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Autore: Leitmotiv    27/12/2011    2 recensioni
Pia conosce perfettamente l'arte del mentire agli adulti.
Cain s'illude di poter capire le persone con una sola occhiata.
E poi ci sono gli altri, a scuola, per strada, in quelle simmetriche case della working class di Manchester.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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soluzione Questo capitolo e' uscito fuori ascoltando a ripetizione una canzone che avevo scaricato nel mio lettore mp3, ma che ho ignorato per mesi : "Silence" dei Delirium/Sarah Mc Lachland, gruppo che fra l'altro non conoscevo.  Non e' niente di sensazionale il capitolo, e nemmeno la canzone, ma visto che mi ha aiutata nel buttarlo giu' velocemente mi farebbe piacere che la ascoltaste.
La musica mi e' letteralmente fondamentale mentre scrivo. Vi evito tuttavia di farvi la lista delle canzoni ad ogni capitolo che pubblico...anche se ammetto che non mi dispiacerebbe segnalarvele, perche' sono sinceramente grata ad ognuna di loro.
Grazie al nutrito numero di lettori anonimi, a Carla e a Oddish <3 Auguri a tutti e ricordatevi che le Feste son  belle  anche perche' se magna! 










                                                                                 PROVE







Seduta su una pila di volantini Pia si fissava le mani gonfie per il freddo.
Il magazzino di famiglia si era fatto improvvisamente silenzioso. Il monotono rumore dei traspallet e lo strìdere della pellicola trasparente avvolta intorno ai bancali  era cessato; mr. Hunt aveva spedito a casa i due operai che lavoravano per lui part-time, ed aveva raccomandato a sua figlia di rimanere nell'ufficio finche' lui non fosse tornato a prenderla nel giro di un paio d'ore, poi era corso all'ospedale per "assistere" l'anziana signora Tunninghton.
La nausea non aveva potuto che aumentare una volta giunta la magazzino, e la falsa preoccupazione di quell'ipocrita di suo padre le aveva acceso in petto un'istintiva violenza. Quando suo padre aveva tentato di abbracciarla, Pia lo aveva scostato malamente senza guardarlo in faccia, rispondendogli che voleva stare sola.
Ora, seduta sui depliant relativi alle promozioni natalizie, stava discutendo a tu per tu con le proprie emozioni.

Una gonfia, rovente lacrima di rabbia le rigo' la guancia, andandole ad inumidire lo stemma della giacca scolastica.  Nella vorticosa confusione dei suoi pensieri, ammucchiati disordinatamente come i tasselli di un domino, Pia cercava di ritrovare il solito aplomb, quella calma razionale che fino a quel momento l'aveva tirata fuori dai guai, facendole perseguire uno schema.
Ma non era facile, non aveva mai provato in vita  sua quella rabbia feroce ed impotente che ora la scuoteva in tutta la sua interezza.

Con la mano scaccio' nervosamente un'altra lacrima. Per lei non era facile neppure ammettere che in quel momento sentiva il genuino bisogno di sciogliersi in lacrime, di lasciar traboccare tutta l'insicurezza che aveva fino ad allora sigillato dentro di sè. Strinse i denti, imponendosi di fare qualcosa. Avrebbe dovuto avvertire Cain, prendere il cellulare e scorrere il suo nome nella rubrica, tuttavia, alzando lo sguardo sulla porta dell'archivio davanti ai suoi occhi, una nuova priorita' le affioro' alla mente.
Quello che cercava non poteva che essere lì, ed in quel momento in cui una furia violenta le faceva pizzicare le dita, avrebbe ribaltato ogni mobile di quell'ufficio  per  trovare cio' che voleva, senza preoccuparsi delle spiegazioni che suo padre le avrebbe sicuramente chiesto. Non era nemmeno sicura, se avesse trovato quello che cercava, che avrebbe rivisto lui o sua madre, ed in una situazione del genere era inutile preoccuparsi di eventuali rimproveri.
Un assassino avrebbe mai potuto permettersi di rimproverarla, poi?

Si alzo' di scatto, lasciando che i volantini patinati si spargessero sul pavimento, ed uno ad uno rovisto' i cassetti della scrivania alla ricerca della chiave dell'archivio. Per la stanza svolazzarono documenti, post-it e ricevute; Porthia tasto' la scrivania in ogni angolo possibile immaginandosi che la chiave avrebbe potuto essere stata fermata con dello scotch in un posto non visibile, poi si accanì nel medesimo modo  contro la coppia di cassettiere accanto all'entrata, senza ottenere risultati.
Rimase al centro della stanza, con le mani fra i capelli, cercando di individuare con gli occhi il luogo in cui poteva essere stata nascosta, ma ogni secondo che passava la consapevolezza che mr. Hunt si fosse premurato di non lasciare la chiave lontana dalla propria persona, la convinse che avrebbe dovuto usare altri metodi.

Recupero' un lungo trincetto che gli operai usavano per aprire gli scatoloni, estraendone la lama ed inserendola fra la porta  e lo stipite, cercando di forzare la serratura; per qualche minuto rimase china e scarmigliata su quell'operazione, che le si stava rivelando tutt'altro che facile. In un momento di scarsa pazienza, Pia inclino' con troppa forza l'oggetto, e la lama si spezzo', schìzzando a pochi millimetri dal suo volto; la ragazza cadde a sedere sul pavimento, portandosi istintivamente una mano alla guancia.
Non c'era sangue sul proprio palmo, non era certo il caso di perdere la testa per un incidente  del genere, tuttavia e' proprio cio' che fece.

Prima calcio' la porta, lasciando che l'istinto avesse la meglio, poi recupero' un fermacarte di granito nero e lo lancio' contro il quadratino di vetro smerigliato al centro della superficie; nascose la mano nella manica del giaccone per ripararsi dai piccoli vetri aguzzi che non avevano ceduto all'urto e si sollevo' sulle punte dei piedi, cercando a tentoni la maniglia e la piccola sicura che, dall'interno, secondo i suoi ricordi era possibile sbloccare senza l'ausilio di una chiave.

I vetri scricchìolarono sotto i suoi  scarponcini di cuoio, alcuni microscopici frammenti le si impigliarono fra i capelli, smossi dal braccio che sfregava  contro la finestrella.
Le dita sfiorarono la piccola sicura, e Pia glorifico' la propria memoria per non aver fatto cilecca in un momento così delicato; la fece scattare, e premette la maniglia, ritirando il braccio.

All'interno dell'archivio non ebbe dubbi dove guardare, c'era solo un mobile che non avesse la forma di uno schedario. Sicura del fatto suo, ed altretanto sicurissima di trovarlo chiuso, Pia uscì fuori dall'ufficio per recuperare una delle pesanti zeppette di ferro con cui gli operai tenevano sollevati i bancali dal pavimento, trascinadola sin dentro l'archivio. Cerco' di sollevare il pesante oggetto a mezzaria, poggiandolo sulla propria spalla e facendo appello a tutta la rabbia che aveva in corpo per sferrare il colpo.
Le ci vollero almeno cinque minuti prima che il massiccio legno scuro del mobile si frantumasse sotto i suoi colpi, in una pioggia di schegge sottili.

Ansando, Pia lascio' cadere la zeppa dalle mani, scivolando in ginocchio. I capelli le erano ricaduti sul viso paonazzo, imperlato di sudore e microscopici pezzetti di legno. La ragazza introdusse entrambe le mani nella grossa fessura che aveva aperto nel mobile, ed inizio' ad estrarre con mani tremanti alcune buste trasparenti, di quelle con la chiusura ermetica che la sua famiglia usava per sigillare gli alimenti nel frigorifero. All'interno di queste vi erano decine di sim telefoniche, portafogli, e tutti quei piccoli oggetti che era facile trovare nelle tasche o nella borsetta di un cittadino qualunque.
Ogni bustina conteneva sommariamente la vita quotidiana di ognuna delle vittime che i coniugi Hunt avevano stroncato, tutti quei consueti, banali oggetti le parlarono di donne ed uomini innocenti, ed era come se dalla loro inanimata esistenza si innalzasse una vocina sottile sottile, un sussurro unanime che pronunciava "vendetta!".

Fu tra queste buste adagiate sulle proprie ginocchia che Pia ritrovo' oggetti  a lei familiari. Il portafoglio di Jhona e l'accendino su cui erano incise le iniziali del suo defunto padre, un oggetto che il ragazzo teneva con molta cura, tanto da aver l'abitudine di tastare in continuazione le tasche per assicurarsi che quello fosse  sempre al suo posto.

Non vi potevano essere piu' dubbi, non c'erano piu' un padre ed una madre nel suo futuro. Il suo cognome era improvvisamente diventato simbolo di vergogna, il fardello di essere nata figlia di due assassini.
In quel momento non c'erano piu' bei ricordi, un'infanzia serena, i volti di mr. e mrs. Hunt non avevano che la macabra parvenza di due creature depravate, come l'immagine di una locandina di un film horror in cui i carnefici apparivano grigi e innaturali, seppur con le fattezze di Marcel ed Hellen Hunt, quelli che una volta erano davvero stati i suoi genitori, ma che ora le risultava un fatto  impossibile da credere.

Lacrime bollenti piombarono dai suoi occhi sugli oggetti dei defunti, scivolando sulla superficie plastificata che li avvolgeva. Porthia comincio' a singhiozzare, schiudendo le labbra inermi.
La crisi era arrivata, la ragazza sapeva bene che prima o poi non sarebbe piu' riuscita a far finta che il suo cuore non la stesse covando, quello era l'apice del suo dolore: non c'era niente che potesse continuare ad aiutarla ad opporvisigli.

Il cellulare vibro' nella tasca, facendola trasalire. Sposto' con cura gli oggetti sul pavimento, come se si trattasse dei corpi dei loro  defunti proprietari, ed estrasse l'apparecchio dalla tasca. Fra le lacrime che le appannavano la vista, Pia lesse il nome sfocato di Cain.
Inghiottì un umido singhiozzo, e si sforzo' di parlargli con voce chiara.

- Pia, dove sei?! .
La voce del giovane Turner le squillo' nell'orecchio, scuotendola un po' dal torpore delle proprie lacrime.
- Sono al magazzino...
- Non sei a casa? Ah gia', immagino ci siano i giornalisti...Mia madre mi ha detto di un ragazzo al telegiornale che...bhe...e' vero che si tratta di Jhona?
La ragazza rimase qualche secondo in silenzio. I due ragazzi rimasero a contare i respiri l'uno dell'altra, amplificati attraverso i microfoni dei rispettivi cellulari.
- Pia...?
- Ho le prove qui con me. Sono stati loro. Ho tutti gli oggetti personali delle vittime.

Seduto sul letto nella sua stanza, Cain abbasso' un attimo il telefonino. Guardo' la propria immagine riflessa nello specchio dell'armadio, senza realmente vederla. Poi riporto' l'apparecchio alla guancia e prese a parlare con voce atona. Sapeva che in quel momento avrebbe dovuto dirle altro, ma non fu capace di trattenere quella domanda:
- E... mio padre...?
Dall'altro capo del telefono Pia sospiro', poi la sentì rovistare; un rumore come di plastica gli suggerì che gli oggetti dovevano essere stati riposti in dei sacchi. Il ricordo spiacevole del cadavere di quello sconosciuto, avvolto da anonima plastica nera gli torno' alla mente.
- Sono qui. Le sue cose sono qui - rispose la ragazza, trattenendo un singhiozzo.
Cain mise a fuoco il proprio volto nel riflesso dello specchio, i tratti che di suo padre avevano preso praticamente tutto. Non pianse. Inaspettatamente era come se si fosse tolto un peso, ora sapeva che avrebbe potuto sbattere in galera quei dannati assassini senza provare rimorsi nei confronti della ragazza; avrebbe avuto la sua vendetta e avrebbe aiutato Pia proteggendola, se ce ne fosse stato bisogno. Non l'avrebbe abbandonata nelle fauci dei media, o alla furia dei processi, si sentiva deciso e coraggioso. Era  come se ad un tratto fosse passato dall'essere un comune adolescente al diventare un uomo.
Si vide piu' alto e piu' forte, i tratti del viso meno dolci, gli occhi azzurri fermi ed imperscrutabili.
Vide il Cain Turner che desiderava diventare, ma che non aveva mai avuto la certezza sarebbe mai diventato.

- Vengo lì da te. Sei sola?
- Per ora sì. Gli operai sono stati mandati a casa e lui e' andato all'ospedale dalla nonna di Jhona...
- Faccio prima che posso, tu intanto riunisci tutte le prove. Pensi di farcela? - le disse, cercando d'infilarsi le scarpe con una sola mano.
Pia torno' vicino alla scrivania, guardandosi intorno alla ricerca del proprio zaino, trovandolo sommerso da alcune cartellette in cui mr. Hunt raccoglieva le fatture - Ho il mio zaino, cerco di farci stare tutto.
- Sicuramente torneranno a prendere le prove per farle sparire, ora che la polizia aprira' un'inchiesta. Dobbiamo far prima di loro e portarle alla polizia... - Cain s'interruppe, rendendosi conto di aver lasciato scivolare in secondo piano i sentimenti della ragazza - Pia, sei pronta per questo...?
- Non ho dubbi su quel che dobbiamo fare - gli rispose prontamente, ricacciando indietro altre lacrime - Cain...?Fa presto - aggiunse con voce strozzata.




Porthia aveva svuotato lo zainetto dai testi scolastici, e lo aveva riempito impilando con devozionale cura tutte le buste con le prove, lasciando per ultima quella di Jhona. La tentazione di tenere per sè, come ricordo, l'accendino a cui il ragazzo tanto teneva si fece forte in lei. Quell'oggetto avrebbe potuto finire nell'archivio prove della polizia, naturalmente dopo  essere stato usato come prova contro i suoi genitori, e lei non voleva che questo accadesse. In vita probabilmente il ragazzo non le avrebbe mai ceduto spontaneamente quell'accendino, ma Porthia non poteva ugualmente permettere che finisse ad ossidarsi in qualche buio cassetto, e poi doveva ammettere che avrebbe voluto tenere un qualcosa del ragazzo con sè, qualsiasi fosse stata la natura dell rapporto che aveva con lui instaurato.
Decise quindi di aprire la bustina e di recuperare l'accendino, che ripose nella tasca interna del giaccone.

Il telefonino che aveva poggiato sulla scrivania vibro', annunciandole che Turner era fuori i cancelli del magazzino.
Pia corse al videocitofono che mr. Hunt aveva installato vicino alla saracinesca, ma si accorse ben presto che i tasti di apertura dei cancelli esterni non funzionavano; un brivido  le annuncio' il grosso dubbio che probabilmente suo padre aveva cercato di bloccarla dentro il magazzino per tenerla sottocontrollo.
Anche il tasto del riavvolgimento automatico del bandone era fuori uso; si chino' cercando di alzare la saracinesca con le sue sole forze, sollevandola di pochi millimetri, e rendendosi immediatamente conto che all'esterno era stata bloccata con il lucchetto al terreno.
-Maledizione! - ringhio', facendo vibrare l'enorme pannello d'acciaio con un calcio.
Corse all'uscita d'emergenza, ma dovette disilludersi di scamparla quando oltre il vetro della porta scorse la fiancata di uno dei camioncini che serviva  a distribuire la merce ai clienti, parcheggiato a ridosso della porta; Pia provo' ugalmente a spingere il maniglione antipanico, ma la porta si aprì solo di un paio di centimetri. Poggio' la fronte sul vetro, portando il cellulare all'orecchio.
- Mi ha chiusa dentro. Ho lasciato che mi intrappolasse come una stupida.

Fuori, Cain afferro' una delle sbarre del cancello -  Cosa?! Devo farti uscire immediatamene di lì! Devo trovare qualcuno che ci aiuti!
- Non hai tempo di andare a chiamare qualcuno! Quello e' via da ormai due ore, mi ha detto che sarebbe tornato presto!
Turner scruto' il cortile del magazzino alla ricerca di un oggetto contundente con cui forzare il bandone, visto che scavalcare il cancello era un'operazione piuttosto semplice ed in quel momento lo avrebbe superato anche se si fosse trattato di un muro disseminato di vetri e filo spinato.
- Puoi provare a sollevare la saracinesca con il traspallet! - esclamo' la ragazza, notando che se all'interno del magazzino ce n'era solo uno guasto ormai da mesi, quello funzionante doveva trovarsi all'esterno.
Gli occhi di Cain si fermarono su quello che ai suoi occhi appariva come un buffo veicolo  con degli scì applicati sotto l'abitacolo, e realizzo' che la ragazza stava probabilmente parlando di quel coso.
- Quell'aggeggio ha le chiavi inserite?
- Sicuramene no, ma sono sicura che gli operai le abbiano riposte nell'ufficio - gli disse, correndo alla bacheca dove infatti erano appese due chiavi. Mancavano le chiavi dei due camioncini delle consegne, probabilmente suo padre se le era portate dietro per sicurezza, anche se gli era evidente che Pia non sapeva guidare, ma soprattutto che non avrebbe potuto uscire di lì anche solo per provarci - Ti passo le chiavi sotto la saracinesca, ce la fai a scavalcare il cancello?
-L'ho gia' fatto, se e' per questo - gli rispose il moro, bussando al bandone per far sentire la sua presenza.

Pia s'inginocchio' sul pavimento, sollevando per quel che poteva il pesante divisorio, e facendo scivolare la chiave verso le  dita del ragazzo spingendole con la punta del piede.
- Spero di riuscire ad usare quel coso...
- Ascolta, c'e' una leva accanto al volante; abbassala e pigia il  tasto verde, così le braccia del traspallet si abbasseranno al terreno. Poi spingi la leva in avanti per sollevare questo dannato lastrone!
- Sei sicura che riuscira' a sradicare il lucchetto..?
- No. Ma possiamo solo augurarci che lo faccia.

Cain non disse nulla, dirigendosi verso il traspallet. Inserì la chiave e prese posto sul sedile, scostando l'elmetto di sicurezza che usavano soliamente gli operai; il veicolo si accese, mentre Cain familiarizzava con il volante e la leva di cui Pia gli aveva parlato. Riuscì a procedere lentamente verso il bandone, abbasso' la leva, mentre un monotono  "bipbip" accompagnava quell'operazione, e riuscì a far scorrere le braccia del macchinario sotto il bandone, che Pia  teneva di poco sollevato con grande sforzo.
- Non ci tradire...- commento' il moro, facendo scorrere la leva in avanti.

Porthia si allontano' dalla saracinesca, sentendola scricchìolare per via della pressione che il traspallet imprimeva verso l'alto. Strinse lo zainetto fra le braccia, invocando un dio che non aveva mai pregato ed in cui le era difficile credere, ma dal quale in quel momento si aspettava un aiuto dopo tutti i dispiaceri che si erano susseguiti in quegli ultimi tempi.
- Fa che ceda...ti prego!

Cain sentì stridere tutti i meccanismi del veicoletto che stava guidando, augurandosi che non cedesse proprio in quel momento. Malgrado  il piede premuto sul freno, sentì le ruote come girare a vuoto sull'asfalto, ed il traspallet inclinarsi di qualche centimetro in avanti - Non ci abbandonare, cazzo! - esclamo', senza lasciare la propria postazione.
Finalmente l'anello che era cementato nel terreno si sradico', facendo schìzzare d'intorno il lucchetto e dei piccoli sassolini. Il traspallet riatterro'sull'asfalto, sballottando Cain all'interno dell'abitacolo; questo si addosso' al volante, stando ben attento a non mollare il freno.
- Ti tiro fuori in un minuto! - avvertì la ragazza, sollevando la saracinesca, stavolta,  senza nessuna difficolta'.

Pia uscì indossando lo zainetto, e lasciandosi andare ad un pianto quasi isterico, abbraccio' il ragazzo che non era ancora del tutto sceso dal mezzo.
Cain rimase non poco sorpreso da quello slancio, abbracciandola a sua volta e stringendola come fino ad ora non aveva mai ardito fare.
Con il cuore in subbuglio, i due ragazzi rimasero l'uno fra le braccia dell'altro per alcuni lunghi istanti, anche solo per raccogliere il coraggio di compiere quell'ultimo gesto che avrebbe segnato la fine dei delitti.

Turner scosto' la ragazza quel poco che gli bastava per guardarla negli occhi nocciola, incontrando le palpebre appesantite dal pianto ed un'aria affranta che gli strinse il cuore.  Prese le sue mani fredde fra le proprie guantate.
- Dobbiamo andare - le disse, mentre delicati fiocchi di neve avevano preso a cadere dal cielo adagiandosi tutt'intorno.



I due ragazzi si trovavano a poche decine di metri dalla stazione di polizia. Si erano seduti su una panchina della pensilinea dei bus, intenti a raccogliere le idee, ma soprattutto il modo in cui avrebbero introdotto le prove alla polizia, cercando di indovinare e preventivare le domande che questi avrebbero posto ad entrambi.
La neve aveva ricopero silenziosamente le loro spalle, ed entrambi si strinsero nel cappotto, con le mani in tasca e la faccia sprofondata nella sciarpa.
All'ennesima chiamata dei coniugi Hunt, Pia aveva spento il cellulare.
- Mi staranno cercando come due pazzi - disse, voltandosi verso il ragazzo.
- E' pericoloso rimanere ancora in giro - le rispose, alzandosi.
- Non sono sicura che anche tu debba entrare con me - disse, abbassando gli occhi al marciapiede - Forse e' meglio se rimani fuori da questa storia, per ora. Ora non lo metti a fuoco, ma per te potrebbe rivelarsi una grossa seccatura... I processi, i giornalisti, le chiacchere a scuola... Non ti conviene a conti fatti rimanere amico della figlia di due assassini pluriomicida.
Cain le si pianto' davanti, guardandola con aria di rimprovero - E' fuori discussione che arrivati a questo punto io ti lasci da sola. Sono spaventato come te dalle conseguenze di questa cosa, ma cio' che aspetta me  non e' niente in confronto a quello che dovrai affrontare tu, da sola.
- E' quello che pensi ora. Io per prima dico e mi metto in testa di fare un sacco di cose coraggiose quando mi sento spinta da sentimenti come quello di oggi...ma questa forza non dura sempre. E' difficile perseguire certi scopi, Tuner...e' la semplice verita'. E' proprio perche' dici queste belle cose e fai di tutto per aiutarmi che sei un bravo ragazzo, e per questo non voglio che tu ti debba ritrovare in situazioni ancora piu' deprimenti di quelle che hai dovuto passare fino ad ora.
- Quello che mi deprime veramente e' la mancanza di fiducia che hai in me! - le urlo', afferrandola per un braccio per farla alzare. Una donna seduta sulla panchina accanto alla loro si alzo', guardandoli male ed allontanandosi di qualche metro.

Cain sbircio' la donna con la coda dell'occhio, ed abbasso' immediatamente il tono.
Pia rimase in piedi di fronte a lui, aspettando che il ragazzo finisse il proprio sfogo.
- Ho deciso che ti rimarro' accanto,  non importa cosa tu faccia o dica per allontanarmi, non e' una questione di testardaggine e' una...la questione e' un'altra, ecco - concluse, arrossendo.
Anche Pia sentì l'impulso di arrossire, seppure il ragazzo non le aveva esplicitamente fatto una dichiarazione, trovo' quell'ultima frase estremamente imbarazzante. Non le sembrava di certo il momento per parlare di certe cose, a pochi metri dalla stazione di polizia con decine di prove nascoste nel suo zaino, quantomeno nel rispetto delle vittime, del signor Turner e di Jhona.

Torno' seduta, prendendo il ragazzo per la mano ed invitandolo a sedersi.
- Se mi vorrai stare vicino lo accetto. Ma in questo momento e' meglio se torni da tua madre, non so dirti esattamente di cosa si tratta...ma ho come una brutta sensazione. Non e' detto che quelli - disse, rivolgendosi ai suoi genitori - non conoscano tua madre, e che abbiano fatto anche finta di non conoscere te.
Cain sbatte' le palpebre, sorpreso dalle parole della ragazza - Mia madre...in pericolo?
- Certo, e' azzardato ma nel dubbio...corri da lei. Io me la cavero' benissimo, magari  poi potreste venire entrambi alla stazione di polizia, e' un luogo sicuro finche ci sono quei due a piede libero - Comunque sia chiama tua madre e dille di non aprire assolutamente a nessuno - disse, allungando la mano alla tasca del cappotto del ragazzo, ed estraendo il suo cellulare.
- Potrebbero venirti a cercare a casa mia...non ci avevo pensato - ammise il moro, portandosi una mano alla fronte - Io devo andare...pero' lasciarti da sola...
- Va da lei e tornate qui prima che potete. Io me la cavero', ne puoi star certo.
Turner annuì, chinandosi lievemente su di lei, ma quando fu abbastanza vicino per darle un bacio, desistette, sfiorandole appena il mento con le dita - Faccio presto - le disse, voltandosi verso la strada per fermare un taxi con un cenno del braccio.

Porthia lo vide salire sulla vettura, i suoi occhi azzurri oltre il finestrino fissi su di lei. Lascio' andare il fiato che aveva trattenuto nel momento in cui il ragazzo si era avvicinato al suo viso, l'aria gelida della nevicata le era entrata nei polmoni, facendola tossire; fu nel portare una mano alla bocca che Pia si rese conto di avere ancora in mano il cellulare di Cain.  
Alzo' gli occhi alla strada, e vide il taxi svoltare infondo al viale.
La neve copriva silenziosamente i segni dei pneumatici sulla strada.



Le campane della chiesa dietro casa Turner  rintoccarono le sette. Il tetto innevato del campanile si poteva scorgere a diversi isolati di distanza.
Da dietro il sedile dei passeggeri, Cain allungo' i soldi della corsa al taxista ed uscendo dalla vettura si guardo' intorno, alla ricerca della coppia che piu' temeva. Rimase qualche attimo con la mano appoggiata allo sportello aperto, mentre l'utista si chiedeva come mai quel ragazzo si fosse imbambolato tutto ad un tratto.
Cain si affaccio' nuovamente dentro l'abitacolo - Mi aspetti qui cinque minuti, per favore. Devo solo prelevare mia madre - gli spiego'.
L'uomo asserì, accendendo un po' di radio per farsi compagnia.

Il ragazzo si chiuse lo sportello alle spalle, ed aprì la porta di casa con il proprio mazzo di chiavi.  
Entro'sentendo che sua madre stava chiaccherando in salotto con la sua invisibile ossessione: il defunto marito. Cain sospiro' malinconicamente. Gli capitava spesso di sorprenderla a parlare con la poltrona vuota su cui suo padre una volta era solito sedere; ogni giorno mrs. Turner riponeva ordinatamente le pantofole di suo marito ai piedi della seduta, e lasciava il quotidiano sul bracciolo, abitudine che aveva fin dagli inizi del suo matrimonio. Era sempre stata una moglie meticolosa ed affettuosa.

La signora Turner si affaccio'dal salotto, scuotendo la testa - Avevo scommesso con tuo padre che nemmeno stavolta avresti preso l'ombrello. Per fortuna sei un ragazzo sano, non ti ammali facilmente.
Cain le sorrise con aria tirata. Non aveva potuto anticiparle niente in macchina, dato che aveva lasciato il cellulare fra le mani di Pia, ed ora si trovava a dover dare la notizia a sua madre, cercando di convincerla a salire sul taxi ed andare alla centrale di polizia.

La vedova si accorse dall'espressione incerta del figlio che qualcosa non andava. Gli si avvicino' per scrollargli qualche fiocco di neve dai capelli. guardandolo con occhi tremanti - Cos'e' questa faccia, Cain?
Il ragazzo poso' le manisulle spalle della genitrice, e chiuse gli occhi - Sai mamma, ho trovato gli assassini di papa' - disse, riaprendo gli occhi ed incontrando quelli smarriti di sua madre. Questa scosse lievemente il capo, continuando a scansare la neve dagli abiti del figlio, in un gesto che da materno era diventato nervoso.
Le piccole rughe ai lati della sua bocca si fecero piu' accentuate, le labbra tremarono incerte su cosa dire - Ma Cain...tuo padre e' in salotto.

Il moro si sentì improvvisamente stanco ed infastidito  da quell'atteggiamento che non poteva  giustificare in un momento d'emergenza come quello. Afferro' gli avambracci di sua madre e  punto' le iridi azzurre nelle sue - Ho detto che ho trovato gli assassini di papa'. Papa' e' morto, e tu non puoi abbandonarmi proprio ora che siamo ad un passo dalla verita'! Devi ascoltarmi mamma, lo devi fare!
Gli occhi di mrs Turner s'inumidirono, mentre con le dita aveva artigliato il cappotto del figlio - Com'e' possibile?
Il suo viso era come quello di una bambina a cui avevano raccontato una brutta storia. Cain non vide lucidita' nei suoi occhi, non trovo' la comprensione e la collaborazione che avrebbe voluto trovare in sua madre. Si passo' una mano sul volto stanco, impedendosi di scoppiare a piangere, appigliandosi all'immagine di quell'uomo che aveva scorto allo specchio di camera sua poche ore prima.

- Ho bisogno che tu ora venga con me, questo posto non e' sicuro al momento. C'e' un taxi qui fuori che ci aspetta - le disse, cercando di apparire risoluto - Mettiti le scarpe, io ti prendo il cappotto - le disse, spingendola dolcemente verso la scarpiera, accanto alla porta. Le mise fra le mani un paio di basse calosce per la neve - Fidati di me, mamma. Anche se ora ti sembra di non capire come stanno le cose, presto capirai.

Mrs. Turner si sedette lentamente su un panchettino imbottito, che serviva proprio per calzare le scarpe. Aveva un'aria ancora smarrita, come se nella sua testa i pensieri si rincorressero e le impedissero, dispettosi,  di farsi afferrare; apriva e chiudeva la bocca come per sussurrare qualcosa, e con la coda dell'occhio controllava i movimenti del figlio, come era solita fare quando lui era molto piccolo e raccattava qualsiasi oggetto dal pavimento.
Cain volse lo sguardo altrove, per non guardare sua madre che ora gli appariva come una pazza esaurita.
In quel momento voleva solo uscire da quella casa e tornare alla centrale di polizia, dalla ragazza.

Mentre aiutava sua madre ad alzarsi e ad infilarsi il cappotto, sentì l'accensione di un motore proprio davanti alla porta di casa; gli sembrava strano che il tassista si fosse gia' stufato di aspettarlo, ma per sicurezza aprì la porta di casa per dirgli di aspettare ancora un minuto.

Due sagome avevano appena preso a salire i tre scalini che rialzavano la casa dal marciapiede. Una donna con i capelli neri gli sorrise. Un sorriso freddo e asciutto come la lama di un coltello.












































  
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