Salve a tutte ^-^
Non ho molto tempo per rispondere ai commenti, questa volta, chiedo venia T__T
Me impegnatissima in ficcy per contest e in greco =.=;
Devo centellinare il mio tempo...
Ringrazio tantisshimisshimo MewBy-chan, Francesca Akira89, la new entry
Skiblue, il biscottino Strega 91 e Nichy-chan XD
Capitolo praticamente dedicato a Meiko e Shin, altresì detti la lussuriosa e il
timidone XD
Spero sia di vostro gradimento ^.-
Alla prossima e...
*°Buona Lettura*°
***
Non era mai stato nella Sala della Servitù.
Aveva saltuariamente intravisto graziose odalische uscire o entrare dalla Stanza
Privata di Deep Blue, accompagnate a volte da alieni vestiti con colorati abiti
dalla foggia arabeggiante.
Ed ora, appena varcata la pesante tenda di velluto rosso, Shin Fukazaki si
ritrovò ad ammettere che, tutto sommato, era davvero bella.
L’opulenza di pregiati tappeti sul pavimento, cuscini e specchiere ovunque, il
gradevole odore d’incenso e spezie che si diffondeva nell’aria.
Forse fare lo schiavo non sarebbe poi così male…
L’alieno scoccò uno sguardo discreto a Salima, che si muoveva con delicata
perizia tra i vari pouff e giacigli, facendogli strada tra le varie “sezioni”
degli alloggi.
Quell’aliena aveva un cipiglio regale, altero quasi, la grazia con cui portava
il diadema d’argento intrecciato nella lunga chioma lilla aveva qualcosa che
andava al di là dell’essere una semplice serva.
Si trattenne a stento dal fare altre domande, alle quali sapeva benissimo ella
non avrebbe risposto.
Paradossolmente, si ritrovò a considerare, quella semplice schiava gli incuteva
soggezione…
”Siamo arrivati, generale”
La voce di Salima interruppe i pensieri di Shin, che sobbalzò brevemente.
Si ritrovò davanti all’ennesima tenda di velluto porpora, su cui l’aliena aveva
poggiato un’affusolata mano dalla pallida carnagione.
Poteva udire delle voci oltre la tenda, piuttosto concitate, in verità.
Inarcò un sopracciglio, perplesso; non poteva indicare, visto che si reggeva la
spalla ferita con la destra, ma rivolse uno sguardo scettico all’aliena.
”Che succede, là dentro?”
Salima sembrava a disagio, forse più sorpresa del giovane.
”Non lo so, generale, sono spiacente…” accennò un inchino con il capo “Vuole che
vada prima io a controllare?”
”No, non è necessario…” tono ora divertito, il cicaleccio era davvero
assordante, una voce quasi isterica sovrastava le altre “Non sapevo che voi
servi foste così…vivaci”
L’aliena abbozzò un sorrisetto, mentre scostava la tenda.
”Da questa parte, prego..” si scostò di lato, reggendo la tenda, per farlo
passare per primo.
Ma, appena varcata il telo scarlatto, un qualcosa di non ben identificato
lo costrinse ad abbassarsi rapidamente, per evitare di prenderlo giusto in
fronte.
”Ma che diam…”
”Me ne infischio, chiaro?!”
Una voce femminile, alquanto infuriata, seguì il lancio di quello che si rivelò
un porta incenso.
”Hida, adesso calmati…”
”No che non mi calmo, dannazione! Avete rovinato tutto, voi e il vostro inutile
salvataggio!”
”Stava per ucciderti, lo capisci?”
”Ci ero quasi riuscita, mi mancava tanto così…e che racconto a Shirogane,
adesso?!”
”Era palese che ti servisse aiuto, insom…”
”Sapete dove potete ficcarvelo il vostro stramaledetto aiuto?!”
La discussione continuava sullo stesso tono, era chiaro che Meiko Hida non aveva
apprezzato fino in fondo il volenteroso tentativo di salvarle la pelle operato
da Jared e Gornar, due schiavi.
Salima affiancò Shin, assolutamente sconvolto, fissando la scena: i due alieni
tentavano in tutti i modi di calmare Meiko, in piedi in mezzo alla stanza:
graffiata e spettinata, la veste da odalisca mezza disfatta e la mano sinistra
fuori uso; attorno a loro, tutta la corte dei servi che non si perdeva nemmeno
una sillaba dell’impetuoso sfogo dell’aliena.
Tazawa sospirò, scotendo il capo.
”Hida non cambierà mai…”
Shin avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, probabilmente sputare
una sequela d’insulti all’indirizzo di Meiko, che aveva rischiato di ucciderlo
con quel porta incenso.
Ma niente, lingua pietrificata…
”Salima-sama”
La vocetta di una ragazzina attirò l’attezione dell’aliena. Abbassò di poco lo
sguardo, le stava tirando delicatamente la stoffa di velo dei larghi pantaloni
da odalisca, per attirare la sua attenzione.
Sorrise.
”Dimmi Kissy…”
”Dove siete stata? E…” fissò curiosa il generale del Nord, rifugiandosi
inconsciamente dietro l’aliena “Perché il generale Fukazaki è qua?”
Shin non sentì neppure, intento a fissare Meiko, che non si era ancora accorta
dei nuovi spettatori giunti al suo spettacolo e continuava imperterrita a
fare il diavolo a quattro.
Salima carezzò la chioma della ragazzina.
”E’ ferito e ha bisogno del nostro aiuto…” sorrise, rassicurante “Non temere…”
Poco più in là, la sfuriata dell’aliena, che evidentemente aveva bisogno di
scaricare i nervi, continuava a gran voce.
”…E inoltre, se vi avesse visto?! Adesso potrebbe benissimo essere fuori da
quella porta con l’intero corpo scelto e radere al suolo l’intera Sala se…”
”Meiko”
Nota chiara e perentoria, suono morbido e profondo del suo nome sulle sue
labbra.
L’aliena riconobbe quella voce, udita l’ultima volta nel cuore della notte, in
un corridoio buio invaso dai soldati.
Si bloccò, voltandosi poi di scatto verso colui che l’aveva chiamata.
A fianco dell’aliena che l’aveva aiutata, Salima, oltre la schiera degli altri
schiavi, c’era lui.
Spettinato, ferito ad una spalla, che la fissava intensamente, rimanendo in
silenzio.
Meiko ci mise un po’ a realizzare la situazione…
Tra tutte le persone che si aspettava di ritrovare, Shin Fukazaki non era fra
quelle, per lo meno non in futuro tanto prossimo.
Spalancò poco elegantemente la bocca, il velo blu da odalisca l’aveva sfilato
Deep Blue, dunque si potè perfettamente notare l’espressione di puro stupore sul
suo volto.
Spianò l’indice della destra, indicandolo platealmente.
”Fukazaki…?!”
***
…Mi perdo nel presente
ma scavando nel passato
un solo rimpianto come un verdetto sbagliato…
Stracci di nubi scure si affollavano nel cielo sopra Tokyo, oscurando il timido
sole appena sorto, promettendo tempesta.
In quelle ore poco dopo l’Aurora, ove l’eterea luce sembra sfumare ogni cosa,
onirica sensazione.
Iwo Nohara era seduto sulla scarna brandina della sua stanza, nel Dormitorio.
Mani intrecciate a sostener la fronte, gomiti puntellati sulle ginocchia, gambe
leggermente divaricate, capo chino e busto in avanti.
Non riusciva a crederci…
Lei.
Come mai, dopo tanto tempo, era misteriosamente ricomparsa?
Lei, peccato e dannazione.
Come aveva fatto a non accorgersi di nulla…
Lei, dolce e rimpianto passato.
Strinse le mani intrecciate sulla fronte, digrignando i denti, gli affilati
canini ferirono leggermente il labbro inferiore.
Muta preghiera di fermar il tempo, tornare indietro anche se impossibile.
”Tazawa…”
Sibilo velenoso, frustrato, come se il nome fosse esso stesso una
constatazione dell’intera di lei essenza.
Si alzò di scatto, la brandina cigolò leggermente sotto il suo peso. Si recò
davanti ad uno specchio sbeccato, posto sul muro di cemento sopra un semplice
lavandino.
Poggiò le mani sul bordo del lavabo, sporgendosi leggermente in avanti e
fissando la sua immagine nella lucida superficie.
Il riflesso di un giovane alieno, ventisei inverni passati, ricambiò il suo
sguardo corrucciato, la lunga chioma zaffiro sciolta dalla solita coda, liscia e
sinuosa lungo la schiena, sopra l’impeccabile divisa da generale.
Occhi grigi, tetri e freddi quanto l’inverno che perennemente regnava nell’animo
di quell’alieno, quasi fosse solamente un vuoto involucro.
Senza volontà alcuna che non fosse l’eseguir ordini.
Si riassettò meccanicamente la divisa, sistemando una coccarda dorata appuntata
sul petto.
Era sempre stato così e mai sarebbe cambiato…
Irritante perfezione in qualsiasi cosa egli facesse.
Si concesse una risatina, mentre ancora le iridi erano rivolte al suo riflesso.
”Me lo facevi sempre notare, ricordi?” strinse le mani, artigliando la fredda
ceramica del lavandino “Ma non sei mai riuscita a cambiarmi…”
Si concesse un’occhiata attenta alla sua immagine: occhiaie violacee marcavano i
tratti delicata della diafana carnagione, labbra pallide e sottili, pupilla
felina quasi persa nel plumbeo dell’iride.
Lucida follia in quello sguardo febbrile.
Posò la mano sulla guancia sinistra, perplesso.
Da quando era diventato così…?
…Sei tu che hai perso
la ragione, un anno fa…
La voce affranta, delusa e rabbiosa di Salima s’insinuò prepotentemente nella
sua mente, esprimendo a parole ciò che la sopita coscienza considerava già da
parecchio.
Già…un anno fa.
Dodici mesi ch’egli l’aveva lasciata, barbaramente tradita.
E mai una sola ora che non annegasse nel di lei ricordo.
Ubriacarsi in memorie perdute, velenosa ebbrezza che non chiedeva altro che
esser rimembrata per poter ferire ancora. E ancora.
Le unghie quasi si spezzarono, mani talmente serrate al bordo che le nocche
divennero bianche per lo sforzo, mentre abbassava il capo, rassegnato.
”Tazawa…”
Il pugno che inconsciamente veniva tirato contro lo specchio, spaccando in mille
pezzi il vetro e ferendo la mano destra, che infieriva.
Un altro pugno. E un altro ancora.
Scarlatto sulla mano, sui cocci di un immagine che, dentro di sé, sa già di
essere distrutta.
Il ringhio di Iwo, basso e furioso, incurante del dolore, si diffuse per tutta
la stanza, accompagnato dal cupo brontolio di un tuono, fuori dalla stretta
finestra a picco sui vicoli di Tokyo.
Scivolò in ginocchio, d’innanzi al lavello, poggiando la fronte contro la fredda
ceramica.
Mano destra ferita e distrutta, ancora vetri dello specchio conficcati nelle
nocche a brandelli.
E mentre le prima gocce di pioggia cadevano sulla città, il generale Nohara
si disperava, nel tetro silenzio della sua stanza.
Maledizioni sputate tra i denti, stilla agrodolce che, forse per la prima volta,
rigò la gota del viso scarno dell’alieno.
…Non ti è concesso versar lacrime, generale.
Non hai cuore, hai corpo freddo e sguardo spento, poiché l’Amor, che tu
rinnegasti un tempo per una folle convinzione, non scalderà mai più il tuo
Animo.
Qualsiasi cosa tu faccia, sei destinato a dannarti in silenzio.
In eterno…
”E così sia…”
Non sia mai detto che Iwo Nohara non rispetta una sua decisione, qualunque sia
il prezzo da pagare.
***
Amo come ti piace
indicarmi la via,
dimostrarti capace
di portarmi fino alla follia…
Erano rimasti in silenzio per almeno una ventina di minuti, rivolgendosi muti
sguardi di piacevole incredulità, ignorando i bisbigli dei servi attorno a loro.
Lei, troppo orgogliosa per esprimer a parole il sollievo che le aveva invaso lo
stomaco, come dolce miele dorato, e lui, semplicemente pago di poterla rivedere
da ritenere superflui discorsi che sarebbero suonati sciocchi e insignificanti
rispetto a ciò che provava in quell’istante.
Ove il Tempo e lo Spazio sembravano una ridicola e labile costrizione per
sensi.
Ma adesso, dopo che Salima li aveva condotti in una stanza appartata,
raccomandando di riposarsi un po’ prima di riprender la loro battaglia, il
silenzio suonava pesante.
Denso di dubbi e di risposte, forse amare.
Meiko, immersa fino al collo in una grande vasca di marmo, incassata del
pavimento, si limitava a giocherellare svogliata con la schiuma, scoppiando con
i polpastrelli le mille bolle opalescenti che danzavano sulla superficie
dell’acqua.
Piacevole odore d’incenso, mischiato a spezie e cera delle candele, nella camera
dallo stile orientale, come del resto lo erano tutti gli alloggi della servitù,
piuttosto sfarzosi, in verità. Deep Blue amava chiamarlo il suo “Harem”, non era
difficile intuire il perché di tale ironico vezzeggiativo.
Le luci soffuse, gentile tremolar delle candele color miele, ogni finestra
coperta da spessi tendaggi color porpora, si udiva appena lo scroscio della
pioggia contro i vetri, oltre le sbarre.
Per non scordar di essere, in fondo, solamente uno schiavo.
L’aliena poggiò pigramente la nuca sul bordo della vasca, abbandonando il capo
all’indietro.
”Sono così stanca…”
Quelle poche parole erano state appena sospirate, stanche e pesanti sulle spalle
della giovane in tutti i loro significati.
L’altro occupante della stanza, dal canto suo, si limitò a ridacchiare
sarcastico, senza aggiungere altro. Sdraiato mollemente sul letto basso, il
materasso di piume, invaso da colorati cuscini, poggiato direttamente sul
pregiato tappeto persiano; un impalpabile velo fissato al soffitto ricadeva
attorno al giaciglio, occultandone in parte la vista.
Ma Meiko non avrebbe guardato comunque.
Si davano le spalle, senza per questo sentirsi lontani.
”Ti diverte la mia debolezza, Fukazaki?” la voce era giocosa, dolcemente
velenosa.
”No, anche perché so benissimo che tu non sei mai debole, Meiko…” il sapore di
un sorriso nelle sue parole, anche se non poteva vederlo, era evidente.
Ella sospirò ancora, tirando fuori la mano sinistra dall’acqua e fissandola.
Provò a muovere le dita, ma scoprì che quell’operazione le procurava un immenso
dolore.
Ringhiò, digrignando gli affilati canini.
”Sia maledetto Deep Blue e l’intera sua stirpe…”
Shin udì l’imprecazione dell’aliena, ma non replicò.
Inutile spiegarle che la stirpe di colui che le aveva praticamente rotto la mano
era, anche se indirettamente, la loro…
Chissà, conoscendola, Meiko sarebbe anche stata capace di uccidersi, dopo
aver realizzato quella sconvolgente ma inequivocabile verità.
Sorrise di nuovo, divertito da questi pensieri leggeri, libero di rilassarsi
dopo un lasso di tempo che gli sembrava interminabile.
Chiuse gli occhi, accomodando meglio il capo sprofondato tre due cuscini e
mugugnando di dolore per la ferita sulla spalla, fasciata di fresco dai servi.
Ora che ci pensava bene, era passata solamente una settimana da quando Momomiya,
volendo salvare le sue compagne, accompagnata dai due Ikisatashi e da Meiko,
aveva fatto irruzione nella Base Aliena.
Senza più uscirne.
In quei sette giorni, erano accadute così tante cose che Shin aveva totalmente
perso la cognizione di cosa gli stesse succedendo intorno, limitandosi ad
incassare ogni colpo che gli veniva inferto.
Tentando di difendersi, ovviamente.
Posò la mano sulla spalla sinistra, carezzando piano le bende, pensieroso.
Nohara era tornato per finire il lavoro, come da lui solennemente annunciato, ma
qualcuno l’aveva impedito.
Ed ecco l’ennesima pedina in quella partita senza fine.
Che cosa nascondesse in realtà la silenziosa e pacata Salima, nessuno lo sapeva…
”Che hai fatto alla spalla?”
Egli sussultò, riscotendosi dalla fitta trama dei pensieri nella quale era
sprofondato, udendo l’apparentemente disinteressata domanda dell’aliena.
Un sorriso amaro gli incurvò appena le labbra.
”Diciamo che Nohara non apprezzava…una mia infatuazione”
…Il sangue di quella
famiglia è maledetto, ogni persona che ha rapporti con Ikisatashi e sua sorella
finisce con il perderci la vita…Sono dannati, ti conviene lasciar perdere…
”Infatuazione?”
”…E ha cercato di farmi cambiare idea, a modo suo” continuò, sembrava stesse
quasi parlando con sé stesso, senza ascoltare le parole di Meiko.
Si passò le dita, lungo la ferita sotto la fasciatura, seguendo il corso
dell’intero squarcio, che si apriva sul pettorale sinistro per risalire sulla
spalla, terminando poco sopra la clavicola.
…Mi costringi a estirparti con la forza questa tua sciocca infatuazione…
La contorta, cruda affermazione che Iwo Nohara aveva sibilato, infuriato, al
giovane Fukazaki, prima di mettere in pratica alla lettera i suoi propositi.
Una falce sul cuore, per chi crede che l’amore viva in questo semplice
muscolo pulsante.
”Ma non ci è riuscito…” sorrise, desiderando guardare la giovane ma non
potendo alzarsi, il dolore era ancora piuttosto intenso “Nemmeno a scalfirla”
Conservato gelosamente da quasi due anni, il dirompente sentimento che legava
Shin a Meiko era riuscito a sopravvivere, alimentato costantemente da un fuoco
che, volente o nolente, ardeva perpetuo.
Passione violenta, paradosso nell’animo pacato di quell’alieno timido e
silenzioso, soffocata e trattenuta a viva forza, ma maturata nei tortuosi
alambicchi della mente e divenuta ormai incontenibile.
L’aliena si limitò ad ascoltare le enigmatiche e sibilline spiegazioni di Shin,
senza approfondire, poiché il silenzio che era nuovamente sceso sui due era
denso e vischioso.
E lei non era sicura di voler sapere cosa si agitasse nell’animo del giovane,
non voleva fissare quegli occhi d’ametista nei quali, l’ultima volta, aveva
rischiato di naufragare.
Si morse piano il labbro inferiore, incerta, grata di non poterlo vedere in
volto.
Cosa le stava succedendo…?
Si alzò dalla vasca di marmo, pelle appena più candida della schiuma profumata;
si avvolse rapida in una vestaglia di seta rosso scuro, corta sopra le
ginocchia, avendo l’accortezza di chiudere bene i lembi della stoffa ricamata,
sul davanti.
Piedi scalzi sui tappeti, mentre raggiungeva Shin.
Si fermò di fianco al letto, in piedi, soffermandosi a fissare la sua figura:
muscoli ben delineati sul torace ampio, la pelle chiara come la razza aliena
comanda, capelli castani spettinati e sparsi sul cuscino, più lunghi dietro e
sfilati sul davanti, a coprir due iridi viola intenso, ora serrate.
Egli aveva gli occhi chiusi, sembrava pigramente assorto nei suoi pensieri, ma
quando sembrò accorgersi dell’occhiata della giovane, aprì di poco l’occhio
destro.
Il sottile filo che intercorreva tra i loro sguardi sembrò bruciare, mentre
un’impetuosa sensazione colpiva Meiko in pieno ventre.
Spilli sulla punta delle dita, piacevole e doloroso senso di smarrimento.
Aprì le labbra per dire qualcosa, rompere quel silenzio che si era creato.
Parole per occultarne altre non dette, ma chiaramente tangibili da entrambi.
”E…c-chi ti ha fatto la fasciatura?” mormorò, distogliendo lo sguardo e dando
un’ulteriore stretta alla fascia della vestaglia, guardandosi attorno per
cercare un posto ove sedersi.
Shin non rispose subito, mentre ancora la fissava insistente.
C’era qualcosa di diverso in lui, dall’ultima volta che Meiko l’aveva visto:
ella poteva avvertire a pelle un sorta di desiderio, qualcosa che stonava
completamente con il solito comportamento pacato dell’alieno.
E questa cosa, non sapeva perché, ma la spaventava.
”Una ragazzina..” la voce del giovane suonò indifferente, come se il discorso
non gli interessasse “Mi sembra si chiamasse Arda”
Ecco, finiti gli argomenti di conversazione.
Accidenti…
Ancora quel silenzio, il respiro leggero di Shin e quello solo di poco alterato
di Meiko, mentre riportava a fatica gli occhi in quelli dell’altro alieno.
Ella si era imposta di pensare solo a Kisshu, suo fratello, certo, ma comunque
il primo che aveva amato, nella sua interezza.
Lacrime di bambina, pienamente consapevole che quello che provava per il
fratellastro non era affetto, ma *qualcosa* di più grande.
…Ai shiterou, ani-ue…
Chi ha detto che si è troppo piccoli per amare?
Ma adesso, non era più tanto sicura di questi propositi.
Gli occhi di Shin, lucenti ametiste, cupe e tetre, avevano il potere di sondarle
l’animo, ogni volta che le scopriva fisse su di sé, per poi fuggire il suo
sguardo.
Ma non adesso.
Arretrò impercettibilmente, distogliendo bruscamente gli occhi e scotendo il
capo.
”V-vado un att…”
”Meiko”
Ancora, l’aveva chiamata nuovamente con quel tono che sembrava usasse solo per
lei.
Senza accorgersene, egli aveva afferrato un lembo della vestaglia, trattenendola
con gentilezza e continuando a fissarla. Lei si rese conto che alzarsi, per lui,
sarebbe stato uno sforzo momentaneamente troppo grande.
Shin sorrise dolcemente, facendosi di poco da parte.
”Siediti qui, per favore”
”Perché…?” domandò a bruciapelo, mentre tuttavia eseguiva la richiesta.
”Perché non voglio che te ne vai…” egli fece una pausa, la mano destra adesso
serrava il polso della giovane, deciso ma delicato “Non questa volta”
Quelle parole suonavano dolci, definitive, quasi dolorose in tutto il loro
significato.
Meiko si riavviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro, ciuffo sfuggito
al morbido chignon in cui aveva raccolto la chioma durante il bagno.
Sembrava a disagio…
Il giovane sospirò.
”Succede sempre così, ogni volta che voglio fare un discorso serio con te,
scappi via”
Le dita eleganti dell’alieno persistevano attorno al suo polso, come l’anello di
una catena; poteva udire il battito accelerato del cuore della giovane, sotto la
pelle tiepida e sottile, intrico di vene azzurrine.
”Eppure, oramai dovresti averlo capito…”
”Cosa?”
Non si potè trattenere dal pronunciare quella domanda a bruciapelo, per poi
mordersi la lingua subito dopo. Distolse nuovamente lo sguardo, voltando il capo
verso sinistra e concentrandosi su una guizzante fiammella di una candela.
”Ti amo Meiko”
L’aliena sbarrò gli occhi nell’udir quelle semplici parole, il tono placido e
dolce, come fossero caramelle da succhiare piano tra le labbra.
Shin aveva ancora la mano attorno al suo polso, mentre si sollevava a sedere a
fatica e posava la destra sulla guancia di Meiko, carezzandola con il dorso.
L’aliena aveva ancora lo sguardo sulla fiammella, ipnotizzata, senza dare cenni
di volersi sottrarre al tocco gentile dell’altro.
Il fuoco guizzava placido, il silenzio tra i due era rotto dallo scrosciare
della pioggia fuori dalla finestra, borbottii lontani dei tuoni, soffocati tra
le nubi scure.
”Guardami…”
Ella obbedì, senza nemmeno rendersene conto.
La mano di Shin si allargò sullo zigomo, racchiudendo l’intera gota, mentre la
mancina lasciava il polso e si posava sul fianco, delicatamente.
La stoffa purpurea della vestaglia era solo un vago ricordo, mentre ella sentiva
la leggera pressione delle di lui dita direttamente sulla pelle.
Eccitante.
Rabbrividì appena, facendo guizzare le iridi celesti dagli occhi alle labbra
dell’alieno, abbastanza vicino al suo volto, ma senza eccedere, come se si
stesse imponendo una sorta di contegno.
”Chiedo solo questo, Meiko…”
Ancora la sua voce, dolce e bassa, quasi avesse paura che la giovane sarebbe
scappata se solo avesse alzato il tono delle parole.
”Chiedo solo di amarti in silenzio, finchè anche tu non imparerai a volermi
bene, almeno un po’…” concluse, rassegnato, sospirando leggermente prima di
staccare, riluttante, la mano dalla gota dell’aliena.
Questa sbattè le palpebre, quasi riscotendosi da una sorta di torpore, appena la
mano tiepida di Shin si allontanò dal suo volto.
E questo, adesso, non poteva permetterlo…
Senza che niente potesse fermarla, ancora prima che l’alieno aprisse bocca per
dire qualcosa, Meiko sigillò le di lui labbra con un bacio rovente.
Un semplice gesto, a volte, vale più di mille parole.
L’aliena colse il gemito di sorpresa e piacere sulla sua bocca, e accennò un
sorriso, prima che anch’egli chiudesse gli occhi e ricambiasse quell’avventato
gesto, inclinando leggermente il capo per modellare le labbra sulle sue.
Ella lo spinse leggermente all’indietro, stando attenta alla ferita, facendolo
risdraiare contro i cuscini e continuando a baciarlo, dolcemente.
Carezze quasi dolorose, chiodi di tenerezza nella carne, sentire il suo
sapore sulla bocca.
Le sue labbra sapevano di ciliegia, si ritrovò a considerare Shin, mentre con la
mano destra scioglieva il nodo sulla nuca della fanciulla, ed erano morbide e
ben disegnate.
Una cascata di capelli corvini, come un velo di seta, ricadde sul suo torace,
mentre la poteva avvertire, da dietro le palpebre serrate, salire gentilmente a
cavalcioni su di lui e chinarsi in avanti, per baciarlo ancora.
E ancora, quasi voler annullarsi in lui.
E fu quando la corta vestaglia di seta rossa, in un delicato fruscio, cadde
afflosciandosi sul pavimento, quando sentì la sua pelle nuda e piacevolmente
fresca su quella di lui, ardente di passione, quando i baci divennero affamati e
le carezze insistenti, che ella capì, finalmente.
…Non potrai mai capirlo, Meiko…Solo quando, a tua volta, amerai qualcuno,
riuscirai a capire cosa significa davvero…amare…
Almeno per quegli istanti, brevi ma infiniti, Meiko Hida comprese di essersi
davvero innamorata.
Amo come sorridi
e ti muovi da te,
quando spezzi respiri,
suono al mondo più bello non c’è…
…to be continued…