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Autore: ShootinStar    30/12/2011    11 recensioni
E' la mia seconda FF, quindi abbiate pietà di me! :') provo ad anticiparvi qualcosa.
Liam e Jenny si sono appena trasferiti con la madre a Canterbury. Nuova città, nuova scuola, nuovi amici: verranno a contatto con bande di "bad boys", ragazze problematiche, amori ed intrighi, affrontando con qualche ansia e non pochi dubbi quel delicato periodo della vita in cui tutto può accadere e in cui ogni certezza fa posto a confusioni ed angoscie, tipiche dell'adolescienza. E mentre questo gruppo di ragazzi sarà alle prese con cotte e sbandamenti vari, capiranno senza nemmeno accorgersene che non importa come o quando, l'amore trova sempre la sua strada.
Cercherò di fare del mio meglio, dategli un'occhiata, se avete tempo :D
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jenny scese dalla Opel azzurra affondando nella morbida neve fresca. Fortuna che mi sono messa i Moon Boot oggi. Alzò gli occhi verso il cielo limpido, privo di nuvole. Era sempre così in quella piccola località di montagna a pochi chilometri da Glasgow, il cielo era perennemente tinto di un azzurro vivace ed i tetti delle case costantemente imbiancati, tranne che per i pochi mesi estivi. Respirò a pieni polmoni l’aria frizzante, rivolgendo lo sguardo verso il cottage nel quale avrebbe passato la settimana successiva.
Un ragazzo ed una ragazza spalancarono la porta massiccia di castagno ed uscirono fuori, sbracciandosi nei loro cappotti ultra-pesanti. “Eleanor! Johnathan!” li salutò con un enorme sorriso stampato sulle labbra. I due la raggiunsero e la circondarono con un abbraccio così stretto da farle scricchiolare le ossa. Johnathan era molto più alto di lei, i capelli neri come la pece dello stesso colore di quelli della sorella e gli occhi di un azzurro pallido. Aveva l’età di Liam e non appena lo vide, gli saltò addosso aggrappandosi a lui come un koala si attacca alla madre, mentre Eleanor continuava a rimanere abbracciata a Jenny; era identica a suo fratello, i capelli lunghi fino alle spalle, gli occhi trasparenti e la risata contagiosa.
Mentre iniziavano a scaricare i bagagli e trasferirli in casa, un altro ragazzo si materializzò sotto il portico della casa. Jenny strizzò gli occhi per riconoscerlo da lontano. Poi si sentì mancare l’aria. Chris. Il ragazzo scese lentamente gli scalini, avvicinandosi a loro senza smettere mai di sorridere. Aveva gli occhi color nocciola, i capelli castano chiaro molto simili a quelli di Liam ed il naso piccolo e a patata. Salutò i nuovi arrivati, prolungando un po’ l’abbraccio con la ragazza e facendole l’occhiolino quando si furono allontanati.
“Hey Jenny! Ti trovo bene...che si dice a Canterbury?” le chiese con un sorrisetto. “Mah, nulla di che. Una vacanza qui mi ci voleva” rispose lei, cercando di non pensare al sorriso ed alle fossette di una certa persona. Chris le prese la valigia dalla spalla, facendola scivolare via e caricandosela su di sé. “Lascia fare a me, dai” mormorò, incamminandosi verso l’entrata della casa. Mantieni la calma Jenny, sta solo cercando di mostrarsi gentile. È fatto così, devi solo evitare di dargli corda.
L’atmosfera nel cottage era meravigliosa: il salotto era composto da alcuni divanetti di morbida pelle grigia, alcuni mobili di legno intagliato, un’enorme libreria traboccante di libri ed un enorme camino con un fuoco scoppiettante che dominava l’intera stanza. Jenny si sentì a casa; ogni anno, sebbene in periodi sempre diversi, cercavano in tutti i modi di passare qualche giorno in quel luogo paradisiaco, in compagnia di quelle due famiglie che conoscevano da tempo immemore.
Si sentì pizzicare il fianco destro, si voltò lentamente temendo di ritrovarsi davanti il viso di Chris, ma scoprì un Liam divertito che le scaricò tra le braccia un enorme scatolone. “Invece di startene lì impalata ad ammirare il paesaggio, cerca di renderti utile, mostriciattolo!” l’apostrofò, dandole una leggera spinta col gomito. Jenny lo fulminò con lo sguardo, sistemò la scatola di cartone sopra il tavolo della sala da pranzo e salì le scale di legno fino al piano di sopra, dove si trovavano le camere. Lei avrebbe dormito con Eleanor nella stanza più a sud, quella che spettava loro da 10 anni a quella parte. Inspirò a fondo l’odore di pino che aleggiava intorno a lei, accarezzò la coperta ruvida di uno dei due letti e scostò la tenda della piccola finestra che dava sul piazzale di fronte alla casa.
Sentì qualcuno entrare furtivamente nella stanza, ma non si voltò nemmeno a controllare, non ce n’era bisogno. “Mi sei mancata, sai?”. Sorrise tra sé e sé e mormorò: “Anche tu, Nori”. Eleanor si sedette sul letto alla sua destra, incrociando le gambe e sfilandosi il cappello con le orecchie da panda. “Come sta andando nella nuova città?”. Conosceva abbastanza bene la ragazza per capire che quel “come sta andando?” era l’equivalente di un “hai conosciuto qualche ragazzo figo?”. Ridacchiò e finalmente si girò a guardarla. “Beh, diciamo che c’è un ragazzo...” “Chi è? È più grande? Come bacia? Di che colore ha gli occhi?” sparò a raffica l’amica, alzandosi di scatto e fissandola con gli occhi scintillanti.
Jenny scoppiò a ridere. “Una cosa alla volta, Nori!”. Eleanor sbuffò e si sedette di nuovo, picchiettando con la mano sulla coperta. “Andiamo Payne, siediti e raccontami TUTTO”. La ragazza sorrise e si accoccolò accanto a lei, pronta ad una delle loro famose conversazioni interminabili. Parlare e scherzare con lei la faceva stare bene; Eleanor era spontanea, semplice, una che sprizzava energia da ogni poro e riusciva sempre a coinvolgerla col suo entusiasmo.
Mentre tentava di spiegarle (inutilmente) con molta nonchalance della sua prima volta con Harry, Jenny pensò a Claire. Le due amiche erano completamente diverse, una aperta e un po’ frivola, l’altra chiusa e meticolosa, quasi imperscrutabile. Ma le mancava terribilmente e si chiese se tra lei e Liam le cose stessero andando per il verso giusto.
 
 
Nora stava sfogliando pigramente il giornale seduta al tavolo della cucina. Era quasi ora di cena, presto avrebbe dovuto alzarsi per aprire la porta a Louis. Un sorriso le illuminò il viso non appena pensò al suo ragazzo. Anche se negli ultimi tempi si era resa conto sempre più spesso che dal ragazzino impertinente e un po’ ingenuo si stava trasformando in un vero uomo.
Si accarezzò la pancia vagamente rotondeggiante. Troppo presto ancora. Dovrò aspettare un paio di mesi prima di cambiare completamente le taglie dei miei vestiti. Inizialmente le avrebbe dato fastidio aumentare di peso e ritrovarsi con un ventre così pronunciato, ma sapeva che sarebbe stata l’ennesima dimostrazione che un piccolo essere vivente stava crescendo dentro di lei e che avrebbe dovuto prendersene cura con amore e tanta pazienza. E quindi, al diavolo tutto! Comprare qualche vestito con tre taglie in più non le sarebbe certo pesato così tanto.
Si alzò con studiata lentezza e si avvicinò alla finestra, scostando le tendine rosa. Il cielo si stava oscurando, le giornate erano sempre più corte e non c’era da sorprendersi che alle 6 e mezzo del pomeriggio fosse già così buio. Chiuse gli occhi per un attimo e senza staccare la mano dalla pancia, tornò a quel pomeriggio di 5 anni prima, quando aveva incontrato il suo Louis.
 
Le era sempre piaciuto correre tra i campi. Era una cosa da bambini, ma lei e Vichi lo facevano ancora, nonostante avessero rispettivamente 14 e 12 anni. La mamma continuava a ripeterle: “Cominci ad essere grande, Nora. Dovresti pensare alla scuola e non a questi stupidi giochi”. Ma quello era il suo unico modo per nascondersi da tutto e tutti. Usciva di casa con le sue scarpette da ginnastica preferite, fingendo di andare a casa di una sua amica; a volte era Cornelia, a volte Katrin, anche se quest’ultima non piaceva molto ai suoi genitori, perché frequentava uno strano gruppo di ragazzi.
Mentiva ogni volta, senza alcun rimorso, perché sapeva che anche loro le mentivano: dicevano che le amavano, che non si sarebbero mai separati da lei e Vichi. Entrambi bugiardi. E così lei scappava nei campi nella periferia di Canterbury e correva. Correva fino a non sentirsi più le gambe. A volte portava Vichi con sé; altre, quando era particolarmente arrabbiata, preferiva uscire da sola e perdersi in quei campi sterminati.
C’era quello del grano, dove le spighe le pungevano le caviglie e alcune le arrivavano fino al petto e le rallentavano la corsa; c’era quello delle viti, che sembrava un’enorme piscina olimpionica, divisa in tante corsie; c’erano quelli arati dove poteva scorrazzare in tutta tranquillità, stando però attenta ad alcune zolle smosse; e poi c’era il suo preferito, il prato erboso usato per far pascolare gli animali: era morbido, fresco e confortevole sia quando aveva voglia di rotolarcisi sopra, sia quando faceva a gara con le pecore e le mucche, che raramente accettavano la sua sfida.
Era il suo posto segreto e, a parte sua sorella, non voleva dividerlo con nessun’altro. I suoi genitori le avevano proibito già da qualche anno di passare del tempo nei campi, ma a lei non importava; non riusciva a starsene chiusa in casa mentre loro due urlavano come ossessi e incolpavano lei di ogni disastro che venisse fuori.
Un giorno stava giocando da sola a campana sul prato del pascolo: aveva tracciato con i sassi delle righe un po’ storte e saltellava da un rettangolo all’altro, alternando un piede all’altro. Quando raggiunse l’ultimo riquadro, atterrando con entrambi i piedi, sentì qualcuno battere le mani. Si guardò intorno preoccupata, finché scorse un ragazzino con un berretto blu che la guardava accovacciato sopra un faggio. Era uno dei pochi alberi che si trovavano in quel posto ed era certamente il più forte e resistente. Nora considerava anche quello una sua proprietà e vedere quel piccolo usurpatore la innervosì.
Il ragazzino scese abilmente dal ramo più basso, atterrando senza far rumore sul manto erboso. Le si avvicinò tranquillamente e la guardò con i suoi occhi azzurro cielo, tanto da metterla a disagio. “Tu chi sei?” chiese la rossa, scostando una ciocca fulva dalla fronte. Il suo tono era stato scortese, se ne rendeva pienamente conto e si sentì subito in colpa. Il ragazzino sembrò non farci caso e le porse la mano. “Louis” disse semplicemente, con un enorme sorriso a 32 denti.
 
“Ti avevo detto di non tornare in quei campi! Sei una testona!”. Sua madre le stava urlando a pochi centimetri dalla faccia, tanto che Nora poteva percepire il suo solito aroma di fragola. L’aveva scoperta. Aveva deciso di seguirla e l’aveva vista correre con Louis nei campi. Ed eccola lì, in piedi che gesticolava come una schizofrenica e le affibbiava i peggiori epiteti che avesse mai sentito. “E’ il caso di metterti in riga, signorina. Da ora in avanti sarai in punizione, uscirai di casa sempre accompagnata da me o da tuo padre, andrai soltanto a scuola e in chiesa e non dovrai mai più rivedere quel ragazzo. Hai capito?”.
Nora continuava a tenere la testa bassa. “Mi hai sentito? Pretendo una risposta!” Sua madre le afferrò un braccio in modo sgarbato, torcendole il polso. La ragazzina sentì le lacrime salirle e minacciarle di rigarle le guance, così si liberò dalla presa della madre e corse in camera sua, chiudendosi a chiave. Si tuffò sul letto, affondando la faccia nel cuscino e piangendo come non aveva mai pianto prima.
 
Passarono i mesi. Nora era stata obbligata a tagliare i lunghi capelli rossi in un caschetto troppo essenziale e troppo poco adatto alla sua personalità. Non era più riuscita a tornare nei campi e soprattutto, non aveva più visto Louis. Sua madre l’aveva rimproverata spesso e duramente, l’aveva schiaffeggiata e trattata nel peggiore dei modi, tanto che Vichi si nascondeva sulle scale, tappandosi le orecchie con le mani per non sentire le urla e i colpi che la sorella riceveva.
Una notte Nora sentì picchiettare alla finestra. Era un suono continuo, a intervalli di pochi minuti, come se qualcuno stesse lanciando dei piccoli sassi contro il vetro. Si alzò dal letto e raggiunse la finestra in punta di piedi. Scostò la tenda e sussultò di sorpresa. Louis era in piedi in mezzo al suo giardino, le braccia aperte, un sorriso meraviglioso stampato sul viso. Nora aprì velocemente la finestra e si protese verso di lui. “Che ci fai qui? Se i miei ti scoprono, saranno guai!”. Il ragazzino continuava a sorridere. “Volevo vederti” fu la sua semplice risposta. La ragazzina sentì una fitta al cuore e l’incontrollabile voglia di gettarsi tra le sue braccia.
Louis continuava a fissarla dolcemente. “Perché ti sei tagliata i capelli? Erano così belli!” sussurrò, assumendo un’espressione imbronciata ma comunque adorabile. Nora si toccò il caschetto, così corto che ancora non ci aveva fatto l’abitudine. “Mi hanno costretta” borbottò, mordendosi il labbro inferiore. Il ragazzino annuì comprensivo, poi un rumore e la luce accesa in camera dei signori Evans lo fece sobbalzare. Nora gli fece segno di andarsene, ma lui si posò una mano sulla bocca e le mandò un bacio volante. “Tornerò. Ogni sera, se vorrai. Non ti abbandono”. Quelle parole furono la sua unica consolazione nei giorni difficili, quando fu sul punto di arrendersi, quando pensò di non farcela e di voler soltanto andarsene da quella casa infernale, quelle parole così cariche di emozioni la tenevano a galla.
E fu sempre così da allora, anche quando poco più di un anno dopo i suoi genitori abbandonarono lei e Vichi per ragioni tuttora sconosciute.
 
Il suono del campanello quasi assordante nella quiete della casa la risvegliò da quel ricordo un po’ sbiadito, ma allo stesso tempo vividissimo nella mente. Ciabattò fino alla porta d’ingresso, abbassò la maniglia e si ritrovò davanti Louis carico di scatole di pizza fumante. Sbuffò da dietro all’enorme pila ed entrò dentro, schioccandole un bacio sulla guancia.
Nora lo seguì fino in cucina e quando ebbe abbandonato le pizze sul tavolo, lo abbracciò alla vita da dietro, strofinando il viso sulla sua schiena. Louis la guardò da sopra alla spalla, l’espressione corrugata. “Questi improvvisi attacchi di affetto?” domandò divertito, voltandosi e abbracciandola. Nora si alzò sulle punte strofinando il naso con il suo e sussurrò: “Grazie, grazie di cuore”. Il ragazzo continuò a guardarla perplesso, ma lei si limitò ad accarezzarsi la pancia e lo baciò con il sorriso sulle labbra.
 
 
Ashley aprì la porta, posizionandosi di lato per far entrare il moro. Zayn si guardò intorno, stringendosi nelle spalle; un casa piccola, ben ordinata, essenziale. E soprattutto molto, molto fredda. Rabbrividì, infilando istintivamente le mani dentro alle tasche del giubbotto. Lei lo raggiunse e gli passò accanto ancheggiando con le lunghe gambe sinuose, tanto che il moro pensò per la prima volta che fosse il suo vero modo di camminare e non un espediente per far colpo sui ragazzi.
Ashley si fermò in un angolo della stanza, si appoggiò con una mano alla parete candida e con un sospiro di sollievo si sfilò le altissime decolleté. Zayn ridacchiò, purtroppo senza riuscire a non farsi sentire. Lei lo fulminò con lo sguardo, poi zampettò a piedi scalzi verso la cucina, facendogli segno di seguirla. Aprì il frigorifero con una espressione schifata, facendo poi capolino da dietro all’enorme sportello azzurro. “Hai fame?” chiese velocemente, quasi non volesse dare il tempo a sensazioni diverse dalla sua solita indifferenza di intaccare quella semplice domanda. Il ragazzo scosse la testa, poi chiese gentilmente: “Ho un po’ sete, però. Un bicchiere di succo?”. La bionda torno ad armeggiare dentro al frigorifero, poi emerse con una bottiglietta azzurra. Acchiappò al volo due bicchieri accanto al lavandino e vi rovesciò dentro un po’ d’acqua, porgendogliene uno. “Accontentati” fu il suo semplice commento.
Zayn sollevò un sopracciglio, ma si limitò a bere un piccolo sorso, rigirandosi il bicchiere tra le mani. Ashley lo fissava con i suoi enormi occhi azzurri, i bellissimi capelli biondi che rilucevano di una strana tonalità di giallo alla luce del lampadario. Dopo qualche minuto di assoluto silenzio, accavallò le gambe (gesto che l’aveva resa famosa in quasi tutta la scuola per la grazia e la sensualità con cui riusciva a compierlo) e sospirò. “Dovrei ringraziarti come si deve, no?” chiese titubante. Zayn alzò lo sguardo verso di lei, aggrottando la fronte. “Mi hai già ringraziato, o sbaglio?” domandò perplesso. La ragazza scosse la testa. “Erano solo parole. A voi uomini le parole non bastano mai, dico bene?”.
Si alzò spostando la sedia lentamente ed aggirò il tavolo. Il ragazzo non riusciva a distogliere lo sguardo da lei, ma si sentì stranamente a disagio. Ashley gli mise una mano sul petto, sedendosi sulle sue gambe, appoggiò l’altra mano sulla sua guancia e gliela accarezzò. Avrebbe dovuto essere un gesto dolce, ma il moro notò una certa freddezza quasi meccanica nei suoi gesti. Le fermò la mano che si stava insinuando sotto il cappotto, dentro al colletto della felpa. “Ash...” sussurrò, abbassando lo sguardo.
La bionda sussultò nel sentirsi chiamare col diminutivo, ma soprattutto nel venire respinta senza un apparente motivo. “Qual è il tuo problema, Malik?” chiese esasperata, la voce che traboccava di disperazione. “Tutti i ragazzi che ho conosciuto, che mi hanno aiutata, tutti...volevano una cosa soltanto…e tu...perché?” mormorò, trapassandolo con quegli occhi gelidi come il ghiaccio. “Dì un po’, non è che sei passato all’altra sponda?” tentò di scherzare, notando l’ostinato silenzio del ragazzo. In quel momento Zayn le prese la mano, stringendogliela forte e allungò il collo con uno scatto improvviso, premendo le proprie labbra sulle sue.
Due personalità molto forti si scontrarono in quell’istante e si fusero in un bacio tutt’altro che casto. Il moro le cinse la vita con le braccia, mentre la ragazza intrecciò le dita tra i suoi capelli. Persero la cognizione del tempo: potevano essere passate ore, giorni o forse soltanto pochi secondi. Quando si allontanarono, la bionda respirò con affanno, avvertendo con il palmo della mano i battiti accelerati del cuore del ragazzo. Si fissarono per un lungo istante, poi sorrisero entrambi. “Vedo che ti sei svegliato” borbottò lei, quasi rincuorata. Zayn si aprì in un sorriso sghembo, che si trasformò in una smorfia quando la vide tentare di togliersi la camicetta. Le fermò le mani che già stavano sbottonando la lunga fila di bottoni dorati e scosse la testa.
“Ma...” protestò lei, incapace di capire. Il ragazzo ne approfittò per baciarla ancora, poi si fermò a pochi centimetri dal suo viso, sussurrando: “Direi che come ringraziamento può bastare. Non voglio che tu ti senta obbligata a scopare con me solo perché ti ho salvata. Non l’ho fatto per questo”. Ashley lo guardò confusa, poi sospirò e si passò una mano sulla fronte. “Certo che sei strano, Malik” mormorò, guardandolo di traverso. Lui scoppiò in una risata talmente limpida che la bionda sentì una morsa allo stomaco. “Strano, dici? Naaa, sono solo un gentiluomo, tutto qua”. Stavolta fu lei a ridere. “Gentiluomo? TU?! La tua fama ti precede, tesoro. E non è certo più innocente della mia”. S’inumidì le labbra passandoci sopra la lingua, gesto che il moro non apprezzò, considerate le farfalle che gli aveva risvegliato nella pancia.
“Devo esserlo. Se mi comporto da vero stronzo, rischierei di farti innamorare di me” borbottò, passandole una mano tra i capelli. Ashley sospirò nel sentire il suo tocco, ma un fievole pensiero si fece strada nella sua mente. E chi ti assicura che io non sia già un po’ innamorata di te?
 
 
Jenny se ne stava accoccolata sul divanetto di fronte al caminetto acceso, smanettando col cellulare poggiato sulle ginocchia. Avevano finito di cenare da un pezzo e tutti i genitori si erano riuniti nel salotto più piccolo, discutendo allegramente del più e del meno con qualche bicchiere di vino bianco a tener loro compagnia. Liam e Johnathan avevano optato per una sana partita a biliardo, mentre Eleanor era già salita in camera da letto, dopo aver borbottato un “Sono stanca morta! Ti aspetto su” accompagnato da un sonoro sbadiglio.
Ma Jenny aveva preferito trattenersi nel caldo salotto in solitudine, rileggendo alcuni messaggi che la memoria del suo telefono custodiva gelosamente. Inutile dire che il mittente era sempre lo stesso. Sorrideva sfogliandone uno dopo l’altro, soffermandosi su alcuni nomignoli, sulle emoticon che lui usava sempre in modo preciso e mai casuale, sulle frasi più dolci e su quelle più maliziose, sentendo il cuore fermarsi sulle solite due parole, quelle due parole che le avevano accelerato i battiti anche quella sera un po’ diversa dalle altre...
“Non vai a dormire?”. Sobbalzò quando venne sovrastata da un ombra che si era avvicinata in modo circospetto al divano. La luce arancione del fuoco rivelò il viso dai lineamenti morbidi di Chris. Lui sorrise, mostrando i denti perfettamente dritti e splendenti. Apparecchio. Per 3 anni. Non è un sorriso naturale come il SUO pensò Jenny un po’ malignamente. Ma giunse alla conclusione che comportarsi da ragazzina scontrosa non avrebbe giovato a nessuno, così gli fece spazio accanto a lei. Chris si sedette, incrociando le gambe come faceva sempre.
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante, lui esordì: “Che peccato che dobbiamo vederci così raramente…una volta all’anno è fin troppo poco, non pensi?”. Jenny corrugò la fronte e si sistemò una ciocca di capelli che era sfuggita dalla crocchia. “Sai com’è, adesso ci sono migliaia di chilometri che ci separano, non credo sarebbe così facile vederci...” “Ma non pensi che se tieni a qualcuno, un modo lo trovi sempre?” la incalzò lui, mordendosi il labbro inferiore. La ragazza incrociò le braccia ostinata, mentre l’immagine di Harry le balenava nella mente. “Deve valerne davvero la pena, però...” borbottò, poi tentò di cambiare discorso. “A ragazze come va, Chris? Hai conosciuto qualcuna che ti piace?”.
Il ragazzo si scostò un ciuffo di capelli da sopra l’occhio e la fissò con sguardo magnetico. “Non esattamente” fu la sua risposta. “E tu?”. La domanda la trapassò da parte a parte con la sua freddezza. Sì, sì e ancora sì. Cazzo, lo vuoi capire che io amo qualcun altro? “C’è un ragazzo...siamo nella stessa classe...lui è...” “Non è qui, mi sembra” la interruppe Chris, alzando un sopracciglio. Jenny abbassò lo sguardo, colta al’improvviso da una tristezza quasi intollerabile. “Già, abbiamo litigato prima che io partissi...” “Per quale motivo?” domandò il ragazzo, improvvisamente interessato. Indovina? Indirettamente il motivo saresti TU.
“Niente d’importante, in realtà...” mormorò la ragazza, tornando a fissarlo. Chris socchiuse gli occhi, fissandola con intensità. “Sarebbe uno stupido se si lasciasse sfuggire una come te, Jenny. Ma lo capisco, non dev’essere felice che tu passi il Capodanno qui”. Se potesse, penso che ti prenderebbe a calci in culo, Chris. “No, non lo è affatto” “E’ per questo che avete litigato?” chiese ancora, poggiando la mano sul suo ginocchio. Il contatto la mise a disagio, ma si costrinse a non allontanarlo. “Sì, diciamo che questo è il motivo principale” ammise.
Chris annuì, senza togliere la mano da dove l’aveva messa e la guardò a lungo con i suoi occhi color nocciola. Jenny odiava profondamente quegli scambi di sguardi silenziosi, li odiava con tutta se stessa. Cosa stai cercando di fare? Non saranno certo qualche migliaia di chilometri a farmi dimenticare che lui mi sta aspettando. E tu non riuscirai a cambiare le cose. Si alzò, infilandosi il cellulare nella tasca destra dei jeans. “Sono un po’ stanca, me ne vado a dormire...” mormorò, fissandolo con la coda dell’occhio.
Il ragazzo lasciò ricadere la mano che fino a poco prima era saldamente appoggiata al ginocchio di lei e si alzò a sua volta, raggiungendola con pochi passi. “Certo, buonanotte Jenny” sussurrò, piegando la testa e appoggiando le labbra sulla sua guancia. Un campanello di allarme dentro alla testa le perforò i timpani. “Buonanotte Chris” disse a bassa voce, voltandosi di scatto e salendo gli scalini velocemente, imponendosi a non correre.
Non appena si fu richiusa la porta della stanza alle sue spalle, piombò nell’oscurità assoluta. Eleanor stava già dormendo profondamente e un leggero fascio di luce lunare penetrava attraverso le tendine azzurre, illuminandole il viso delicato. Jenny sorrise, poi sfilò il telefono dalla tasca e aprì la cartella Nuovo Messaggio. Digitò velocemente, le parole che le venivano fuori come un fiume in piena, cercò nella rubrica il nome che continuava a vorticarle nei pensieri più intimi, controllò due volte il testo e premette Invio, chiudendo gli occhi.



my space:
VOILA'! Eccomi di nuovo a rompermi le palle *yay*
Lo so, direte che sono una sporca bugiarda perché vi avevo promesso di postare più spesso, ma non è colpa mia se l'ispirazione continua a sfuggirmi come il coniglio bianco di Alice nel Paese delle Meraviglie u____u
Direi che come lunghezza anche qui non c'è male, vero? AHAHAHAHAH ormai sta diventando un'abitudine, riesco ad essere logorroica perfino qua D:
Spero abbiate apprezzato la digressione su Nora e Louis, avevo parlato troppo poco di loro ed era giusto lasciare un po' di spazio anche alla coppietta "più anziana" LOL so che offenderete Chris in 36453765 modi,  lo sto già odiando pure io D: ma un guastafeste ogni tanto devo infilarcelo, lo ssssapete :)
Mi auguro che abbiate passato un buon Natale, il mio non è stato nulla di emozionante e per di più con pochissimi regali ç_ç
Vabbé, non vi renderò partecipi della mia depressione natalizia, quindi vi auguro un felice Capodanno, sperando che questo 2012 vi porti TAAAAANTA felicità ♥
Un bacio grande a tutte voi,
France ♥

 

  
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