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Autore: MissNothing    27/12/2011    5 recensioni
"Quelle notti invernali troppo fredde per essere passate da soli e quelle sere d'estate troppo belle per essere sprecate a dormire. Quegli sguardi che solo noi possiamo capire e quegli sguardi che, purtroppo, non capisci. E poi i baci, le carezze, i sospiri. Quei momenti che speri non finiscano mai e quei momenti in cui capisci che l'infinito, paragonato ad uno di quegli attimi in cui ci apparteniamo, non è niente. L'infinito è relativo. Non lo puoi immaginare, eppure io penso di averlo trovato in uno di quegli istanti in cui ho il tuo fiato sul collo e le tue mani sulla schiena, perché quando in quel silenzio sento la lancetta scoccare, non me ne capacito che sia passato solo un secondo. Allora capisco che io, il tempo, quando lo passo con te, ce l'ho in mano."
[E' una storia abbastanza vecchia, probabilmente ci saranno molti errori grammaticali, chiedo scusa in anticipo ma non voglio modificarli perché in un certo senso sono la prova dei miglioramenti -anche se piccoli- che credo di aver fatto! Ci sono altri due seguiti :3]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Until You're Over Me.'
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OMG
Salve a tutti e.e Che palle l'intro sta divnetando ripetitivo. Cominciamo in una maniera diversa? *balla di fieno* Okay, cominciamo in maniera diversa.

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BENE, E ORA CHE HO LA VOSTRA ATTENZIONE CIAO. <3
Ci sentiamo a gennaio? col cazzo che ci sentiamo a gennaio. Non resisto. Ho avuto troppa ispirazione, ho trovato troppi foglietti pieni di vecchie idee sparse che aspettavano solo di essere messe insieme, e quindi, eccomi di nuovo qui. ._.
Ah, e poi vorrei scrivere un seguito della storia.. ho una mezza trama in testa, e siccome è il penultimo capitolo, penso che si potrebbe cominciare a parlarne. Voi lo leggereste o, in tutta sincerità, non ve ne fotte n'cazzo? <3 Fatemi sapere, mhmh. e.e
Baci, xMN.





8. A series of unfortunate events.





Quando mi svegliai, rimasi a guardare il soffitto di quel bianco quasi ottico per almeno dieci minuti. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse appena trapanato la testa, avevo la gola in fiamme, gli occhi gonfi, e, come volevasi dimostrare, nessun ricordo della sera prima. Solo qualche flash, qualche immagine confusa. Trovai una riposta solo quando i capogiri cessarono e finalmente riuscì ad alzarmi. Mi guardai un po' intorno, e la stanza era un perfetto disastro. Bottiglie di alcool (vuote) ovunque, vestiti e sigarette spente sparsi ovunque. Diciamo che si presentava uno scenario apocalittico quasi quanto, probabilmente, era stato il programma della sera prima. Mi diedi uno sguardo allo specchio, e credetemi se vi dico che probabilmente persino qualcuno che sa che non lo sono mi avrebbe scambiato per un tossico. Sbadigliai pigramente, stropicciandomi gli occhi nel tentativo di capire se fossero gonfi per le poche ore di sonno o per il probabile pianto. Inutile dire che, non ricordando niente, non riuscì a capirlo. Mi spostai i capelli dal volto, passandoci tutte le dita in modo tale da districare i tanti nodi e poi, semplicemente, chiusi gli occhi. Mi fermai seriamente a pensare a cosa avrebbe potuto ridurmi in quello stato. Mi lasciai sfuggire un sospiro, che forse più che altro era un gemito di dolore dovuto all'enorme livido che avevo appena scoperto di avere dietro la schiena. Era viola e sfumava in uno strano verde ai contorni. Non appena lo sfiorai, presi a singhiozzare. Decisi di dimenticarmene e smettere di provare a ricordare l'accaduto. Certe cose, forse, è meglio non saperle mai.
Grazie a Dio il potere dell'acqua calda mi riportò allo stato cosciente. Sarei rimasto sotto la doccia un'altra mezz'ora abbondante, ma purtroppo le graffianti note di "Die die my darling" dei Misfits mi costrinsero ad uscire dalla cabina. Afferrai un telo da bagno e cercai di coprirmi. O meglio, non tanto di coprirmi, siccome ero consapevole del fatto che non mi avrebbe visto nessuno, ma più che altro di asciugarmi così da non peggiorare il danno che già avevo arrecato a quella povera stanza. Dopo una serie di sfortunati eventi, incontri con oggetti inanimati che improvvisamente prendono vita e ti fanno lo sgambetto e altri vari problemi dovuti solo e soltanto alla mia maledetta goffagine che non starò qui ad elencarvi, raggiunsi finalmente il cellulare. Lo afferrai di scatto e c'erano due messaggi. E fortuna che non erano chiamate, altrimenti mi avrebbero già dato per disperso. Uno lo avevo ricevuto durante la notte, era di Emily. L'altro, invece, era di Mikey, e vedendolo praticamente ogni giorno, decisi di aprire il suo per secondo.
"Ehi! Mia madre è peggiorata, mi sa che devo andarla a trovare, potrebbe essere l'ultima occasione.. ti va di accompagnarmi in stazione? alle sei, binario cinque, così ci salutiamo per bene! ;)"
Tanto d'occhiolino. Inutile dire che mi fece sorridere, anche se mi sentì una cattiva persona, per un attimo: sua madre stava male ed io sorridevo per un occhiolino? Scossi il capo per scrollarmi quei pensieri di dosso e le risposi nella maniera più carina che potevo. Guardai di sfuggita l'orologio per rendermi conto dell'orario, cosa che, rispetto alle dinamiche che aveva presentato il traumatico risveglio, era passata piuttosto in secondo piano. Le lancette segnavano le sedici, mentre il mio telefono diceva che erano le due del mattino. A giudicare dallo spiraglio di luce che proveniva dalle tende.. caro Steve Jobs, il tuo iPhone ha fottuto un'altra volta. Mi trovai a dover leggere il messaggio da parte di Way Junior. Feci un respiro profondo, quasi per prepararmi a quello che poteva esserci scritto. Non ricevevo spesso messaggi da lui, così come non ne ricevevo molti da nessuno dei ragazzi, nei periodi in cui eravamo in tour.. praticamente ci trovavamo a condividere ogni singolo momento della giornata separati da non più di una camera d'albergo, quindi mandarci addirittura degli sms sarebbe stato come soffocare ancora di più quell'equilibrio già precario che da anni si teneva così, appeso sul filo di un rasoio. Pigiai col dito sull'icona e cominciai a leggere. Lentamente, scandendo ogni parola nella mia mente.
"E' in ospedale. Vieni al Foundling appena leggi. Se non sai dov'è non me ne frega un cazzo, prendi un taxi e stai zitto."
Boom. Un colpo al cuore. Persi uno dei tanti battiti, recuperandolo poi con il ritmo accelerato che essi assunsero. Non sapevo perché ci fosse finito, ma problemi di salute lui non ne aveva, questo lo sapevo. E forse, proprio per questo motivo, l'idea di Gerard ubriaco sul ciglio della strada, privo di sensi e completamente stordito, non mi sembrava qualcosa di tanto nuovo. Lui era una di quelle persone che, quando qualcosa ha l'effetto desiderato, non pensa mai alle conseguenze a lungo termine. E se in quel momento non voleva pensare a qualcosa e l'alcool riusciva a farlglielo dimenticare per un po', l'alcool era la risposta. Senza pentirsene o pensarci troppo, magari essendo anche consapevole degli effetti che avrebbe avuto. E se ci era caduto già una volta, sarebbe potuto ricaderci sempre. Fortunatamente aveva avuto la forza per rialzarsi, ma in questo periodo non so davvero da dove l'avrebbe trovata. Non ne ho la minima idea. E solo ed unicamente in quel momento, realizzai quanto io avevo bisogno di lui. Quanto il pensiero di una vita da solo, senza una persona come lui, semplicemente mi pietrificava. Pur desiderando (ormai molto spesso) di non averlo mai conosciuto, mi resi conto che forse, se quel desiderio fosse diventato realtà, sarebbe stata la più grande maledizione.
E che fare quando la tua ancora si stacca? puoi semplicemente affondare con lei. Proprio per questo non persi nemmeno un attimo: col solito "look" trasandato mi avviai e presi un taxi, proprio come molto "gentilmente" aveva suggerito Mikes nel messaggio. "E stai zitto".. e come mai potrei parlare?


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Ho sempre odiato gli ospedali. Ambienti asettici, lunghi corridoi, luci fredde, odore.. odore da ospedale, e soprattutto tante lacrime. E tanti pianti. Pianti di cui magari nemmeno sei partecipe, ma che sei costretto a sentire. Per non parlare di quanto odio quel tratto di strada che c'è fra il posto dove alloggi e l'ospedale stesso. Sai cos'è quella sensazione che ti prende lo stomaco in cui momenti? è l'ansia. Quella più pura e vera. Perché non c'è ansia più vera che quella di perdere qualcuno.. per sempre. Nel cuore sapevo (e speravo) che non fosse niente di così grave, ma la paura c'è sempre.
L'infermiera all'ingresso mi guardò come se fossi l'ultimo degli stronzi. Non volevo rimanere nemmeno un minuto di più in quella sala circolare piena di gente che fingeva che andasse tutto bene, così subito le chiesi di scortarmi fino alla stanza di Gerard.. o per lo meno di indicarmela.
-Scusi..- Balbettavo e avevo la voce piuttosto rauca, così la tagliai alla svelta. -Mi seprebbe indicare la stanza di.. Way? Gerard. Gerard Way, ecco.- Sospirai, come se fossi riuscito a compiere un miracolo.
La donna arricciò le labbra, come se fare il suo lavoro fosse troppo. Subito dopo cominciò a sfogliare i nomi su un registro di legno che teneva in mano, e così facendo mi indicò un lungo corridoio che era alla mia sinistra.
-E' la terz'ultima sulla destra.- Mi guardò con diffidenza.. così come si guarda l'amico di un ragazzo ricoverato per overdose.
Percorsi con un po' di esitazione ed il passo pesante il corridoio. Riuscivo a vedere Mikey già all'inizio della "traversata", ma decisi di non salutarlo perché mi sarebbe soltanto venuto contro. E così arrivarono anche i sensi di colpa, perché quando il giorno prima era scomparso con quelle parole, avrei dovuto immaginarlo. Avrei potuto fermarlo. Anzi, avrei dovuto fermarlo. Il che è ancora peggio. Fissavo lui e Ray che si consolavano l'un l'altro, e solo quando Mikey si girò e mi vide, gli feci un cenno con la mano. Per tutta risposta lui si alzò e inaspettatamente mi mise le braccia al collo.
-Ehi.. ehi, è tutto okay. Starà bene.- Dissi, monotono. Non c'era un briciolo di convinzione in quella voce.. non che pensassi che stesse talmente male da non riprendersi, semplicemente non avevo più forza fisica/mentale per permettermi un tono convinto.
Sentivo le sue lacrime bagnarmi il petto, e credetemi, forse fu la scena più triste che avessi mai visto in tanto tempo. Lui, così attaccato a suo fratello nonostante tutto quello che gli faceva. E suo fratello, che pur essendo così attaccato a lui, non la smetteva di essere un cazzo di Cubo di Rubick.
-V.. v.. vai da lui..- Esitò. Forse non voleva mollare la presa, ma era giusto che lo vedessi. In quel momento un'infermiera uscì dalla sua stanza, portando con sé una siringa vuota. Sospirai, portando di nuovo il viso nell'incavo del collo di Mikey.
-Ehi, non è niente di grave.. starà già bene.-
-Questo lo so.. lo so per certo.. il problema è capire perché l'ha fatto.. di nuovo.- E singhiozzava, singhiozzava, singhiozzava, cominciando a farmi vedere la situazione in un modo diverso: prima avevo considerato solo il benessere fisico, ma per quanto riguarda quello psicologico? sembrava una persona inscalfibile, eppure era caduto così. Mai giudicare un libro dalla copertina, a quanto pare.
-Mikey..- Gli sospirai all'orecchio. Era giunto il momento che anche lui sapesse la verità, perché la situazione stava diventando degna dell'ultima stagione di One Tree Hill.
-Cosa?- Domandò, facendomi rendere conto di quanto tempo stessi passando a tentare di prendere coraggio.
-Lo amo tanto. Ti giuro che non gli accadrà niente di male. E starà bene. Vuoi credermi?-
Interruppe lentamente l'abbraccio, guardandomi da capo a piedi, gesto dopo il quale, il suo sguardo si fermò fisso a terra. Riuscì soltanto ad annuire, dandomi una pacca sulla spalla. Ovviamente avrebbe avuto bisogno di tempo per accettarlo, ma continuare a fingere sarebbe stato ridicolo, ed ero piuttosto fiero di me e del fatto che finalmente stavo prendendo coraggio.
Ray in quel momento mi sorrise, facendomi un cenno con la mano.
-Sai, prima ha chiesto di te.- Giocherellò con le sue stesse mani, forse in segno di nervosismo. -Sarà contento di vederti!-
Un sorriso spontaneo si disegnò anche sul mio, di volto, non appena seppi che anche lui mi aveva cercato. Abbassai il capo per celarlo.
-Già, lo penso anche io!- Mi strinsi nelle spalle, entrando nella stanza. Chiusi la porta scorrevole alle mie spalle e sentì i passi dei ragazzi che si allontanavano.
Per qualche secondo ci guardammo semplicemente. Prima ci scrutammo, e poi finimmo l'uno con gli occhi puntati contro quelli dell'altro. Indossava un camice bianco e la sua pelle, già chiara di suo, faceva ancora più contrasto con i capelli rosso scarlatto. Vederlo lì così, pallido ed esile, con una flebo sul braccio e lo sguardo assonnato, quasi mi veniva da piangere. Eppure dovevo smetterla. Dovevo smetterla di piangere quando potevo benissimo agire.
Mi avvicinai al suo "letto", osservandolo ancora di più da vicino. Nello spostare il capo verso destra, proprio dove stavo io, una ciocca fiammante gli coprì gli occhi. E questo proprio non potevo sopportarlo; con delicatezza gliela spostai dalla guancia, incontrando la sua mano calda mentre faceva la stessa cosa. Questo gesto fece sorridere entrambi. Ed è incredibile quante emozioni stiamo provando in soli cinque minuti pur non avendo ancora parlato.
-Ehi.- Sussurrai appena. Che testa di cazzo.. come fai ad esordire con un "ehi" in una situazione del genere?
-Ciao.-
-Stai bene?- Un sorriso amaro gli si disegnò in volto. Forse dava per scontato il fatto che, se era in ospedale, non stava poi così bene.
-Per quanto possa stare bene uno con una flebo nel braccio.- Si sedette a letto, con la schiena poggiata contro il muro.
-Oh, aspetta.- Cercai quel.. coso con i tasti che serve per muovere lo schienale e, quando lo trovai, ci armeggiai un po', fino a capire come usarlo e portarlo nella posizione che mi sembrava più comoda. Mi sorrise con quel poco di forze che aveva nel tentativo di ringraziami, e per un po' gli si illuminò il volto.
-Che hai combinato, Gee?- Presi uno sgabellino che era proprio lì accanto, portandolo vicino al letto in modo tale da sedermi accanto a lui. Prese un respiro profondo, fissando il vuoto. A volte mi chiedo, in quei brevi momenti, che cosa affolla la sua mente.
-Ti stavi comportando come se non ti importasse. Ed io volevo vedere se ti importava, ecco. Ma se sei venuto ti importa.. no?-
Mi presi il volto fra le mani, proprio quando i sensi di colpa si fecero insopportabili.
-Tu pensi davvero che non mi importi?- Replicai con appena un filo di voce. Annuì semplicemente, abbassando il capo per evitare il contatto visivo.
-..Ti sei comportato come se non te ne importasse, sì.-
-E tu ti sei comportato uno schifo.- In quel momento, abbassai lo sguardo anche io. Gli presi la mano, perché mi accorsi che forse ero stato un po' troppo.. no, duro no. Però inopportuno. Forse non era il momento più adatto per ricordargli quanto aveva fatto cagare, no? Mi alzai.
In quel momento valutai tante cose. Quanto tempo ancora sarei riuscito a rimanere tenendomi tutto dentro? Forse eravamo veramente arrivati al limite, e con tutto quello che stava succedendo, forse dirgli la verità era la parte meno difficile. Feci un respiro. Passarono più o meno dieci minuti di silenzio tombale dal momento in cui pensai cosa dire a quello in cui il cervello riuscì a mandare l'impulso di dirlo alla bocca, ma finalmente ci riuscì. Involontariamente gli strinsi la mano più forte.
-Credimi, io non vorrei dirlo come tu preferiresti non saperlo, ma..- Deglutii. -Ti amo.-
In un certo senso, mi sentì libero. Bhè, in un certo senso. Dall'altra parte ora dovevo anche affrontare le conseguenze. E avrei dovuto parlarne anche con.. bhè, lei. Si meritava di più di uno che la usava, questo era certo. E in quanto a lui? Sfortunatamente non leggo il pensiero, ma sono un osservatore. Rimasi a guardarlo. Sembrava piuttosto confuso: aveva gli occhi semi sgranati, cosa che, con le occhiaie che aveva, lo faceva sembrare ancora più angosciato. Le labbra erano socchiuse, e proprio mentre si stava per girare di nuovo nella mia direzione, se le morse. Mi guardò negli occhi, intimidito.
-Perché.- Domandò, impassibile. E semplicemente, mi prese alla sprovvista.. questo non lo sapevo nemmeno io. Non ci avevo mai pensato sul serio, forse. O probabilmente non c'era un vero motivo. Mi strinsi semplicemente nelle spalle.
-Non lo so.- Guardai in basso. -Perché comunque mi tratti sempre uno schifo, quando ci sono gli altri.. razionalmente lo so che non c'è un motivo. Però quando.. cioè, quando siamo da soli.. tu non sei così. Ed io lo so che è quello il vero te. Forse hai ragione, non ti conosco.. però.. un minimo spero di conoscerti.. e..- Non riuscì nemmeno a finire di parlare. Senza accorgermene mi ero fatto incredibilmente vicino a lui (tanto da avere la fronte poggiata contro la sua), così riuscì praticamente a "tapparmi" la bocca poggiandoci una mano. Passammo qualche secondo così, finché non rimosse la mano di scatto e la sostituì con le sue labbra.
In tutta sincerità non sapevo cosa pensare. E non volevo pensare, anche. Mi lasciai semplicemente prendere.. come sempre. Si staccò bruscamente, senza però allontanarsi di un centimetro. Sentire il suo respiro così vicino non fece altro che mandarmi in agitazione. Abbassai un secondo lo sguardo, incontrando la sveglia che aveva sul comodino ospedaliero. Erano le cinque e mezza, cazzo. E la stazione era anche lontana. Frettolosamente e parecchio contro voglia, mi allontanai. Mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa, anche se con me non avevo niente. Poi decisi di calmarmi.
-Che c'è ora?- Sbuffò.
-Devo andare da Emily in stazione.. dovrei essere lì alle sei.- Mi allontanai, appoggiandomi all'uscio della porta in modo tale da osservarlo meglio.
-Quindi lei è più importante.- Annuì fra sé e sé, come se volesse farmi sentire in colpa.
-Lo sai che non è vero.. e che non lo sarà mai.- Nervosamente, presi a picchiettare ritmicamente le unghie contro il vetro della porta scorrevole.
-Allora rimani. Non voglio passare la notte da solo.. hanno detto che domani mi dimettono, tra l'altro. In tempo per il concerto.- Sembrava categorico, come se fosse tornato a riuscire a fare la parte dello stronzo. E sarebbe riuscito anche a farmi credere che intendesse davvero comportarsi da tale, se solo non avesse avuto gli occhi lucidi. -..Per favore.- Continuò, singhiozzando nel tentativo di nascondere le lacrime. Decisi di non puntualizzare l'ovvio per non metterlo a disagio: so quanto è brutto. Semplicemente abbassai il capo, così da evitare di dover guardare quella scena.
-Non posso.. a domani.- Abbozzai un finto sorriso, allontanandomi. E avrei voluto rimanere, tanto. Non so quanto tempo era passato dall'ultima volta che lo avevo visto così vulnerabile, eppure.. lo era. E avrei voluto tanto rimanere lì a rassicurarlo, ma quello che stavo per fare, dovevo farlo. E il più in fretta possibile.
   
 
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