Anime & Manga > No. 6
Segui la storia  |       
Autore: Annamirka    29/12/2011    1 recensioni
"Me o No.6, quale scegli?"
Cosa sarebbe successo se Sion e Nezumi non avessero avuto l'obbiettivo comune di infiltrarsi nel Penitenziario per salvare Safu? Se Safu non fosse mai stata rapita? Se Nezumi avesse messo Sion alle strette una volta per tutte affinchè prendesse la sua decisione?
Se No.6 avesse proseguito con il recupero del loro campione vivo in fuga, come era stato detto... Se...
Nezumi è l'unico in grado di fermare Elyurias. La furia della divinità dalla forma di vespa è più irrefrenabile e incontrollabile che mai.
Se scoperto il passato di Nezumi, Sion trovasse un modo per ottenere gli stessi poteri di Nezumi? Se potesse ottenere il suo stesso legame con Elyurias?
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

N.d.A:Questa fanfiction è nata in seguito all'interrogativo "Cosa sarebbe successo se Safu non fosse mai stata rapita?" e di lì ho iniziato a svilupparne la trama, come una specie di gioco. Una cosa che mi sono divertita a fare è stato tagliare e ricucire pezzi di dialoghi o scene che avvengono dopo il rapimento di Safu, in modo da adattarli a questa storia. Premetto che ho in mente qualcosa di abbastanza lungo. Ho già tutta la trama.

La storia ha inizio dalla discussione tra Nezumi e Sion in cui Nezumi gli ordina di scegliere tra lui e No.6. Ho cercato di seguire in modo accurato la novel. Il pezzo in questione fa parte del 10 capitolo, (o 5o capitolo del 2o libro, se qualcuno fosse interessato alla lettura può trovare il link della traduzione della novel nel mio profilo) .

Riguardo la scelta di Sion/Shion, sono corretti entrambi ma uso Sion per abitudine mia, non vogliatemene.

Seguendo il canon della novel, vorrei fare presente che ci sono alcune differenze rispetto all'anime:

· Nezumi ha capelli più corti, anche se faccio io stessa fatica a descriverlo o immaginarlo. Ed anche il suo carattere è più aggressivo e pessimistico, potrei dire.

· L'aspetto di Sion è differente: la cicatrice non arriva fino alla guancia ma si ferma al collo, i suoi occhi sono lilla (colore del fiore Shion, ovvero l'Aster) e non rossi. Ha un carattere molto differente, e in certi versi più inquietante di quello della novel. Dunque non dovete meravigliarvi se capita che risponda a Nezumi per le rime o ci siano momenti in cui Nezumi ha paura di lui, perchè non è mia invenzione...

· Alcuni eventi che nell'anime sono avvenuti, qui non lo sono: l'anime ha invertito l'ordine di diverse scene, tra cui ad esempio la scena in cui ballano, o quando Inukashi fa attaccare Nezumi dai cani, o ancora la scena in cui Sion vede Eve [p-s- Eve penso di tenerla per esigenze di "copione", lo so che prima dico di volermi attenere alla novel poi cambio, ma mi serve XD]. Ho tolto tutto ciò che è post-rapimento di Safu. In realtà Inukashi propone il lavoro a Sion subito dopo la discussione da cui comincia questa fanfiction ma ho spostato anche quello. (Avevo bisogno di far rimanere Sion a casa a pensare, o non mi poteva partire la trama...).

· Riguardo Elyurias... molte informazioni sono reali, altre sono frutto della mia fantasia. Cantori e letto della divinità sono vere, si tratta di informazioni fornite nella novel tra il 6° (quando incontrano il vecchio) e il 9 volume (Informazioni contenute nel Chip). Mia invenzione sono: il tempio, il personaggio di Eve, il ruolo degli Sciamani e la natura di Elyurias (l'ho cambiata un po', ma non voglio anticipare nulla).

 

P.s. Ammetto di avere alcuni dubbi a proposito della prima parte di questo capitolo. Il capitolo è lungo e metà è costituito da pensieri di Sion riguardo la loro conversazione. Ciò nonostante è necessario per far partire il tutto, a mio parere. Spero non vi annoierete a leggerlo. Adoro Sion e a volte sono troppo prolissa con lui, me ne rendo conto...

Il titolo del capitolo, BEHIND COUNTLESS DESIRES, viene direttamente da uno dei capitoli della novel. Ho intenzione di utilizzare gli stessi, perchè è come se riscrivessi la storia a modo mio. (Non ho alcuna pretesa di essere all'altezza della Asano-sensei ovviamente, è solo un tentativo divertente il mio ><)

 

 

 

 

-Capitolo 1-

Behind Countless Desires

* * * * * * * * * * * *

 

La porta si chiuse con un rumore sordo, e la stanza rimase completamente avvolta nel silenzio. Sion sospirò, continuando a fissare la porta oltre la quale era da qualche attimo scomparsa la schiena di Nezumi.

 

Non ho ancora perso la speranza, Nezumi....

 

Si sedette sulla sedia, poggiando la testa contro lo schienale e chiudendo gli occhi. La discussione appena avuta con l'altro lo aveva mentalmente sfinito, e le parole di Nezumi continuavano a rimbombargli nelle orecchie e nel cuore.

 

Io o No.6. Quale delle due scegli?

 

Sapeva da sempre che quel momento sarebbe arrivato prima o poi, ma anche così faceva male. Perchè Nezumi non riusciva a credere in lui?

So che non diverrei mai tuo nemico. Mai. Non importa cosa accadrà, anche se dovesse costarmi la vita, resterei dalla tua parte. Sempre.

...solo belle parole, hai detto....?” Sospirò nuovamente.

Questa volta le parole dell'altro erano suonate incredibilmente serie ed amare. Nella voce dell'altro non aveva percepito alcun tono scherzoso mentre gli diceva che un giorno sarebbero diventati nemici... Nezumi lo pensava davvero.

 

"Perchè odi così tanto No.6....?"

Sapeva che restare fermo a rimuginarci su era inutile. Non avrebbe potuto ottenere risposta, se non dalle parole dello stesso Nezumi. Non era una conoscenza ottenibile attraverso un libro, una nozione acquisibile con lo studio. Si trattava di risposte che solo Nezumi avrebbe potuto fornirgli.

 

"La chiave della comprensione umana è racchiusa nei dati" questo era quello che si era sentito ripetere per tutta la vita all'interno di No.6.

Il corpo umano è composto da pressappoco 32,000 geni; approssimativamente 100,000 tipi di proteine; 300 milioni di sequenze base del DNA; neuroni; fibre di collagene; macrofagi; la struttura stratificata di un muscolo; la quantità totale del sangue in circolazione.

Conosceva bene tutto questo, eppure riteneva che nessuna di queste informazioni fosse utile per comprendere un uomo. Aveva sempre avuto la sensazione che l'animo umano fosse qualcosa di molto più complicato e complesso da poter essere ridotto a semplici numeri. Comprendere un essere umano era una dimensione interamente differente. Era qualcosa che Sion aveva imparato dai suoi giorni vissuti con Nezumi in questa terra.

Il DNA non avrebbe mai mostrato il cuore di una persona.

 

Aveva sempre provato un certo disagio verso alcuni degli insegnamenti che la Città Santa riteneva importante divenissero pensiero comune tra i suoi cittadini.

 

Diverse volte si era guardato intorno, chiedendosi se quello che era insegnato loro a credere, desiderare, sognare fosse giusto. Se la vita che trascorreva in No.6, -la stessa, identica vita uguale per ogni cittadino che conosceva,- fosse un modo di vivere autentico, reale. Si era sentito soffocare, per lungo tempo. Anche se non comprendeva il motivo di tale disagio, non riusciva a porre freno al suo animo che si agitava inquieto. In alcuni momenti poteva sentire una voce quasi sconosciuta urlare dentro di sé.

 

È tutta una facciata.
Qui, puoi ottenere tutto.
Ma puoi dire di stringere qualcosa di davvero tuo tra le mani?
Questa non è la vita che desideri.
Allora scappa.



Infrangila! Distruggila!
Distruggere cosa?
Tutto.

Tutto?

 

Un disagio che aveva compreso a pieno solo la notte del suo dodicesimo compleanno. Una notte in cui il vento batteva forte contro la sua finestra e il mondo all'esterno urlava in preda ad una frenesia pari a quella che si agitava nel suo cuore.

Quella notte, dalla sua finestra aperta, aveva lasciato entrare il vento ed uscire tutta la sua angoscia, la sua inquietudine, in un grido che non avrebbe mai dovuto raggiungere orecchio umano.

 

Eppure quel grido era stato ascoltato e, come il faro che guida la nave al sicuro nel porto durante la tempesta, il suo grido aveva guidato il cambiamento, perchè approdasse con sicurezza nella sua vita. La sua voce, attraverso il vento e la pioggia, aveva raggiunto la persona che avrebbe capovolto radicalmente la sua intera esistenza, e l'aveva invitata ad entrare attraverso quella finestra.

 

Un miracolo, lo aveva definito Nezumi.

 

In realtà lo era stato anche per lui.

 

Quella notte erano stati salvati entrambi.

 

Lui aveva salvato Nezumi dal freddo, dal sangue, da una morte umiliante ed insensata, da una ferita da arma da fuoco, sotto la pioggia gelida e scrosciante nel quartiere residenziale di Cronos.

 

E Nezumi aveva salvato Sion. Aveva salvato la sua anima, impedendogli di vivere solo a metà, in una vita falsa e artificiale. Nezumi gli aveva insegnato ad appropriarsi della sua anima, a non sottometterla a nessuno, a reclamarla come propria e tenerla stretta a sé, con le unghie e con i denti. Lo aveva messo davanti alla realtà, trascinandolo fuori da quella fittizia perfezione, dalla falsa utopia che lo teneva imprigionato come un uccellino in gabbia, e gli aveva mostrato la vera realtà nella sua durezza e nella sua crudele ironia. Aveva conosciuto la sofferenza e la fame. E il significato di combattere per la propria vita e i propri ideali.

 

Ma la realtà che gli era stata mostrata non era solo un mondo spietato e crudele. Oltre la sua crudeltà, aveva scoperto l'amore per la vita. Aveva scoperto di possedere delle emozioni, dei desideri, dei sogni. Una infinita gamma di emozioni che No.6 aveva celato alla sua vista, al suo udito.

 

Cosa desiderare. Cosa sperare. Cosa sognare. No.6 aveva l'esclusiva sulla loro anima. Diceva loro cosa desiderare di imparare, suggeriva loro quali dovessero essere le aspettative nella vita di ognuno, o le sicurezze a cui ogni cittadino doveva aggrapparsi per andare avanti. Fin da bambino, il cittadino doveva vivere in funzione della sua città.

L'esame a cui veniva sottoposto ogni bambino nei due anni di età era il primo passo con cui quella città si impossessava della vita del suo cittadino. Etichettandolo, schiavizzandolo, relegandolo tra una delle sue caste.

 

Nessuno faceva domande, nessuno si fermava a riflettere, o ponderare. Nella Città Santa, nella città utopica, il cittadino doveva essere felice - non poteva non essere felice, - il contrario non era ammesso.

 

Anche le persone in punto di morte erano libere dai dolori e dalla sofferenza della morte, e avevano la fortuna di morire con una espressione di serenità in volto. Qualunque cittadino sarebbe morto con un'espressione serena in volto, come se stesse facendo un sogno meraviglioso.

 

"Bastava cospargessi il suo viso con una sostanza chimica speciale e lo ricoprissi con questo apparato. E poi... avrebbe sorriso. Tutti lo facevano. Finivano tutti per sembrare come se stessero facendo un sogno meraviglioso."

 

Erano state le parole di Yamase-san, un attimo prima della sua morte...

 

No.6 sarebbe dovuta essere un utopia.

 

Eppure in un utopia, le persone dovrebbero essere felici. Ma la noia, il soffocamento, il senso di smarrimento... la perfezione di quell'ambiente gli aveva sempre messo addosso un senso di inquietudine...

 

"Siete stati tutti programmati a credere che questo ammasso fallato di menzogne sia una perfetta utopia."

 

Poi era arrivato Nezumi, ad aveva scoperto quale era la verità. Gli aveva detto apri gli occhi e guarda la realtà, ascoltala con le tue orecchie. E così aveva iniziato a vivere la sua vera vita, a stringere con le mani quella realtà, quell'individualità che No.6 gli aveva sempre negato. Aveva cominciato a scoprire il mondo esterno, così come la persona che si trovava dentro di lui. Nezumi gli aveva permesso di conoscere Sion.

Non conosceva ancora tutta la verità, aveva potuto graffiare solo la superficie della realtà del mondo, ma ormai non era più in grado di tornare al tempo in cui non sapeva nulla, al tempo in cui era ignorante e felice in quella vita fittizia. Non gli era possibile e non era nemmeno quello che desiderava.

 

Sion sospirò e si portò una mano sugli occhi. Ci stava pensando così tanto, che gli stava quasi venendo mal di testa.

 

Non credi che possa esserci una terza possibilità?


Terza possibilità? Stai solo cercando una via di fuga. Non hai idea di quante persone siano state sacrificate perché quella città potesse arrivare dove è ora. Non ne hai la minima idea ed è per questo che devi smetterla di tessere favolette in quel modo.

 

Aveva capito ormai che No.6 non era l'utopia che dicevano, anzi, lo aveva sempre saputo, così come gli aveva detto quattro anni fa, ma anche così non poteva arrendersi e lasciare che i cittadini morissero inutilmente, morissero in modo assurdo per quelle vespe parassite. Non poteva lasciare che le persone che amava, le persone con cui era cresciuto morissero senza fare nulla. Sapeva che quella città era falsa, che era No.6 la vera parassita, eppure non poteva arrendersi sui suoi cittadini.

 

Sion, quello che dici è assurdo. Ma quale 'terza possibilità? Quello che dici tu è impossibile da realizzare.

 


Tu dividi il mondo in dicotomie, Per te è tutto diviso in due... amore o odio. Amici o nemici. Fuori dalle mura, dentro le mura. E dici sempre che ne puoi scegliere uno solo. Invece di distruggere No.6, se la facessi scomparire?

 

Conciliare questo mondo, il vero mondo con le persone che si trovano dentro le mura. Sapeva che era qualcosa di difficile, e non era così sciocco da pensare che un cittadino comune, abituato ad una vita agiata e ad un senso di sicurezza falsamente costruito intorno a lui potesse accettare di adattarsi al mondo reale da un momento all'altro. Sapeva quanto era duro risvegliarsi da quel sogno perfetto, ma una volta avuto un assaggio di cosa significa toccare con mano la verità, possibile che un cittadino sceglierebbe di restare nella sua ignorante sicurezza?

Quando era stato buttato fuori da Cronos, aveva continuato a provare comunque un forte attaccamento all'ecologia, all'ambiente di apprendimento di primo livello, alla sua vita confortevole – ed abbastanza vergognosamente, persino agli encomi, alle parole di lode e incoraggiamento, agli sguardi di ammirazione di cui era al centro. Eppure nonostante questo, mai, in quei quattro anni di attesa, si era pentito di quello che aveva fatto quella notte. Diverse volte si era domandato cosa avrebbe fatto se avesse potuto far tornare il tempo a quel giorno, nel suo dodicesimo compleanno. Avrebbe chiamato la polizia? Avrebbe attivato il sistema d'allarme? La risposta era sempre 'no'. Anche se avesse avuto la possibilità di tornare a quella notte, avrebbe fatto la stessa cosa. Avrebbe accolto il vento e la pioggia, e quell'intruso che era arrivato con loro. Non aveva rimpianti su quello che aveva fatto. Se accettare Nezumi significava la sua stessa distruzione, allora avrebbe abbracciato la distruzione ancora e ancora. Da quella notte, altri uragani erano arrivati e passati. Ascoltando i mormorii eccitati delle foglie nel vento, Sion non provava alcun rimpianto, ma un senso di nostalgia. Un intenso desiderio di rivederlo nuovamente. Dopo la sua scomparsa il mattino seguente, non aveva saputo più nulla di lui. Se era vivo, se era riuscito a fuggire al sicuro, o se le autorità cittadine fossero riuscite a catturarlo. Per quattro anni non lo aveva saputo, domandandosi di lui, sospirando mentre guardava una tazza di cioccolata calda o fissava con nostalgia una fetta di torta alle ciliege, mentre guardava malinconico la pioggia fuori dalla finestra, sognando occhi grigi... fino al giorno in cui aveva rivisto quegli occhi grigi tra la folla, quando uno strano topolino si era arrampicato sulla sua spalla mentre camminava al fianco di Safu. A lungo aveva desiderato rivederlo, lo aveva desiderato così tanto da lanciarsi alla sua ricerca quasi in uno stato ipnotico, lasciando alla stazione quella sua cara amica che non avrebbe rivisto per due anni. Eppure non era riuscito a fermarsi, non era riuscito a trattenersi, si era ritrovato in balia dei suoi sentimenti, così intensi da fargli quasi paura, e aveva vagato - corso ansiosamente tra quelle strade dove persone e macchine camminavano insieme in modo uniforme, così ordinati, così perfetti, così fortemente in contrasto con il suo cuore che si agitava e batteva disordinato e frenetico nel suo petto in quel momento. A lungo aveva desiderato rivedere quegli occhi, con un'intensità così travolgente da dimenticare tutto il resto. Il disagio per aver perso il suo ruolo e il suo futuro, il rimpianto per quel corso di ecologia che tanto adorava, la tristezza per aver costretto sua madre ad abbandonare una vita di privilegi e comodità, e ritrovarsi a dover lavorare per mantenere entrambi. Era vero, sua madre aveva accettato gli eventi di quattro anni fa senza fargli domande, limitandosi ad abbracciarlo e rassicurarlo. Aveva risentito il calore di sua madre dopo tanto tempo, quel calore che sembrava quasi essersi intorpidito dalla loro vita in Cronos. Intorpidito, quasi come se la vita agitata a cui No.6 invitava i suoi cittadini ad ambire, fosse una vita capace di intorpidire le emozioni umane, il calore di una famiglia, i gesti d'affetto. Mai aveva sentito così forte la presenza di sua madre, come in quei quattro anni in cui avevano vissuto in Lost Town, lavorando ogni giorno duramente per guadagnare da vivere e per tenere unita la loro piccola famiglia. Era una sensazione meravigliosa, una sensazione che non avrebbe mai sostituito con i freddi privilegi di quella casa lussuosa in cui aveva vissuto per dieci anni. E credeva che anche gli altri cittadini avrebbero fatto la stessa scelta, una volta provato quel calore...


Queste sono solo belle parole, una fiaba irrealizzabile. Non è come mescolare dei colori, non puoi metterli insieme e crearne uno solo. Uno dei due dovrà distruggere l'altro, è l'unica soluzione. È quello che ha deciso il fato. Amore o odio, amici o nemici, quelli nelle mura e quelli fuori... ed io e te. Loro non potranno mai essere uno e nemmeno noi.

 

Le parole di Nezumi lo addoloravano, lo colpivano con un intensità ed una violenza da lasciarlo quasi senza respiro. Nezumi non diceva mai menzogne, diceva sempre quello che credeva davvero. E questa volta lo aveva detto con un tono che non ammetteva repliche. Non credeva che un cittadino di No.6 potesse scegliere la propria anima al torpore di quel falso confort e la falsa sicurezza in cui no.6 li teneva rinchiusi. Non conosceva bene i cuori delle persone, da poco aveva cominciato a capire come leggere il suo, ma almeno le persone che conosceva, le persone care che vivevano all'interno delle mura, era sicuro avrebbero compiuto la sua stessa scelta. Era convinto che i cuori delle persone, davanti ad un dilemma, avrebbero infine scelto la pace alla guerra, la musica e la letteratura alle armi, e l'amore all'odio. Non era una fantasia. Era la sua speranza.

Non lo saprai mai se non ci provi.

 

Voglio credere che ci sia una terza possibilità. Non mi importa se riderai di me, ma credo ancora che si possa realizzare.

 




Questa è la mia decisione.



Voglio trovare quella strada che non riesci ancora a vedere e potertela mostrare.



Sperava davvero di riuscire a trovare un modo. Un modo per permettere a chiunque di aprire gli occhi, un modo per dare ai cittadini del West Block una vita più dignitosa. Un modo per impedire a No.6 di continuare a fare del male a chi si trovava fuori così come alle persone che proclamava di proteggere. Aveva assolutamente bisogno di trovare un modo, per la gente che viveva nelle mura, quelli che lo avevano visto crescere, così come per le persone con cui era venuto a contatto e a cui si era affezionato in questi pochi mesi in cui aveva vissuto fuori dalla città. Le persone che aveva visto in questo luogo, l'intensità con cui vivevano e si aggrappavano alla vita lo avevano lasciato a bocca aperta. Si trattava di qualcosa che mai aveva visto all'interno della città, una passione che non poteva fare a meno di ammirare. Ed anche lui aveva iniziato a provarla dentro di sé. Anche lui aveva cominciato a comprendere cosa significa provare attaccamento alla vita, il sollievo che si prova nel momento in cui ci si rende conto di essere sopravvissuti ancora un giorno. Lo aveva provato in prima persona, il giorno in cui era quasi morto a causa della vespa parassita.
"Voglio vivere" aveva detto, forse per la prima volta nella sua vita.
Quando Safu gli aveva chiesto quali erano i suoi sogni, lui non aveva saputo risponderle, eppure alla domanda di Nezumi, se si fosse pentito di essere sopravvissuto, non aveva esitato un momento.

Voglio vivere.

Una breve, semplice frase, ma che aveva spalancato le porte di un intero mondo davanti a lui. Un nuovo mondo, sconosciuto e meraviglioso, - e terrificante al tempo stesso - che lo lasciava ogni giorno con una sensazione di trepidazione ed eccitamento. Una curiosità verso quello che avrebbe visto, scoperto, letto, ascoltato, imparato ogni nuovo giorno.
Tutto così diverso da quel mondo che gli veniva messo passivamente davanti agli occhi in No.6, ogni giorno tutto uguale, ogni giorno così costante.
Aveva scoperto un nuovo mondo, e ne scopriva uno intero ogni volta che spostava i suoi occhi. Aveva scoperto il cielo stellato sulla sua testa, qualcosa che mai in No.6 si era soffermato a guardare. Aveva scoperto quanto meraviglioso potesse essere un cielo azzurro, limpido e sereno. Aveva scoperto la bellezza della letteratura. Il modo in cui lo faceva viaggiare con la fantasia restando seduto in quella piccola stanza piena solo di libri e di topolini. I vari, infiniti mondi che quei libri impolverati gli avevano fatto esplorare, così tanti eppure ancora così pochi in confronto a quelli che poteva ancora scoprire. E soprattutto aveva scoperto le sue emozioni. Un intero mondo che si trovava all'interno del suo cuore, e che sembrava agitarsi o fluttuare leggero ogni volta che due occhi grigi si posavano sui suoi. Tutti questi mondi gli erano stati mostrati da Nezumi, anche se il mondo che avrebbe voluto conoscere maggiormente, quel mondo chiamato Nezumi, restava ancora un mistero. Il mistero più grande e più prezioso che desiderava poter scoprire un giorno.






Ora basta. Un idealistico teoreta da salotto come te dovrebbe starsene tutto il giorno seduto qui sopra. Ignorare il mondo esterno e rimuginare su questo e quello dentro la sua testa. ”



Eppure Nezumi non voleva saperne nulla di tutto questo. Non pensava fosse possibile unire i due mondi, né desiderava dare ai cittadini di No.6 la possibilità di uscire fuori dalla loro gabbia. Sia che non si rendesse conto che fossero anche loro vittime, o che le accusasse di essere responsabili per la loro stessa ignoranza, come spesso aveva fatto con Sion, restava il fatto che Nezumi odiava la città e i suoi cittadini al punto da volerli vedere distrutti. Distrutti e in preda al panico, con le vespe parassite come portavoci della sua ira e del suo odio. Perché quell'odio? Perché così tanto odio?
Sion non lo capiva, Nezumi era diverso da tutte le persone che aveva incontrato nel West Block. Gli altri si limitavano passivamente a continuare a cercare di sopravvivere, biasimando No.6 per i loro problemi o non curandosi dell'esistenza della città. Rikiga come Inukashi, in nessuno dei due aveva mai visto ribollire un odio così profondo come quello che bruciava negli occhi di Nezumi ogni qual volta nominava la città, guardando il suo profilo che risplendeva nel tramonto. Lo stesso odio che vedeva in quegli occhi grigi, nei momenti in cui fissavano lui riuscendo a vedere solo l'incarnazione della città. La volte in cui lo colpiva o aggrediva riversando su di lui tutto l'odio e la crudeltà che serbava nei confronti della città.
Io non ho alcun rancore nei tuoi confronti, né tantomeno ti odio.”aveva detto Nezumi, il giorno in cui gli aveva detto di non fidarsi affatto delle sue parole. Gli occhi di Nezumi non mostravano mai emozioni, - quattro anni fa come adesso i suoi occhi grigi erano sempre calmi e tranquilli come le acque di un mare in una giornata priva di vento. Gli aveva detto di non odiarlo, eppure a volte, mentre lo guardavano, quegli occhi grigi diventavano freddi al punto da immobilizzarlo. Non poteva fare a meno di rabbrividire. Si chiedeva se Nezumi sarebbe mai stato capace di guardarlo senza vedere in lui la città che tanto odiava, un giorno. Faceva male... molto male....



Ma non posso restarmene in silenzio.

 

Devo parlarti, ascoltare la tua storia e trovare un modo per continuare a vivere insieme.

 

Faceva male essere guardato con odio. Mai in No.6 era successo che qualcuno lo guardasse con ostilità, o gli parlasse con scherno o disprezzo. Tutti i cittadini erano educati e pacati, nessuno avrebbe mai alzato la voce o cercato di danneggiare un altro. Nezumi era stata la prima persona che aveva visto agire in modo differente. Lo aveva scagliato contro un muro ad una velocità impressionante, non era riuscito nemmeno a scorgerne i movimenti. Gli aveva parlato in tono arrogante o derisorio, aveva parlato con odio verso la città, definendola falsa e ipocrita. Lo aveva immobilizzato in una velocità impressionante, minacciandolo con un cucchiaino che sapeva di torta alla ciliegia... e solleticandogli l'orecchio con un filo d'alito, gli aveva detto in un sussurro che se si fosse trattato di un coltello, in quel momento sarebbe già morto. Una agilità impressionante, una potenza e una vitalità irradiata da un corpo eppure così debole, e quegli occhi grigi che lo avevano rapito dal primo momento in cui avevano incrociato i suoi... mai aveva incontrato qualcuno come Nezumi.

 

Non voglio più vivere così.. .tapparmi le orecchie, tenere la bocca chiusa, e chiudere gli occhi.

 

Quell'odio era doloroso, ma ancor di più lo era la consapevolezza che Nezumi non riuscisse a fidarsi di lui.

Aveva deciso di vivere nel West Block, perchè riteneva importante poter vivere nello stesso mondo in cui viveva l'altro.

"Voglio vedere quello che tu vedi, mangiare quello che tu mangi, e respirare la stessa aria che respiri. Voglio stringere con queste mani quello che non sono mai stato in grado di avere in No.6." Gli aveva detto, ma Nezumi non aveva fiducia nelle sue parole. “Io non mi fido di te. Non mi fido di nulla di quello che dici. Sei una persona che ha vissuto in un'abbondanza artificiale da quando è nato. E abbastanza arrogante da essere capace di dire di poter gettar via facilmente quella fortuna. Le parole non sono qualcosa da poter usare casualmente. Ma infondo una cosa simile tu non la puoi sapere. Ecco perché non ho intenzione di fidarmi di te.” Eppure sentiva il bisogno di continuare a vivere con lui.

Sentiva il bisogno di starli vicino, non perchè No.6 o qualcuno glie lo avesse imposto, ma perchè era il suo cuore a suggerirglielo. Non sapeva cosa significasse, non aveva idea di cosa fossero quei sentimenti, l'unica cosa di cui era sicuro, era la loro autenticità. Esistevano ed erano reali. Aveva bisogno di Nezumi, desiderava restargli accanto, e in cuor suo sperava di essere accettato dall'altro, almeno un po'...

ma sembrava così difficile...

 

Un attimo prima lo trattava con gentilezza, consigliandogli un libro, parlando normalmente, scherzando, accarezzandogli i capelli – e un attimo dopo lo guardava con odio, come se faticasse a stento a non conficcargli uno dei suoi pugnali in pieno petto... era confuso e faceva male.

Eppure non poteva rinunciare. Era per questo che voleva sapere la verità. Conoscere la causa di tanto astio, un odio che sembrava quasi logorarlo ogni momento.

Nezumi non doveva aver vissuto una vita facile. Non sapeva nulla di lui, se non che lo aveva salvato quattro anni prima da una ferita d'arma da fuoco; odiava profondamente No.6; era un VC in fuga; - fuggito dal dipartimento di Sicurezza mentre veniva scortato dal Penitenziario al Moon Drop per una ragione che non aveva voluto dirgli; viveva in una casa piena di polvere, topi e libri; e faceva l'attore per vivere. Erano le uniche informazioni che possedeva su di lui, eppure una cosa gli era chiara: la sua vita non era stata affatto semplice.

Era per questo che voleva sapere. Desiderava trovare un modo per porre fine a quella battaglia che lo stava logorando. Avrebbe voluto mostrargli una strada, dirgli che non aveva più bisogno di combattere, puoi vivere in pace adesso. Probabilmente era il suo più grande desiderio. Cancellare la rabbia e la tristezza da quegli occhi grigi che non mostravano mai emozioni...

 

Sion sorrise.

 

Se mi sentisse ora direbbe che sono un illuso senza speranza, oltre ad un poeta fallito...

 

 

Nezumi, sei stato tu ad insegnarmelo.

Allontana le mani dalle orecchie, mi hai detto, apri la bocca e ordina ai tuoi occhi di vedere.

 

Queste sono state le tue parole.

 

E ora mi stai dicendo di stare zitto? Mi dici di non voler ascoltare?




Voglio trovare il modo di realizzare tutto questo. Non so come, non so nemmeno da dove partire, ma io credo che nemmeno tu desideri davvero la morte dei cittadini di no.6... a modo tuo, sei stato in grado di accettarmi, perchè ti sei reso conto che non sono il robot perfettamente programmato che no.6 si aspettava fossi... sono sicuro che molti altri come me si trovano dentro quelle mura...
Ed anche chi non riesce ad ascoltare la voce del proprio cuore, troppo ottenebrato dalle certezze che no.6 ha forzato in loro, sono sicuro che anche queste persone riusciranno a capire un giorno. Comprenderanno che la città in cui vivono non è un utopia, ma una dittatura che rende schiavi i cuori e gli animi delle persone. Si renderanno conto che siamo tutti uguali, dentro le mura così come fuori. Impareranno a distinguere la vera realtà. Sentiranno l'esigenza di capire e chiedere scusa, perchè siamo tutti responsabili per non aver chiesto, per non aver indagato, per aver accettato passivamente tutto quello che ci veniva detto. Questi sono i nostri errori, e non possiamo rinnegarli. Il primo passo per rimediare ad un errore sta proprio nel riconoscerlo. Ed io penso e spero che un giorno anche i residenti del West Block riusciranno a perdonarci... Ignoro cosa ti abbia fatto no.6, ma spero che anche tu riuscirai a perdonarla un giorno. Riuscirai a perdonare tutti noi...
E che arrivi finalmente il giorno in cui riuscirai a guardarmi negli occhi mettendo da parte il tuo rancore. Io sono dalla tua parte, lo sarò sempre, qualunque cosa accada. Vorrei solo lo comprendessi e che mi permettessi di avvicinarmi a te, almeno un po'...







 

Sion si alzò in piedi, stiracchiandosi. Quella era la sua decisione, e non si sarebbe lasciato scoraggiare. Avrebbe combattuto la sua battaglia, anche se non sapeva ancora quale sarebbe stata. Ma un giorno, armato della sua determinazione, sperava sarebbe riuscito a cambiare le cose.

Sorrise, sentendo una nuova energia scorrere dentro di sé. Sì, avrebbe mostrato quella strada a Nezumi, dicendogli fieramente "Come ti ho detto, riesco a vedere cose che a te sfuggono", gli avrebbe sorriso dolcemente e gli avrebbe detto "ora sei libero di vivere la tua vita come desideri". Non vedeva l'ora di poterlo fare, di vedere l'espressione che avranno quegli occhi grigi in quel momento. Sarà sorpreso? Incredulo? Mostrerà apertamente la sua felicità per una volta? Sarà sollevato? Commosso? Si sentirà smarrito?

 

Si... qualunque cosa farai, io resterò dalla tua parte, e ti mostrerò quella strada.

 

"Oook... basta pensare, è il momento di darsi da fare con qualcosa, ho bisogno di sgranchirmi un po' i muscoli." Sion si guardò intorno. Le sue giornate nell'attesa del ritorno di Nezumi erano lunghe, e tra una lettura e l'altra aveva terminato di mettere a posto tutti i libri nella stanza. Cosa poteva fare per passare un po' il tempo? Avrebbe potuto dedicarsi alla lettura, ma dopo il tanto pensare sentiva il bisogno di tenere mente e corpo occupati. Non gli restava che darsi alle pulizie. Se solo potesse trovare un lavoro qui nel West Block. Ma Nezumi gli aveva riso in faccia quando gli aveva chiesto se pensava avrebbe potuto trovare un lavoro da qualche parte. "Un lavoro? Tu? Un bocchan che in vita sua non ha mai mosso un muscolo per lavorare?" Gli aveva detto.

Ormai era diventato uno dei tormentoni di Nezumi. Ogni qual volta gli diceva che desiderava poter fare qualcosa di utile o costruttivo, Nezumi gli avrebbe risposto che un signorino che non sa nulla del mondo non ne sarebbe stato in grado. Anche quando si era offerto di mettere a posto i libri nella sua casa, aveva ricevuto la stessa risposta. Nezumi aveva lasciato la stanza, e dopo qualche secondo era rientrato passandogli un paio di guanti da lavoro. Nezumi era anche quel genere di persona, gentile ed attenta ai dettagli... Tutto questo lo confondeva così tanto...

Sion si guardò in giro nella stanza, ammirando la sua opera. Qualche libro era già fuori posto o giaceva sparpagliatamente sul letto. D'altronde era naturale, per come ogni sera finivano per rimanere a leggere per diverso tempo nel piccolo letto che condividevano, prima di spegnere la luce della lanterna ed augurarsi la buona notte.

Si avvicinò al letto e raccolse i pochi tomi sparsi al di sopra. Lanciò una veloce occhiata e li sistemò nello scaffale, ricordando l'ordine in cui erano sistemati.

Il suo sguardo ricadde sulla cassetta del pronto soccorso. Una delle cose che era riuscito a disseppellire dalla montagna di libri, insieme ad una pentola ed una coperta. Non male come bottino della sua caccia al tesoro. Nezumi gli aveva ordinato di non toccare nient'altro che i libri, poichè avrebbe potuto trovare un tesoro per davvero, e nemmeno lui era consapevole di cosa giacesse per davvero al di sotto della montagna di carta e polvere.

Sion sorrise al ricordo delle sue parole. Ricordava ancora la sensazione che aveva provato alla vista di quella cassetta di pronto soccorso, un oggetto che aveva visto per l'ultima volta in una notte tempestosa di quattro anni prima. I rumori di quella notte erano ancora vividi dentro le sue orecchie come nel suo cuore. La notte della tempesta in cui Nezumi era piombato nella sua stanza e nella sua vita. Era una memoria che gli scaldava il cuore con una sensazione dolce e sconosciuta. Non aveva mai incontrato nient'altro al mondo capace di fargli provare sensazioni simili. Solo quegli occhi, quella voce, il ricordo del battito del suo cuore sotto la sua mano, o il calore di quel corpo tra le sue braccia. Erano memorie che serbava nel cuore come un tesoro.

 

Ancora sorridendo, si guardò intorno. La stanza era perfettamente pulita ed in ordine. Poteva immaginare di vederne risplendere alcuni punti. Sorrise leggermente, e stiracchiò il collo.

"Ok, cosa faccio adesso? Nezumi non tornerà ancora per un paio d'ore..."

 

le parole di Nezumi gli tornarono alla mente.

 

Ma limitati a libri e scaffali, non toccare nient'altro

 

"Non è che ci sia molto altro oltre a libri e scaffali qui dentro”

 

"Come hai detto, potresti trovare un tesoro fantastico. A dire il vero, nemmeno io so cosa ci sia sotto quei libri”




Davvero, chissà cosa ci sarà nascosto qui sotto... e chissà quando avrà iniziato a vivere qui dentro, con i suoi topolini..



Sion si abbassò, prendendo tra le mani il piccolo topolino bianco che gli stava gironzolando intorno ai piedi.
"Il tuo padrone ha sempre vissuto solo qui da solo? Come ha trovato questo posto.... ci sono tante cose che vorrei chiedergli...."

 

 

 

Senza una particolare ragione, si ritrovò davanti alla piccola stanza accanto al bagno. Non vi era più entrato da quella volta... la sera in cui aveva scoperto la cicatrice sulla sua pelle ed i suoi capelli bianchi. La notte della sua rinascita.

Fece un passo avanti, fermandosi all'ingresso. Si poggiò contro lo stipite della porta, nella stessa posizione in cui aveva trovato Nezumi quella sera, quando si era voltato, attatto dalla sua voce improvvisa. Entrare nuovamente in quella piccola stanza lo metteva un po' in soggezione. Era come la ricordava, buia ed oscura anche illuminata dalla luce della lampada ad olio, con le sue pareti di legno che sembravano assorbire tutta la luce e il calore. Aveva sentito che in montagna usavano costruire case internamente rivestite in legno per trattenere il calore. Come'è che le chiamavano? Eppure questa stanza dove pareti e parquet erano rivestiti in vecchie e marcie tavole di legno, riusciva a ispirargli solo freddo. Avanzò di un passo, mentre il naso venne colpito dal fetore di legno marcio e segatura. Il lavoro dei tarli doveva essere in uno stadio avanzato. Sperava non passassero ad intaccare il resto della libreria e i libri della stanza principale. Uno specchio era affisso alla parete proprio come nella sua memoria, insieme a numerosi oggetti dalle diverse forme e dimensioni.

La sera in cui aveva messo piede per la prima volta in quella stanza, non si era fermato a guardare con attenzione cosa contenesse, così agitato e confuso a causa della sua scoperta e con una mente concentrata a comprendere cosa fosse accaduto al suo corpo. Sion si guardò intorno. Le pareti della stanza erano piene dei più disparati oggetti. Alcuni di essi, era sicuro di non averli mai visti prima di allora, dal vivo come in qualche libro.
Attraversò la stanza a bocca aperta, entusiasta dalla visione di numerosi oggetti a lui sconosciuti. Raggiunse la parete, fermandosi in piedi davanti ad essa. Gli sembrava di essere in un museo, anche se personalmente non ne aveva mai visitato uno. No.6 non aveva mai coltivato l'interesse per l'arte o per la storia passata.



C'erano pugnali; attrezzi che dovevano essere serviti per lavorare la terra, ma dubitava le terre del west block fossero ancora coltivabili... c'erano vecchie pentole di rame, alcune dal fondo bruciato; ferri di cavallo; pale che sembravano attrezzi da camino ed altri oggetti di ferro o di legno.
Nell'angolo si trovava lo specchio che gli aveva presentato il conto della sua sopravvivenza nella battaglia per la vita contro la vespa parassita. Ricordava ancora i volti di quei bambini. Gli occhi terrorizzati mentre gridavano "Un serpente", indicandolo con manine tremanti, per poi riscendere la collina con una corsa su piedi incerti. Il ricordo di quelle voci era scolpito nella sua memoria e dubitava si sarebbe mai affievolito. Eppure nonostante quegli sguardi, nonostante qualcuno lo avesse guardato come se fosse stato un mostro o un deforme, anche così non provava rimpianto per essere sopravvissuto.
Anche così cambiato nell'aspetto, così diverso da chiedersi se sua madre sarebbe stata in grado di riconoscere il suo bambino, non poteva rinunciare all'amore per la vita. Assolutamente.
Era vero, questo aspetto gli creava problemi ed attirava sguardi indiscreti ovunque andasse, eppure riteneva fosse il simbolo della sua vittoria per la vita. Era convinto di doverlo indossare con fierezza, di avere il dovere di girare a testa alta sotto gli sguardi delle persone.
Sion si avvicinò allo specchio, posando una mano sulla sua immagine riflessa. Alla tenue luce della fiamma della candela, i suoi capelli bianchi rimandavano dei bagliori rossastri, così diversi e sconosciuti, rispetto a quei capelli castani a cui si era abituato per tutta la sua vita.
Eppure sono vivo... ho vinto.... Questi capelli e questa cicatrice non sono altro che medaglie al valore.

 

 

La voce di Nezumi si fece strada nelle sue orecchie. “A guardarli bene sono molto belli. E poi... un serpente rosso avvolto intorno al corpo... Piuttosto attraente, direi.” Al ricordo di quelle parole, Sion sentì le guance andargli al fuoco. Scosse la testa cercando di costringere il battito del suo cuore a decellerare, e cercando di scacciare il ricordo del dito di Nezumi che gli tracciava la cicatrice sul petto.

Si voltò di spalle, intenzionato a lasciare la stanza. "A quanto pare non c'è nulla che io possa fare nemmeno qui..."

 

Cominciò a camminare verso la porta, quando il suo piede inciampò contro qualcosa, finendo rovinosamente a terra.
Si massaggiò la testa al solo pensiero della botta che era stato sul punto di dare contro la parete, e si tirò a sedere a terra, lì dove si trovava.

Nezumi aveva ragione, se continuava a camminare con la testa tra le nuvole, prima o poi sarebbe finito per inciampare sull'aria stessa. Sorridendo, guardò a terra in direzione del presunto colpevole della sua caduta, aspettandosi di non trovare nulla, ma con sua sorpresa notò una trave di legno visibilmente rialzata. Non c'era da sorprendersi, visto il legno logoro e rovinato del parquet.

Baite, ecco come si chiamavano quelle case rivestite in legno. Lo aveva letto in un libro. Neve, montagne, baite e vette innevate. Sorrise. Era vero, da quando viveva in questa piccola stanza traboccante di libri aveva avuto occasione di conoscere e incontrare molte più terre, persone e realtà che avrebbe mai potuto incontrare in un intera vita di viaggi.

Questo era il potere dei libri, dell'abbandonarsi alla fantasia.

 

Tastò il legno colpevole della sua rovinosa caduta, e notò che la trave si muoveva in modo instabile. Nezumi probabilmente lo avrebbe preso in giro, dicendo qualcosa tipo "Non ti accontentavi di vivere alle mie spalle dando fondo alle mie finanze, dovevi distruggere anche il mio pregiatissimo parquet."




Ridacchiò divertito, posando le mani a terra per darsi una spinta per alzarsi, quando le parole di Nezumi gli tornarono alla mente.

 

Potresti trovare un tesoro fantastico. A dire il vero, nemmeno io so cosa ci sia esattamente lì sotto.”



 

Guardò la trave per qualche secondo, pensieroso. Su entrambi i lati consumati, una piccola fessura separava la trave dal resto del pavimento, molto più ampia della distanza che separava tutte le altre travi che componevano il parquet. Posò con cautela la mano ai lati della trave, provando ad infilare un dito in mezzo ai due pezzi di legno. Lo spazio non era abbastanza ampio per passarci le dita, ma un ferro di quelli appesi alla parete...

Si alzò in piedi, avvicinandosi alla parete, e delicatamente sollevò tra le mani la pala da camino, facendo attenzione a non far staccare il supporto che la teneva collegata alla parete – il pavimento era stato un incidente, ma far staccare un supporto di proposito, "Non ti bastava il parquet, dovevi anche sconvolgere i complementi d'arredo che avevo appeso con tanta cura!". Sion sorrise alle parole di Nezumi nella sua testa, e tornò alla trave reggendo il ferro tra le mani. Non sapeva perchè ma nel suo animo provava eccitazione, come un bambino che sta per fare qualcosa di nascosto da un genitore. Sembrava come una di quelle botole segrete in cui i pirati nascondono i loro tesori, come aveva letto in quel libro. Eheh, se lo avesse visto Nezumi in quel momento gli avrebbe dato del pazzo. Ma non poteva evitarlo, quella sensazione così nuova, la scoperta di qualcosa di sconosciuto... sembrava non ne avrebbe avuto mai abbastanza.

Si accovacciò davanti alla trave sospetta. Era più logorata delle altre, e sembrava incastrata in uno strano modo, quasi fosse stata rimossa con oggetti trovati a caso e reincastrata in un secondo momento. Gli angoli erano scheggiati e mal tagliati, al contrario delle restanti tavole che, più o meno ugualmente marce, presentavano contorni più lisci e netti. Infilò con attenzione il manico di ferro nella fessura tra una trave e l'altra, e usando le sue mani come perno, abbassò lentamente il manico, che come una leva sollevò la trave scricchiolante. Gli occhi di Sion si riempirono di meraviglia. Era incredibile, al di sotto della trave si trovava davvero una piccola botola, grande almeno trenta centimetri. Sembrava scavata nel tufo al di sotto, probabilmente con gli stessi attrezzi della stanza. Chissà, forse era stato lo stesso Nezumi a scavarla. Forse era la sua cassaforte, o ci aveva nascosto qualcosa di segreto o importante.

Eccitazione e trepidazione gli riempivano il cuore. Lo sentiva battere all'impazzata. Era questa la sensazione che provava uno scienziato davanti alla scoperta di una ricerca di una vita? O la gioia provata da un paleontologo davanti all'inaspettata apparizione di uno scheletro di dinosauro sotto la sabbia nei suoi scavi? O un astronomo che scopre una stella in una costellazione lontana? Qualcosa di inaspettato, ma che potrebbe rivelare qualcosa di ampiamente desiderato.

Forse non avrebbe contenuto nulla. O poteva trattarsi di qualcosa appartenuto all'originale proprietario del magazzino, risalente a quando quella "era una città decente", come l'aveva chiamata Nezumi. Eppure anche se si fosse rivelata qualcosa di poco importante, come la capsula del tempo di un bambino, o un semplice buco nel pavimento ricoperto velocemente con una copertura improvvisata, non gli sarebbe importato. Avrebbe fatto tesoro delle sensazioni che provava nel suo cuore in quel momento. Perchè erano sue, appartenevano al suo cuore e nessuno lo aveva costretto a provarle.

 

Sorrise ancora contento, e depositò a terra il ferro, che picchiò il legno ammuffito con un sordo "tump". Con entrambe le mani libere, si preparò a prendere in mano ciò che si trovava nella botola. Qualunque cosa vi fosse, era ricoperta da un cellofan di plastica, che ostruiva l'intera visuale di quello che si trovava al di sotto. Probabilmente era stato messo per evitare che polvere o eventuali termiti potessero rovinare il suo contenuto.

 

Chissà cosa ci sarà dentro?



 

Le sue dita si chiusero intorno ad un oggetto di larga superficie e piccolo spessore. Il cellofan lo ricopriva in più strati interamente, impedendogli la visione dell'ogetto. Non riusciva a capire di cosa si trattasse.

 

Un libro? Possibile?



 

Lo posò delicatamente a terra, avendo cura di non sbatterlo troppo. Non sapeva in che condizioni si trovasse l'oggetto all'interno del cellofan, né se si trattasse di qualcosa che rischiava di rompersi con un minimo movimento. Da ciò che sapeva, avrebbe potuto anche esplodere all'improvviso.

 

Nezumi, stavi costruendo una bomba per far saltare in aria No.6 per caso?



 

Terminata l'operazione di depositare a terra l'oggetto, passò a rimuovere il cellofan. Voleva evitare di rompere la plastica. Se era davvero qualcosa nascosta da Nezumi, sarebbe stato meglio non fargli scoprire che ne conosceva l'esistenza. Individuata l'apertura, aprì delicatamente i lembi della plastica. Sì, era proprio un libro.

Un grosso libro dalla copertina in pelle nera si trovava in questo momento poggiato sulle sue gambe incrociate al pavimento. Era grosso, pesante, e aveva l'aria di essere abbastanza vecchio e datato. Sulla sua copertina svettava in bassorilievo uno strano segno che non aveva mai visto. Sembrava un insetto, come un'ape o una vespa stilizzata, con sei zampe, due ali, due antenne, ed una sfera nella parte superiore del corpo che gli ricordava tanto un enorme occhio che guarda severo ed inquisitore... un brivido gli attraversò il corpo al ricordo della vespa parassita. Non sapeva perchè ma sentiva di avere tra le mani qualcosa di importante. Qualcosa che avrebbe potuto cambiare le sorti della sua battaglia...

Allentò la presa delle sue mani, che stringevano il libro talmente forte da far diventare bianche le sue nocche, e dopo aver tirato un lungo respiro aprì la prima pagina.

 

 

In questo libro è narrata la nostra storia. La storia del Popolo della Foresta.

Il Popolo della Foresta vive da sempre nella Foresta Sacra, proteggendola e rispettando le sue creature. L'armonia e il rispetto della natura è l'unica e principale legge che ci unisce.

Preservare la Foresta Sacra, Madre della vita degli uomini e di tutte le creature che la abitano, è un compito e privilegio che possediamo da sempre.

Compito del nostro popolo, inoltre, è servire ed aiutare la nostra Dea, la Madre della Natura che ci protegge e ci guida, permettendoci di vivere in pace ed in armonia grazie ai doni che questa vita ci offre.

 

Il Mondo, la Natura, la Luna, le Acque, le Montagne, gli Alberi, l'Aria, le Creature. Fanno tutte parte di un unico Organismo.

 

Uno è tutto, tutto è uno.

 

Siamo tutti parte di un unico Organismo, e come tale, lo proteggiamo e rispettiamo, vivendo in armonia con esso.

E seguendone le sue regole.

Il Popolo della Foresta, il Popolo di Mao, fin dalla notte dei tempi serve la nostra Divinità, aiutandola, onorandola e cantando inni per Lei, che ci fa dono di questa foresta prospera e rigogliosa.

 

Coloro che possono parlare con Lei, porgerle omaggio, compiacere e placare la sua ira sono coloro che hanno ricevuto in dono il Vento Sacro. Una Sacra Voce, che con la sua forza, la sua purezza, riesce ad allietare l'animo di qualunque essere esistente sulla Sacra Terra in cui camminiamo.

 

Coloro che hanno ricevuto il dono, i 'Cantori', sono rispettati e riveriti quali Sacerdoti e Praticanti della nostra Dea, della 'Dominatrice'. Si tratta di un dono innato, passato di generazione in generazione a solo pochi eletti, che assumeranno il sacro ruolo di Cantori della Divinità Madre.

 

I Cantori possiedono il compito di ricevere l'arrivo della Dea, accogliendola con la brezza dei loro Canti, ed offrendole il conforto e il piacere della loro voce.

Le parlano delle meraviglie che ci offre, dello splendore delle terre che protegge e delle creature a cui permette la vita.

 

I sacri Cantori, le offrono in fine lo strumento per permettere la rinascita della sacra Dea. L'ospite in cui deporrà le nuove Uova di Vita.




 

"... Ospite?...uova... di vita? Aspetta un attimo, non dirmi che..."

 

La sua nuova venuta si ripeterà ciclicamente ogni due lustri.

 

Per permettere alla Regina la rinascita in questo mondo, un sacro rituale sarà allestito durante una notte di luna nuova.

Il rituale si svolge ad un anno dalla notte in cui la divinità avrà cominciato ad annunciare ai suoi figli - i cui cuori sono uniti dal suo vento sacro- il suo ritorno, attraverso i sogni.

 

Gli inni dei sacri Cantori saranno accompagnati dagli Sciamani, che offriranno alla Dominatrice il 'Letto della Divinità', l'Ospite scelto in cui la Regina porrà le basi per il suo nuovo Essere.




 

"Ospite e uova... il simbolo a forma di vespa sulla copertina.... possibile che...? Le vespe parassite? ...Nezumi, cosa è veramente questo libro?!"

 

Il Letto della Divinità sarà preparato e custodito nel Tempio dagli Sciamani Protettori, coloro che sono secondi solo ai Cantori, onorati e rispettati dal villaggio come nostri Fratelli e Protettori. Gli Sciamani sono coloro che confezionano il Letto della Divinità, raccogliendo le sventurate Creature della Sacra Foresta morte per caso, e preservando la sede materiale del loro intelletto, come Ospite per le sacre Uova di Vita.

Con rituali e infusi preservano i cervelli delle nostre sorelle creature morte sventuratamente, fornendo così il Letto dove la nostra Dea deporrà le sue Uova, come un'ape regina da la vita al suo alveare.




 

"Avevo ragione ma... cosa sarebbe questo letto della divinità? Un cervello di animale? Quindi... non ha sempre deposto le uova negli esseri umani...? ma allora..."

 

La nostra potente Dominatrice, colei che sola potrebbe sterminare questo Mondo, ha accettato di proteggerci e permetterci di vivere in questa Foresta rigogliosa insieme alle Creature che la abitano.

Lei la protegge, la riempie di vita e rigore, così come riempie di vitalità le creature e di gioia i cuori di chi ascolta i canti divini, il vento che ha donato ai suoi figli più cari.

 

Lei protegge questa terra, così come noi ci impegniamo a tenere al sicuro e lontano dai pericoli il Letto della Divinità dove sono state deposte le sacre uova.

 

Questo libro, è il libro che racconta il Popolo e la Terra Sacra da esso protetta.

 

Gli annuali del Popolo della Foresta, gli abitanti del Villaggio di Mao.

 

Anno 1351......

 




 

Improvvisamente sentì un rumore. Era il rumore di chiavi girate nel chiavistello. Che ora erano?

 

Possibile che Nezumi sia già tornato?



 

Sion fissò il libro tra le mani.

 

No... meglio che non lo veda ora... probabilmente lui...
ma... conoscerà l'esistenza di questo libro? Sapeva di questa dominatrice? E delle vespe parassite?
Nezumi, perchè possiedi questo libro?



 

Velocemente lo ripose nel suo nascondiglio e si affrettò a lasciare la stanza.

 

Cosa sai di questa storia in realtà...?



 

Trovò Nezumi intento a togliersi il giubbotto. Il "Tadaima" poco entusiasta gli riportò alla mente il modo poco amichevole con cui si erano lasciati all'uscita di Nezumi. Non voleva ripensare a quella storia, non ora che forse aveva trovato una chiave...

 

"Okaeri" Gli disse, avvicinandosi a Nezumi che si sedeva stancamente sulla sedia. Doveva essere stata una giornata stancante, anche se non lo dava a vedere in viso, lo capiva dai movimenti un po' rigidi e dalla postura del ragazzo. Sembrava davvero stanco.

Sion sentì una fitta di dolore al petto. Nezumi si stancava ogni giorno per lavorare, per dare da mangiare anche a lui, che era rimasto per oltre tre mesi a casa sua, senza aiutarlo in nulla. Un parassita che viveva gravando sulle sue spalle, un peso inutile e fastidioso che non faceva che procurargli grattacapi. Avrebbe voluto fare qualcosa per sdebitarsi. Nezumi lo aveva salvato, aiutato, accolto in casa sua, ma lui non era capace di far nulla.

Nulla.

Sion si avvicinò al ragazzo che poggiava la testa contro la spalliera della sedia, con gli occhi chiusi e il torace che saliva su e giù in modo armonioso. "Nezumi, ti senti bene?"

L'unica risposta che ricevette fu uno sguardo che sembrò fulminarlo, nascosto subito dopo dalle palpebre che si richiudevano nuovamente. L'intero corpo di Nezumi sembrava gridargli 'non azzardarti nemmeno a fiatare'. Se fosse stato nello stesso stato d'animo in cui si trovava durante la discussione di poche ore prima, Sion avrebbe ignorato la minaccia in quello sguardo, finendo sicuramente in una nuova litigata. Ma la nuova risoluzione che aveva trovato, e gli eventi di quella sera gli avevano infuso nuova sicurezza. Era ok lasciar perdere per il momento. Nezumi sembrava molto stanco, e non poteva ignorare una cosa simile, sapendo bene che era anche colpa sua. Se Nezumi gli stava chiedendo di farsi piccolo piccolo, e non fargli avvertire nemmeno la sua presenza, allora era quello che avrebbe fatto.

 

Si avvicinò al tavolo, dove il ragazzo appena rincasato aveva posato il pacchetto con le verdure che sarebbero diventate la loro cena, e lo scartò cercando di fare il meno rumore possibile. Preparare la cena per entrambi era il minimo che poteva fare, l'unica cosa per ripagarlo della sua gentilezza.

 

Mi hai salvato e accolto in casa tua senza chiedermi nulla. È vero, mi ripeti spesso quanto io sia inutile e ti crei fastidi, ma non hai cercato di mandarmi via, nemmeno una volta. Hai detto di avermi salvato per ripagare il tuo debito, ma ormai lo hai fatto così ampiamente, mi hai dato già così tanto... più di quanto tu possa immaginare, Nezumi.



 

Raccolse le verdure, le posò sul tavolo ed andò a recuperare la pentola che svettava in cima alla stufa a combustibile naturale.

L'odore emesso dalla stufa ad RDF gli ricordava Lost Town, le cui strade erano impregnate costantemente dal suo odore. Gli ricordava il piccolo forno dove viveva con sua madre Karan, così differente da quella lussuosa e confortevole casa in cui avevano vissuto in Cronos. Una casa dagli innumerevoli confort, dove era possibile ottenere qualsiasi bene di consumo o di lusso con estrema facilità e in qualunque momento dell'anno, equipaggiata col più sofisticato e all'avanguardia impianto fotovoltaico, capace di provvedere al fabisogno energetico e termico. Eppure in quel calore artificiale non aveva mai avvertito il senso di calore domestico che aveva provato invece in un piccolo forno situato in un angolo di Lost Town, in una piccola casa composta solo da una zona giorno e un deposito che fungeva da stanza da letto. Eppure, più di qualunque altro luogo, il luogo in cui si era sentito maggiormente a casa, era una minuscola stanzetta sotterranea, immersa in libri, polvere e topi, in un sottoscala nascosto oltre una parete mobile in un angolo sperduto del West Block. Ricordava ancora la meraviglia che aveva provato la prima volta che aveva messo piede in quel luogo. Si era guardato intorno a bocca aperta, esterrefatto dalla visione di tanti libri, così numerosi che sembrava quasi difficile muoversi in quello spazio angusto. Una casa completamente ricoperta di libri, con le uniche eccezioni di un piccolo letto, una sedia e un minuto tavolino sufficente a mala pena per posarci due piatti sulla sua superficie.

Era la casa che lo aveva accolto quando si era ritrovato fuori da No.6, sperduto ed insicuro sul destino che lo attendeva ora che la città che lo aveva visto nascere e crescere lo aveva riconosciuto suo nemico e dichiarato colpevole di un omicidio. Un omicidio di cui non solo non era colpevole, ma di cui era stato anche incredibilmente vicino a finire vittima lui stesso. Era la casa che lo aveva visto combattere con le unghie e con i denti nella sua battaglia per la vita contro la vespa parassita. Le mura entro le quali era avvenuta la sua rinascita, marchiata sulla sua pelle e nei suoi capelli, indelebile quanto il segno che aveva lasciato nel suo animo. Era la casa in cui, come un bambino che mette i primi passi nel mondo, aveva cominciato la sua scoperta della realtà, sotto la guida di Nezumi. Il luogo a lui più caro, ricco di memorie e significato, simbolo di tutto quello che per lui rappresentava la vita. In nessun altro luogo si sarebbe mai potuto sentire a casa come in quella stanza, la consapevolezza di questo era una delle poche certezze nel suo cuore alla ricerca di risposte e verità.

Ricordava le parole di Nezumi, quando lo aveva preso in giro per la sua incapacità di muoversi al buio nella stanza dove aveva vissuto per dieci anni. Lui gli aveva risposto di non essere abituato a camminare al buio perchè non aveva mai avuto bisogno di farlo, ma la verità era che in questi tre mesi in cui aveva vissuto in questa piccola casa traboccante di libri, ne aveva imparato ogni angolo, arrivando ad amarne ogni singolo anfratto, al punto che sarebbe stato capace di camminarvi attraverso anche bendato. Sion sorrise leggermente, versando dell'acqua nella pentola posata sul tavolo. Sì, non esisteva altro luogo che avesse mai sentito casa come questo.

 

"Perchè ridi all'improvviso senza motivo? Sei finalmente diventato pazzo?"

 

Sion si girò, e quasi sobbalzò trovando Nezumi accanto a lui. Era stato così immerso nei suoi pensieri da non accorgersi che il ragazzo si era avvicinato al tavolo, e aveva cominciato ad affettare con un coltello le verdure che aveva risciacquato poco prima. Che non si fosse reso conto della sua presenza per l'innaturale dote di Nezumi di muoversi silenziosamente, o perchè era immerso nei suoi pensieri, non lo sapeva, ma ritrovare l'altro ragazzo a poca distanza da lui era sempre stato qualcosa che costringeva il suo cuore a martellargli incontrollabilmente nel petto. Per lo meno sembrava avesse deciso di rivolgergli di nuovo la parola. Sion sentì il suo cuore leggermente sollevato. Ogni volta che si sentiva respingere da Nezumi, era come se una parte del suo cuore divenisse pesante. Gli sembrava quasi più difficile respirare. Nezumi era l'unica persona che gli avesse mai fatto provare queste sensazioni. Non sapeva nemmeno di essere in grado di provarle, in realtà. Così ogni volta che l'altro sembrava fare un passo verso di lui, nelle volte in cui si era allontanato scacciandolo rudemente, Sion si sarebbe sentito sempre sollevato.

 

Non potè fare a meno di fissare il profilo dell'altro, illuminato dalla luce della lanterna sul tavolo. Gli occhi grigi rilucevano, capaci come sempre di non far trapelare la minima emozione, eppure traboccanti di una forza e un magnetismo da cui si sentiva sempre rapito. La sua pelle diafana, così bianca e priva di imperfezioni da sembrare quasi una statua di marmo. Il suo profilo delicatamente cesellato, i lineamenti perfetti da sembrare quasi non umani. Sembrava una bambola, una creazione realizzata con la più sottile minuzia e precisione. Non poteva fare a meno di fissarlo rapito.

 

"Cosa? Ho qualcosa in faccia, per caso?"

 

"Hm?... n-no... scusami... " Rispose Sion, sentendo stranamente tutto il sangue del corpo fluire all'impazzata verso le sue guance.

 

Ma cosa mi prende? Non è il momento di sognare ad occhi aperti... a cosa stavo pensando?



 

Girò il capo verso la pentola e si affrettò ad aggiungere. "Stavo pensando che mi piace l'odore di questa stufa, mi fa sentire a casa."

 

Fu solo un momento, ma Sion notò Nezumi sgranare gli occhi meravigliato. Sembrava non si aspettasse sentirgli dire qualcosa di simile. Ma un istante dopo quell'espressione era già svanita dal suo volto, sostituita dalla sua solita risata divertita.

 

"Se ti piace così tanto potresti andare a lavorare nell'impianto di smaltimento rifiuti di No.6. Ormai la strada dovresti conoscerla, anche la nuotatina nelle profumate acque di scolo sembrava di tuo gradimento. Dovresti andare a chiedere subito, non perdere tempo, ti consiglio di andare domattina, appena possibile!"

 

Sion lo fulminò con lo sguardo, poi mormorò un "Idiota," a denti stretti, aiutando Nezumi a raccogliere le verdure dal tavolo e metterle nel tegame. Era impressionato dall'abilità di Nezumi con un coltello. Riusciva addirittura a tagliare le verdure senza graffiare il vecchio tavolo, anche se era anche questo pieno di buchi e graffi che sembravano risalire a molto tempo prima. Ricordava le mani di sua madre, quando da bambino le si metteva accanto mentre cucinava, e si muovevano con accuratezza e precisione contro il tagliere in cucina, sorridendo amorevolmente a suo figlio. Gli mancava il sorriso di sua madre, gli mancava la sua risata, il bacio sulla fronte che gli dava prima di uscire, nonostante non fosse più un bambino. Gli mancava il modo in cui i suoi occhi lo guardavano con dolcezza e un filo di tristezza, interrogandosi sul futuro che avrebbe avuto il suo bambino ora che tutti i ponti per una carriera elitaria erano stati tagliati. Gli mancava, ma nulla avrebbe potuto sostituire la gioia di un singolo momento trascorso in quell'angusto sottoscala, in compagnia della persona in piedi accanto a lui. Momenti come questo, passati semplicemente a scherzare con l'amico, erano quanto di più prezioso il suo cuore sembrava attendere. Avrebbe voluto restare così per sempre, se solo avesse potuto.

 

Sollevò il viso, girandosi a guardare Nezumi con un sorriso.

 

Tu o no.6, quale delle due scegli?



 

"Quello che volevo dire è che sento questo posto come la mia casa." disse, affrettandosi a continuare prima di essere interrotto da qualche commento sarcastico. Sentiva di dovergli dire queste parole, anche se Nezumi si fosse preso gioco di lui per questo, aveva il bisogno di trasmettergli quello che sentiva nel suo cuore. Di ringraziarlo per queste sensazioni così care e sconosciute. "Più di quanto abbia mai sentito casa Cronos, più di quanto mi sia mai sentito a casa in Lost Town con mia madre... "

Più di quanto abbia mai sentito casa l'intera no.6... Nezumi...

Distolse lo sguardo, pensando alle parole più adatte da usare. Poi lo guardò dritto negli occhi, deciso. "Il luogo che sento più casa mia è quello dove ci sei tu."

 

"Ma guarda, lo ospiti per un attimo e quello già si appropria di casa tua, un giorno ti vedrò arrivare con un arredatore di interni, dicendo che vorresti cambiare e rimodernare l'arredamento." Disse con una voce divertita, ma prima che Sion avesse il tempo di protestare riguardo quanto fosse serio, aggiunse guardandolo dritto negli occhi. "Sion, non so quanto tempo potremo restare in questa casa. Nessuno lo sa, perchè nessuno sa per quanto tempo riuscirà a restare in vita in questo posto maledetto. Non so nemmeno se saremo in vita domani per veder sorgere il sole." Disse, fissandolo dritto negli occhi.

E non so quando sarà il momento in cui dovremo smettere con questa quotidianità, il giorno in cui diverremo nemici, però...

"...però fino a quando vorrai, potrai restare qui. Di questo non devi preoccuparti."

 

Sion lo guardò ad occhi spalancati per qualche secondo, la mente completamente bianca. Poi sorrise.

 

Non si aspettava parole smielate come anche per me casa è dove ci sei tu, o che Nezumi lo abbracciasse, scoppiando in lacrime commosso, ma le parole dell'altro gli bastavano. Erano sufficenti per scaldargli il cuore. Nezumi lo accettava nella sua vita ancora per un po'. Non gli chiudeva la porta, non lo allontanava da sé. Nonostante quello che gli aveva detto, nonostante Nezumi sembrasse credere fermamente che sarebbero diventati nemici un giorno, che Sion avrebbe scelto no.6... nonostante tutto, Nezumi lo accettava ancora. Gli permetteva di restare con lui, fino a quando sarebbe stato possibile. Che lo facesse perchè sentiva ancora di dover ripagare il suo debito o perchè almeno un po' fosse arrivato ad abituarsi alla sua presenza,- e magari anche a goderne di essa,- non lo sapeva. Ma qualunque fosse la motivazione, la cosa più importante era che Nezumi gli permetteva di rimanere con lui. Lo accettava ancora. Anche se era un peso, anche se si sentiva spesso infastidito dalla sua presenza e le sue parole, anche se la sua sola vista gli ricordava la città che tanto odiava... gli permetteva di restare. Questo lo riempiva di una gioia immensa, così tanto da sentire quasi il cuore fluttuare in aria. Gli sorrise ancora di più, afferrando Nezumi per le mani e trascinandolo a sedersi sulla sedia. "Nezumi, tu mettiti seduto. Sembri stanco. Riposati pure, baderò io allo stufato finchè non sarà pronto."

"Oh, era ora che mostrassi un minimo di gratitudine" disse scherzosamente, ma senza l'ombra di cattiveria questa volta. Si lasciò trascinare senza fare resistenza alla sedia, dove si lasciò andare stancamente. Era vero, era molto stanco. Per poter guadagnare da vivere per entrambi doveva lavorare più di prima, prestando una mano con le riparazioni in teatro oltre alla sua consueta recitazione. La presenza di Sion aveva gravato sulla sua vita più di quanto avesse preventivato inizialmente. Sia nel senso fisico, diventando molto più stancante e costringendolo a lavorare il doppio per continuare a potersi procurare almeno quel pezzo di pane duro e mezzo ammuffito giornaliero, o un pezzo di carne secca di tanto in tanto. E sopratutto stanchezza mentale. Le costanti litigate con il ragazzo, che sembrava difendere a spada tratta la sua nemica giurata... non avrebbe mai rinunciato al suo odio, e non avrebbe mai perdonato nessuno che si fosse schierato al fianco di No.6.

Un nemico è un nemico, non importa chi sia la persona a sferrare la pugnalata, il fendente nel cuore risulta ugualmente fatale.

Aveva sempre vissuto così. Cercando di non lasciare entrare nessuno, in modo da non avere problemi nel momento in cui avrebbe dovuto recidere un rapporto. Aveva salvato Sion dalle mani del Dipartimento di Sicurezza per restituirgli il debito che aveva con lui. Era semplicemente quello il motivo. Non aveva mai desiderato attaccarsi a lui. E non solo Sion – non aveva mai desiderato avere legami o aprire il suo cuore ad un'altra persona. I sentimenti per gli altri erano qualcosa di pericoloso. Non era il tipo da condividere un legame con qualcuno. Che si trattasse di un uomo o una donna, era solito stabilire relazioni facili da recidere.

 

 

Non lasciare che nessuno sia capace di scaldarti il cuore. Non fidarti di nessuno all'infuori di te.



 

Erano state le parole di quella vecchia in punto di morte. Era stata colpita da un proiettile in pieno petto e stava tossendo sangue, eppure quelle parole erano suonate chiare alle orecchie di Nezumi. Non pensava di poterle mai dimenticare. Anche se lo avesse voluto, la sua voce non glie lo avrebbe permesso. Si erano attaccate saldamente alla sua mente, e rifiutavano di lasciare la presa.

 

Eppure non poteva voltare le spalle a Sion. Sapeva che portarlo lì nel West Block probabilmente costituiva un pericolo per se stesso, eppure non avrebbe mai potuto abbandonarlo, lasciarlo morire a causa sua. Forse portare lì Sion era stato un errore. Lo pensava per davvero. Si ostinava a voler creare un siero contro le vespe parassite, utilizzando il suo stesso sangue. Non era per questo che lo aveva salvato, non gli avrebbe permesso di rovinare la sua vendetta. Se c'era davvero una vespa parassita nella città, che si aggirava seminando morte e distruzione, lui l'avrebbe usata. L'avrebbe usata per portare a termine la sua vendetta, per tirare giù quel mostro atroce. E non avrebbe tollerato nessun intralcio, avrebbe ucciso chiunque si fosse frapposto tra lui e la sua vendetta. Aveva sempre pensato così. Eppure, il pensiero di avere Sion come nemico lo infastidiva. Non aveva paura del ragazzo, era troppo debole ed inesperto per costituire un nemico temuto, eppure qualcosa rendeva l'idea di avere Sion come suo nemico ugualmente disagevole. Forse erano quelle memorie di quattro anni prima, o gli sforzi che aveva fatto per sottrarlo al Dipartimento di Sicurezza. Lo aveva condotto nel West Block, portato in casa sua.
Un cittadino di No.6, una persona completamente inutile e che non sapeva nulla del mondo. Anche la sua semplice presenza avrebbe potuto costituire facilmente un pericolo per lui.



Sion che viveva senza un minimo di cautela, in questo luogo dove anche un piccolo errore poteva costare la vita. Il West Block era un luogo duro, dove non potevi fidarti nemmeno di chi bussava alla tua porta. Eppure Sion era il tipo da aprire la porta di casa fiduciosamente. Lo aveva già fatto in passato. Quando quella bambina, Karan, aveva bussato loro alla ricerca d'aiuto per salvare la vita del suo fratellino Rico che stava soffocando. In quell'occasione Sion aveva aperto la porta senza alcuna esitazione, l'aveva sprangata, senza prendersi nemmeno la briga di accertarsi di chi si trovasse dall'altra parte o di nascondersi nell'ombra. Se fossero stati sfortunati, avrebbero perso entrambi la vita. Il visitatore avrebbe potuto essere un soldato armato, o un rapinatore che usava un bambino come esca. Nel West Block non sarebbe stata una cosa tanto strana. Ma una cosa simile Sion non avrebbe potuto saperla. Non conosceva il sospetto, la cautela o la necessità di provare paura. Possedeva l'incoscienza e l'avventatezza di qualcuno cresciuto nell'incolumità e nella sicurezza. Sentiva sul serio di essersi sobbarcato un peso che gli avrebbe causato solo problemi e pericoli.
E poi insiste col voler creare un siero...
Nessuno lo aveva forzato ad assumersi questa responsabilità. Ne era stato lui stesso la causa, volendo restituire il favore che gli doveva. Ma non avrebbe mai lasciato morire Sion, la persona che gli aveva salvato la vita senza aspettarsi nulla in cambio. È impossibile restituire un favore ad un morto e Nezumi non voleva avere debiti che non sarebbe mai stato in grado di ripagare. Questo era stato il motivo per cui aveva salvato Sion e lo aveva portato nel West Block. Ma credeva di essersi addossato un rischio più grande di quello che aveva preventivato. Ma se Sion non avesse aperto la porta quel giorno, Rico non si sarebbe salvato. Una vita salvata. Come quella notte di quattro anni prima. A lui, come a Rico. Sion, entrambe le volte, aveva incautamente allungato le sue braccia, finendo per salvare loro la vita.
Sion conosceva il mondo solo attraverso teoremi e razionalità. Era ingenuo e non aveva imparato nulla su come dubitare l'affidabilità degli altri. Era naturalmente ignaro, all'oscuro di tutto, stupido, e non sapeva nemmeno chi fosse Amleto. Ma Sion era anche superiore a lui per certi versi. Non in capacità o conoscenza, ma...ma in cosa?
Non lo sapeva, tuttavia anche con la sua ignoranza, la sua stupidità, non era mai riuscito a guardare Sion dall'alto. Non era particolarmente difficile ridere delle persone, chiamarle deboli o indulgenti, quando accettavano incondizionatamente qualcuno, o provavano a salvare una vita. Indubbiamente, come risultato dell'aver accolto Nezumi, Sion aveva perso quasi tutta la sua fortuna e i suoi privilegi. Quanto più facile sarebbe stato, se avesse potuto ignorare Sion con una risata sdegnosa,che ragazzo ingenuo, che petri-dish elite, cresciuto ignorante della società.
Ma per lui, accantonare la faccenda con una risata sarebbe stato troppo doloroso. Era un qualcosa troppo vivido da dimenticare. Così incredibilmente pesante da gettar via. I ricordi della notte di quattro anni fa erano ancora troppo vividi, troppo dolorosi da gettar via.



Ricordava ancora, così vividamente, quella finestra che si spalancava come per invitarlo ad entrare; il dodicenne Sion che sporgeva fuori il viso; 'Sei ferito, non è vero? Lascia che ti aiuti' – parole che non si sarebbe mai aspettato; il sorriso soddisfatto comparso sul volto di Sion nel momento in cui aveva completato la sutura; la dolcezza della cioccolata calda; il gusto delizioso della torta alle ciliege; il letto accogliente; il suono di un respiro calmo e sopito che si era ritrovato accanto mentre si risvegliava il mattino seguente – non riusciva a dimenticare niente di tutto questo, non importa quanto faticosamente ci provasse. Anche quando aveva provato ad abbandonare quei ricordi, a gettarli via, non era mai riuscito a trovare il coraggio di farlo.

Diverse volte Sion gli aveva detto di aver ampiamente saldato il debito, di essere stato salvato ormai tante volte da lui, ma Nezumi non riusciva a considerare ripagato un debito simile. Era troppo alto per lui.

 

Per questo continuava a permettere che il ragazzo restasse in casa sua.

 

Lo aveva soccorso quando lo aveva visto agitarsi in preda a una strana e improvvisa agonia, scoprendo poi che si trattava della vespa parassita. Provvedeva al suo cibo, per quanto fosse faticoso provvedere al sostentamento anche di una singola persona.

Fino a quando Sion avesse avuto bisogno di un posto dove rimanere, era disposto ad accoglierlo e condividere con lui tutto quello che aveva, così come era stato fatto quattro anni prima con lui. Però oltre questo non aveva intenzione di spingersi. Sion era un estraneo che aveva allungato una mano verso di lui quando aveva avuto bisogno, ma pur sempre un estraneo. Ed era necessario che nessuno dei due superasse quel confine. Per quanto quella persona sostenesse di voler restare con lui e cercasse un modo per entrare più in profondità nella sua vita, Nezumi non poteva permetterlo. Era una delle sue regole principali, quella di non lasciarsi coinvolgere da nessuno, e con Sion si era fatto coinvolgere anche troppo. Le memorie che non poteva lasciar andare, i pericoli che correva a causa sua, i sacrifici che stava facendo per permettergli di vivere nel West Block per un nuovo giorno.

 

Posso davvero definirti ancora un estraneo, Sion?



 

Nezumi fissò le spalle del ragazzo che mescolava la zuppa nella pentola. La zuppa preparata con le verdure comprate con i suoi soldi. Cucinata nel suo tegame, sulla sua stufa riscaldata a combustibile da rifiuti comprato da lui.

Un estraneo? Un estraneo non dovrebbe forse sembrare innaturale in casa propria? Allora perchè gli sembrava così naturale vedere quella figura accanto a sé, mentre scherzava e ridacchiava, mentre prendeva uno dei suoi libri o giocava con uno dei suoi topolini? Mentre dormiva nel suo letto o rimaneva semplicemente seduto accanto a lui a leggere, con la luce della stufa che dipingeva mille tonalità di arancione e rosso tra i fili argentei dei suoi capelli?

 

Posso davvero definirti ancora un estraneo, Sion?

 

"A te." Sion gli si avvicinò sorridente, porgendogli la sua ciotola di stufato di verdure. Nezumi la prese tra le mani che vennero subito riscaldate dal calore della vecchia ceramica, ed annuì in segno di ringraziamento. Sion tornò al tavolo, prendendo la sua ciotola fumante e prese posto in un angolo del letto accanto alla sedia occupata da Nezumi. Illuminati dalla luce della lampada la cui fiamma vacillava leggermente a causa di un piccolo spiffero di vento che riusciva a trovare sempre la sua strada nella stanza sotterranea, i due ragazzi mangiarono in silenzio. Era un silenzio confortevole. Vivevano insieme da poco più di tre mesi, eppure in momenti come questi, la presenza di uno sembrava talmente familiare all'altro che si domandavano se per tutti i quattro anni trascorsi dal loro primo incontro non avessero vissuto insieme.

 

La verità era una. Ciascuno dei due, a modo suo e per un diverso motivo, aveva passato quei quattro anni pensando all'altro.

 

Sion aveva passato i suoi giorni sognando occhi grigi, non pentito per un attimo di aver accolto Nezumi nella sua vita, anche a costo della sua caduta in disgrazia. E Nezumi aveva fatto di tutto per scoprire quando la città avrebbe messo in atto la sua vendetta nei confronti di Sion per averlo favorito. L'esistenza dell'altro era diventata un punto saldo nella vita di entrambi, e qualunque incomprensione o problema potesse esistere tra i due, anche se la situazione tra loro dovesse divenire improvvisamente estrema, una cosa simile non sarebbe mai cambiata.

Una esistenza importante, scolpita in profondità nella mente e nel cuore dell'altro.

 

Nezumi alzò gli occhi verso Sion, e si stupì nell'incontrare gli occhi dell'altro proprio in quel momento. C'erano momenti in cui Sion gli appariva come il più incomprensibile dei testi, ed altri in cui gli sembrava la più familiare delle parole... eppure in quel momento non capiva se non riusciva a leggere quello che si agitava in quegli occhi lilla o se comprendesse fin troppo bene quello che gli stavano dicendo. Grazie. Sono felice di poter restare ancora con te. Vorrei ti fidassi più di me. Io sarò sempre dalla tua parte, perchè per me un mondo senza di te non ha senso.




 

 

Nezumi non riusciva a distogliere lo sguardo. Era come se non conoscesse affatto quegli occhi, eppure così familiari. Una determinazione e nel contempo una dolcezza che sembravano immobilizzarlo. Stava semplicemente fissando quegli occhi, ma si sentiva come se ci fosse stata una mano che lo afferrava il collo, una forza che lo premeva contro il muro, precludendogli ogni movimento. Stava addirittura trattenendo il respiro. Riuscì a muoversi solo quando Sion distolse lo sguardo, tornando a posare gli occhi nuovamente sulla sua ciotola fumante. Il più grande dei misteri, incredibilmente prevedibile come le battute di una parte in un dramma provato infinite volte, e spaventosamente imprevedibile, come il testo di un libro abilmente scritto che non aveva mai letto prima. A volte pensava che Sion fosse più imprevedibile e spaventoso di qualunque situazione in cui si fosse mai venuto a trovare in tutta la sua vita.

C'erano volte in cui si ritrovava a sentirsi terrorizzato da lui. Così come dalle emozioni che duellavano nel suo cuore quando si ritrovava ad abbassare per un attimo la guardia davanti ai suoi occhi.

 

Si alzò in piedi, ed andò a posare la ciotola sul tavolo, ritirando poi stancamente un libro dalla libreria e tornando alla sedia dove era seduto prima. "Sion, ti spiacerebbe...?" disse massaggiandosi il collo. Per quanto fosse sempre stato dotato di grande resistenza, si sentiva a pezzi. Sion seguì la linea del suo sguardo fino ai piatti che giacevano sul tavolo, e scattò in piedi con un "Certo! Lo faccio subito, tu riposati pure."

Subito dopo lo vide scomparire oltre la porta del bagno con le due ciotole e la pentola dello stufato. Nezumi si sollevò dalla sedia stancamente, decidendo che il letto apparisse decisamente più comodo ed invitante in quel momento, e si sdraiò sulla schiena, sollevando il cuscino contro la spalliera e aprendo il libro alla pagina dove aveva interrotto la lettura la sera precedente. Sentiva tutti i muscoli della schiena pulsare, come se proprio quel giorno avessero deciso di fargli riconoscere la propria esistenza. Si massaggiò di nuovo il collo, ritrovandosi a chiudere lentamente gli occhi senza rendersene conto. Così stanco da non riuscire nemmeno ad addormentarsi. Erano anni che non arrivava a stancarsi così, ma la verità era che lui stesso era responsabile di tale stanchezza. Si era gettato a capofitto nel lavoro. Più lavorava e più pensava alla discussione con Sion, più pensava alla loro conversazione e più si metteva d'impegno nel lavorare, come se la stanchezza avesse avuto il potere di cancellare gli avvenimenti dalla sua memoria, o dalla stessa realtà degli eventi.

La verità era che aveva paura. Sapeva che nulla sarebbe durato per sempre, che anche la mano estesa verso di lui sarebbe scomparsa un giorno. Sapeva che quello che c'era attualmente, quel calore domestico che non aveva avuto da anni, sarebbe svanito da un momento all'altro. Lo sapeva, non si era mai ingannato a riguardo.

Sion era un cittadino di no.6, e per quanto fosse stato scacciato dalla città, per quanto dicesse di non poter più accettare una falsa sicurezza, una volta conosciuta la verità, un giorno avrebbe fatto la sua scelta. E conosceva Sion a sufficenza per sapere che non si sarebbe mai schierato contro il luogo dove vivevano le persone che amava. Non si sarebbe mai messo deliberatamente in una posizione che avrebbe compromesso l'incolumità di sua madre, o della sua amica Safu, o le persone con cui era cresciuto. Sion era troppo gentile per scegliere tra lui o loro, ma quella indecisione lo avrebbe messo in pericolo, o avrebbe finito addirittura per divenire una minaccia per lo stesso Nezumi.

E lui non poteva permetterlo. L'indecisione è qualcosa di pericoloso, ed è qualcosa che solo i vigliacchi preferiscono. Rimandare una scelta o rifiutare di prenderla equivale a mettere in pericolo se stessi e gli altri.

 

È solo cercare una via di fuga, solo un modo per non farsi male.

 

Lui avrebbe distrutto no.6 un giorno, l'avrebbe gettata nella distruzione. Un giorno avrebbe visto cadere nel panico quelle persone vissute sempre al sicuro, correre in preda alla confusione, e condurre se stesse alla distruzione. Avrebbe sterminato e spazzato via No.6 dalla faccia della terra, così che la gente non sarebbe più costretta a vivere in una discarica.

No.6 era come un fiore artificiale che non produceva alcun seme. Fioriva sul sangue e sui cadaveri di numerose persone.

 

Ti strapperò via dal terreno un giorno. Allora non avrai più scelta se non quella di ascoltare le voci dei morti. Il loro odio, le loro sofferenza, il tormento e l'odio che sgorgheranno dal terreno bagnando la terra. Ti costringerò a sentire, anche se dovessi tapparti le orecchie. Fino ad allora, continuerò a vivere e a ricordare.

 

L'immagine di fiamme alte nel cielo notturno che ardevano spietate comparve nella sua mente. Sì, non poteva dimenticare. I morti non ricordano, i morti non parlano, non raccontano, non odiano. Ma lui era vivo, e da vivo era suo dovere non dimenticare. Lui stesso non lo avrebbe permesso.

 

"Nezumi...?" I suoi pensieri vennero interrotti dall'incerto sussurro di Sion, accompagnato dai passi di ritorno dal bagno. L'albino entrò nella stanza, posando le ciotole e la pentola nei rispettivi posti. "Stai dormendo...?"

 

Nezumi aprì leggermente un occhio, il libro aperto sul petto, e lo guardò avvicinarsi al letto insicuro se raccogliere o meno il libro tra le mani dell'altro. Si era fatto tardi, ed era abitudine di Sion infilarsi silenziosamente a letto quando vedeva Nezumi troppo stanco per leggere, per non disturbare il suo coinquilino con la luce della lampada.

"No." Nezumi si tirò a sedere, le gambe ancora distese sul letto. Richiuse il libro lentamente e lo passò a Sion, che lo posò al suo posto e andò a sedersi sulla sponda del letto accanto a lui.

 

"Vuoi che spenga la lanterna?"

 

"Nh? No, leggi pure se vuoi, non mi dai fastidio." Disse mentre si spostava nel letto, facendo posto a Sion affinché potesse sdraiarsi anche lui. Sion fece di sì con la testa, e si allungò a prendere il libro che aveva selezionato poco prima. I tre topolini presero posto accanto a loro sul cuscino. Sistemandosi in fine nel letto, cominciò a leggere con una voce bassa, i topolini accanto a lui ascoltavano rapiti. Presto si ritrovò perso nella lettura, a viaggiare per valli e foreste incontaminate, in compagnia di principi e cavalieri alle prese con la loro ricerca.

 

All'improvviso avvertì un leggero peso contro la sua spalla. Trattenendo il respiro, Sion girò leggermente il capo fino alla vista di capelli scuri contro il suo petto e il suo collo. Rimase immobile in silenzio, sorridendo nell'udire il respiro regolare dell'altro che dormiva profondamente poggiato a lui. Guardò i topolini, che dopo un movimento dei musetti come se avessero voluto dirgli di aver capito, andarono a prendere posto in cima alla solita pila di libri e si misero a dormire. Richiuse il libro silenziosamente, avendo cura di non fare rumore mentre si allungava per posarlo e spegnere la lampada posizionata sulla sedia accanto al letto. Sospirò contento. Chinò leggermente il capo in modo da poggiare la sua testa su quella di Nezumi, e chiuse gli occhi.

 

"Buona notte, Nezumi." Sussurrò in un filo di voce prima di addormentarsi cullato dal calore contro la sua spalla.

 

 

------------

 

La spia luminosa si accese accompagnata da un leggero suono, e l'uomo sbuffò annoiato. Odiava essere interrotto mentre godeva dello spettacolo della sua città immersa nelle luci. Quella visione lo rendeva estasiato, lo riempiva di fierezza ed orgoglio.

La sua opera d'arte. Il frutto di anni d'impegno in cui aveva riunito sotto la sua egida i migliori scienziati e ricercatori per sottomettere natura e scienza alla volontà umana. No.6 era la sua opera d'arte, il culmine della scienza e della tecnologia, la più perfetta e illuminata realtà in cui un uomo avesse mai potuto aspirare di vivere. Su sei città stato che si erano venute a formare in questo mondo distrutto dall'incompetenza dell'uomo, no.6 era la speranza dell'umanità, un luogo tanto perfetto e all'avanguardia, ambito ed onorato al punto da essere insignito del titolo Città Santa.

Qualunque cittadino sarebbe stato onorato di abitarla. Avrebbe potuto vivere al sicuro e con qualunque confort un uomo potesse ambire di ottenere.

 

La Città Santa, e presto sarebbe divenuta santa per davvero.

 

Quando la scienza al suo servizio sarebbe riuscita a mettere le mani sulla chiave, su quel vaso di Pandora chiamato Elyurias, allora il vero progetto della Città Santa sarà finalmente completo.

L'uomo sorrise compiaciuto, dando infine le spalle alla meravigliosa visione fuori dalla vetrata del suo ufficio, e camminò verso la sua scrivania. Aveva scelto personalmente quella stanza come suo ufficio personale, la vista migliore nella vetta del cuore della città. Il palazzo municipale, quello che i cittadini chiamavano con rispetto e devozione Moon Drop. L'edificio più imponente e prestigioso che dominava il cuore della città, al centro del Parco Forestale dove i cittadini potevano passare in pace il loro tempo, circondati dai frutti della natura e della scienza a loro servizio.

 

L'uomo premette il pulsante sul telefono. Il suono cessò, e sullo schermo davanti a lui comparve un viso conosciuto. Occhiali dalla doppia montatura nera, tazza di cafè tra le mani, e camice bianco sempre indosso. Tratti con cui era familiare da anni.

L'uomo all'altro capo della linea lo salutò con tono scherzosamente rispettoso come suo solito, e dopo aver bevuto un sorso del suo caffè passò subito al punto.

 

"Come ti ho preventivamente accennato, una volta completata l'archiviazione dei dati raccolti sui campioni esanimi che hai procurato per me, potremo passare al campione vivo. Ho analizzato i campioni che mi hai inviato ieri, e posso confermarti come sospettavo, che alcuni tra questi non risultano tra i possibili candidati che avevamo selezionato in precedenza. Tuttavia non sono riuscito a comprendere come fosse stato possibile. Posso confermare comunque che la causa della morte di quei cadaveri era quella che sospettavamo. Sembra stiano agendo autonomamente." L'uomo si sistemò la montatura degli occhiali, abbassando il documento che aveva tra le mani.

 

Il sindaco si sedette sulla sua sedia, poggiando pensieroso il mento sulle mani.

"Quindi non erano dei campioni selezionati da noi...? Capisco. Cosa pensi che sia la causa?"

"Non lo so. Ma non essendo ancora riuscito ad ottenere tutte le informazioni possibili a proposito di quelle uova, non saprei cosa pensare. Nemmeno quella persona aveva scoperto più di tanto. Ho letto e riletto il suo rapporto, ma non c'era nulla di utile sulla nascita spontanea di quella cosa... " Si fermò, sistemandosi la montatura degli occhiali, un gesto che era solito fare quando era pensieroso. "Comunque sia, reputo sia arrivato il momento di passare alla fase successiva, Fennec."

L'uomo dall'altra parte della linea fece una smorfia nel sentire il suo vecchio soprannome, ma decise piuttosto di continuare con le sue domande. "Il recupero del campione vivo, dunque?"

"Già. E come ti accennavo quella volta, se riuscissi a portarmi anche quel certo 'topo' che sembra si trovi con lui..." L'uomo si sfregò le mani come un bambino in procinto di mangiare la sua cioccolata preferita. "È da quando quella persona ci fece sapere di avere un reduce del Popolo della Foresta tra le mani, che non vedevo l'ora di tagliuzzarlo... non hai idea di quanto rimasi male quando venni a chiederti di portarmi un regalino da quel posto chiamato Mao, ma mi dicesti che avevate già fatto un bel barbecue... la notizia che si era salvato uno dalla vostra festicciola mi fece sentire al settimo cielo, quasi al pari del mio tempo con il mio adorato microscopio... "

Il sindaco scosse la testa, facendo spallucce. "Mi spiace, ma avevamo bisogno di agire di notte per evitare inconvenienti. Non credevo ti potessero servire come esperimenti... Sembra che questo topo si stia facendo desiderare parecchio, e?" Disse ridacchiando. "Vedrò di fartelo portare allora, in una bel pacchetto regalo, con tanto di coccarda sulla testa."

L'uomo col camice bianco sorrise, prendendo un altro sorso del suo caffè. "Non vedo l'ora allora. E questa volta non fartelo scappare come l'altra volta, ti prego – nessuno dei due. Mi prudono ancora le mani, odio che mi si vengano tolti i giocattoli da sotto il naso."

Il sindaco sorrise e scosse la testa. "Non preoccuparti. E poi sono sicuro che se fallisse di nuovo nel portarti il tuo adorato campione vivo, il nostro caro ispettore Rashi si roderebbe il fegato. Sembra avere un conto in sospeso con il topo in questione, dice che gli deve un'automobile di pattuglia. Sai com'è il nostro Rashi. Un tipo che porta parecchio rancore... Comunque, provvederò al recupero appena possibile."

L'uomo con il camice bianco posò la sua tazza sul tavolo, sorridendo soddisfatto "Ok."

"Un'altra cosa. Già che ci siamo, credi ti servano anche altri campioni? Quelli su cui lavorare come vuoi?"

"Hmmmm---" L'uomo mormorò pensieroso, grattandosi la testa, poi mosse il capo affermativamente. "Sì, se me ne porti un centinaio, anche di più, li accetto volentieri. Quelli non sono mai sufficienti, dovresti saperlo bene ormai."

"E va bene, comincio i preparativi per la raccolta dei campioni e dei tuoi topolini da laboratorio."

 

L'uomo col camice sorrise, e dopo un breve saluto interruppe la comunicazione.

 

L'uomo tornò alla sua finestra, e ammirò di nuovo la vista che si estendeva davanti a lui. No.6 risplendeva di luci, di giorno come di notte. Anche sotto un cielo nero come la pece, ogni angolo risplendeva ed era illuminato a giorno. Le luci erano così forti da far impallidire addirittura il cielo stellato sulle loro teste.

La sua città che risplendeva più luminosa delle stelle del cielo, l'ennesimo trionfo dell'umanità sulla natura, e lui ne sarebbe diventato presto il sovrano assoluto.

Sorrise, guardando in distanza la lontana oscurità regnante oltre le mura della città. Quando avrebbe completato il suo progetto, avrebbe potuto finalmente liberare la terra dai vermi che la infestavano. Il mondo spettava agli uomini, esseri superiori in grado di sottomettere la natura a proprio piacimento. Lui aveva trovato la chiave per farlo.

 

Sorrise soddisfatto, guardando l'orologio sul suo polso. La data odierna spiccava a caratteri digitali contro il monitor dell'orologio da polso. Presto, tra pochi giorni sarebbe stata la festa di celebrazione per la fondazione della città. L'Holy Celebration.

 

Sì, potrei approfittarne per un po' di pulizia. E intanto Rashi potrebbe approfittarne per recuperare i due topolini in fuga. È perfetto...

 

L'uomo guardò per l'ultima volta fuori dalla finestra, poi si voltò, raccolse i suoi oggetti personali e lasciò infine l'ufficio. Prima di spegnere la luce si voltò nuovamente per guardare la grande vetrata che dominava l'intero ufficio e sorrise.

 

Sì, molto presto farò di questa città una Città Santa nel vero senso della parola. E poi, ne diverrò il sovrano assoluto.


 


 

Continua....


 

Piccola nota:

Tadaima= sono a casa

Okaeri= ben tornato

so che la maggior parte di chi legge le conoscerà già, ma qualcuno mi ha chiesto cosa significassero.


 


 


 

 


 


 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > No. 6 / Vai alla pagina dell'autore: Annamirka