli auguri da una strada all’altra, stile cartone animato firmato Disney. E lei avrebbe dovuto immaginarlo che sarebbe finita col barricarsi in un altro posto chiuso, sorda a tutto quanto le accadeva intorno.

Quest’anno, poi, era peggio del solito.

Mary Margaret aveva ragione. Oggi non avrebbe certo potuto vedere Henry. E da quando Graham...

Forse non avrebbe fatto male ad andare in ospedale con lei, dopotutto. Pensare al dolore degli altri è il rimedio più efficace per dimenticare il proprio. Dicono.

«Spero di sbagliarmi, ma sospetto che la mia cioccolata calda non ti piaccia.»

Emma sorrise colpevolmente a Ruby, che già da qualche minuto si era fermata di fronte a lei al bancone a osservarla a braccia conserte. La caffetteria era silenziosissima, non c’erano altri clienti da servire.

«Non è la cioccolata, sono io ad avere la bocca amara.»

«Perché la cosa non mi sorprende?»

Emma sogghignò. «Vuoi rubarmi il mestiere?»

Ruby scosse la testa così forte da far svolazzare alcune ciocche vermiglie di capelli. «Per carità, sceriffo Swan! Io ho tutta una strada davanti. Cioè, non ho ancora ben chiaro dove sia, però c’è. Lo so che c’è.»

Emma apprezzò talmente la sua ironia che fu per pura riconoscenza che si sforzò di finire la cioccolata ordinata più di dieci minuti prima, ridotta ormai a una mistura gelida sul fondo della tazza.

Ruby iniziò a passare uno straccio sul banco, ma forse era solo un modo per poterle fare domande senza mostrarsi troppo curiosa.

«Dovrai sentirti sola, a passare il Natale in un paese che non conosci ancora.»

Per l’appunto. Ma che furba.

«Sopravviverò» le rispose con una scrollata di spalle, sentendo distrattamente la porta aprirsi e lasciar entrare uno spiffero freddo assieme a un altro avventore solitario. «E comunque non c’è poi così tanto da conoscere, qui.»

«Ah, be’, non posso darti torto.» Ruby la sbirciò. «Ehi, ti va di venire a cena dalla nonna, stasera? Cioè, lo so che non è il massimo delle attrattive, per una che viene da Boston...»

«Ruby» la fermò, «sta bene così. Ti ringrazio, ma non ho problemi a stare sola a Natale. Sono ventotto anni che ci convivo. Non preoccuparti, ok?»

Ruby sembrava sul punto di rispondere, ma il cliente che era rimasto in piedi dietro Emma attrasse la sua attenzione.

«Salve, dottore. Cosa le porto?»

Emma si voltò. Archibald Hopper rivolse a entrambe un cenno di saluto con la mano guantata che stringeva l’immancabile ombrello.

«Perdonate l’interruzione... Auguri a entrambe... Solo un caffè, grazie, Ruby. Marco mi sta aspettando e sono già in ritardo.»

«Arriva» fece Ruby, abbandonando lo straccio al suo misero destino e voltandosi verso la macchina dietro il banco.

Mentre sedeva sullo sgabello accanto a lei, Emma si sentì distintamente addosso l’occhiata indagatrice di Archie.

«Dalla breve conversazione che ho involontariamente origliato mi è parso di capire che il Natale non la rende – come dire? – felice, signorina Swan

Emma gli concesse un altro sogghigno, identico a quello che aveva rivolto a Ruby. «Brillante intuizione. Cosa gliene ha dato prova, le mie parole o la mia faccia?»

Archie sorrise imbarazzato. «Non era mia intenzione sembrarle indiscreto...»

«Non si preoccupi» tagliò corto, alzandosi per trafficare con le tasche del soprabito, in cerca degli spiccioli. «Lei è uno strizzacervelli, no? È il suo lavoro.»

Ruby depositò una tazza di caffè e una bustina di zucchero sul banco, prima di allontanarsi scusandosi e portandosi il cellulare all’orecchio. Archie posò l’ombrello accanto a sé, strappò la bustina e mescolò lo zucchero in silenzio per un pezzo.

«Signorina Swan, lei forse non ci crederà, ma io... be’... le devo molto. Perciò vorrei fare a mia volta qualcosa per lei.»

Emma lo fissò sbigottita. Sì, forse capiva a che genere di ‘molto’ si riferiva, ma... Attese per un lunghissimo istante.

«Devo aspettarmi un altro invito a cena?»

Le orecchie di Archie diventarono di brace, e il sorrisetto che seguì era più imbarazzato che mai. «Oh, non pretendo certo che lei ne accetti uno da parte mia... Volevo solo darle un consiglio.» Posò il cucchiaino sul piatto e si voltò a guardarla. «Perché non va a dare un’occhiata all’albero che è stato allestito nella piazza principale?»

Emma sgranò gli occhi, colta alla sprovvista.

«Le assicuro che non se ne pentirà» aggiunse Archie, portandosi il caffè alle labbra.

Ci pensò su. Non le sembrava poi un consiglio tanto complicato, anche se non ne vedeva proprio alcuna utilità.

«Mi sta parlando da un punto di vista puramente accademico?»

«No» sorrise lui, più apertamente. «Le sto parlando da un punto di vista puramente umano

Emma era ancora impensierita mentre lasciava sul piano il conto per Ruby. Salutò Archie con un breve cenno, chiedendosi se non si fosse per caso messo in testa di farsi una nuova cliente.

Un albero di Natale? Ma dai.

 

 

 

 

 

Scena Quinta

{ I’m just gonna keep on waiting underneath the mistletoe }

 

 

 

La donna distesa nel letto più vicino alla porta non era né giovane né vecchia, ma il suo volto solcato da rughe sottili recava la stanchezza di chi ha perso tutto. Mary Margaret non sapeva quasi nulla di lei – Malina Thorne, così recitava la scritta al suo polso scarno, non aveva mai ricevuto una visita da un parente o da un amico; era stata ricoverata molto tempo prima dopo un intervento di non meglio specificata natura, che neppure il dottor Whale sembrava ricordare, e da allora, come un qualunque John Doe, era sempre stata là sola. Eppure c’era un’evidente nota di vitalità nei suoi occhi di quell’azzurro stupefacente.

«Combatti una battaglia persa, ragazzina» le ripeteva, ogni volta che Mary riempiva di fiori freschi il vaso sul suo comodino.

«Ma a me fa piacere stare un po’ con lei, signora Thorne

La donna sbuffava, sprezzante, e giaceva immobile fissandosi i capelli scomposti sul cuscino.

Anche quel giorno l’aveva accolta con la solita insofferenza; aveva rotto il proprio mutismo solo per emettere un verso disgustato quando Mary Margaret le aveva mostrato orgogliosa il cesto pieno di vischio.

«Stai scherzando, ragazzina.»

«Assolutamente no, signora Thorne. Coraggio, è Natale!»

«Oh, certo» quasi sputò, «ma quello è vischio. Non essere ridicola.»

Mary finse di non sentirla e continuò ad addobbare a festa la stanza, con gran gioia degli altri pazienti del reparto. Malina Thorne borbottò ancora per qualche minuto, ma non le rivolse più la parola.

Le sarebbe davvero piaciuto che anche Emma fosse lì: per quanto ne potesse pensar male – e Mary era sicura che vedesse il volontariato come una mera valvola di sfogo – lei ci stava bene. I vecchietti che veniva a trovare erano come i suoi bambini a scuola, come un’altra famiglia. Dopotutto erano sole entrambe; la differenza era che Emma, chissà se con sincerità o meno, non voleva che le cose cambiassero. E dire che col suo arrivo ne aveva cambiate tante, di storie, a Storybrooke.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato quando il dottor Whale le passò accanto, distraendola dalla lettura del giornale a beneficio di un uomo anziano con un braccio ingessato.

«Hai visto chi c’è?»

Un tono così informale sul posto di lavoro la sorprese. Mary distolse lo sguardo dal quotidiano e seguì quello di Whale fino a un punto accanto alla porta che dava sul corridoio.

Il cuore le saltò un battito.

«Signori Nolan, che sorpresa. Cosa posso fare per voi?»

Presente a se stesso, Whale li aveva già raggiunti; Kathryn si voltò a salutarlo, ma lui – David – si rivolse deliberatamente altrove, e Mary Margaret dovette fare uno sforzo per non chinare in tutta fretta il capo e tradirsi. Vide che aveva le braccia cariche di scatole di cartone, di quelle che si ritirano in pasticceria per i dolcetti da compleanno: sperò che la curiosità bastasse a farle dimenticare tutto il resto.

«Grazie, dottore, ma per una volta saremo noi a fare qualcosa di utile» diceva intanto una raggiante Kathryn Nolan. «Il mio David ha pensato che sarebbe stata una buona idea trascorrere questo giorno a fare del volontariato, e io sono stata subito d’accordo. Abbiamo portato dei dolci natalizi per tutti e... Be’, naturalmente solo se a lei non dispiace averci qui.»

«Ogni aiuto è un dono, per queste persone» rispose Whale sorridendo. «Vi assicuro che il vostro gesto è per tutti noi una graditissima sorpresa.»

I pazienti avevano seguito la conversazione con interesse, e ora, al vedere Kathryn avanzare sicura con altre scatole di paste, molti di loro si raddrizzarono contro i cuscini. Mary Margaret si ricordò del vecchietto cui stava leggendo il giornale. Quando si voltò di nuovo a guardarlo, lo scoprì assopito.

Ne approfittò per alzarsi e ritrarsi verso la parete opposta alla porta, fingendo di voler sistemare una ghirlanda.

Kathryn si accorse di lei e le indirizzò un saluto cortese ed educato. David la guardava fisso. Mary sperò di cavarsela con un sorriso, poi diede loro le spalle.

E così era stata un’idea del signor Nolan? Era davvero soltanto slancio umanitario? O magari c’era dell’altro, qualcosa in più che l’aveva spinto a voler uscire di casa il giorno della vigilia di Natale e presentarsi in un posto in cui sapeva per certo che avrebbe trovato lei? Dio, quell’uomo voleva farla impazzire. Non sapeva più cosa pensare di lui.

Era stato tutto così stupido, eppure si era illusa così tanto...

Cominciò a esaminare ogni decorazione che le si presentava davanti agli occhi, spostandosi lungo il perimetro della stanza e avvicinandosi sempre più a una seconda porta, comunicante con un reparto diverso. Ebbe una fugace visione del dottor Whale che aiutava Kathryn Nolan a tagliare una fetta di torta dall’aspetto incantevole per la signora Thorne.

Quando si fermò sulla soglia, cercando a tentoni l’ennesima ghirlanda da ‘sistemare’, non fu una così grande sorpresa sentire una mano che guidava la sua.

Si voltò e si trovò faccia a faccia con David. Le sorrideva appena, incerto ma apparentemente sereno. Pensare che non erano più stati così vicini da quella notte al ponte non le fu di alcun aiuto.

«Buon Natale, Mary Margaret.»

Mary fu tentata dall’idea di correre via. Invece si limitò a sfuggire alla sua mano, restando immobile al suo posto.

«Buon Natale, signor Nolan

Lo sguardo di David fu attraversato da un’ombra che in cuor suo avrebbe tanto voluto giudicare come rimpianto, ma che forse non era altro che sollievo.

«Posso sperare nel tuo perdono, allora?»

Si sforzò di sorridere. «Non c’è niente da perdonare.»

Rimase a lungo a guardarla in silenzio, con l’aria di non crederci e di non credersi. Mary Margaret si concesse solo qualche istante per riflettere: stargli così vicina doveva essere dannoso per la sua salute, non c’era altra spiegazione. Guardandolo negli occhi aveva l’impressione di averlo conosciuto, chissà quanto tempo fa. Sembravano vere e proprie allucinazioni... Forse gli era allergica; il calore sul viso e il prurito agli occhi potevano benissimo essere dei sintomi. Soltanto dei sintomi.

Alla fine si allontanò, decisa a raggiungere la signora Nolan per darle una mano nella buona azione che lei e suo marito erano venuti a compiere.

Soltanto allora – quando intravide, all’altro lato della sala, l’espressione derisoria di Malina Thorne – si rese conto di aver lasciato David, solo e pensieroso, sotto un rametto di vischio.

 

 

 

 

 

Scena Sesta

{ Santa, won’t you bring me the one I really need? }

 

 

 

La Regina Cattiva non aveva fatto i conti con la tipica popolarità del sindaco di una piccola cittadina. A sera, quando il signor Sidney e sua moglie passarono per gli auguri – Henry non credeva che sarebbero rimasti a cena: se non erano del tutto stupidi non avrebbero mai accettato neanche una mela da lei – finalmente ebbe la possibilità di saltar giù dalla sua sedia e sgattaiolare via dal soggiorno.

Gli sembrò che gli scricchiolassero tutte le ossa! Chissà se anche Biancaneve si era sentita così rigida quando il Principe Azzurro l’aveva sollevata dalla bara di cristallo.

Sbatté forte i piedi a terra per ristabilire il flusso del sangue, come gli aveva insegnato Archie. Sì, perché la Regina Cattiva non gli aveva insegnato un bel niente di utile. Quando sentì di potersi muovere più facilmente corse alla porta e sbirciò nell’ingresso: dovevano essersi spostati in una delle salette in cui il sindaco riceveva gli ospiti più graditi.

Il portone lo attirava come una calamita, ma quella era sicuramente una cattiva idea. Non poteva uscire a quell’ora. Avrebbe passato dei guai più grossi del solito e gli sarebbe toccato restare barricato in casa per tutte le vacanze. E non voleva nemmeno peggiorare la situazione di Emma. No, era una pessima idea.

Ci pensò un attimo su e alla fine trovò la soluzione. Come aveva fatto a non pensarci? Era la cosa più ovvia.

Be’, dopotutto lui non aveva mai avuto qualcuno a cui fare gli auguri di Natale, prima di quest’anno.

Tese le orecchie per assicurarsi che la Regina Cattiva non fosse nei paraggi; poi scattò verso le scale. Le percorse fino all’ultimo gradino e si fermò, ansante, di fronte alla stanza proibita.

Il cuore gli batteva così forte da rimbombargli nella testa, ma ancora non si sentiva nessuno, nessuna voce che lo chiamava furiosa e gli ricordava di ‘non muoversi da quella sedia’. Poteva farcela. Era fatta!

Afferrò la maniglia e senza esitazione entrò.

Non era mai stato nella camera da letto di sua madre. Era proprio come ci si aspettava da lei, elegante e perfetta. Pensò con nostalgia al disordine che regnava in casa della signorina Blanchard da quando Emma viveva lì.

Ma non c’era tempo da perdere.

Lasciò la porta socchiusa, per riservarsi una via di fuga nel caso in cui la voce della strega si fosse alzata all’improvviso. Poi cercò attentamente in tutti i cassetti. Il sindaco Mills era una di quelle persone ‘perbene’ che usavano il cellulare solo quando ne avevano assoluto bisogno, quindi solamente in ufficio o comunque fuori casa – a Henry era sempre sembrata una stupidaggine per mascherare il fatto che tanto non c’era nessuno che la cercasse mai, ma in quel momento gli stava benissimo così.

Lo trovò quasi in fondo al comodino. Era spento, ma non per niente lui aveva messo in piedi l’Operazione Cobra. Conosceva da secoli il codice per l’accensione.

Digitò le quattro cifre, aspettò impaziente per un altro mezzo minuto – ancora silenzio dabbasso – e, quando il segnale annunciò di aver trovato la rete, aprì la rubrica.

Il numero che cercava era sotto la S di Swan. Evidentemente la Regina Cattiva non considerava la sua vera mamma neppure meritevole di essere chiamata per nome. Henry soffocò la rabbia: odiava il fatto di non poter semplicemente andare da lei... Ma almeno le avrebbe fatto sapere che la pensava anche e soprattutto oggi.

Premette il tasto di invio della telefonata e si portò il cellulare all’orecchio.

Dopo tre squilli, la voce di Emma gli rispose seccatissima: be’, doveva essere molto fastidioso trovarsi sul display il nome di Regina Mills che pretendeva di parlare con te. Questa volta il pensiero lo fece ridacchiare.

«Senta, sindaco, se ha intenzione di rovinarmi l’ennesima serata si sbrighi. Non ho tempo da perdere con lei.»

Henry sorrise nel ricevitore. «Buon Natale, mamma!»

 

 

Le sciocche chiacchiere di Sidney e consorte sulla gioia del Natale e dell’odierna possibilità di stare tutti insieme felici e contenti l’avevano seccata. Li aveva congedati più in fretta del solito e ora marciava spedita su per le scale. Aveva bisogno di una pastiglia per il mal di testa.

Regina Mills era una donna rispettata e temuta che non temeva né rispettava nessuno, tranne che un pensiero – un ricordo, un rimorso – che di tanto in tanto, maledizione, si ripresentava a bussare alla sua porta cogliendola puntualmente impreparata.

Tutta quella storia del Natale era peggio di qualunque veleno, per il suo cuore avvizzito dai sensi di colpa.

Restò immobile sul pianerottolo, sorpresa: la porta della sua camera era socchiusa.

Henry.

Per un attimo provò l’istinto di precipitarsi su di lui come una furia, ma poi sentì la sua voce eccitata e gioiosa.

Si fermò.

Passarono dei secondi interminabili. Sulla parete alla sua destra era appeso uno specchio; Regina lo fissò intensamente, nella disperata ricerca della coscienza di sé, del proprio essere ancora qui e del proprio essere nel giusto. E ascoltando le parole che suo figlio rivolgeva alla donna che l’aveva messo al mondo – ascoltando le parole che lei non avrebbe potuto pronunciare mai più – in qualche modo ogni proposito di gettarsi sul telefono e farlo a pezzi svanì.

Fu soltanto per non vedersi le lacrime negli occhi che mosse un passo indietro e, il più silenziosamente possibile, tornò sulle scale.

Buon Natale...

Non poteva privare quel bambino del diritto di dirlo a qualcuno.

 

 

 

 

 

Scena Settima

{ Make my wish come true: all I want for Christmas is you }

 

 

 

Ci mise un po’ ad abbassare il braccio o ad alzare lo sguardo.

La chiamata di Henry l’aveva sorpresa, ma non quanto il sentirsi chiamare in quel modo per la prima volta.

Lo schermo si spense gradualmente, lasciando la sua mano nella penombra del crepuscolo e nei riflessi di luci della piazza. Emma si cacciò il cellulare in tasca e per un po’ rimase così, le dita protette dalla stoffa, sola ai margini di una piccola folla che non poteva toccarla.

C’erano tutti: Archie e Marco, lontani, ridevano di una battuta che a lei non era dato conoscere; Ashley e Sean e la loro piccola Alexandra, tutti e tre stretti e sorridenti al riparo di un porticato, con la bimba che agitava le manine come per catturare quelle luci lontane; David e Kathryn Nolan, lei avvinghiata al suo braccio, lui col sorriso assente e distratto che sembrava cercare chissà chi; Ruby, naturalmente, col chewing-gum in bocca e il cellulare all’orecchio e il rossetto più accentuato del solito; e persino quel tizio dall’aria poco raccomandabile, quel Leroy, sembrava esser venuto a dare un’occhiata. Chissà, magari stava ripensando a quando Graham gli aveva detto di sorridere e di non mettersi nei guai...

«Signorina Swan, sta bene?»

Trasalì dalla sorpresa – smascherata – e fu ancor più stupefacente trovarsi accanto il signor Gold, che l’osservava assorto sopra una sciarpa scura dall’aria comoda e accogliente.

Perché quell’uomo compariva sempre quando lei si sentiva più fragile?

«Sto benissimo, grazie» borbottò, realizzando di colpo che lui era stato l’unico in tutto il giorno a non avvicinarsi a lei col consueto ‘buon Natale’.

«Ha l’aria di essere lontanissima da qui.» Gold sorrise appena. Senza insistenza, spostò l’attenzione sul centro della piazza, il punto dove confluiva tutta quella festosa allegria che non era ancora riuscita a toccarla. «Non mi aspettavo di incontrarla, oggi. Per qualche motivo ho la sensazione che queste cose non facciano per lei.»

«Immagino che lei mi abbia capita benissimo, allora» gli rispose con un sorriso storto. Chissà perché, era grata che non la stesse guardando.

L’uomo rimase in silenzio per molto tempo, il volto in ombra per metà. Emma si ritrovò a pensare che anche lui sembrava lontanissimo da lì.

«Sta bene, signor Gold

Sorrise di nuovo, segno che non si era dimenticato della sua presenza – e che il rovesciamento di ruoli lo divertiva.

«Mi perdoni. Pensavo solo a quanto siamo simili, lei e io.»

Emma inarcò le sopracciglia, e rimase ancorata al suo scetticismo finché Gold non si voltò. Gli occhi che la scrutavano erano quelli di una persona che aveva molto, troppo da non dire. Ma per una volta non riusciva a trovare in quel silenzio un senso negativo.

«Il Natale è una festa per chi sa amare, non trova? È molto difficile che le persone sole lo apprezzino pienamente. Siamo portati a pensare che non ci riguarda, che le cose per noi non cambiano, non possono cambiare, in un’unica fredda giornata di dicembre.»

Emma rivisse nella mente il colloquio al mattino con Mary Margaret. Tacque, per non lasciargli capire quanto lo capiva.

«Eppure qui è anche la differenza tra noi due, signorina Swan.» Ecco cosa c’era in quel sorriso: tristezza. «Lei, dopotutto, non è davvero sola.»

Faceva freddo. Sì, era il freddo a farla rabbrividire.

Nella tasca sfiorò il display spento del cellulare. Buon Natale, mamma!... Già, lei non era davvero sola.

Guardò Gold che le si avvicinava di un altro passo, svolgendosi la sciarpa dal collo.

«Ha le labbra così screpolate, signorina. Congelerà. Tenga questa.»

Mentre la circondava di quella stoffa comoda e accogliente – proprio come le era sembrata – Emma pensò di scorgergli una scintilla della solita luce negli occhi.

«Uhm, per questa si aspetta qualcosa in cambio?»

«Oh, niente affatto. Lo consideri il mio regalo di Natale.» Rise piano, coprendole le spalle con particolare cura. «Ora le suggerirei di tornare a casa, prendersi una bella tazza di tè fumante e pensare a quanto non sa di essere fortunata.»

Un altro brivido: strano, eppure la sciarpa era calda.

«Si unisce a me?»

Non avrebbe saputo dire cosa l’avesse spinta a dirlo. Probabilmente era solo quell’accenno di condivisione, o quel sorriso triste che da quell’uomo non si sarebbe mai aspettata. Magari era solo che era quasi Natale, Dio santo, e sembrava la cosa più giusta da dire...

Gold la guardò da vicino, il respiro che si condensava in piccole nuvole e si mescolava al suo. Alla fine scosse la testa.

«Meglio di no.» Si ritrasse, tirando su il bavero del cappotto. «Buon Natale, signorina Swan

Annuì. «Buon Natale, signor Gold

Per un po’ rimase a guardarlo allontanarsi, finché non fu sparito lungo la strada verso il polveroso negozio dei pegni.

L’albero al centro della piazza, circondato da sorrisi allegri e carole stonate, l’attrasse di nuovo. Iniziava a capire perché Archie l’avesse mandata lì. Ma forse non era tutto merito suo...

Be’, forse una capatina dalla nonna quella sera poteva farla.

Voltò le spalle al punto in cui il signor Gold era sparito, pronta a unirsi a Ruby, ma mosse soltanto due passi prima di sollevare di nuovo gli occhi, sbalordita.

Nevicava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Tutto ciò andava pubblicato ieri o il giorno della vigilia, me ne rendo conto, ma spero comunque che apprezziate il mio tardivo augurio di un felicissimo Natale.

Ho progettato questa storia settimane fa, quando ho letto che Once Upon a Time avrebbe dedicato un episodio alla festa di San Valentino ma – contro ogni tradizione di serie tv! – non avrebbe incluso uno special sul Natale. Di conseguenza ho immaginato come gli abitanti di Storybrooke l’avrebbero vissuto e ho scritto quella che inizialmente voleva essere una raccolta di flashfic, ma che poi si è rivoltata contro di me ed è diventata una one-shot a tutti gli effetti, perché un ‘episodio’ non si può condensare in una raccolta. Be’, io ci ho provato.

Un appunto sulla parte inerente a Regina: è complessa. È molto complessa. E non sono sicura di averla già capita. Quindi invoco il vostro perdono per averla liquidata così in fretta. ;_;

Ipoteticamente questa storia si ambienta dopo i primi sette episodi, ergo i riferimenti alla sparizione dalle scene dello sceriffo Graham (posso farcela. Non piangerò. Posso farcela); nel finale, sviluppando il discorso del signor Gold a Emma, ho lasciato delle minuscole tracce di spoiler sull’ottavo: dunque l’accenno Gold/Emma è a vostra totale discrezione *fafintadiniente* perché, per una volta, il mio scopo era proprio quello di alludere alla somiglianza/differenza tra i due personaggi riguardo l’argomento ‘figli’.

Infine, ‘Malina Thorne’: alla prima persona che capirà chi è scriverò una fic su commissione, non sto scherzando. xD

Le lyric che accompagnano le ‘scene’ sono tratte da All I want for Christmas is you di Mariah Carey. Non c’entra niente, lo so, ma cavolo, quella canzone fa troppo Natale!

Rinnovando i miei auguri fuori tempo massimo, posso perlomeno aggiungere have a happy new year

Aya ~

   
 
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