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Autore: gemini    28/12/2011    4 recensioni
Patricia è morta. Ma nessuno a Villa Hutton, tantomeno il marito Oliver, sembra averla dimenticata. E' un brutto colpo per Kathleen, la nuova signora Hutton, giunta nella sua nuova casa piena di amore e di speranza. Dovrà invece affrontare una vita piena di difficoltà e di intrighi...una vita in cui avrà una parte importante anche il misterioso cameriere sudamericano Carlos...fino ad un'imprevedibile ed inaspettata scoperta...
Genere: Dark, Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlos Santana, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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PATRICIA, LA PRIMA MOGLIE
 
CAPITOLO DICIOTTESIMO
 
“Mia madre si chiamava….Maggie Hutton…”
Oliver, pallidissimo, fissava con gli occhi sgranati l’uomo che si trovava di fronte a lui…il suo fratellastro…quando avevo sentito Carlos pronunciare quelle parole, istintivamente mi ero portata una mano alla bocca…tutto sembrava ora così chiaro, ma al tempo stesso così folle, così assurdo. Carlos aveva scoperto chi era la sua vera madre e per quello, non per caso, si era trovato sulla spiaggia di Villa Hutton, dove la stessa Maggie lo aveva raccolto…aveva trascorso anni nella parte del domestico, sperando chissà, che magari sua madre lo riconoscesse e lo accogliesse nella sua vita come quello che lui desiderava essere, suo figlio, sangue del suo sangue…ma questo non era mai successo. Doveva essere enorme la frustrazione che Carlos aveva provato in quegli anni…trovarsi a pochi passi dalla donna che lo aveva messo al mondo e sapere di non contare nulla per lei…vedere Oliver crescere circondato dall’amore di sua madre, da agi e ricchezze che Carlos, nella sua vita miserabile trascorsa nella baracca, insieme a un padre che lo detestava e lo maltrattava, non aveva potuto nemmeno permettersi di sognare. L’odio e il rancore dovevano avergli annebbiato la mente…e spingerlo probabilmente a pensare che l’unico modo per avere giustizia fosse vendicarsi di Oliver, farlo soffrire terribilmente, come aveva sofferto lui per così tanto tempo…farlo sprofondare nella solitudine, colpendolo in quello che era il suo evidente punto debole…Patricia, l’amatissima moglie…e poi io…la speranza di una nuova vita dopo la tragedia che gliel’aveva portata via…
“Non ti credo”, disse freddamente Oliver, anche se io notavo che non riusciva a guardare il suo presunto fratellastro negli occhi e che la mano gli tremava impercettibilmente.
Carlos fece una risata di scherno. “Stai mentendo, caro fratello mio…lo capirebbe anche un cieco che in realtà mi credi, eccome. Se vuoi, però, possiamo sottoporci a un bel test del dna…pensa che scandalo sarebbe, se venisse fuori che la stimata e decantata signora Hutton aveva un figlio segreto…un cameriere, un sudamericano…una bella pubblicità per la tua nobile famiglia, non c’è che dire…come se non bastasse quella che ti creerà il ritorno della tua bella moglie…”
“Basta!”, gridò mio marito, stringendo i pugni e fissando Carlos con rabbia feroce. “Non ti permetto di offendere mia madre in questo modo!”
Nostra madre”, disse Carlos, facendo bene attenzione a sottolineare con la voce l’aggettivo nostra, “ha sacrificato suo figlio per vivere una vita tranquilla e agiata. Non si è mai nemmeno posta il problema di sapere se fossi vivo, se stessi bene…non ha mai cercato né me né mio padre. Quando mi ha incontrato sulla spiaggia non mi ha nemmeno riconosciuto…e io che mi illudevo che, vedendomi, avrebbe riconosciuto il richiamo del sangue e mi avrebbe preso con sé. Stupido…ero solo un ragazzino ingenuo. Quel giorno…passeggiavo sulla spiaggia sconvolto, riflettendo sulla verità che mi aveva appena rivelato mio padre…pensavo a  mia madre, che non mi aveva voluto, che mi aveva abbandonato per non rinunciare alle sue ricchezze, agli agi che la sua famiglia le garantiva e che mio padre non avrebbe mai potuto offrirle. Poi me la trovai davanti….stava passeggiando anche lei ed era bellissima…indossava un abito chiaro e aveva i capelli sciolti sulle spalle…quasi la scambiai per un angelo. Restai immobile, a malapena riuscivo a respirare. Era tutto ciò che avevo desiderato nella vita…lei…un suo sguardo, una sua carezza, un suo abbraccio. Per un momento pensai che quell’incontro fosse un segno del destino. Ero certo che lei mi avrebbe riconosciuto…che mi sarebbe corsa incontro e si sarebbe gettata ai miei piedi, chiedendomi perdono. Poi mi avrebbe portato a casa sua e presentato a tutti come suo figlio ed io sarei entrato a far parte della sua famiglia a testa alta. Mia madre mi avrebbe amato e avrebbe passato ogni giorno a dimostrarmi che non voleva abbandonarmi, che era stata tutta colpa di mio padre. Del resto chi, a vederla così bella, con quell’espressione così pura e innocente sul volto, avrebbe potuto accusarla di qualcosa di così orribile? Ai miei occhi di bambino, era sempre mio padre il mostro; lui, sempre ubriaco, violento, arrabbiato con se stesso e con il mondo intero. Lei…sembrava un angelo salvatore. La vidi sgranare gli occhi e accelerare il passo per raggiungermi. Ero sicuro, sicuro che mi avesse riconosciuto…anche se l’ultima volta che mi aveva visto ero solo un neonato. Mi sbagliavo…”. Carlos si passò la mano tra i capelli, con un’espressione di rabbia e dolore insieme che mi fece stringere il cuore per un istante. Oliver era sempre più pallido e sconvolto, ma non accennò a interromperlo. Patricia, seduta su una poltrona, piangeva in silenzio, il viso nascosto nella spalla di sua sorella. Tom mi venne vicino e mi strinse forte una mano, ma io quasi non me ne accorsi…tutta la mia attenzione era rivolta a Carlos e al suo terribile racconto.
“Poi lei mi si avvicinò e mi studiò con attenzione per qualche istante. Sentivo il cuore battere così forte che temevo potesse uscirmi dal petto da un momento all’altro. –Ehi ragazzino, ti sei smarrito?, mi disse infine. Rimasi talmente incredulo da non riuscire a rispondere. –Non ti ho mai visto da queste parti. Ti sei perduto?-, ripeté lei, ed io, pur nel mio stordimento, cominciai a rendermi conto del significato delle sue parole. Seppi che non mi aveva riconosciuto…non aveva capito che ero suo figlio. Qualcosa si spezzò dentro di me e non riuscii a trovare la forza per risponderle. Lei continuò a fissarmi, con quello sguardo dolce e quei suoi occhi così belli…ed io desiderai morire, sopraffatto dal dolore che la fine delle mie illusioni mi procurava. Fui tentato, per un attimo, di dirle tutta la verità…di presentarmi a lei come Demian Gutierrez, il figlio nato dal suo amore con Carlos Gutierrez, lo stalliere…il figlio che lei aveva rifiutato subito dopo la nascita. Ma mi mancò il coraggio…così mi limitati a guardarla. –Non puoi parlare?-, mi domandò lei dopo qualche istante di silenzio. Istintivamente annuii con il capo. Mi chiese se fossi orfano ed io risposi di sì, sempre senza aprire bocca. Rifiutai di parlare come se temessi che la mia voce potesse in qualche modo tradirmi. Poi non so cosa accadde. Forse ebbe compassione di me…forse una recondita parte della sua coscienza le parlò…fatto sta che mia madre mi disse di seguirla fino a Villa Hutton. Mentre camminavamo verso la sua casa, mi raccontò di sé e della sua famiglia. Mi disse che nella sua villa aveva molti domestici e che mi avrebbe istruito per diventare uno di loro. Volevo gridare no, correre via, andarmene il più lontano possibile da lei…ma la sua presenza era quasi ipnotizzante e in fondo, non avevo nulla da perdere. A casa mi aspettavano solo le botte di mio padre. Almeno a Villa Hutton sarei stato accanto a mia madre…ancora mi illudevo che un giorno avrebbe capito chi ero realmente. Per il momento, mi sarei impegnato con tutto me stesso per diventare ciò che lei desiderava che fossi. Un domestico: bravo, servile, ubbidiente. Mi affidò a Frank affinché mi insegnasse il mestiere e siccome non sapeva il mio nome, me ne diede uno lei: Carlos. Era quasi ironico che mi avesse dato il nome di mio padre…per me era un segno che in fondo, nel suo cuore, si ricordava di lui, di noi. Amai quel nome come non avevo mai amato il mio vero nome, per il solo fatto che me l’aveva dato lei. Per registrarmi inventò anche il cognome Santana, spiegandomi che le sembrava adatto a me e suonava bene con il mio nome. Amavo il suono di quel  nome…era come se fossi rinato una seconda volta. Mi impegnai ad ascoltare Frank e ad obbedire…lavorai sodo, più di qualunque altro servitore presente nella villa, perché non volevo deluderla. Tutto il mio tempo libero era dedicato ad osservare lei: era come un’ossessione per me. La spiavo in ogni momento della giornata, stando attento a non farmi vedere. Volevo imprimere nella mia mente ogni suo gesto, ogni sua espressione….cercare delle tracce, delle somiglianze che ci identificassero come madre e figlio. Scoprii che aveva la mia stessa risata. Che amava leggere e andare a cavallo. Che era dolce e affettuosa con suo marito, l’uomo che i genitori le avevano imposto al posto di mio padre. E soprattutto…scoprii che madre meravigliosa era con te, Oliver. Stavate sempre insieme. Giocavate, passeggiavate, facevate lunghe chiacchierate sulla spiaggia, andavate a cavallo insieme. Vivevate in simbiosi. Nei vostri volti leggevo inciso l’amore reciproco…e ogni volta che vi osservavo, sentivo il mio cuore sanguinare dolorosamente. Non potevo guardarvi senza desiderare per me gli sguardi, le carezze, i buffetti affettuosi e gli abbracci che nostra madre ti riservava…senza desiderare di poter passeggiare con lei sulla spiaggia, ammirare il tramonto…anche solo parlare, sentire il suono della sua voce mentre mi diceva che mi voleva bene, chiamarla finalmente mamma…Ma tutto questo era tuo, solo ed esclusivamente tuo. Lei era buona con me, era gentile, generosa. Spesso mi domandava se mi trovassi bene. Mi faceva dei piccoli regali per ricompensare la mia buona condotta. Ma per lei ero solamente un domestico…il sentimento più forte che nutriva nei miei confronti era la pietà. Una parte di me desiderava andarsene, per non vivere più quel tormento quotidiano…l’altra invece era talmente ossessionata da lei da non riuscire a concepire nemmeno il pensiero di non vederla più. Ormai la mia vita era stare lì, accanto a lei…come un’ombra. E così passarono gli anni…fino a quel giorno di cinque anni fa….”
“Stai parlando dell’incidente di mia madre?”, domandò Oliver con voce di pietra.
Carlos annuì. “Quel giorno Frank non c’era, così fui io ad accompagnarla al maneggio. Lei uscì col suo cavallo per la consueta passeggiata ed io rimasi ad attenderla. Ero seduto su una panchina, quando mi si avvicinò un uomo completamente coperto di stracci e dal fiato puzzolente. Impiegai alcuni secondi prima di capire che si trattava di mio padre. Lui fu più veloce di me a riconoscermi…era ubriaco fradicio, come quando ero fuggito di casa tanti anni prima, e cominciò a ridere appena mi vide. –Ma guarda, chi si rivede, il mio caro figliolo! Pensavo che fossi morto!-mi apostrofò. Ero disgustato dalla sua vista e preoccupato per il fatto che lei potesse rientrare dalla passeggiata e vederlo. –Bene, continua a fare come se lo fossi-, gli risposi. Ma lui era completamente fuori di sé e la mia risposta lo fece inalberare. –Ah certo! Come se non sapessi dove vivi ora…lì alla villa…a fare il cameriere alla donna che ti ha messo al mondo e al tuo dolce fratellino privilegiato! Dimmi…ti tratta bene almeno la mammina? Meglio del tuo schifoso padre alcolizzato, vero? – Lo afferrai con furia per il bavero della camicia sudicia che indossava. –Smettila! Non sei degno neanche di nominarla-. Mio padre scoppiò a ridere. –Ma certo…io sono feccia, lei invece una gran signora. Peccato che ti tratti come un servo e non come un figlio. No…lei ha solo un figlio, il suo prezioso Oliver…e a te, piccolo bastardo, ti tiene per lucidargli le scarpe e pulirgli il sedere…-. Le sue parole mi fecero male, perché corrispondevano alla verità…anche se lei era stata sempre gentile con me, mi aveva sempre trattato come un domestico e mai come un figlio, c’era una differenza abissale tra me e te, caro Oliver. Ma non sopportavo di udire queste parole da mio padre, non dopo quello che mi aveva fatto passare durante la mia infanzia. Così lo colpii con un pugno e lo feci cadere a terra. Lui si rialzò, pulendosi la bocca dal sangue e guardandomi con occhi fiammeggianti d’ira. Pensai che mi avrebbe colpito a sua volta…quando lo vidi distorcere le labbra in un ghigno fissando in una direzione alle mie spalle…mi voltai e con orrore vidi che lei stava rientrando dalla sua passeggiata. Teneva per le redini il suo cavallo e camminava con la stessa andatura tranquilla e aggraziata di quando la incontrai per la prima volta sulla spiaggia. Non scorderò mai quest’immagine finché avrò vita.
-Ehi, Maggie! E’ un secolo che non ci vediamo!-, la salutò bruscamente mio padre, avvicinandosi a lei barcollando. La vidi irrigidirsi e fermarsi, con il cavallo che sbuffava leggermente. –Mi scusi, non credo di conoscerla-, rispose altera e fece per oltrepassarlo, ma mio padre le afferrò un braccio. –Forse è passato troppo tempo…tu sei bella come allora, sono io ad essere ridotto un po’ male…ma non ci credo che non riconosci il tuo Carlos…Carlos Gutierrez-. Lei impallidì. Lo scrutò per un istante, come se stentasse a riconoscere in quell’uomo coperto di stracci e palesemente ubriaco colui che aveva amato così disperatamente. Poi sul suo viso apparve un’espressione carica di dolce commiserazione. –Perdonami Carlos, non ti avevo proprio riconosciuto. Come stai?-, gli chiese,
 sforzandosi di essere gentile malgrado l’istintiva ripugnanza che avvertiva in quel momento nei suoi confronti.
Io volevo avvicinarmi per cacciarlo, gridargli di lasciarla in pace e andarsene, ma non potevo rischiare di tradirmi…lei avrebbe scoperto che non ero muto come aveva creduto da anni, mi avrebbe cacciato dalla villa e io non avrei potuto rivederla mai più.
Mio padre scoppiò a riderle in faccia; una risata amara, cattiva, carica di disprezzo. –Sto come mi vedi, amore mio. Ma non mi chiedi di nostro figlio? Non vuoi sapere come sta il nostro piccolo Demian?-. Lei divenne ancora più pallida. Per un attimo guardò verso di me, nervosamente, poi abbassò lo sguardo mordendosi le labbra.
-Ma forse tu lo sai meglio di me, Maggie, dato che vive in casa tua da molti anni…-, disse mio padre con una nota di perfidia che non avevo mai udito nella sua voce.
-Smettila!-, non riuscii a resistere e  mi scagliai contro mio padre, spingendolo di nuovo a terra. Poi mi voltai istintivamente verso di lei, ma non c’era cenno di sorpresa sul suo volto pallido.
Per un attimo sentii i pensieri girarmi vorticosamente nella testa, poi i pezzi del puzzle parvero incastrarsi perfettamente al loro posto e compresi…compresi che lei aveva sempre saputo…sapeva che io potevo parlare…e soprattutto, sapeva che in realtà ero Demian, suo figlio. Avevo capito ma non volevo accettarlo. Volevo che lei mi smentisse…che mi dicesse che non sapeva nulla e che mi buttasse le braccia al collo, chiamandomi finalmente figlio.
-Tu…tu lo sapevi?-, le domandai, tremando da capo a piedi.
Lei rimase immobile e in silenzio per qualche istante, poi annuì, mentre una scia di lacrime cominciava a solcarle il volto.
-Lo hai sempre saputo?-, proseguii incredulo, mentre sentivo che la rabbia e il dolore stavano per prendere il sopravvento su quel briciolo di razionalità che mi restava.
Lei annuì nuovamente e fece un passo verso di me, mentre mio padre si rialzava e si allontanava ridendo di me, della mia ingenuità, delle mie sciocche illusioni.
-Quindi…quel giorno sulla spiaggia mi hai riconosciuto?-
Lei rimase per qualche istante in silenzio. –Non ero sicura…ho pensato subito che si trattasse di te…è anche per questo che ti ho voluto condurre a casa mia…poi osservandoti giorno per giorno ho avuto la conferma…ho riconosciuto la voglia che avevi sul braccio, identica a quella del piccolo che avevo partorito…e ho saputo con certezza che eri mio figlio- Tese una mano come per accarezzarmi, ma io mi scostai bruscamente. Avevo desiderato quella carezza per anni…ora non sapevo più che cosa desideravo. Scoprire che mia madre aveva sempre saputo chi ero realmente e non aveva mai fatto nulla era il peggiore dei tradimenti, la più orribile delle menzogne.
-Allora perché…se hai capito chi ero…perché hai taciuto per tutti questi anni?-, le domandai, sconvolto dal rancore e dalla disperazione.
-Per lo stesso motivo per cui tu non hai mai voluto parlare, anzi, hai finto di essere muto. Per paura, Carlos. Avevo paura di te… ma soprattutto avevo paura di me stessa. Credimi, il rimorso per averti abbandonato non mi dava pace già da molto prima che ti incontrassi. Quando ti ho visto, ha come preso il sopravvento. Era evidente che la mia mancanza aveva distrutto la tua infanzia…che tuo padre non era stato in grado di occuparsi di te come speravo. Non sapevo che fare…e poi c’era la mia famiglia…mio marito…Oliver…loro non sapevano nulla della tua esistenza, dei miei sbagli. Avevo paura che non mi avrebbero perdonato. Avevo paura di leggere l’odio negli occhi di mio figlio, quando avesse scoperto che la mamma che tanto adorava era stata capace…di abbandonare un figlio innocente nato solo da poche ore…-, la voce le si ruppe e scoppiò in singhiozzi. Eppure quel pianto, anziché addolorarmi, mi causava solo altra rabbia, altra frustrazione. E poi tu, Oliver…c’eri sempre tu in cima ai suoi pensieri…solo tu…io non contavo niente….nemmeno il rimorso di mia madre era mio…lei provava rimorso per te, per la delusione che ti avrebbe dato…mi sentii come se mi avesse rinnegato per la seconda volta.
-Tutti questi anni…ho sperato in un cenno che mi facesse capire che mi avevi riconosciuto…ho passato la vita a guardarti da lontano, a fare da servo a te e alla tua famiglia, aspettando…non lo so cosa aspettavo. Volevo solo stare vicino a te. Ero pronto a giustificare quello che avevi fatto…ti difendevo, cercando di convincermi che non potevi sapere chi ero…invece mi hai sempre mentito…sapevi che ero tuo figlio, eppure hai continuato a trattarmi come un servo, un pezzente…-
Lei alzò su di me gli occhi velati di lacrime. –Sono stata egoista, lo so. Anche a me bastava averti vicino…sapere che stavi bene, che eri al sicuro…avevi da dormire e da mangiare. Qualcosa nei tuoi occhi mi diceva…che sapevi di essere mio figlio, ma ho fatto finta di non vedere, di non capire. Sono stata egoista e anche vigliacca. Ma non è vero che non ti ho amato…Rinunciare a te è stata la cosa più difficile della mia vita…ma ero giovane, debilitata da una gravidanza difficile…non avevo la forza di combattere contro i miei genitori e ho voluto convincermi che tuo padre sarebbe stato in grado di prendersi cura di te anche da solo. Vederti quel giorno sulla spiaggia è stata la riprova di tutti i miei errori…Carlos…-, allungò di nuovo la mano verso di me, per toccarmi, ed io…io non volevo farle del male…ma ero arrabbiato, disperato, deluso…ero fuori di me…volevo solo che lei mi stesse lontana, che non mi toccasse…fu un gesto istintivo…la spinsi via con troppa violenza…lei perse l’equilibrio…e cadde…”. Carlos si prese la testa tra le mani, come se il ricordo di quegli istanti fosse troppo difficile da sostenere. “ Mi accorsi troppo tardi di…di quello che avevo fatto. Lei finì per terra e batté la testa. Quando la vidi esanime sul selciato…pensai che fosse morta e che anche il mio cuore avrebbe smesso di battere. Mi chinai, scuotendola lievemente, ma lei non dava cenno di vita. La chiamai…per la prima volta nella vita, pronunciai il nome mamma, proprio quando lei non poteva sentirmi…mi accorsi che respirava ancora e cominciai ad accarezzarle i capelli, sempre chiamandola con dolcezza. Lei aprì gli occhi…tese una mano verso di me, mi accarezzò la guancia…e poi…”Oliver”…chiamò il tuo nome, Oliver. Di nuovo, ancora una volta, Oliver. Io non ero nessuno. Io non contavo niente. La riappoggiai in terra…per un attimo provai l’istinto di ucciderla con le mie mani, ma sapevo che non ne sarei stato capace…non sarei riuscito a fare del male a mia madre di mia volontà. La lasciai lì e me ne andai. Non mi ero accorto che il suo cavallo, spaventato dalla caduta e dalle mie grida, era fuggito verso il maneggio…mentre me ne andavo, vidi che dal maneggio diverse persone si stavano precipitando verso il luogo dell’incidente. Lei fu soccorsa…tutti pensarono che fosse caduta da cavallo ed io non feci nulla per smentire questa convinzione. Decisi che ciò che era accaduto doveva rimanere un segreto fra me e mia madre. Purtroppo…le conseguenze di quell’incidente furono terribili. Lei rimase invalida per sempre. E le volte successive che mi vide, prima di trasferirsi nella villetta isolata dov’è ora, non diede segno di ricordare ciò che era successo o di sapere che ero suo figlio. Io rimasi qui…a guardare te che la accudivi, che ti occupavi di lei…mentre lei ti amava ogni giorno di più. Il suo figlio prediletto…anzi, il suo unico figlio. Tu avevi avuto tutto…io avevo perduto anche quelle poche briciole, le illusioni che mi avevano accompagnato per anni. Mi era rimasta solo la certezza che mia madre non mi aveva mai desiderato come figlio, che mai aveva pensato di accogliermi nella sua vita come un tuo pari. Cominciai ad odiarti, Oliver, profondamente e ferocemente. Con tutte le mie forze, come non avevo mai odiato nemmeno mio padre quando mi picchiava e mi umiliava. Decisi che un giorno avrei trovato il modo di fartela pagare. Quel giorno arrivò quando incontrai Patricia sulla spiaggia e tutta questa storia ebbe inizio. Ecco, ora lo sai, caro fratellino…ora sai chi sono e perché ho fatto tutto questo…spero che sarai soddisfatto…”.
 
FINE CAPITOLO DICIOTTESIMO
  
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