Anime & Manga > No. 6
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Autore: Annamirka    02/12/2011    2 recensioni
"Me o No.6, quale scegli?"
Cosa sarebbe successo se Sion e Nezumi non avessero avuto l'obbiettivo comune di infiltrarsi nel Penitenziario per salvare Safu? Se Safu non fosse mai stata rapita? Se Nezumi avesse messo Sion alle strette una volta per tutte affinchè prendesse la sua decisione?
Se No.6 avesse proseguito con il recupero del loro campione vivo in fuga, come era stato detto... Se...
Nezumi è l'unico in grado di fermare Elyurias. La furia della divinità dalla forma di vespa è più irrefrenabile e incontrollabile che mai.
Se scoperto il passato di Nezumi, Sion trovasse un modo per ottenere gli stessi poteri di Nezumi? Se potesse ottenere il suo stesso legame con Elyurias?
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Santo

-Prologo-


 


 


 


 

Gli occhi si aprirono lentamente. La era stanza buia, immobile.

Tutto sembrava normale, ma... c'era qualcosa di strano.

Cosa era quella sensazione d'ansia che le attanagliava il cuore?


 

Si sollevò dal letto, cercando di adattare gli occhi all'oscurità. Vuota.

Rivolse uno sguardo all'altra metà del letto, carezzandola con un tocco gentile.

Il tessuto delle lenzuola si presentava caldo al tatto, non doveva essere passato molto tempo da quando il suo compagno aveva lasciato il suo posto accanto a lei.

Sospirò, rivolgendo poi lo sguardo verso la porta.

Con molta probabilità doveva essere andato a controllare il loro bambino che dormiva nella stanza adiacente, e presto avrebbe fatto ritorno, baciandole la fronte.

E con un sorriso si sarebbe rimesso a letto, stringendola a sé.

Sorrise, pensando a quanto si sentisse fortunata a possedere una famiglia come la sua.

Un marito meraviglioso ed un figlio che, dall'alto dei suoi quattro anni, faceva già l'ometto di casa, dichiarando baldanzoso che avrebbe protetto sua madre da ogni pericolo.


 

Sorrise ancora al ricordo degli occhi di suo figlio.

Quel grigio scuro e intenso dalla stessa tonalità tipica della sua famiglia, ed ardenti della stessa vitalità e determinazione di quelli del suo amato marito.

Una famiglia felice, calda, che viveva in pace e prosperità, dedicando la propria vita alla protezione del loro amato villaggio e di quella preziosa foresta sacra che ospitava e nutriva numerose creature.

Si sistemò una lunga ciocca di capelli neri dietro l'orecchio, tentando di rilassarsi nell'oscurità. Non capiva perché, ma il suo animo era terribilmente inquieto.

Il suo sesto senso continuava ad agitarsi nel suo cuore, a gridarle a gran voce

«Stai sbagliando, c'è qualcosa che devi fare assolutamente!»...

 

All'improvviso sgranò gli occhi allarmata.

 

Odore... di fumo?

 

Si sollevò dal letto, cercando di affinare i sensi.

Sì, non si era sbagliata. Si trattava senza dubbio di odore di fumo, ed era molto forte. Poteva udire anche uno scricchiolio sinistro... il rumore di fiamme vive che ardevano?

Come aveva fatto a non rendersene conto prima?

 

Il suo pensiero volò subito al suo bambino.

Doveva andare da lui, doveva accertarsi che stesse bene.

Corse verso la porta, dalla quale si sollevava una spessa coltre nera che penetrava nella stanza attraverso la fessura in basso.

La situazione sembrava più grave di quanto avesse pensato inizialmente.

Portò una mano alla maniglia, cercando nel contempo di coprirsi il volto, utilizzando la manica della lunga e sottile veste da notte estiva, e tossendo nel tentativo di riguadagnare aria nei polmoni.

 

«Non... non si apre!»

 

La porta non si apriva.

La spinse più volte, provando ad aiutarsi anche con il peso del suo corpo, ma era del tutto inutile. Per quanti tentativi compisse, la porta sembrava non volerne sapere di muoversi.

 

Con tutta probabilità doveva esserci qualcosa che ne bloccava l'apertura dall'esterno.

 

Il panico si impadronì del suo cuore.

Cosa aveva scaturito l'incendio?

Perché non c'era nessuno in casa?

Dov'era suo marito, e dove si trovava il suo bambino?

Stavano bene? Erano al sicuro?

 

Il pensiero le infuse nuova forza, con la quale si scagliò con tutto il peso contro la porta. La porta si scostò maggiormente, ma qualcosa continuava ad impedirne una apertura adeguata, abbastanza da permetterle di passarvi attraverso.

Per quanto le fosse possibile, infilò la testa attraverso la fessura, lanciando un'occhiata nella stanza adiacente, in quella che veniva utilizzata come zona comune della baracca di legno.

 

Il fuoco era alto lungo le pareti. Il soffitto era in fiamme, e la porta della stanza di suo figlio era chiusa, ma fortunatamente sembrava non essere ancora stata intaccata dal fuoco.

 

Doveva fare qualcosa, doveva assolutamente riuscire ad uscire da quella stanza!

Si guardò velocemente indietro, cercando qualcosa da utilizzare per schermarsi dal fumo che le avrebbe intralciato i movimenti.

In un angolo della capanna individuò il tessuto di superfibra che suo marito era solito utilizzare come protezione. Come mai era uscito senza portarlo con sé?

Doveva aver lasciato la stanza in tutta fretta...

Cosa mai era accaduto?

 

Raccolse tra le mani il tessuto di superfibra, sistemandoselo sulle spalle con diversi giri intorno alla bocca. Se avesse potuto bagnarla con qualcosa, la fibra speciale avrebbe filtrato l'aria, tenendo in questo modo lontano il fumo.

Ma in quella stanza non disponevano di acqua.

 

Il mio bambino… devo andare dal mio bambino.

 

«Ok.» Con uno sguardo determinato guardò la parete dall'altro lato della stanza. Appese con chiodi e ganci, vi erano diverse armi ornamentali.

Lance, spade ed asce antiche.

La maggior parte di esse erano molto vecchie, tramandate all'interno della famiglia come trofei o mementi funebri.

Fin da quando era bambina, non aveva mai visto brandire una di queste armi da qualcuno del suo villaggio.

In un villaggio pacifico e ospitale, dove tutti vivevano in sincronia ed armonia con la natura, le armi erano possedute e tramandate come monito per l'uomo: strumenti che avevano il potere di ferire un altro essere vivente o stroncarne la vita.

Erano il simbolo e il monito di qualcosa che poteva essere solo inconcepibile e inaccettabile per un popolo che viveva venerando la vita nel rispetto della natura.

 

Dopo un veloce giudizio decise di afferrare una delle lance d'arredo appese alla parete, e tornò velocemente alla porta.

Utilizzando la lancia come leva tentò di forzarla posizionandola attraverso la fessura e spingendo il manico con tutte le sue forze.

Doveva aprirla, doveva riuscire assolutamente ad aprire quella porta.

 

«Madre!»

 

La voce di suo figlio, accompagnata da un colpo di tosse, le giunse attraverso il crepitio del fuoco. Proveniva dall'altra parte della porta.

 

Per fortuna sta bene...

 

«Madre?! Madre, sei lì? C'è così tanto fumo... madre?»

 

Tirò un sospiro di sollievo, infilando nuovamente la testa attraverso la fessura della porta, per guardare suo figlio nella stanza accanto.

Dalla spalla del bambino tre topolini squittivano allarmati. Lanciò un'occhiata alla stanza. Il soffitto in fiamme aveva ceduto in più punti, e il centro della sala era pieno di piccoli focolai in cui pezzi di legname e paglia caduti dal tetto ardevano crepitando.

.Suo figlio non poteva stare lì. Rimanere sotto la porta era pericoloso.

 

«Non... non avvicinarti, tesoro. La mamma uscirà presto.» disse spingendo di nuovo la lancia con il peso del suo corpo.

 

La porta si spostava leggermente, per poi tornare indietro, vanificando qualsiasi progresso compiuto. Doveva fare qualcosa, la capanna non avrebbe retto ancora a lungo.

Sentiva suo figlio al di là della porta continuare a tossire, mentre cercava di rimanere coraggiosamente calmo in quella situazione pericolosa.

Con i topolini che gli correvano sulla spalla, il bambino aveva preso un ferro dal camino, e con tutta la forza nelle sue piccole manine stava cercando di spostare i pezzi di legno che ostruivano l'apertura della porta.

Un bambino davvero sveglio per avere solo quattro anni, e non lo pensava perché lei ne era la madre, ma sapeva che suo figlio possedeva un'intelligenza ed uno spirito d'adattamento davvero fuori dal comune.

Si era sempre chiesta quale grande persona sarebbe diventato una volta adulto.

Lo aveva sempre immaginato rispettato ed apprezzato dall'intero villaggio come suo padre, con molte fanciulle che avrebbero fatto a gara per attirarne l'attenzione.

Con quegli occhi grigi intensi, il portamento fiero del padre e l'eleganza ereditata dalla famiglia materna.

Gli abitanti del villaggio lo viziavano già con dolci e giocattoli ogni qual volta faceva loro gli occhi dolci. A quattro anni, quel bambino sembrava aver già compreso come rigirarsi un adulto sul mignolo della mano, e spesso era costretta ad andare a riprendere suo figlio dalle cucine, dove lo avrebbe trovato davanti ad una tazza di cioccolata calda fumante, con i topini che sgranocchiavano piccole molliche di pane o semi e le donne incaricate della cucina che lo guardavano adoranti.

Un sorriso o una canzone e quel bambino riusciva a comprare chiunque.

Quante volte aveva dovuto trascinarlo via dalle altre capanne sotto gli occhi divertiti delle sue 'ammiratrici', dicendogli che non doveva procurare fastidi alle persone!

Quattro anni e già così pieno di vita, così promettente.

 

Aveva solo quattro anni ma dai suoi occhi grigi traspariva una grande personalità, oltre a quell'abilità, quel potere posseduto da lei ed ereditato dalla sua famiglia, il potere di cantore.

Un giorno anche lui avrebbe messo la sua dolce e gentile voce al servizio della loro amata divinità, in una melodia di devozione, una melodia capace di donare pace ai sensi.

Quel vento capace di portare via le anime scorreva già fiero dentro di lui. Poteva sentire quella forza provenire da suo figlio.

 

Si fermò un attimo per riprendere fiato, sorridendo al suo bambino attraverso la porta, per tranquillizzarlo.

 

Ritornò nella posizione iniziale. Uno dei topolini, quello nero con il collo bianco, si stava arrampicando per la sua veste, squittendo una volta raggiunta la sua spalla.

 

«Sei qui per incoraggiarmi?» sorrise al piccolo roditore, accarezzandolo leggermente sotto il collo. Quei tre topolini avevano deciso di seguire suo figlio senza una apparente ragione, lo avevano sempre fatto.

Un giorno di primavera, qualche mese prima, lei e suo figlio si trovavano all'ombra di un albero di faggio, mentre insegnava al bambino le gioie del canto.

Suo figlio era disteso sull'erba, con gli occhi chiusi, e canticchiava distratto.

Lei lo guardava sorridendo, mentre attendeva che suo marito li raggiungesse. Lasciando vagare lo sguardo per la sua amata foresta, aveva notato un grosso topo bianco con diversi cuccioli dietro alcune rocce poco distanti da loro. In silenzio, aveva attirato l'attenzione di suo figlio scuotendolo leggermente con una mano, indicandogli i topini senza fare rumore per non spaventarli.

Ma il bambino aveva deciso ugualmente di avvicinarsi loro.

Appena resisi conto della sua presenza, mamma e cuccioli erano fuggiti via terrorizzati, ad eccezione di tre piccoli topolini.

Il bambino, soddisfatto, aveva allungato una mano per accarezzarli.

Un piccolo topino bianco si era avvicinato al suo dito per fiutarne l'odore, lo aveva guardato dritto negli occhi, e infine lo aveva morso, correndo velocemente a nascondersi, seguito a ruota dagli altri due.

Suo figlio aveva sbuffato indispettito e l'aveva raggiunta nuovamente, proclamando che non gli interessavano perché infondo non erano nemmeno carini, e infine si era disteso nuovamente accanto a lei, riprendendo a cantare ad occhi chiusi.

Dopo qualche secondo aveva guardato nuovamente suo figlio, si era resa conto che i tre topolini si trovavano sulla spalla del bambino, e ascoltavano rapiti il suo canto. Da quel momento non avevano più lasciato il suo fianco, e per quanto il bambino continuasse a dichiarare che non fossero suoi amici, e si fosse sempre rifiutato di dar loro un nome perché 'erano solo stupidi topi', ogni giorno dava loro da mangiare. Da allora non si erano mai più separati.

Sorrise al ricordo di quella giornata.

Erano passati pochi mesi eppure sembrava così lontana.

 

Si asciugò il sudore dalla fronte, per poi rinforzare la presa sul manico di legno, e premette nuovamente contro lancia.

Il legno della vecchia arma scricchiolava in modo inequivocabile, presto si sarebbe spezzata.

 

«Ma ci sono tanti tronchi pieni di fuoco, madre, come farai ad uscire?»

 

Eve sorrise alle parole del suo piccolo ometto.

Eccolo lì che si preoccupava per la sua mammina.

Sospirò, dandosi un nuovo slancio contro l'arma usata come leva.

Dopo un paio di tentativi, la lancia si spezzò completamente, mandandola quasi a schiantarsi contro la parete davanti a sé.

Sentì il bambino dall'altro lato della porta chiedere cosa fosse successo, ma lo rassicurò con un «Nulla amore, non preoccuparti.»

 

Si guardò le mani.

Stavano sanguinando.

Alcune schegge del legno spezzato si erano infilate nelle dita, ma non poteva lasciarsi vincere da questo, doveva continuare a tentare.

Si guardò intorno, e notò il topolino scendere già per la manica e correre verso la parete da cui aveva preso la lancia poco prima.

Stava agitando il musetto freneticamente, indicandole un'ascia.

 

Sì, un'ascia era perfetta.

Percorse la stanza, sorridendo al topolino come ringraziamento, e notando che una parte della parete di legno accanto alla porta aveva cominciato a prendere fuoco.

Doveva fare presto, non sapeva per quanto ancora la struttura di legno e paglia avesse potuto reggere all'azione del fuoco, e lei stessa iniziava già a sentirsi debole a causa del fumo.

 

Prese l'ascia dal muro, liberandola dai ganci che la tenevano ferma contro la parete, e tornò di nuovo alla porta seguita dal topolino.

I colpi di tosse che sentiva al di là della porta le indicavano che suo figlio era ancora lì, e i vari “oh issa” le segnalavano che era ancora intento a spostare i pezzi di legno.

Si affacciò nuovamente attraverso la fessura della porta, per trovare suo figlio che si manteneva un fazzolettino bagnato davanti alla bocca.

Davvero sorprendente per un bambino di quattro anni.

 

Lanciò uno sguardo al soffitto.

Vedeva la paglia e il legno del solaio ardere con maggior forza.

Presto! Doveva fare presto.

 

«Ascoltami bene, tesoro, adesso la mamma butterà giù la porta, quindi cerca di stare lontano. Ok?»

 

Lo sentì annuire e attraverso lo spiraglio della porta lo vide avvicinarsi ad un angolo della capanna lontano dalla porta.

Il fuoco era sempre più feroce, e nonostante il fazzoletto  a coprirgli il volto, suo figlio stava tossendo visibilmente ormai a limite.

I topolini facevano capolino dalle pieghe dei vestiti, per poi rituffarsi subito dopo. «Tesoro, esci fuori dalla capanna, la mamma ti raggiungerà presto.»

 

Il bambino la guardò con due occhi indignati, che la fecero quasi sorridere, e con un musone enorme le rispose «Scordatelo! Che uomo sarei se fuggissi lasciandoti qui?»

 

Sorrise a suo figlio, per poi fare qualche passo in dietro, e corse infine verso la porta con l'ascia alta tra le mani.

L'ascia si conficcò rumorosamente nella porta, creandole qualche difficoltà nel momento in cui cercò di estrarla.

 

Facendo pressione sul manico con le mani, sentì le piccole schegge di legno di poco prima conficcarsi ancora più in profondità nelle sue carni.

Il topolino squittì da sopra la sua spalla, come per volerla incoraggiare.

 

Respirando a denti stretti, staccò l'ascia dalla porta, aiutandosi facendo leva con un piede, e portò nuovamente l'ascia al di sopra della testa.

Fortunatamente il legno della porta era abbastanza vecchio e malandato, e si rompeva facilmente sotto i colpi poco fermi e insicuri della donna.

Era stanca, gli occhi le lacrimavano a causa del fumo e ogni qual volta impugnava il manico dell'ascia per sferrare un nuovo colpo, le mani diffondevano un brivido di dolore lungo tutto il corpo.

 

Ma doveva andare avanti, non poteva fermarsi lì, doveva assolutamente uscire da quella stanza.

Amava la vita, e non si sarebbe mai arresa se c'era ancora una possibilità di combattere.

Doveva farlo anche per il suo bambino che le infondeva coraggio dall'altro lato della porta.

 

Continuò a colpire la porta vicino alla cerniera. Se fosse riuscita a rompere quella zona della porta, questa sarebbe poi caduta da sola.

Ormai poteva vedere chiaramente suo figlio dall'altro lato della porta, il quale aveva preso una pala dal camino e si stava nuovamente avvicinando alla porta che la teneva prigioniera.

 

«Tesoro, va' via. Non puoi stare lì, è pericoloso. Devi correre fuori, piccolo! Hai capito?»

 

«No, io ti devo aiutare, madre.»

 

«No, allontanati di lì, ti prego!»

Un altro colpo di ascia contro la porta, mentre la tosse tornò nuovamente ad assalirla.

Si fermò un attimo, abbassando il capo mentre si toccava il collo con la mano, ma uno strano rumore le fece alzare nuovamente il capo di scatto.

 

La visuale davanti a lei era abbastanza libera da permetterle di comprendere con uno sguardo cosa era stato il rumore.

Altre travi della capanna avevano ceduto per via del fuoco, ed ancora più pezzi di legno ardente erano precipitati al suolo, andando ad aggiungersi a quelli che ostruivano la porta.

 

I topolini stavano squittendo allarmati, uno di loro cercava inutilmente di mordere il tessuto del pantalone del bambino per portarlo via.

 

«Voi, smettetela! Devo spostare questi pezzi di legno per far uscire la mamma, non vedete che sta crollando tutto?»

 

Suo figlio si trovava al centro della stanza, proprio al di sotto di quel soffitto pericolante, e cercava di spostare via la legna ardente da dietro la porta.

Non poteva restare lì, il soffitto stava bruciando, sarebbe potuto crollare tutto da un momento all'altro.

 

«Va via di là!»

 

 

Avvenne tutto in un attimo.

Udì uno scricchiolio ed un attimo dopo altre travi stavano cedendo dal soffitto.

Sgranò gli occhi, chiamando a gran voce il nome del bambino, mentre vedeva con i suoi stessi occhi le travi che precipitavano addosso a suo figlio.

Il piccolo finì a terra, una trave ardente gli bloccava la schiena.

I piccoli topolini corsero via impauriti, per poi tornare coraggiosamente indietro, e cominciare freneticamente a tirargli i vestiti con i piccoli dentini.

La donna chiamò più volte il nome di suo figlio, ma il bambino non rispondeva.

Per un attimo temette il peggio, ma si rese conto che il torace del piccolo si muoveva su e giù. Respirava ancora, aveva solo perso i sensi.

Tirò un sospiro di sollievo, mentre il cuore le martellava forte in petto.

Non poteva ancora rilassarsi, non con suo figlio schiacciato sotto una trave ardente, con altre travi in bilico sopra di lui, in procinto di crollare da un momento all'altro. No. Non doveva succedere questo, non poteva morire in quel modo.

Con una determinazione rinnovata dalla forza della sua disperazione, afferrò l'ascia, colpendo con tutte le sue forze l'ultimo pezzo della porta che aveva ormai iniziato ad andare a fuoco.

 

Il fuoco le lambiva le mani, bruciandole gli orli della veste, ma doveva continuare, doveva salvare suo figlio.

 

Dopo diversi colpi, il pezzo centrale della porta finalmente cedette, cadendo fragorosamente al pavimento e rivelando completamente alla vista la parte della capanna oltre la porta di legno.

Suo figlio si trovava sdraiato al centro della stanza, la piccola maglietta in fiamme, e una trave sulla schiena gli impediva di tirarsi su nonostante gli sforzi.

I topolini gli giravano intorno come impazziti, tentando di svegliarlo squittendogli accanto alle orecchie. Dopo diversi interminabili istanti lo vide muovere una mano, per poi aprire gli occhi.

Aveva ripreso i sensi.

 

Il bambino si guardò intorno, mettendo a fuoco il volto della madre, ed in un istante il panico scomparve dagli occhi grigi, lasciando spazio ad un sorriso rassicurante.

Nonostante il dolore, le stava sorridendo debolmente, allungando verso sua madre una manina annerita dalle fuliggini e sussurrandone il nome con un leggero movimento delle labbra, prima di perdere nuovamente i sensi.

Eve corse da suo figlio, graffiandosi le guance contro il legno scheggiato della porta e strappandosi le vesti semi bruciate mentre raggiungeva a piedi nudi il suo bambino.

Gli scostò di dosso la trave, non prestando ascolto alle mani che gridavano a gran voce avvertendola del dolore per le scheggi e le bruciature, e districò la superfibra dalle sue spalle, utilizzandola per spegnere le fiamme dalla maglietta di suo figlio e premendola davanti al naso e alla bocca del bambino per impedire che respirasse ulteriore fumo.

Sollevò infine il bambino tra le braccia, notando un leggero gemito scappare dalle labbra del piccolo, nel momento in cui le braccia gli avevano sfiorato la base della schiena, e si affrettò a correre fuori dalla capanna, seguiti dai topolini.

Gli occhi le lacrimavano, la gola bruciava secca e asciutta e il petto le doleva per i ripetuti colpi di tosse.

 

Ma erano fuori, erano salvi.

Si fermò a riprendere fiato, stringendo suo figlio al petto.

Si sentiva stremata, ma la sensazione del suo bambino stretto al petto la rincuorava come non mai.

 

Dopo alcuni attimi di respiro, si concesse finalmente di guardare lo spettacolo che si trovava davanti a lei.

Il cuore le balzò in gola e sembrava non volesse saperne più di tornare al proprio posto. Ma cosa…?

 

L'intero villaggio si trovava in fiamme allo stesso modo della sua capanna. Una grande quantità di persone, i suoi compagni di tribù, correvano alla rinfusa per le strade.

Amici, parenti, conoscenti, adulti, bambini, anziani, tutti correvano e gridavano, piangendo e domandandosi perché stesse accadendo tutto questo. Il vento che soffiava sinistro, era caldo, bollente, e portava con se la fuliggine e l'odore della distruzione. Un odore di morte.

Come era possibile?

 

Perché il loro meraviglioso e pacifico villaggio era divorato dalle fiamme?

Alzò gli occhi al cielo, stringendo suo figlio al petto.

Sembrava tutto così surreale.

Il cielo estivo avrebbe dovuto essere ricco di stelle, eppure non poteva scorgerne alcuna, così illuminato dal rosso cremisi delle fiamme e dal grigio e dal nero plumbeo del fumo. Tossì ancora, coprendosi il volto con una mano.

Perché stava succedendo tutto questo?

Eppure nessuno del suo villaggio avrebbe mai perso il controllo di un fuoco. Conoscevano troppo bene il fuoco e la natura perché potessero perderne il controllo fino a quel punto.

Guardò verso la foresta quasi per istinto, e quanto vide le strinse il cuore.

 

No...

 

La foresta era completamente immersa nelle fiamme.

Alte, altissime fiamme bruciavano fino al cielo, divorando gli alberi e le creature che aveva sempre amato e protetto con la sua tribù, che la loro divinità protettrice aveva sempre aiutato loro a difendere.

 

Che la Dea li avesse abbandonati?

No, non era possibile, la sua tribù aveva vissuto da sempre in quella foresta, proteggendo la natura e le forme di vita che la abitavano.

Qui nel villaggio di Mao erano tante le leggende che circondavano la grande dominatrice, colei che proteggeva questa terra da tempi immemori.

Nessuno aveva mai visto la sua vera forma, ma ciclicamente compariva davanti al suo popolo, invocata dai cantori. Anche lei era uno di questi.

Si trattava di una tradizione di famiglia, l'aveva ereditata da suo padre ed ora aveva riconosciuto il suo stesso potere in suo figlio.

Una voce capace di portare via le anime, come il vento che soffia lambendo leggero le terre preziose e rigogliose, i laghi che risplendono con i loro riflessi in lontananza, le montagne morbidamente ricoperte di nuvole e i corsi d'acqua che scorrono limpidi e tranquilli, pieni di vita.

La loro Dea proteggeva queste terre da sempre, insieme al suo popolo, il popolo della foresta, da cui era temuta e rispettata da quando i primi membri della tribù avevano calpestato per la prima volta quella terra.

Da sempre la Dea si sarebbe presentata loro per poter concludere la sua rinascita.

Una volta ogni dieci anni, in un continuo ciclo di morte e vita, il popolo della foresta avrebbe presentato alla Dea, con canti e riti, quel sostegno che avrebbe aiutato la dominatrice nella sua rinascita: il suo ospite, il 'Letto della Divinità'.

Un cervello di animale in cui avrebbe deposto le sue uova, una delle quali sarebbe poi divenuta la nuova regina.

La tribù si impegnava a proteggere il Letto della Divinità, sottraendolo ai pericoli fino al giorno della schiusa delle uova, quando sarebbe andato poi distrutto.

I cantori avrebbero cantato per lei, per venerarla e sedare la sua ira, ottenendone al contrario favore e protezione, così che a sua volta, Lei avrebbe protetto per loro quella foresta dove le sue uova avrebbero atteso la schiusa.

Era così da sempre, la potente e magnanima dominatrice non aveva mai fatto loro del male, prendendo possesso di un uomo o uccidendolo, scegliendo invece di utilizzare quell'ospite che veniva lei offerto.

Lei aveva sempre protetto quella terra, ricoperta da rigogliose distese di faggi, dove numerose creature vivevano protette e potevano trovare rifugio e sostentamento.

E dove da sempre il popolo di Mao viveva in sintonia con la natura.

Ed ora quella foresta, la loro foresta, la loro casa era in fiamme.

 

Eve si guardò intorno, alla ricerca di un viso famigliare. Dove si trovava suo marito?

Le sue sorelle? Si strinse maggiormente suo figlio al petto, il battito del cuore del bambino contro il suo riusciva ad infonderle quel coraggio per andare avanti, per non impazzire.

Doveva trovare qualcuno che le spiegasse cosa stesse accadendo, e sopratutto un modo per fermare l'incendio. Per fermare quella pazzia.

All'improvviso un'esplosione squarciò il silenzio delle fiamme, seguita subito dopo da un'altra, e un'altra ancora.

Da un remoto angolo del villaggio provenivano diverse esplosioni.

Vedeva i suoi compagni in lontananza, correre da quella direzione, e poco dopo accasciarsi a terra, immersi in una pozza di sangue.

 

Cosa era? Cosa era?

Cosa stava succedendo?

Non... non era stato un semplice incendio allora?!

 

Alcune donne corsero verso di lei. Tra di essere c'era la vecchia sciamana del villaggio.

La vecchia le corse incontro chiamandola per nome e prendendola per mano, trascinandola nella direzione inversa a quella da cui provenivano le esplosioni.

No, doveva trovare suo marito, le sue sorelle, non poteva fuggire lasciando indietro i suoi cari.

Strinse suo figlio ancora più forte a sé, mentre il piccolo mostrava i primi segni dei sensi che stavano tornando. I topolini erano nascosti tra le pieghe del suo pigiama.

Cosa avrebbe pensato questo bambino, vissuto tutta la vita in un ambiente caldo e accogliente, nella gioia e protezione della sua famiglia, di fronte ad una realtà tanto dura da accettare?

Esplosioni capaci di troncare una vita, sangue, fuoco, disperazione, erano sempre state lontane da questo villaggio.

E per quanto il suo bambino fosse intelligente al punto da essere in grado di comprendere il pericolo ed agire velocemente in una situazione, - come aveva dimostrato poco prima- il fatto che non conoscesse crudeltà e ingiustizia era un realtà.

 

Piccolo mio, cosa penserai quando ti renderai conto che la vita può essere anche questo...?

 

Strinse il figlio forte a sé.

Un senso di inquietudine, come una premonizione le attanagliò il cuore, ed una lacrima lasciò i suoi occhi, solcandole il viso e scivolandole giù lungo la guancia.

I giorni di quiete, quei giorni di pace erano finiti per sempre, si erano ormai tramutati in un passato che non avrebbe potuto fare ritorno mai più.

 

Già, ormai non è più possibile...

 

Il gruppo di donne correva verso una zona nascosta della foresta, dove, ai suoi confini, si trovavano le montagne occidentali che dividevano la verde distesa a Nord dal territorio occidentale, montagne che celavano numerose grotte.

Le montagne ad Ovest della foresta erano da sempre state occupate dal popolo della foresta come dimora, fin dai tempi più antichi.

Numerose grotte, scolpite e rimodellate dall'uomo, giacevano al di sotto della superficie, correndo nascoste lungo tutta la zona circostante, fino a raggiungere quella zona ad Ovest, abitata dagli uomini da cui si erano sempre tenuti a distanza, dove fino ad una decina di anni prima sorgeva una piccola cittadina chiamata Rose Street.

La tribù aveva sempre scelto di non avere contatti con quegli uomini che vivevano in modo così differente dal loro.

Nel giro di una decina d'anni, da quella piccola frazione di case si era espansa divenendo man mano nel tempo una grande città, che aveva iniziato ad allargarsi ancora di più, occupando e distruggendo lentamente i territori circostanti.

La prateria a Sud era stata occupata e trasformata in campi da coltivazione e allevamento; la zona ad Est, quella meravigliosa distesa di verde e di laghi, veniva disboscata sempre più per lasciare spazio a zone residenziali, intorno alle quali era sorto un muro d'acciaio speciale sempre più alto; e le stesse terre al Nord erano spesso soggette a dei barbari attacchi, dove uomini muniti di strani tubi lucidi e neri, vagavano uccidendo le piccole creature che abitavano le foreste, con un rombo secco che squarciava la pace e la quiete della foresta.

Lepri, conigli, volpi, ed anche uccelli. Per questo avevano sempre cercato di tenersi lontani da quegli uomini così differenti da loro.

 

Era proprio in prossimità di quelle grotte che aveva incontrato quell'uomo, diversi anni prima. Un uomo con un camice bianco.

 

Si era perso nella foresta, attraversando incautamente il dedalo di gallerie nascosto in quelle montagne. Nessuno di quegli uomini tanto diversi da loro si era mai spinto nel cuore della loro foresta, e incontrarne uno proprio lì, così vicino al tempio, era stata una grande sorpresa.

Le grotte lo avevano condotto nel cuore della foresta sacra, provenendo dall'altra parte, dalla zona ovest, o West Block come lo chiamavano loro.

Titubante, gli aveva infine parlato, ed aveva scoperto che era giunto proprio attraverso quelle grotte che collegavano la foresta alle terre ad ovest delle montagne.

Le aveva detto di essersi smarrito, vagando nella zona alla ricerca di risposte.

Quando gli aveva domandato di quali risposte fosse alla ricerca, seduti all'ombra di un faggio, con il vento che soffiava gentile tra i capelli, l'uomo l'aveva guardata con determinazione e le aveva risposto «Un modo per salvare questo mondo.»

 

Eve aveva sempre posseduto una speciale abilità, quella di leggere nel cuore delle persone, e in quel momento aveva letto del vero negli occhi di quell'uomo.

Quell'uomo, appartenente ad un mondo così distante dal suo, un mondo immerso solo nella corsa all'espansione e all'assoggettamento della natura, desiderava rimediare agli errori che i suoi simili avevano per lungo tempo compiuto.

Quella determinazione l'aveva convinta, ed infine gli aveva parlato del loro modo di vivere. Di come il popolo della foresta vivesse proteggendo da sempre quella terra.

L'uomo sarebbe tornato diverse volte a trovarla, parlandole di quel mondo così diverso dal suo, delle guerre che la sua gente aveva affrontato, degli errori irrimediabili che avevano portato alla distruzione di quanto la natura aveva messo loro a disposizione.

Per la prima volta Eve si era resa conto che la realtà in cui viveva non era l'unica possibile, che un mondo di pace e serenità è qualcosa che va conquistato giorno per giorno, non qualcosa che si può ottenere vivendo passivamente i propri giorni, aspettandosi che siano gli altri a prendere una decisione per te.

 

Quell'esperienza le aveva permesso di apprezzare maggiormente il valore di quanto possedeva: una foresta che amava, una famiglia che adorava ed un villaggio che rinnovava giorno dopo giorno la decisione di vivere in accordo e nel rispetto di quanto la natura offriva loro.

 

Il giovane ricercatore le chiese della loro Dea, che aveva ribattezzato Elyurias, della natura e del patto tra Lei ed il popolo di Mao.

Le chiese di poter ascoltare la sua canzone, o di spiegargli il significato dei bassorilievi che adornavano il Tempio della Dea.

Per diverso tempo lo aveva incontrato tra quegli alberi ai piedi delle montagne ad Ovest, ed ogni volta sarebbe andato via, facendo ritorno al suo mondo attraverso quelle grotte che lei non aveva mai varcato.

Da un giorno all'altro, tuttavia, le cose erano cambiate.

Le domande dell'uomo, spinte una volta solo dalla curiosità e dall'amore per la conoscenza, dal desiderio di cambiare e di migliorare, erano divenute lentamente qualcosa dettata dall'ossessione.

 

Era ossessionato da 'Elyurias', affermava che la Dea avrebbe potuto risolvere i problemi del suo mondo e dei suoi compagni, se solo avessero potuto capire la natura del suo potere.

I suoi occhi avevano perso la luce di cui brillavano al principio, quella luce che l'avevano convinta a fidarsi di lui.

Così gli aveva chiesto di non tornare mai più e di dimenticarsi di Elyurias.

 

«La Dea non è qualcosa del tuo mondo, e due mondi differenti non si possono mescolare, non dovranno mai farlo.»

 

Da allora non lo aveva più visto.

La città da cui proveniva si era allargata a dismisura, disboscando le foreste e continuando nella sua opera di inquinamento dell'aria e del suolo.

Aveva visto quel popolo sviluppare una tecnologia sempre più capace di influenzare la natura, sempre più disastrosa. Una tecnologia... capace di portare distruzione.

 

Forse questi attacchi sono davvero opera di quella città?

 

Si fermò.

Se era così, il loro obbiettivo doveva essere la Dea...

 

La vecchia sciamana si voltò a guardarla interrogativamente, mentre suo figlio, che stava guardando alle loro spalle nella speranza di veder sbucare suo padre, tirò in dietro la testa per guardarla in viso.

 

«Cosa c'è, madre?»

 

Eve guardò suo figlio, sorridendogli, poi spostò lo sguardo sulla vecchia, chiedendole con un espressione seria.

 

«Sei riuscita a vedere chiaramente chi stava attaccando? Erano di quella città, di No.6, non è così?»

 

L'anziana donna la guardò incerta per qualche secondo, poi scosse il capo, mordendosi le labbra.

 

«Eve-sama... in mezzo a quella confusione non sono riuscita a vedere nulla, è successo tutto così all'improvviso. Ero a letto anche io quando ho sentito la prima esplosione.

Le mie figlie mi hanno chiamata e siamo corse fuori dalla capanna.

 E quello che abbiamo visto era... c'era fuoco, fuoco dappertutto. E gli uomini, che avevano cercato di parlare, di convincerli pacificamente a risolvere qualunque fosse il motivo per cui ci stavano attaccando.... loro erano a terra, in una pozza di sangue...

c'era anche suo marito...»

 

La donna si fermò, guardando il bambino tra le braccia della donna dai lunghi capelli neri. Aveva quattro anni, ma dai suoi occhi spalancati e l'espressione consapevole, non aveva dubbi... il bambino aveva capito che suo padre non c'era più.

 

«Mi... mi dispiace...»

 

Eve seguì lo sguardo della vecchia signora, guardando suo figlio che cercava di trattenere le lacrime, tra le sue braccia.

Non stava piangendo, probabilmente non piangeva per non far soffrire lei...

Eve strinse suo figlio a sé, chiudendo un momento gli occhi.

 

È morto... morto.... non ci sei più...

Una lacrima le scese giù lungo il viso.

Non doveva piangere, non davanti al loro bambino, non quando lo stesso bambino stava facendo di tutto per trattenere le proprie.

Sentì una piccola mano toccargli il viso.

Era la manina di suo figlio che le asciugava le lacrime, mentre cercava di trattenere le proprie.

Lo posò a terra, cadendogli davanti in ginocchio ed abbracciandolo stretto.

 

Non c'era più, la loro famiglia non c'era più, era troppo tardi ormai...

Il bambino rimase per qualche secondo immobile tra le sue braccia, poi sentì due piccole manine posarsi sulle sue spalle, e venne spinta fino a trovarsi faccia a faccia con due occhi grigi.

Lo stesso grigio di quelli di suo marito.

 

«Madre, ti proteggerò io, non devi preoccuparti.»

 

Questo bambino stava facendo di tutto per darle la forza, e lei doveva essere forte a sua volta. Ormai erano soli, era l'unica che avrebbe potuto prendersi cura di lui.

 

Ricordò la sensazione che aveva provato poco prima.

Quella premonizione, quel sesto senso che le diceva che ormai era troppo tardi per tornare indietro.

L'istinto aveva sempre avuto ragione.

Era una dote da cantore, un istinto capace di prevenire pericoli, un dono della Dea per permettere loro di proteggere il letto della divinità.

Già, aveva dei doveri, come madre e come cantore, aveva il dovere di salvare suo figlio, e di preservare 'Elyurias'.

«Dobbiamo andare al tempio, dobbiamo mettere al sicuro il tesoro sacro, e il letto della divinità.»

 

Eve sollevò nuovamente suo figlio tra le braccia, e corse verso il tempio ai piedi delle montagne a Nord-Ovest, seguita dalla vecchia sciamana e le sue due figlie.

Il tempio della Dea, dove era custodito il letto della divinità e venivano praticati i riti della Sacra Rinascita, era ancora intatto, celato tra la folta vegetazione.

Il fuoco fortunatamente non aveva ancora raggiunto quella porzione di foresta, più fitta e celata rispetto al villaggio, ed anche le esplosioni si udivano sporadiche e lontane da quella zona.

L'anziana signora insieme alle donne salì le scale del tempio, spalancando le porte perché la giovane cantatrice riuscisse ad entrare con il figlio tra le braccia.

 

Al centro del tempio figurava l'enorme effige di una vespa, incastonata nella pavimentazione a mosaico, circondata da sei bracieri marmorei le cui fiamme non venivano mai spente, e numerosi segni ed incisioni erano intarsiati lungo ciascuna parete d'alabastro nella grande sala esagonale.

Opposto all'ingresso del tempio, preceduto da un'ampia scalinata bianca, sorgeva un grande altare marmoreo, completamente scolpito come le pareti, sul quale veniva custodito il letto della divinità durante il periodo della schiusa delle uova.

Seggi in pietra erano addossati alle pareti laterali, dove mosaici multicolore ritraenti soggetti naturali adornavano le alte finestre bifore.

La luce della luna che penetrava attraverso le finestre colorate, frammentandosi in tutte le direzioni, proiettava ombre maestose ed eteree sul grande mosaico, il simbolo della Dea, che dominava imponente il pavimento.

In questo scenario tranquillo e silenzioso, il ricordo degli atroci eventi e delle terribili visioni a cui avevano assistito i loro occhi stanchi, sembravano quasi memorie lontane, scherzi irreali delle loro menti disorientate.

 

Era passato tanto tempo dall'ultima volta in cui aveva cantato per la Dea in quel luogo sacro.

Probabilmente il rito si sarebbe tenuto in un anno o due, quando la loro divinità protettrice avrebbe cominciato a chiamare il cantore, comparendogli in sogno e allietandolo con la sua canzone.

Gli avrebbe fatto capire che il tempo era ormai al limite, che occorreva la preparazione per un nuovo letto della divinità perché potesse depositare nuove uova.

 

Tempo fa, quell'uomo proveniente dal mondo al di la delle montagne le aveva chiesto se fosse possibile avere quello che restava del letto della divinità, allo scopo di studiarlo e comprenderne la natura dell'essere che chiamava 'Elyurias'.

Eve ovviamente aveva rifiutato.

Sarebbe stato come consegnare la divinità stessa nelle mani di quel mondo senza amore per la natura, oltre le montagne.

Non poteva permetterlo, mai.

 

Salì le scale dell'altare.

Alla base del supporto per il letto della divinità giaceva uno scrigno di legno intarsiato, arricchito da numerosi disegni e simboli, e sulla sua sommità compariva uno stemma riportante la stessa effige rappresentata al centro della sala.

L'occhio della Dea, disegno di una vespa con al centro l'occhio della protezione, rappresentava la regalità della dominatrice.

 

Eve posò suo figlio per terra, e prese il forziere con le mani.

Al di sotto di esso era custodito il libro della conoscenza, il volume in cui erano tramandate le leggende riguardo la Dea, il patto con il popolo della foresta e la storia del loro villaggio.

Il popolo della foresta non aveva un capo, ma vivevano in una comunità dove tutti decidevano insieme: il compito di tramandare storie e tradizioni era affidato agli sciamani, che curavano e proteggevano la tribù con la benedizione della Dea e con l'aiuto dei cantori.

I cantori all'interno del villaggio erano un numero esiguo, solitamente uno o due per generazione. Si trattava di un titolo tramandato di generazione in generazione insieme a quel potere che permetteva di invocare la Dea e aiutarla nella sua rinascita.

Un cantore cantava per la Dea e possedeva, attraverso la sua voce, la facoltà di allietare l'animo di qualunque creatura., come un vento che portava via le anime e rubava i cuori.

 

Nemmeno nel libro della conoscenza era riportata notizia di chi fosse stato il primo cantore o di come il popolo della foresta fosse venuto in contatto con la Dea protettrice, ma una cosa si tramandava con fermezza.

Le scritture dicevano che mai più l'oggetto contenuto in quello scrigno avrebbe dovuto essere utilizzato, perché avrebbe condotto grandi sciagure al suo utilizzatore.

Solo un cuore deciso, dalla forte volontà e con un desiderio per cui avrebbe sacrificato qualunque cosa, sarebbe stato in grado di toccarne il contenuto, ma il suo utilizzo avrebbe attirato su di se la sventura.

Il ruolo dei cantori era impedire che sacrifici simili venissero compiuti nuovamente.

Ma non aveva scelta, non poteva permettere che quelle persone senza rispetto ed amore per la natura potessero mettere le mani sulla Dea.

 

Sollevò il piccolo scrigno tra le mani.

Poteva già sentire quella voce che la chiamava.

Sentiva la sua anima venire trascinata via da una forza dolce e calda, ma allo stesso modo potente ed intensa quanto una tempesta.

 

 

Solo un'anima forte, caratterizzata da un fortissimo desiderio poteva utilizzarne i suoi poteri a pieno”

 questo recitavano le scritture.

 

Non avrebbe dovuto farlo nessuno, mai più, questa sarebbe stata l'ultima volta.

Strinse forte le mani intorno alla scatola e fissò il libro, gli occhi che le pizzicavano per le lacrime che stava trattenendo. Lo aprì e strappò via le pagine che parlavano del rito.

 

Mai più, nessuno avrebbe mai più dovuto... dopo di lei.

 

 

S i girò verso la vecchia sciamana, alle cui braccia aveva affidato il suo bambino che la guardava con i suoi grandi occhioni grigi e curiosi.

Non aveva mai parlato a suo figlio della loro Dea, del ruolo di cantore.

Suo figlio le chiedeva spesso di cantare per lui, e non voleva che i loro momenti insieme divenissero semplici momenti d'insegnamento, ci sarebbe stato tempo in abbondanza per quello... aveva sempre pensato questo.

 

Si inginocchiò davanti al bambino, avvolgendo sulle spalle del piccolo il tessuto di superfibra appartenuto a suo marito, poi, con le mani sulle piccole spalle guardò il bambino negli occhi grigi pieni di domande.

 

«Tesoro mio, la mamma deve fare una cosa adesso. Ti prego, da bravo, va' con la vecchia sciamana. La mamma vi raggiungerà appena possibile, ok?»

 

Cercò di sorridere a suo figlio, tenendo a freno le lacrime che le stavano pizzicando terribilmente gli occhi.

Il bambino la guardò con i suoi occhioni curiosi, poi la sua espressione si fece determinata, ed afferrandole una lunga ciocca di capelli neri, allo stesso modo in cui aveva fatto per tante volte il suo amato marito, la guardò negli occhi.

«Madre, fa quello che devi fare, prometto che non darò fastidio e sarò buono.»

 

Eve guardò suo figlio per qualche interminabile istante, poi lo abbracciò forte.

Il bambino sussultò quando si sentì toccare la schiena.

Attraverso la parte inferiore della maglietta, bruciata e in pezzi, poteva vedere della carne annerita. Era un'ustione... suo figlio, avrebbe dovuto convivere con una simile ferita nel corpo... e anche nell'animo.

 

Lo strinse forte a sé, facendo attenzione a non fargli male, poi guardò l'anziana donna che le fece di sì con la testa in comprensione.

La giovane madre si separò infine dal bambino, e prese il libro tra le mani, passandolo all'anziana donna.

 

«Ti prego, tra qualche giorno, quando tutto questo sarà finito, torna a prendere il tesoro sacro. Non sapranno come usarlo ma mi sentirei più al sicuro sapendolo lontano da mani dalla crudele natura...»

 

Guardò la vecchia signora con uno sguardo determinato. La vecchia sciamana la guardò negli occhi ed annuì comprensiva.

Il bambino fissava entrambe con occhi attenti, gli occhi di qualcuno che sa esattamente cosa sta succedendo.

L'anziana donna le prese una mano, stringendola tra le sue, e la guardò con sguardo determinato.

 

«Come mi chiede lei, Eve-sama.»

Eve le sorrise leggermente, posando l'altra mano sul dorso di quella dell'anziana che stringeva la sua.

 

«Grazie.»

 

L 'anziana signora fece di sì con la testa, prendendo per mano il bambino. Le due giovani figlie della signora stavano piangendo.

 

«Madre, noi resteremo con Eve-sama a compiere il rito, vi raggiungeremo appena possibile.»

Abbracciarono a turno la vecchia donna, accarezzando poi la guancia del bambino a cui tante volte avevano regalato dolci e giocattoli quando gironzolava per il villaggio con i suoi occhi grigi, capaci già di stregare, e i topolini sempre al fianco.

 

«E tu fai il bravo, ok?»

Il ragazzino scosse la testa infastidito, e tornò a guardare la madre.

La luce nei suoi occhi era la stessa di quando aveva saputo della morte di suo padre.

Lui sapeva...

 

Eve strinse un pugno cercando di mostrarsi forte.

La figlia minore della vecchia sciamana le passò un foglio ed una vecchia penna, sorridendole mentre le suggeriva di scrivere due parole per suo figlio.

Eve sgranò gli occhi, poi fece un sospiro profondo e prese in mano carta e penna.

Suo figlio meritava di sapere chi era sua madre, quale fosse la sua storia... era intelligente ma i ricordi scompaiono, sbiadiscono...

 

Ciò che per te è importante, ciò che per te oggi è il mondo, non sarà altro che un lontano ricordo, un giorno...

 

La mamma che ha tanto amato in questi quattro anni, tra dieci sarà per lui una completa sconosciuta, un'ombra confusa in una memoria lontana.

 

Scrisse alcune parole nella carta, poi la ripiegò, consegnandola alla sciamana.

 

«Ti prego, fagliela avere quando sarà abbastanza grande per capire.»

 

In silenzio osservò la sagoma di un bambino e di un'anziana donna che svanivano lentamente oltre l'ingresso del tempio, avvolti nella luce dell'alba.

 

Si girò verso le due giovani donne, poco più che bambine, che la fissavano con le lacrime agli occhi, in pena per lei e per il destino che aveva colpito tutti.

 

«Ragazze... grazie....»

 

«Non possiamo permettere che si addossi tutta la responsabilità da sola, Eve-sama.»

Disse una delle due fanciulle stringendole la mano.

 

«Noi resteremo al suo fianco fino alla fine.» rispose la più giovane.

 

Eve sorrise alle due ragazze, pensando a come sarebbe stato suo figlio a quell'età, dove si sarebbe trovato e come avrebbe vissuto.

 

Perdonaci, non abbiamo saputo proteggerti...

 

Eve tirò un lungo sospiro, poi raccolse il piccolo forziere, ed avanzò al centro della stanza.

 

 

 

 

 

Diverse notti dopo, la vecchia signora fece ritorno al tempio. La scena che si trovò davanti era desolata, lo spettacolo più doloroso a cui avesse mai assistito. Più del villaggio in fiamme, più della visione dei suoi compagni, amici e conoscenti morire sotto i suoi occhi, sembrava che la visione del tempio distrutto avesse risvegliato in lei la consapevolezza di tutti gli eventi irreali che si erano susseguiti in quei giorni. Era tutto finito ormai.

Il villaggio di Mao, il popolo della foresta, i giorni sereni e pacifici vissuti proteggendo la foresta in nome della Dea.

Tutto finito.

 

 

Metà del tempio era in rovina, con numerosi massi e calcinacci sparsi per il pavimento.

La vegetazione intorno era stata completamente divorata dalle fiamme.

Di quegli alberi, sempre verdi e rigogliosi che dominavano la valle incontaminata circondando il tempio, erano rimasti solo scheletri spogli, tronchi anneriti dalla cenere e dalla fuliggine, là dove il fuoco non era riuscito a consumare la vegetazione ancora fresca e viva.

L'esercito era arrivato anche lì infine.

Perché? Chi erano quelle persone?

Si ricordò Eve-sama chiederle se aveva per caso riconosciuto nei loro aggressori gli abitanti di No.6.

 

No.6... la donna era abbastanza in là negli anni da aver assistito alla sua creazione, quando ancora i suoi abitanti occupavano quella piccola cittadina ad ovest delle montagne.

La vecchia Rose-street.

E per un gioco del destino, era proprio in quella Rose-street che era fuggita per cercare rifugio dalla furia di No.6.

 

 

Si domandò se avesse fatto bene a lasciare il bambino in quel sottoscala che aveva trovato, insieme ai topolini che il bambino aveva insistito per portare con sé.

D'ora in avanti sarebbe stato difficoltoso per lei provvedere al sostentamento del ragazzino e delle sue figlie, ma nonostante questo il bambino non aveva voluto separarsi da quei piccoli roditori.

La vecchia sospirò. Era una madre anche lei, ed anche le sue figlie erano state così vivaci alla sua età.

Le sue figlie,… dove si trovavano in quel momento?

Avrebbero dovuto raggiungerla non appena

Eve-sama avesse compiuto il rito.

Le aveva attese per mezza giornata al di là della grotta, ma quando il freddo e la fame avevano cominciato a farsi particolarmente duri, e l'ustione sulla schiena del bambino aveva cominciato a dare segni d'infezione, aveva dovuto trovare un riparo per lei e il piccolo. Per caso aveva trovato quella casa piena di libri, - o meglio erano stati quei tre topolini a trovarla, correndo e squittendo mentre portava il bambino febbricitante tra le braccia. Così l'avevano condotta in quella vecchia stanza piena di libri e polvere.

Non male per dei topi, ma diversamente per degli esseri umani, persone vissute per tutta la vita in mezzo alla natura.

 

Sospirò nuovamente, salendo infine l'ultimo gradino delle scale del tempio.

Probabilmente le sue figlie dovevano essere giunte dall'altra parte della grotta, ma non avendo trovato la loro madre, dovevano essere rimaste nei paraggi alla ricerca.

Era probabile che se le avesse attese al tempio, si sarebbero rincontrate prima o poi.

Certo, il bambino la stava aspettando con la febbre in quella stanza, ma i suoi topi sarebbero stati in grado di badare a lui per qualche ora.

 

 

La scena che si trovò davanti all'interno del tempio era agghiacciante.

Metà della volta era collassata sotto i colpi delle esplosioni.

I marmi, che un tempo ricoprivano tutte le pareti del tempio, erano ora disseminati sul pavimento, e in quei punti ancora attaccati alle pareti erano ormai illeggibili.

Delle grandi ed eleganti vetrate, dai sgargianti colori capaci di rapire chiunque fosse entrato nell'edificio sacro, erano rimasti solo gli scheletri, con i vetri frantumati sparsi al suolo e sulle panche di marmo ai loro piedi.

L'altare, distrutto in più punti, era completamente in disordine, e la teca in cui veniva riposto il letto della divinità era scomparsa.

 

 

Di Eve-sama nessuna traccia.

 

 

Nulla, non era rimasto nulla. Era davvero finito...

 

Eve-sama...perché è dovuto succedere tutto questo?

Oh Dea che proteggi tutti noi, che proteggi questa foresta, perché hai permesso tutto questo?

 

 

La donna si strinse una mano al cuore, e si avvicinò ad una delle panche di marmo ancora intatte. Si sentiva quasi svenire, aveva bisogno di sedersi, aveva bisogno di....

 

 

Sentì all'improvviso il proprio viso perdere tutto il suo calore, e un leggero tremolio si diffuse per il corpo. Per diverso tempo pensò di essersi dimenticata anche di respirare.

 

Ad un angolo della stanza, abbracciate, c'erano le sue due figlie, riverse in una pozza di sangue.

 

Si trovavano in un angolo, i loro visi erano contorti in una espressione di paura e dolore. Gli occhi ancora spalancati, le loro giovani bocche erano aperte, probabilmente in una supplica.

«Vi preghiamo, non uccideteci.»

Dovevano aver implorato quegli uomini, mentre questi puntavano loro contro le strane canne metalliche e le colpivano poi con quelle esplosioni. Le avevano uccise, ancora così giovani, non ancora in età da marito.

Erano rimaste indietro per permettere ad Eve-sama di completare il rito, perché quella maledetta città non si impadronisse della Dea.

 

Si inginocchiò davanti alle figlie, per guardarle meglio.

 

Poco più in là, abbandonato in mezzo alla pozza di sangue, giaceva qualcosa.

Sollevò l'oggetto tra le mani. Era lo scrigno. Il tesoro sacro.

 

 

Ti prego, tra qualche giorno, quando tutto questo sarà finito, torna a prendere il tesoro sacro. Non saprebbero come usarlo ma preferirei non lasciare comunque che lo trovino...”

Erano state le parole di Eve-sama poco prima che si separassero.

 

Il tesoro sacro, come era possibile che non lo avessero portato via? Probabilmente non lo avevano visto o non gli avevano dato peso, così riverso nel sangue.

 

Sorrise sinistramente.

 

Avete commesso un errore.

Vi pentirete di averlo lasciato qui. Con questo potrò sicuramente vendicarmi.

 

Sì, si sarebbe vendicata di quei bastardi usando lo stesso potere che avevano desiderato, spingendosi fino a questo punto.

Si guardò intorno.

Dove erano? Dove si trovavano le pagine che Eve-sama aveva strappato?

 

Le trovò ai piedi dell'altare, pezzetti di carta sparsi alla rinfusa sul pavimento. Li raccolse, mettendoli nello scrigno e dirigendosi infine fuori dal tempio.

Lo scrigno luccicava sinistramente nella luce dell'alba.

Sì, si sarebbe vendicata. Non importa quanti anni le sarebbero stati necessari.

Avrebbe aspettato in eterno se fosse necessario.

Avrebbe usato anche il bambino se fosse stato il caso.

Ma quella città doveva crollare, avrebbe trovato il modo, le fosse costata anche la vita, la sua e quella di chiunque altro nel tentativo.

 

Fine prologo.

 

 

 

 

Angolo dell’autrice


 


 

Grazie per la lettura. Innanzi tutto vorrei specificare che cercherò di seguire la novel più possibile, quindi se Sion sembrerà più 'scontroso' o Nezumi ancora più aggressivo sapete il perché. Alcune cose sono inventate, altre sono veramente informazioni contenute nella novel.

Ad esempio il nome Elyurias non è il vero nome della dea, né il popolo della foresta l’ha ha mai chiamata in quel modo, è un nome inventata dal vecchio fondatore della città (il tizio della grotta che ha cresciuto poi Nezumi).

Il personaggio di Eve l'ho inventato io, ma è facile capire perchè, anche la scelta del nome: le informazioni su Elyurias sono pressappoco tutte vere, il letto della divinità, i cantori, la sua rinascita ogni 10 anni, il fatto che protegge la foresta.

L'occhio della dea che ho tentato di descrivere era praticamente il simbolo dell'anime, quella vespa stilizzata, l'ho chiamato occhio perchè mi hanno fatto notare che assomiglia vagamente all'occhio di Horus, dunque mi sono ispirata al suo nome per battezzarlo. Siccome è un simbolo che dovrò nominare spesso, preferivo dargli un nome. Riguardo le grotte, dove vivevano i tipi, erano occupate fin da tempi antichi da una tribù indigena, lo dice nella novel, dunque ho tenuto ed utilizzato anche questo aspetto. Ed anche il fatto dei topolini di Nezumi discendenti di quella foresta è vero, ho solo inventato la storia del loro incontro.

 

Ultima cosa, la struttura della zona l'ho presa dalla novel:

· Nord – montagne

· Sud – prati

· Est - laghi

· Ovest - Rose Street (città originaria di Karan e Rikiga)

 

Ringrazio Onechan Evee Kitzune che mi ha fatto da Beta.


 

  
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