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Autore: Hullabaloos    30/12/2011    2 recensioni
"Quel che voglio far capire, è di non considerare i personaggi come graziose bambole che danzano nel vostro teatrino. Può darsi che quanto racconterò stia accadendo anche su questa terra, chissà. Dopotutto, questa è solo la storia di anime perse in questo spazio e tempo indefinito, che intrecciano la loro esistenza seguendo un sottile filo comune, così facile da spezzare. Tutto quello che chiedono è di essere ascoltate"
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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-Tu saresti in grado di fermare il tempo?-

Lovino inarcò un sopracciglio, scettico. Le labbra dello spagnolo si alzarono.

-In qualunque momento io voglia-

L'italiano sorrise ironicamente.

-Ma davvero?-

Antonio annuì energeticamente. L'altro non capì se avesse preferito tralasciare il suo tono volutamente sarcastico, o se più semplicemente non fosse arrivato a cogliere una tale sottigliezza. Con molta probabilità, pensò, la secondo opzione era quella giusta.

-Certamente! E posso decidere per quanto sospendere lo scorrere dei minuti, sai non c'è assolutamente limite a questo Dono, potrei anche aspettare anni!-

-E tu mi vuoi far credere che, anche in questo momento, potresti fermare tutto senza che nessuno si accorgesse di niente?-

Lo spagnolo sorrise affabilmente al compagno. Lovino storse la bocca, abbassò lo sguardo per concentrarsi sull'ardua impresa di tagliare un pezzo di carne nel suo piatto.

-Antonio, vai a fanculo-

Il diretto interessato di quelle parole aprì sconcertato la bocca, mentre il ragazzo portò un boccone fino alla labbra, masticandolo poi con calma.

-Come, credi che ti stia mentendo?-

Uno sguardo eloquente cacciò dalla sua mente qualunque dubbio.

Lo spagnolo sbatté le mani sul tavolo.

-Lovi, devi credermi, ti sto dicendo la verità!-

L'altro continuò tranquillamente a dedicarsi al suo pasto, giusto un nervo che pulsò nel sentire quell'insopportabile nomignolo. Lo spagnolo continuò, preso da una grande veemenza.

-Allora credi che io sia un bugiardo?-

-Quanto credo che tu sia un idiota, qual'è la cosa peggiore?-

Antonio sbuffò, ma non si arrese.

-Ti sto dicendo la verità! Come credi che io abbia potuto evitare tutti i tuoi colpi?-

Il ragazzo alzò la testa di scatto. L'ispanico, felice di aver catturato la sua attenzione, iniziò a gesticolare febbrilmente.

-Come avrei potuto parare tutti quei fendenti, senza sbagliare neanche una mossa? Fermavo il tempo, capito?, il tempo! Potevo prevedere ogni tuo spostamento e decidere con tutta calma la contromossa!-

Lo sguardo del giovane si incupì. Ricordava perfettamente quell'istante di vuoto, quel senso opprimente di una morte certa. Innervosito, fece un segno seccato con la mano, come a voler chiudere il discorso.

-Se quello che dici è vero, perché non me lo dimostri?-, ammiccò allora, un ghigno saccente.

-Fai qualcosa, sposta qualche oggetto, insomma, roba del genere-

-Non posso-, rispose l'altro con aria abbattuta, tornando lentamente al proprio posto, -riesco a fermare il tempo, ma non posso interferire con esso-

-Allora-, sentenziò il ragazzo con aria scocciata, -la questione può ritenersi conclusa-

Prima che la posata potesse portare alle sue labbra un alto pezzetto di carne, Antonio balzò di nuovo in piedi, gli occhi accesi di nuova eccitazione.

-Aspetta, forse posso provarlo!-

Lovino grugnì esasperato, iniziando a pensare di passare alle maniere forti per potersi godere un fottuto pranzo in pace.

-E allora forza, illuminami, illuminami! Come cazzo faresti?-

L'italiano però, fu percorso da un brivido, quando vide il volto dell'altro concentrarsi su di lui. Gli occhi erano puntati nei suoi, non un solo muscolo si mosse da quell'espressione assolutamente concentrata.

Il ragazzo si sentì improvvisamente a disagio, per un istante pensò anche di mollargli uno schiaffo. Qualunque cosa che lo smuovesse da quella situazione.

Dopo pochi istanti, però, l'uomo tornò a sorridere. Si risiedette, con aria soddisfatta.

Lovino, offeso da quello strano comportamento, incrociò stizzosamente le braccia al petto, lanciando all'altro uno sguardo di fuoco.

-Embè?-, sbottò quello, -che avresti scoperto?-

Lovino trattenne il fiato, quando l'uomo si allungò sul piatto, stendendo un braccio verso di lui. Il ragazzo chiuse gli occhi di scatto, un riflesso dettato da una strana sensazione, una miscela di tensione, terrore, si , proprio terrore, e qualcosa di sconosciuto, una morsa che lo strinse alla bocca dello stomaco.

Le palpebre, alla fine, si aprirono leggermente, quando sentì un lieve tocco sul petto. Alzò la testa, confuso, trovandosi di fronte un sorriso più radioso del solito.

-Proprio qui-, e l'uomo ritoccò la camicia dell'altro, all'altezza del cuore, indugiando sul tessuto ruvido. Un altro brivido.

-Ho sbirciato qui. Hai una sua foto lì, vero?-

Lovino sgranò gli occhi, mentre l'altro tornò al suo posto, poggiando il viso su una guancia, il gomito puntellato sul legno del tavolo.

L'italiano tastò proprio il punto indicato. Sentì sotto la stoffa grinzosa quel rumore familiare, di carta consunta che scricchiola sotto le dita. Strinse leggermente la camicia all'altezza dello sterno. Lo sapeva, sapeva di avere quella fotografia, la teneva sempre lì, all'altezza del cuore, come un ricordo, come una promessa.

Rivolse uno sguardo un po' stupito e un po' irato verso l'uomo che in quel momento era intento a sorseggiare tranquillamente il liquore dal suo boccale.

-Ma come diavolo...?-

Scrutò il suo viso abbronzato. Lo spagnolo si limitò a posare di nuovo lo sguardo su di lui. Semplicemente, sorrise. Era un gesto allusivo, di comprensione, una frase senza parole che diceva: “non lo dirò a nessuno”.

Le dite contratte si rilassarono, lasciarono andare la stoffa che proteggeva il sorriso del fratello. Sbuffò, seccato, e afferrò nuovamente le posate e tornò a mangiare. Antonio sorrise divertito nel vedere il ragazzo affondare con violenza il coltello nella carne, infierendo su un povero animale già morto.

-La smetti di fissarmi?-, sbottò l'italiano senza neanche alzare gli occhi su di lui, -Va bene! Ti credo! Adesso sei contento?-

Lovino sentì un impulso omicida impossessarsi delle sue membra, quando Antonio portò l'indice sulla guancia, iniziando a grattarsela, alzando contemporaneamente gli occhi e assumendo un'aria pensosa. Cioè, lo stava prendendo in giro o stava realmente meditando su ciò che aveva detto?

Poi, l'ispanico tornò a guardarlo, questa volta con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.

-In effetti, ci sarebbe qualcosa che mi renderebbe contento...-

Prima che potesse rendersene conto, l'uomo l'aveva afferrato per il braccio, e adesso lo stava trascinando verso l'uscita del locale.

-COSA DIAVOLO STAI FACENDO, IDIOTA???-, sbottò allarmato l'italiano, agitandosi per liberarsi dalla sua presa.

Antonio si voltò verso di lui. Lovino avrebbe voluto staccare a morsi quel fottuto sorriso.

-Sono stanco di queste locande polverose! Perché non facciamo un giro al paese? Ho visto un bel mercato qui vicino! Potrei cucinare io, per una volta! Potremmo comprare dei bei pomodori! E poi fare un bel piatto di pasta!-

Lovino mostrò tutto il suo disappunto per quella proposta, continuando a sbraitare e inveire contro l'uomo che, dall'altra parte, lo trascinò letteralmente fuori dallo sporco salone.

Si voltò suolo per rivolgersi al padrone del locale, rimasto basito da quella scena vicino al bancone.

-Lasci il conto alla solita persona!-

Detto questo, si voltò portandosi appresso quel dolce peso, noncurante delle parole ben poco aggraziate che uscivano dalla sua bocca.

Sorrise, però, quando sentì la presa del ragazzo ricambiare la sua. Lovino si chiese se quell'uomo riuscisse a captare che i suoi pensieri, sarebbe stato imbarazzante e avrebbe dovuto ucciderlo. Ma non poteva fare a meno di pensare che quella grande mano che lo stava tenendo era davvero calda.

 

Era sul punto di scoppiare.

In altri momenti avrebbe lasciato perdere, ma non ora. Troppe cose si erano accavalcate una dopo l'altra.

Prima di tutto, gli allenamenti con Francis. Una sensazione fastidiosa, viscida, come serpenti contro la pelle, lo attanagliava. Era quasi come l'umiliazione. Forse più simile alla sorpresa, qualcosa del genere. Non se lo aspettava, ecco tutto.

Precedentemente, aveva visto il francese come un debosciato, un pervertito, uno che giocava solo con la lingua e le parole, nulla di più. Era difficile sovrapporre quell'immagine con quella di uno spadaccino, un maestro di spade che più volte nei loro duelli lo aveva messo alle strette, aveva fatto cadere la sua spada lontano con un colpo decisivo, e infine aveva puntato beffardo la lama a pochi centimetri della sua pelle scoperta, come a sottolineare la sua superiorità.

Si portò stancamente una mano sugli occhi, mentre quella voce petulante gli trapanava i timpani.

Ecco, forse dentro di sé sentiva davvero l'umiliazione. Quando mai lui, Arthur Kirkland, si era sentito superiore a lui? L'uomo, senza difficoltà, lo aveva sconfitto più volte. Con quell'arma volteggiava con sicura noncuranza, parava con semplicità i suoi affondi violenti. Solo dopo lunghi minuti, stanco di tutto quello, come un gatto che gioca con il topo, con una stoccata, faceva volare la sua lama a qualche metro di distanza.

Digrignò i denti.

Il peggio però doveva ancora arrivare.

Lui distrutto, il francese fresco come una rosa, uscirono dalla sala allenamenti. Sentì degli scoppi. D'istinto, si voltò verso quei rumori. Quasi tutte le stanze d'allenamento avevano pareti trasparenti. E lo vide.

Vide Alfred che, con una velocità e una precisione assurda, volava con sicurezza tra raffiche di pallottole. Si era spaventato, senza accorgersene, e si era allungato verso la porta della stanza. Francis lo aveva trattenuto per un braccio. Si ricordò di essersi voltato, rivolgendo uno sguardo rabbioso verso l'uomo. Il francese lo aveva guardato con sufficienza attraverso il vetro. L'americano aveva fatto scoppiare contemporaneamente due cannoni. Con parole lapidarie, il biondo disse semplicemente che quello era il suo Dono e che non c'era bisogno di preoccuparsi.

La mano che in quel momento parava i suoi occhi si strinse in un pugno. Intanto quella voce continuava, sempre più irritante.

Di nuovo quel ricordo tornò nella sua mente. Alfred che si muoveva tra quelle cascate di piombo, la sua vita in pericolo, ma i suoi occhi pieni si sicurezza.

Sentiva quella come la sconfitta più grande di tutte. Alfred. Il ragazzone senza cervello. Il bambino adulto. Gli tornarono in mente quelle iridi chiarissime, cristalline, così limpide.

Nel loro primo incontro, aveva pensato subito all'acqua. Bastava semplicemente immergervi dentro la mano per toccare la vera essenza della sua anima. Quella immagine bruscamente fu sostituita dall'uomo che maneggiava le due pistole, che distruggeva con crudele precisione due mitra che vomitavano su di lui scariche di metallo. Gli balenarono davanti quei due occhi, il riflesso freddo delle lenti.

Si morse le labbra con rabbia.

Era stato uno stupido. Aveva fatto come tutti gli altri, aveva guardato solo la loro immagine esteriore. Aveva fatto la stessa cosa che le persone facevano a lui. Giudicare. Si era creduto forse migliore di loro? Alfred e Francis, che riuscivano a combattere senza ripensamenti. In quel momento si sentiva più vulnerabile ed esposto che mai.

Sperava, tornato in camera, di fare ordine nella sua mente in subbuglio. Invece, aveva ritrovato di nuovo quel moccioso. I loro incontri si svolgevano sempre nello stesso modo, in un ciclo infinito: lo insultava, lo insultava, e lo insultava ancora, per poi iniziare a vaneggiare su fatti inesistenti e su persone sconosciute, accusandolo con frasi prive di significato.

Eppure, lentamente, ci aveva fatto l'abitudine. Prima di tutto, andava contro i suoi principi picchiare un bambino. E poi, beh, essendo lui un ectoplasma, era difficile fare concretamente qualcosa.

Ma non quella sera. Non chiedeva altro a quel maledetto fantasma che un paio d'ore di riposo. Quella vocina squillante stava nuovamente ridacchiando, soffermandosi su parti del corpo dell'inglese e commentandole con apprezzamenti non proprio benigni.

Il biondo strinse spasmodicamente tra le mani il cuscino. Perché? Perché a lui? Aveva fatto qualcosa di male? E proprio ora, proprio ora...!

Un cuscino mancò di qualche centimetro il bambino appollaiato sull'armadio, provocando un rumore sordo contro la parete.

La frase ingiuriosa del ragazzino si bloccò a metà. Girò lentamente la testa contro l'oggetto lanciato, che scivolò lungo la parete. Rivolse poi stupito lo sguardo verso l'inglese. Fino ad allora, non aveva mai risposto così violentemente alle sue parole.

-Stai zitto...-

Il biondo ansimava, il petto si alzava velocemente, gli occhi assunsero di nuovo quell'elettricità, una scarica che ebbe il potere di far ammutolire il bambino per qualche secondo.

Quest'ultimo scoppiò in una risata sguaiata.

-Qualche problema, vecchio? Hai litigato con il marito?-

Vedere il bambino che dispensava baci al vuoto tra sospiri e guaiti fu la goccia che fece traboccare il vaso.

-STAI ZITTO!-

L'urlo squarciò il silenzio che aleggiava per i corridoi. Il fantasma, questa volta seriamente intimorito, sgranò gli occhi violacei, proprio come farebbe un bambino di fronte a una sgridata di un adulto.

Il biondo si era alzato dal letto. I denti digrignavano, poteva sentire distintamente il rumore dei canini contro gli incisivi, un rumore simile a lame che stridevano.

-Che cazzo vuoi...-

Un'ombra attraverso le iridi verdi, che fremevano, lanciavano lampi.

-CHE CAZZO VUOI DA ME?-

Con impeto, si portò una mano sul petto.

-HO FORSE MAI FATTO QUALCOSA? HO FATTO QUALSIASI, FOTTUTISSIMA COSA PER MERITARMI QUESTO?-

Con un gesto secco tagliò l'aria, come una risposta lapidaria e retorica alla propria domanda.

-COSA, COSA! COSA DIAVOLO VUOI DA ME? DEVO STARE IN QUESTO BUCO DI MERDA, SENZA CHE IO LO VOGLIA, E DEVO ANCHE SENTIRTI FRIGNARE?-

Il fantasma si corrucciò, le pupille lattiginose si dilatarono, gonfiò le guance. Lui era un bambino, e come tale percepiva quell'attacco come un'ingiustizia ingiustificata.

-Non sei tu quello che dovrebbe essere arrabbiato!-

Come al solito, la rabbia dell'inglese si sostituì a freddo cinismo. Incrociò le braccia al petto, alzò un sopracciglio, ironico.

-Ah no?-

-No!-, ribatte pronto il ragazzino. Forse non se era accorto, ma era sceso dall'alto mobile, avvicinandosi così tanto al biondo, come non aveva mai fatto prima.

-Sei tu quello che si è preso la stanza del mio fratellone senza chiederglielo! E scommetto che sei sempre stato tu a fare qualcosa a Mathias e agli altri!-

-Vedi, piccolo idiota-, rispose l'altro un sorriso falso quanto cattivo, -io non so chi cazzo siano queste persone che continui a ripetermi. Questa stanza è mia, di nessun altro-

-NO!-

L'immagine evanescente del bambino tremò per un istante.

-QUESTA CAMERA È MIA E DEL FRATELLONE! E TU TE LA SEI PRESA!-

-No, moccioso-, continuò l'altro, un freddo riflesso nelle pupille, -questa camera è stata assegnata a me da Heracles. Non c'è nessun fratellone e compagnia bella. E non dovresti esserci neanche tu-

-SILENZIO!-

Piccole bolle lattiginose ruotarono vorticose intorno al piccolo ectoplasma.

-LORO TORNERANNO, E TI BUTTERANNO FUORI A CALCI!-

Una risata spietata proruppe dalle labbra dell'inglese.

-Torneranno? Non è un bel po' che stai aspettando?-

Di nuovo l'immagine del bambino parve perdere solidità.

-Non ti rendi conto che non c'è nessuno qui a parte noi? E se ci fossero, perché dovrebbero tornare per un fantasma?-

Il fantasma sbarrò gli occhi.

-...fantasma...?-

Arthur rimase sorpreso. Si, fantasma. Perché quell'espressione?

Vide il bambino portarsi lentamente le mani tra i capelli. Il viso si trasfigurò mostruosamente. Sembrava che fosse stata gettata acqua sui colori di un dipinto, e che adesso questo gocciolasse miseramente verso il basso.

-...cosa stai dicendo...?-

Il terrore aumentò, mentre vedeva gocce argentate colare dalle iridi opalescenti. L'inquietudine però scaturiva dal sorriso incerto, frastagliato, che lottava per non essere immerso dalle lacrime.

-...io non sono morto...-

La figura minuta parve gorgogliare, mescolarsi. Arthur indietreggiò. Qualcosa di orribile. Non seppe se fosse si o no un'allucinazione, ma gli parve che le labbra del bambino si stirassero in un sorriso deforme, che gli angoli della bocca arrivassero alle orecchie. Rideva.

-...e loro torneranno...-

Poi, tutto si bloccò. L'aura tetra che prima era calata come una pesante coltre su di loro sembrò squarciarsi. Il bambino lanciò sguardi smarriti intorno a sé, allarmato. Infine, le iridi si puntarono verso la porta. Passarono pochi istanti. Il fantasma si scompose in tante piccole particelle scintillanti e con un vortice trapassò la parete dietro di sé.

Arthur neanche si era accorto di essersi appiattito contro il muro. Neanche si era accorto di aver trattenuto il respiro. Cosa diavolo stava succedendo?

Sentì un rumore. Lo sguardo si posò atterrito sul legno dell'uscio. Un deja-vu. Aveva già sentito una volta quel suono, come di una valanga che stava per travolgerlo.

Esitante, allungò una mano verso l'entrata della stanza. Con uno scatto, ritirò indietro il braccio. Appena in tempo. La porta si aprì violentemente, il legno sbatté contro la parete, tanto che l'uscio rischiò di scardinarsi.

La schiena tornò a premere contro la parete. Una voce squillante.

-Artie!-

Arthur sgranò gli occhi. Sull'uscio della porta c'era Alfred. Con il suo sorrisone idiota. Con la faccia da bambino. Gli occhi d'acqua. Nella sua mente balenò nuovamente il luccichio metallico degli occhiali. Lo scintillare malvagio delle due pistole. Lo splendere di lacrime argentate su colori pastello gocciolanti.

-C-che cosa vuoi??-

La voce che uscì dalla sue labbra era più alta di quanto fosse sua intenzione.

Qualcosa fu portato a pochi centimetri dal suo viso. L'inglese rimase interdetto per qualche istante. Fissò quell'oggetto tanto vicino a suoi occhi con aria stralunata. Era un pacchetto avvolto da carta argentata. Senza capire, guardò l'americano. Si era piegato, a mo' d'inchino, entrambe le braccia allungate verso di lui, le mani che stringevano la misteriosa scatola. La testa era semi nascosta, ciuffi biondi che a tratti coprivano il viso. Vide distintamente che il ragazzo gonfiò le guance, leggermente arrossate. Chissà perché quel gesto infantile lo colpì così tanto.

-Mi dispiace che tu ti sia arrabbiato!-, esclamò all'improvviso, tenendo la testa infossata tra le spalle. Quella frase era stata pronunciata tutta d'un fiato, come se fosse costata un grande sforzo.

-Non volevo farti arrabbiare!-, continuò con la sua voce acuta, i ciuffi biondi che ciondolavano, seguendo i movimenti concitati delle larghe spalle, -Francis mi ha detto che per farsi perdonare serve un regalo!-

L'inglese socchiuse la bocca, esterrefatto. Alfred non accennava ad emergere dal nido formato dalle sue braccia muscolose.

Alla fine, le labbra dell'inglese si sciolsero in un sorriso carico di affetto. Socchiuse gli occhi, le palpebre vibrarono leggermente. Le iridi, prima duro cristallo, divennero liquide, un mare verde increspato da una strana luce.

Con entrambe le mani, l'inglese strinse delicatamente il pacchetto, sollevandolo dai palmi del ragazzo chino davanti a lui.

Quest'ultimo alzò la testa, incerto.

-Sei ancora arrabbiato con me...?-

Arthur lo guardò. Stava ancora gonfiando le guance, le sopracciglia leggermente corrucciate, i ciuffi che ricadevano disordinatamente sulla fronte. Sorrise ancora. Si, un bambino. Perché sicuramente quello era il vero Alfred. Non era quello che aveva visto poche ore prima. Non era quello straniero che maneggiava con sadico compiacimento le due pistole, non era quello che nascondeva il riflesso malvagio di sé dietro un paio di lenti. Forse era una parte piccolissima di lui, forse era una entità che prendeva possesso del suo corpo sul campo di battaglia. Senza sapere il motivo, Arthur sapeva che quel ragazzone che lo stava fissando con trepida attesa era il vero Alfred. Lo vedeva attraverso l'acqua.

-Idiota, certo che non sono arrabbiato...-, sussurrò l'inglese mentre scartava il piccolo impacco, una strana nota di dolcezza nella voce.

Quella calda aura che si era formata intorno a loro si spezzò, quando il biondo finalmente aprì il regalo. Un oggetto metallico e lucido scintillava beffardo tra la seta blu.

-Alfred...-

La voce dell'inglese si fece bassa, pericolosamente bassa.

-...cosa diavolo sta a significare questo?-

L'americano vide l'altro sollevare la piccola lama, stringendola tra due dita. Non capì la sua espressione, un misto tra disgusto, incredulità e rabbia. Soprattutto rabbia.

-Francis ha detto che la cosa che ti sarebbe stata più utile in questo momento fosse un rasoio!-, scoppiò in una bambinesca, irritante risata.

Alfred s'interruppe bruscamente quando vide il viso del biondo adombrarsi. Aveva già vissuto un'esperienza del genere. Se lo rammentò troppo tardi, deglutendo rumorosamente. Vide con terrore la lametta piegarsi tra le dita dell'inglese, fino a spezzarsi. Il rumore echeggiò come un colpo di sparo.

-Mi hai forse chiamato sopracciglione...?-

 

-Il Dono della Vista?-

Alfred si massaggiò delicatamente la fronte, su cui spuntava un bernoccolo dalle ragguardevoli dimensioni.

Gonfiò di nuovo le guance e aggrottò le sopracciglia, un po' seccato per quella reazione violenta, a suo parere, del tutto ingiustificata.

I due, dopo una pacata discussione, si erano decisi a parlare seriamente. L'inglese seduto sul bordo del letto, il petto leggermente proteso in avanti, l'americano sul pavimento a gambe incrociate, proprio di fronte a l'altro.

-Quindi tu puoi vedere tutto?-

Dimentico della sua arrabbiatura, Alfred mostrò un sorriso a trentadue denti.

-Certo! Io vedo ogni cosa! Posso vedere ogni singolo movimento di ogni singola persona! Nulla può sfuggirmi!-, e qui picchiettò il dito sulla montatura degli occhiali, come a sottolineare il concetto, -Insomma, sono proprio come un supereroe!-

Scoppiò di nuovo a ridere, il petto che si gonfiava di orgoglio. Un nervo spuntò per un istante sulla fronte dell'inglese. Stupido bamboccione senza cervello.

-E questi allora?-

Un dito andò ad accarezzare la montatura metallica degli occhiali. Per qualche strano motivo, l'americano socchiuse la bocca, come se fosse sorpreso.

-Questi?-

Si sfilò le lenti, porgendole all'inglese. Questo li presi, iniziandoli a rigirarseli tra le dita.

-Questi mi servono!-

Di nuovo una risata fragorosa e infantile. Poi il ragazzo accostò le gambe al petto, le circondò dalle braccia e iniziò a dondolarsi.

-Heracles mi ha detto che ogni uomo dalla nascita ha un occhio che usa di più e che quindi diventa più forte-, appoggiò il mento sulle ginocchia, -mentre l'altro, come dire, s'impigrisce-

L'inglese avvicinò le lenti al viso, e non gli sfuggì un particolare: la parte destra non aveva lo stesso riflesso che emanava normalmente il vetro. Sembrava quasi di plastica.

Rivolse uno sguardo interrogativo all'americano, che ancora dondolava avanti e indietro. Senza occhiali, e con un'espressione che rasentava la serietà, sembrava molto più maturo.

-Per questo alcune persone usano bende per sforzare l'occhio “pigro”, così da vedere bene da entrambe le parti-

Alfred si voltò, guardando in viso l'inglese. Gli rivolse un sorriso indecifrabile.

-Capisci quindi che il mio occhio sinistro non potrà mai raggiungere il livello di quello destro-

Solo allora Arthur colse un altro particolare del viso dell'altro: l'occhio destro era l'acqua, quell'acqua che lo aveva così tanto sorpreso. Ma il sinistro non possedeva un'eguale limpidezza, era opaco, come se...

-Hai un occhio cieco...?-

L'americano sbuffò, una mano scompigliò i ciuffi alla base della nuca. Gli occhi vagarono sulle pareti. Emise un basso mormorio. Sembrava stesse cercando le parole giuste.

-...Non è che sia proprio cieco-, disse infine, tornando a sorridergli con un sorriso smagliante, -solo che con questo non riuscirei distinguere tra te e Francis!-

Scoppiò nuovamente a ridere. Arthur non proferì parola. Non capiva perché la prendesse così alla leggera. In pratica, l'occhio destro stava succhiando energia da quello sinistro. Non si accorse di aver esplicitato il proprio pensiero.

-Non dovresti prendere la cosa così alla leggera-

Alfred smise di ridere. Incrociò lo sguardo mortalmente serio dell'altro.

L'americano mugolò, un'alta nota che uscì dalle labbra chiuse, mentre gli occhi si alzarono verso il soffitto in un moto di esasperazione.

-Dio Artie, sei talmente noioso!-

-Cosa??-

-Ma tu non ridi mai??-

-Come ti permetti, brutto i-

L'inglese non poté terminare la frase. Capì in quel brevissimo istante che Alfred gli aveva afferrato un braccio e, con uno strattone, se l'era trascinato addosso.

Dopo un primo attimo di disorientamento, constatò di essere sulle gambe dell'americano. E, soprattutto, era sormontato dal viso del suddetto americano, su cui campeggiava un ghigno ben poco rassicurante.

-Ma cosa diav-

Le parole gli morirono in gola, quando l'altro gli ficcò i pollici in bocca, iniziando a tirare verso l'alto gli angoli delle labbra.

-Forza Artie, sorridi! È facile, dai!-

L'inglese gli afferrò entrambe le braccia, cercando di estrarre quelle invadenti falangi dalla propria bocca.

-Togli queste luride mani dalla bocca!-

Il suo farfugliare irato fu accompagnato da una serie di calci disperati, un tentativo da parte del ragazzo di liberarsi dalla morsa soffocante dell'altro.

-Brutto idiota, mi fai male!-

L'americano scoppiò di nuovo a ridere.

-Dai, Artie, fai un sorrisino, daiiiiiiii!!!-

-Ho detto di togliermi quelle luridissime zampaccie di dosso!-

-Dai, un sorriso! Che ti costa?-

-Alfred, seriamente, se non mi lasci andare, giuro che...-

Non riuscì a finire la frase.

Repentinamente, l'americano aveva intrufolato le mani sotto la camicia dell'altro. In quell'attimo, la mente di Arthur si bloccò. Sentiva i polpastrelli che correvano veloci lungo la pelle, soffermandosi all'altezza del petto. Indugiarono lì, accarezzando un poco le costole che sporgevano leggermente.

L'inglese posò gli occhi sul viso del suo aguzzino. E il ghigno che vi vide sopra non gli piacque per niente.

-Non oserai...!-

Osò. Le dita percorsero velocemente la zona sensibile sotto le ascelle, dei fianchi, poi del collo.

Non ne poté fare a meno. Il suono gli risalì lungo la gola. Tentò di trattenerlo, serrando le labbra.

Inutile. Proruppe in una risata senza freni. Si contorse tra le braccia del suo torturatore, cercando di sottrarsi a quelle mani giocose. Minacce si mescolavano a risa sguaiate, schiamazzi, ingiurie velate. Arthur scalciò con tutta l'energia che aveva in corpo. Stranamente, il suo obiettivo non era più quello di liberarsi.

Le risate si intrecciarono, salirono alte e leggere lungo le pareti della stanza. Si, leggere era la parola giusta. Perché, dopo aver pregato Alfred di aver pietà di lui della sua milza, e dopo essersi accasciato esausto, si sentiva proprio così. Si asciugò le lacrime con un dito. E, fissando il soffitto, ascoltò il suono del proprio cuore che lentamente si acquietava.

Forse quell'idiota aveva ragione. Bisognava ridere ogni tanto. Inconsciamente, un sorriso si dipinse sulle sue labbra. Provava una strana sensazione, come un breve momento di tregua, di pace con il mondo, dimentico dei jardin, dei Doni, della morte, di tutto.

Sempre sorridendo, spostò lo sguardo dal candore del soffitto verso l'americano. Si stupì di incrociare quelle iridi fisse su di lui. Ma c'era qualcosa di strano: Alfred aveva perso tutta la sua allegria. Non c'era più quel ghigno sul suo volto, ma una strana smorfia: le labbra erano stirate, come dopo aver assaggiato qualcosa di amaro. E l'acqua non era più cristallina. Se in quel momento vi avesse immerso una mano, era sicuro che non sarebbe riuscito ad afferrare i suoi pensieri. Le iridi si erano incupite, come se ciò che le turbasse si fosse depositato sul fondo di quella stessa acqua.

Arthur scattò a sedere, rendendosi conto di essere ancora sulle gambe dell'altro. Alfred continuava a fissarlo con una strana e cupa intensità. L'inglese avrebbe voluto gridargli di smetterla. Tra loro due sentiva la presenza di qualcosa di sleale. Non era giusto che quegli occhi potessero farlo sentire così nella loro sfacciata trasparenza.

D'un tratto, l'americano pose il palmo aperto della mano dietro la schiena dell'altro. Senza preavviso, Arthur si sentì schiacciato contro il suo petto. Confuso, rivolse uno sguardo interrogativo verso Alfred. Questo aveva affondato il viso nell'incavo del suo collo.

Era una strana posizione quella in cui si trovava l'inglese: a cavalcioni sulle gambe di quello strano ragazzo, lo stesso che lo stava stringendo disperatamente a sé e che si nascondeva nel candido colletto della sua camicia senza pronunciare una parola.

Arthur non sapeva cosa fare. Teneva le braccia sospese, non riuscendo a decidere se abbracciarlo a sua volta o respingerlo. Passò così diversi minuti, l'inglese non seppe quanti. Gli sembrava di stare vivendo in una dimensione in cui il tempo si era sospeso.

-Stai attento a Francis-

Lo sguardo smarrito di Arthur scattò sull'americano. Quell'improvviso mormorio fu seguito dallo stringersi spasmodico delle mani dell'altro sulla sua schiena.

-Come...?-

-Non mi piace. Lo conosco, è così. È pericoloso-

L'inglese continuò a fissare quella nuca bionda sulla sua spalla. Aveva le orecchie arrossate.

-Non capisc-

-Non mi piace-, ripeté l'altro ostinatamente, -è una cattiva persona. Mi dà i brividi-

L'inglese ripensò a Francis. Certo, aveva i suoi difetti, molti difetti, ma non dava l'impressione di essere malvagio.

-Non credi di stare esagerando? Forse-

-No-

Arthur era sempre più sorpreso di quelle interruzioni piccate.

-Ogni volta che lo vedo mi vengono i brividi. È la verità! Il modo con cui ti guarda! Non saprei neanche definirlo. É... è...-

Affondò maggiormente nella sua spalla.

-È disgustoso. Orribile. Sembra un serpente. Sembra che il suo sguardo ti strisci sempre addosso. Orribile-

L'inglese sentì la presa stringersi ulteriormente. Era strano. Quanto volte lo aveva detto? Di fronte a lui non poteva che pensarlo. Sembrava che non lo volesse più lasciare andare.

-Alfred, io-

-Promettilo-

Quella singola parola sembrava una disperata richiesta di comprensione.

-Promettilo, non andare più da lui-

Arthur rimase in silenzio. Vide le orecchie arrossarsi ancora di più

-Promettilo-

L'americano sentì d'un tratto le braccia dell'altro intorno a sé.

Era una risposta?, pensò Arthur. Non lo sapeva. Però sentiva che era la cosa giusta da fare. Perché era quello che desiderava fare. Abbracciarlo. Non sentiva altro che il suo respiro e il battito del suo cuore. Rimbomba nella sua testa, amplificato, ingigantito, come se avesse appoggiato l'orecchio sul suo petto. Davvero, davvero strano. Aveva l'impressione che Alfred gli stesse insegnando qualcosa. Prima le risa, poi l'abbraccio. Improvvisamente, come mai era successo prima, li desiderava entrambi.

 

-Ancora una volta, Vargas-kun-

Feliciano lanciò uno sguardo carico di disperazione verso il vetro della stanza. Sapeva che Ludwig si trovava proprio dietro a quella barriera trasparente e li stava osservando.

Non ce la faceva più. Avrebbe voluto mollare tutto e tornare dallo scienziato.

Cacciò un grido, quando vide la lama sopra di lui, pronta a colpirlo. Chiuse gli occhi. Un clangore metallico. Fece appena in tempo a veder la propria spada scaraventata lontano da un colpo di katana di Kiku. Rimase immobile, solo gli occhi seguirono la parabola compiuta dalla povera arma. Feliciano osservò il suo scintillio metallico, nascosto dall'ombra formata dall'angolo della stanza. Povera spada, pensò sconsolato l'italiano, cosa aveva fatto per meritarsi di essere impugnata da uno come lui?

Sentì un sospirò davanti a sé. Kiku si era tolto la maschera con un gesto calcolato, tenendola tra le dita. Feliciano sentì tutto il peso dello sguardo preoccupato che gli rivolse il giapponese.

Sarebbe stato meglio che lo avesse sgridato. Lo sapeva, lo sapeva di essere un incapace! Perché insistere? Perché continuavano a quello stupido allenamento?

Si ricordò quando Kiku glielo aveva, per così dire, proposto. Era sicuro di aver lanciato quello stesso sguardo supplice verso Ludwig. Allora, per un momento, il tedesco sembrava aver vacillato, per poi assumere nuovamente un'aria fredda e distaccata. È per il tuo bene, aveva detto. Chissà perché, in quelle parole il ragazzo sembrò leggere crudeltà ingiustificata. Quel pensiero fu però scacciato via non appena Ludwig, senza essere visto da Kiku, gli aveva stretto dolcemente un braccio, come un atto di incoraggiamento.

-Controllerò dalla sala comandi-, aveva aggiunto, precedendolo lungo il corridoio.

Quella poca sicurezza che aveva acquisito grazie a quelle parole si dissolse quando si trovò una spada tra le mani e la Maschera Nera di fronte. Chiese se quel terribile strato di cera, legato a ricordi così spiacevoli, fosse davvero necessario. Una voce distorta provenne da dietro la maschera: è per il tuo bene, è per personificarmi con il tuo nemico.

È per il tuo bene. Feliciano cercò di convincersene, mentre Kiku lo invitò a raccogliere di nuovo la spada e a concentrarsi. Come un automa, l'italiano ubbidì. Riprese la posizione di guardia, le gambe che tremavano un po'. Con un fruscio terrificante, Kiku calò nuovamente la maschera sul viso. La Maschera Nera. Una corrente gelida e oscura sembrava scaturire da quei tratti grotteschi, penetrando dentro di lui e soffocandolo.

-Pronto, Vargas-kun?-

È per il tuo bene, si ripeté, mentre vide la sagoma del giapponese avvicinarsi. È per il tuo bene. Chiuse di nuovo gli occhi. Un altro clangore metallico. Aprì sorpreso gli occhi. Aveva ancora in mano la spada. Guardò con incredula felicità le sue mani, poi Kiku.

-Ha-hai visto?! Ce l'ho fatta! Ce l'ho f-

Feliciano fece appena in tempo a stringere nuovamente l'arma. Kiku calò su con un altro fendente.

-Concentrarti!-, gridò l'asiatico in quel crescere pressante di colpi, -non abbassare la guardia! Forza!-

Non ce l'avrebbe fatta, non poteva farcela contro di lui. Feliciano ne era convinto, mentre con panico crescente cercava di parare alla meno peggio gli assalti dell'altro. Non posso farcela!

All'improvviso, vide quella lama nivea sopra di sé. Aveva appena indietreggiato per evitare un affondo! Aveva il busto ruotato, non avrebbe fatto in tempo a portare la propria arma davanti a sé! Lo avrebbe colpito!

La spada gli scivolò tra le dita. Sentì il rumore metallico contro il duro pavimento. Un suono che sembrò protrarsi nello spazio per un tempo lunghissimo. Chiuse ancora gli occhi, portò le braccia a coprirsi il viso, una vana protezione dettata unicamente dall'istinto.

Voleva che tutto finisse. Non voleva più vedere le armi, la Maschera Nera. Voleva Ludwig. Solo a lui pensò confusamente, mentre sentiva l'aria tagliata dalla katana.

Improvvisamente, si sentì afferrare ed essere lanciato lontano. Capì poi di non essere stato colpito.

Due paia di braccia lo tenevano stretto. Non dovette neanche aprire gli occhi. Sapeva chi lo stava stringendo. Sentiva la corrente magnetica essere diventata così forte da annullarsi, come due poli opposti che si uniscono. Aveva la sicurezza di conoscere ogni singolo centimetro di quel petto contro cui era appoggiato, ogni singolo centimetro delle braccia che lo stavano proteggendo. Sentì un cuore battere all'impazzata. Non seppe definire se fosse il proprio o dell'altro.

-Vargas-kun!-

La voce allarmata di Kiku parve provenire da lontano, da un altro mondo. Sentì i passi frettolosi e nervosi, tipici del giapponese, precipitarsi verso di lui.

Poi udì uno strano suono, un qualcosa che sferzò l'aria. I passi si erano arrestati. Avrebbe voluto rimanere ancora in quel caldo rifugio. Eppure aprì gli occhi. Era proprio Ludwig. Ma ebbe paura. Il viso era completamente stravolto da qualcosa, forse la rabbia, che ne deformava i tratti, che ne induriva lo sguardo.

Un braccio era teso. Feliciano seguì la retta immaginaria che nasceva da esso. Il palmo della mano era aperto, in un chiaro segno di arresto. Gli occhi proseguirono. Trasalì. Kiku. La calma serica, la quiete trasmessa da quelle superfici nere solitamente così lisce, era turbata, increspata. Le iridi scure si spostavano ansiose dal suo viso a quello di Ludwig.

-COSA DIAVOLO TI SALTA IN MENTE?-

La voce del tedesco risuonò come un tuono, un eco che si espanse per la stanza, consumandosi poco a poco. Dietro di sé lasciò un silenzio assoluto.

-VOLEVI FORSE AMMAZZARLO?-

Le mani dell'italiano strinsero con forza il camice che copriva il petto dell'altro. Sentì la voce tremula del giapponese.

-Io... Credevo che forse avesse capito il ritmo, io... Mi dispiace-

Kiku chinò la testa, le mani bianche che si torcevano tra loro.

Feliciano avrebbe voluto consolarlo, dire che non importava, che non era colpa sua, era lui l'incapace. Ma si sentiva prosciugato. Lui non sapeva impugnare una spada, sparare con un fucile. Lui non era fatto per la guerra. Eppure ci era dentro fino al collo e avrebbe dovuto fare qualcosa. Ma tutto questo dove lo avrebbe portato? L'unica cosa che desiderava ora era stare tra le braccia di Ludwig. Era bello. Era caldo e si sentiva al sicuro. Non capiva però perché le mani del tedesco tremassero così violentemente.

Ludwig forse non glielo avrebbe mai detto. Di come aveva visto la lama calare sulla sua testa. Di come aveva spalancato la porta e si fosse gettato su di lui, trascinandolo lontano da quell'arma maledetta. Non aveva avuto nessuna esitazione. Il solo pensiero che avesse potuto morire lo aveva terrorizzato, semplicemente. E in quel momento lo teneva stretto a se, più vulnerabile di quanto non lo avesse mai visto. Lo sentiva tremare impercettibilmente.

In quel momento, fece una promessa a sé stesso. Non lo avrebbe più fatto avvicinare ad un'arma. Non gli importava niente dei jardin. Lo avrebbe protetto lui. Non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male.

In quel momento, nessuno, immerso nei propri pensieri, si era accorto della porta che si era lentamente aperta, e tanto più della figura che l'oltrepassò. Questa, lanciando sguardi nervosi e atterriti ai presenti, si avvicinò guardinga verso lo scienziato, ancora accovacciato sull'italiano. Si fermò a pochi metri. Tremava leggermente.

-Emh... S-signor Beilschmidt...-

-COSA C'È?-

Per poco al povero Eduard non caddero a terra tutte le cartelle che stringeva al petto. Con le mani scosse da un tremito incontrollabile, si sistemò gli occhiali scivolati lungo il naso.

-Si-signore, il computer ha-ha-ha stabilito il luogo e la data di atterr-r-r-raggio per la Stanza de-de-del Fuoco. I-il vapore acqueo, ricorda? I-i-i dati sono stati appena stampati!-

Ludwig alzò di scatto la testa, come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa. Una bassa imprecazione gli sfuggì dalle labbra. Si portò l'indice e il pollice sulle tempie, massaggiandole delicatamente. Sembrava stesse riordinando le idee. Poi, rivolse un breve sguardo verso Feliciano, ancora stretto tra le sue braccia. Un piccolo sorriso spuntò all'angolo della bocca. Infine, disse stancamente poche parole all'estone.

-Posa i fogli sul mio banco da lavoro. Appena potrò prenderò provvedimenti...-

Eduard annuì energeticamente. Sicuro che il tedesco non avrebbe detto altro, si piegò un poco e indietreggiò fino all'uscita, senza dare mai le spalle al gruppo, in un buffo ed eccessivo gesto di riverenza. Alla fine, chiuse la porta dietro di sé. Si accasciò contro di essa, tirando un lungo respiro e chiudendo gli occhi.

-Quanto tempo ci rimane?-

Quella voce così vicina e del tutto inaspettata fece trasalire il povero estone. Ancora una volta, rischiò di far cadere sul pavimento tutti i documenti. Alzando lo sguardo, sgomento, riconobbe la figura di Heracles che lo fissava con aria vagamente interrogativa.

-S-s-signor Karpusi!-, balbettò sorpreso.

Gli occhi opachi scivolarono dal suo viso fino al suo petto, indugiando sui fogli stretti al petto dell'altro. Li indicò.

-Quelli sono i dati per l'atterraggio?-

Il ragazzo seguì il dito del bibliotecario, guardando confuso la massa cartacea che stringeva a sé.

-Questi? Beh, si, ma-

In meno di un istante, l'estone si trovò a stringere il vuoto. Si guardò in torno, allarmato, per poi notare quegli stessi documenti tra le mani di Heracles. Aprì la bocca, una protesta per quel comportamento incomprensibile. Ma decise di mordersi la lingua.

Intanto, il greco sfogliava velocemente quella valanga di dati impressi sui fogli, annuendo e mugugnando ogni tanto.

-E così l'atterraggio è previsto per domani pomeriggio?-

Eduard annuì lentamente, cercando di evitare il suo sguardo. Heracles continuava a fissarlo, senza proferire parola. L'estone iniziò a sudare freddo. Che cosa voleva da lui? Era solo venuto a consegnare quei dannati fogli!

Con suo enorme sollievo, il bibliotecario gli restituì i documenti.

-Ora va'-

L'uomo fu felice di ubbidire. Ma prima che potesse andarsene, il greco lo afferrò per un braccio. -Aspetta un attimo-

Eduard si voltò, sempre più atterrito. Heracles estrasse un libro dal mucchio di fogli.

-Cos'è questo?-

Il ragazzo riniziò a tremare.

-È-è-è un semplice manuale di meccanica!-, esclamò, un'affermazione che assomigliava più a una giustificazione.

Heracles lo sfogliò svogliatamente. Si, in effetti sembrava un comunissimo manuale. ”Tecnica e procedimento per lo sviluppo dell'idrostatica”. L'uomo lo richiuse con un tonfo.

-Bene, lo terrò io-

Eduard rimase in silenzio, non capendo ma non osando commentare.

-Ora puoi andare-

Non se lo fece ripetere due volte. L'estone si girò, senza più voltarsi, fuggendo a capofitto per il corridoio. Heracles lo vide scomparire nel buio delle arcate. Poi tornò a fissare la porta della sala allenamenti. Dal viso non traspariva nessuna emozione. Con lentezza, afferrò la maniglia e l'abbassò, aprendo così un piccolo spiraglio. Non intrufolò la testa per sbirciare dentro la stanza.

-Kiku, vieni qui-, disse semplicemente, richiudendo l'uscio.

Poi rimase lì davanti a quella parete, immobile. Aspettava. Sapeva che Kiku, prima o poi, sarebbe venuto da lui.

E, infatti, la porta si riaprì silenziosamente. Il giapponese la chiuse dietro di sé, attento a fare meno rumore possibile. Non appena si girò, si trovò schiaffato sul petto un voluminoso tomo. Alzò gli occhi verso l'altro.

-Ma cos...?-

-Dì a Feliciano di portarmi questo libro domani-, lo interruppe subito il greco, -è importante per me-

L'asiatico si rigirò tra le mani il volume, come alla ricerca di qualche indizio. ”Tecnica e procedimento per lo sviluppo dell'idrostatica”. Aggrottò le sopracciglia, perplesso. Decisamente non il genere di lettura a cui si dedicava il bibliotecario.

-E, Kiku-

Heracles posò una mano sulla spalla dell'altro, stringendola un poco. Kiku ebbe l'impressione che lo stesse sondando.

-Ho bisogno di parlarti. Fa in modo di venire prima dell'arrivo di Feliciano-

Kiku sostenne il suo sguardo. Sarebbe stato chiaro a chiunque, solo con un breve sguardo, che fosse successo qualcosa in quella stanza. La pelle dell'asiatico era innaturalmente pallida, gli occhi leggermente lucidi

Heracles continuò a fissarlo. La patina delle iridi chiare rimase liscia e immobile.

-È tutto-, concluse in un sussurro atono.

Kiku abbassò lentamente la testa. Rimase qualche istante immobile, indeciso. Poi, silenziosamente, così come era venuto, rientrò nella stanza allenamenti.

Il bibliotecario tornò a scrutare la porta, come se tra le rughe di quel legno antico fosse nascosto un segreto arcano. Infine, si voltò, dando le spalle a tutto.

-È giunto il momento, palià-, sussurrò.

 

 

 

Note d'Autrice

 

Rieccomi qua dopo anni e anni di inattività!

*si compiace della propria rima mentre si strappa la barba dal mento*

Sto diventando monotona, ma scusate il lunghissimo ritardo, me tapina! çoç

*si prende a martellate*

Ma, come si dice, inutile piangere sul latte versato! Quindi, mi lancio in alcune brevissime considerazioni.

Alfred. La spiegazione dell'occhio “pigro” è qualcosa che mi riguarda da vicino. Trauma infantile! Ho dovuto sopportare quella stupida benda sull'occhio per non so quanti anni! Maledetta... Ma consolati, Al, in questo capitolo ti ho fatto ripagare tutte le tue pene... <3

Poi! Palià. Significa “vecchio”in greco. A chi si sta rivolgendo Heracles? Ma, soprattutto, cosa diavolo sta architettando? Riguarda l'Uomo Misterioso? O magari Toris e Raivis?

Si, ufficialmente, dal prossimo capitolo, inizierà il momento “Splatter&Azione a gogò”! Accorrete numerosi!

Beh, credo di aver detto tutto! Mi raccomando, lasciate un commentino piccolo piccolo, mi farete oltremodo felice!!! çvç

Ringrazio tutti coloro che mi commentano e mi seguono! Alla prossima! :D

   
 
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