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Autore: Eirien    01/01/2012    3 recensioni
La notte degli inganni ha avuto ufficialmente tre vittime: il Gran Sacerdote Shion, Aioros di Sagitter, la sanità mentale di Saga di Gemini.
Questo, perché non tutti sanno che due giorni dopo Mitsumasa Kido è andato in cerca di un Cavaliere d'Oro. E che si può vivere due volte lo stesso destino, anche se una volta sarebbe già troppo.
Genere: Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Chameleon June, Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Track #05: the Spirit Carries On TRACK # 05

THE SPIRIT CARRIES ON

…I may never find all the answers
I may never understand why
I may never prove
What I know to be true
But I know that I still have to try[…]
If I die tomorrow
I'd be alright
Because I believe
That after we're gone
The spirit carries on…


(Dream Theater)

Una leggera brezza spirava nell'immenso parco che circondava Villa Kido, portando con sé il profumo dei fiori preferiti di Saori. L'alba tersa e luminosa pareva fatta apposta per distendersi sull'erba verde e godere del leggero tepore del sole sorgente. Tepore che riscaldava anche la piccola costruzione di marmo bianco in fondo al giardino, nell'angolo più sicuro e riposto della proprietà.
Il cancello di ferro battuto della cappella di famiglia dei Kido cigolò leggermente. Due mazzi di splendide rose bianche furono deposti con delicatezza su due tombe già chiuse. Una figura ammantata di nero si lasciò scivolare sul pavimento, la schiena contro il muro, la memoria smarrita in un tempo che non sarebbe più tornato. Voleva parlare, come sempre. E come sempre, non trovava nulla da dire.
"Tregua…"
Aria. Fresco, il cappuccio che scivolava sulle spalle. E profumo d'incenso, misto a quello dei fiori. Saori Kido faceva in modo che non mancassero mai. "Anche se i più belli li porto sempre io…" Quante volte si era chiesto che senso avessero quelle visite furtive? Che cosa sperava di ottenere? Ogni tanto la lingua gli si scioglieva, certo. Ma soltanto per farlo sentire più stupido. E, qualche volta, perfino più sereno.
Un brivido di freddo gli corse su per la schiena, dalle natiche alla base del collo. Che pensieri ridicoli, dentro un mausoleo. Lui stesso, che patetico imbecille. Voleva capire, chiedere… cosa? E soprattutto, a chi?
I morti non parlano, alla mia età dovrei saperlo."
Eppure tornava sempre lì, a cercare riposo nell'unico posto in cui non era con le domande che otteneva l'unica risposta che valesse la pena ricevere.

"Davvero credi che per ogni interrogativo esista una risposta razionale, mio giovane Acquario?"
Un tempo ne era convinto, e rispondeva a quelle divertite domande di Shion con una sicumera incredibile per la sua età. Con l'arroganza del ragazzino investito di una responsabilità e di un potere troppo grandi per lui. "Ciò che ero, niente di più e niente di meno."
Si guardò i piedi, poi le mani. Da quei pomeriggi trascorsi in biblioteca con il Sommo Sacerdote era trascorso troppo tempo. E con un po' di volontà riusciva anche a intravedere i ricordi che gli sfuggivano tra le dita, senza che potesse fermarli. E dopo…
Mitsumasa Kido, l'imprenditore. Un vecchio scapolone che mai e poi mai aveva desiderato una famiglia, tanto da essere sempre rimasto alla larga da tutti i mocciosi che, negli anni, le sue amanti avevano cercato di attribuirgli. Di tutti gli uomini, il meno adatto a prendersi cura di una neonata. E, per uno strano scherzo di Ananke, il tutore migliore che la piccola Dea potesse desiderare.
Non aveva mostrato alcuno stupore, la sera in cui l'aveva visto comparire sulla soglia del suo studio. Eppure erano trascorsi mesi, da quel loro incontro surreale per le strade di Atene. Al vecchio era bastata un'occhiata, prima di mormorare qualche parola nell'interfono. Pochi minuti dopo, Camus era impegnato nella complicata impresa di impedire ad una marmocchia straordinariamente vispa di renderlo calvo anzitempo.
L'unica volta in cui aveva tenuto tra le braccia la piccola Athena… Saori, la dea inconsapevole. E quel cosmo avvolgente, così caldo, così familiare. Quasi impossibile credere che appartenesse ad una neonata.
Lo sguardo andò a cadere, d'istinto, sulla lapide di chi aveva rinunciato a tutto pur di salvare quella bambina, che forse non avrebbe mai realizzato quanto gli doveva. "Eri certo che ne valesse la pena, vero?"
Deglutì più volte, tentando di far scendere quel ridicolo nodo in gola. Non era quello, il momento di fare il sentimentale. Non con il pensiero del ragazzo che Saga aveva reso un assassino perfetto, approfittando della sua distratta stupidità.
Si udì un rumore di passi leggeri. Il custode dell'Undicesima Casa scomparve silenziosamente, un attimo prima che Saori Kido entrasse nella fresca e silenziosa cappella. I suoi occhi corsero alle lapidi coperte dalle rose. Ne annusò il delicato profumo, chiedendosi ancora una volta chi fosse il misterioso visitatore che le lasciava dietro di sé. Accarezzò il freddo marmo che custodiva le spoglie mortali del suo salvatore.
"Dopotutto, pensò, ci sono cose che non c'è bisogno di sapere…" Sorrise, come sempre recarsi in quel luogo di riposo l'aveva rasserenata. Sfogliò un bocciolo nel palmo della mano, socchiudendo gli occhi e perdendosi nella fresca fragranza.
"Chissà chi è il suo fioraio…"


…a diverse migliaia di chilometri di distanza, Aphrodite di Pisces scagliava l'ennesima serqua di maledizioni sul ladro che da anni continuava imperterrito a mutilare i suoi preziosissimi fiori.

~.~


Nello stesso momento, in una caletta nascosta dell'inospitale Isola di Andromeda, due ragazze sedevano in silenzio sugli scogli. Insensibili agli spruzzi salmastri che talvolta frustavano i loro visi assorti, gli sguardi perduti lungo l'indefinita linea dell'orizzonte. Due maschere di metallo erano posate accanto a loro. Appena qualche metro più in basso, si era consumato l'ennesimo rituale di elezione del saint che prendeva nome, titolo e armatura di dubbio gusto dalla principessa salvata per il rotto della cuffia dal mitologico Perseo.
Christine meditava, tra i segni evidenti di una favolosa emicrania a venire. Sapere d'essere l'unica persona cui la sua sorellina potesse rivolgersi non contribuiva certo a rendere più serene le sue riflessioni.
Erano passati due giorni da quando una Kelly sconvolta le aveva raccontato il ritorno di Dave a Tokyo come guerriero della Fenice. "Me lo sono perso, per fortuna…"
Era molto, molto preoccupata. Se neppure lei riusciva ancora a mettere ordine nelle proprie emozioni, cosa stava provando in quel momento sua sorella, che aveva sopportato lo sguardo d'odio di quello che per loro era un altro fratello?
E Shun, che di Michael sembrava avere conservato soltanto l'acuta sensibilità, priva però della proverbiale forza di carattere che lo rendeva l'ancora di tutti loro, come riusciva ad andare avanti sapendo che la persona cui teneva di più lo voleva morto?
Kelly l'aveva guardata come se da lei si aspettasse la soluzione, proprio come quando, da piccola, era sempre in grado di tirare fuori se stessa e i suoi fratelli da ogni guaio. Christine sapeva di dover dire, di dover fare qualcosa, ma non le veniva in mente nulla.

— Perché il triangolo si è spezzato — le sfuggì in un mormorio triste, mentre la prima fitta le colpiva la tempia, e il respiro diventava d'un tratto più difficoltoso. Sbirciò sua sorella, stupita da quella mancanza di reazione. Non l'aveva neanche sentita. Continuava a fissare il mare, le onde che si rincorrevano e si abbattevano parecchi metri sotto di loro, come se non desiderasse altro che rimanere lì per sempre.

Non si somigliavano poi tanto, loro due. Kelly era più alta, più sottile. Per il resto, la copia al femminile di quel padre che ricordavano a stento. Per quei capelli, biondi ma più scuri dei suoi, per quei lineamenti decisi e per quella pelle chiara da elfo. Perfino gli stessi occhi, blu scuro, venati di viola, un colore tanto insolito che era difficile credere non si trattasse di lenti a contatto.
Christine sorrise appena. I suoi stessi occhi. Quel marchio di fabbrica le identificava come sorelle in ogni angolo della base militare, persino di fronte a chi non le aveva mai incontrate prima. "Così come riconoscevano nostro padre…"
Max le diceva sempre che quello che più gli piaceva, a fine giornata, era perdersi in quei laghi profondi. Era in quel momento che tutto riacquistava senso, e loro due si ricordavano perché stavano insieme, nonostante il dolore e la fatica insopportabile di vivere le loro vite strampalate come se fossero le più normali del mondo. Quanto le mancavano le sue mani forti, il suo accento terribile e quello strambo taglio di capelli…
E più ancora le mancava Steve, con quell'aria sempre incazzata e quello sguardo talmente trasparente da mettere a disagio chi non c'era abituato. Christine non riusciva a guardarlo senza pensare a sua madre, ai suoi occhi d'argento e a quel sorriso che non sprecava mai.
Steve, che non era mai riuscito a nascondere niente, a nessuna delle sue sorelle, perché loro tre si conoscevano nel profondo dell'anima.

— E ora il triangolo si è spezzato… — ripeté, ancora più sommessamente.

Rabbrividì, e si alzò in piedi. Quello non era il momento di commiserarsi: doveva raccogliersi, piuttosto, affrettarsi a rimettere insieme i cocci della sua precaria stabilità. Kelly e Steve avevano bisogno di lei, della sua capacità di prendere la decisione giusta al momento giusto.
Teneva ancora stretto tra le dita il biglietto che sua sorella era venuta a mostrarle. Il guanto di sfida che Ikki di Phoenix, una volta il loro amico David, aveva lanciato ai guerrieri di Saori Kido perché combattessero contro lui e i suoi Black Four per il possesso della dannata armatura del Sagittario. La missiva, intercettata per pura fortuna, conteneva un post scriptum tutto per Kelly, e nessuna delle due era tanto stupida da fraintendere il significato di quel gesto.
Ikki le aveva messo gli occhi addosso e non l'avrebbe lasciata in pace finché non si fosse misurato in duello con Altair della Gru. Era inutile cercare di temporeggiare. Restava soltanto una cosa da fare, anche se rischiosa per tutti coloro cui volevano bene.
Appena sentì la sua mano sulla spalla, Kelly tornò a rivolgerle la sua attenzione.

— Devi mostrare il messaggio a Saori. Dovete raccogliere la sfida. Sarà un'impresa disperata, ma non ti resta che tentare di tenere a bada Dave mentre gli altri se la vedono con i suoi lacchè. —

"Già, e dopo?" Dopo, nessuna strada sarebbe stata sicura.

La sorella annuì. — Mi dispiace averti portato queste belle notizie proprio oggi, ma… —

"Ma non sapevi dove altro andare…" L'indomani avrebbe affrontato la sua ultima prova. Albion di Cepheus glielo aveva annunciato con un sorriso, qualche giorno prima. Il momento della verità era giunto anche per lei.
Arricciò il naso in un gesto stizzito, un altro tratto in comune con la sua sorellina. Come spiegare al suo maestro che da un paio di mesi a quella parte la Veste del Camaleonte era scesa bruscamente di posto nella scala dei suoi valori? "Povero Albion, se sapessi di che razza di beffa ti hanno reso complice…"

— Me la caverò, vedrai. Nel frattempo, tu devi occuparti di un'altra cosa — replicò tranquilla. — Dobbiamo scoprire cosa ci è successo davvero quella notte, perché solo noi due ricordiamo chi siamo davvero. E c'è una sola persona che può rispondere alle nostre domande. Devi parlare con lui. —

Kelly alzò gli occhi al cielo, tutta la stanchezza del mondo in quello sguardo. — Basterebbe così poco… Ma non ho voglia di vederlo adesso — rispose con voce atona. — Non sono certa di potermelo trovare davanti senza… senza gesti violenti. —

Malgrado la situazione, a Christine scappò un risolino incredulo. — Pensavo avessi superato quella fase. —

La sorella la guardò male, quindi scosse lentamente la testa. — In fondo anche questo è… merito suo — sottolineò, sorpresa da quella obiezione.

Chris le sorrise con affetto: anche in quella gabbia di matti, c'erano cose che non cambiavano mai. E prima di quel giorno non si era resa conto di quanto il suo ruolo di perenne mediatrice le fosse mancato.

— Ne sei davvero sicura? Io invece penso che in tutta questa storia Camus sia stato poco più che una pedina… e che la scacchiera sia molto più grande di lui — disse amaramente, con un'occhiata attenta. — Esattamente come per noi. — "E cosa non darei per vedere in volto chi sta giocando…"

Kelly stava evidentemente pensando che la solitudine di quell'isola avesse avuto effetti deleteri su di lei. — Non ci posso credere — esalò con aria drammatica, riportandola bruscamente a terra.

Christine esitò. Nonostante quanto aveva fatto loro, non riusciva a pensare al maestro di sua sorella come ad un nemico da distruggere, non più. Non dopo averlo visto a casa loro, confuso e mortificato di fronte alle loro occhiate di biasimo. La tristezza rassegnata che aveva colto in fondo a quello sguardo, tanto sicuro in apparenza, l'aveva colpita più di quanto le sarebbe piaciuto ammettere. E il modo in cui quello stesso sguardo era corso verso Kelly in una muta richiesta di perdono, la premura che senza accorgersene riservava soltanto a lei, le avevano suggerito che potesse esserci qualcosa di più del dovere dietro la maschera di Camus. Senso di colpa, attrazione, affetto? Qualunque cosa provasse per lei, quel ragazzo l'avrebbe protetta da ogni rischio. O almeno, avrebbe tentato.
Immediatamente la sua attenzione si rivolse a Albion, che nello stesso momento, dall'altra parte dell'isola, probabilmente non riusciva a smettere di pensarci neppure lui. Sapeva quanto gli stava costando proteggere i suoi allievi. Arles, il nuovo Gran Sacerdote, non gli avrebbe mai perdonato di il rifiuto di schierarsi apertamente con lui contro i ribelli di Tokyo. Quanto tempo, prima che mandasse qualcuno per fargliela pagare?
"Ma quando succederà, anch'io sarò qui." L'istinto le diceva che anche Camus avrebbe lottato con tutte le sue forze, e avrebbe pagato di persona, piuttosto che piegarsi alla volontà di chi aveva ucciso e infangato la memoria del suo più caro amico.
Già per questi suoi sentimenti, il saint di Aquarius meritava il suo rispetto. Ma spiegarlo a sua sorella, quello era tutto un altro paio di maniche.

— Kelly… — la chiamò, rassegnata ad una lunga discussione. E si rese conto che il loro riluttante secondino cominciava a farle un po' pena. — Lui ci serve. Non sappiamo ancora perché ci abbia offerto il suo aiuto, ma non possiamo farne a meno. —

Comprese con un secondo di ritardo di aver toccato un nervo scoperto, non trovò un modo per fare marcia indietro. Sua sorella si era coperta il viso con le mani, e aveva cominciato a tremare. Era evidente che stava lottando con se stessa per non scoppiare in singhiozzi.

— Ma non capisci? È per questo che non ci riesco… —

Christine l'abbracciò teneramente. Sapeva che alla fine sua sorella avrebbe ceduto. Aveva sofferto troppo, negli ultimi tempi. E sempre da sola. — Che vuoi dire? —

— Io gli volevo bene, Chris. Lo ammiravo. Non desideravo che essere come lui — mormorò Kelly in un soffio.

— Finché non hai ricordato chi sei davvero. — Christine riusciva a percepire i suoi sentimenti, quasi avessero una consistenza tangibile. E aveva sentito a pelle, molto prima che lei riuscisse a parlarne, la rabbia cieca che sua sorella teneva a bada in un angolo ben riposto, invisibile agli occhi di chi non la conosceva abbastanza.

Kelly annuì, passandosi una mano sulle guance umide. — Non sopporto di aver bisogno di lui, o di dovergli qualcosa. Pensavo di poterlo perdonare, ma quando ho visto Dave ridotto in quello stato ho desiderato soltanto… —

— …di non aver mai incontrato né lui né i Kido — concluse per lei la sorella, rubandole le parole.

Era questo, dunque. Poteva capirlo perfettamente. Lei stessa non avrebbe reagito allo stesso modo, se al posto di Camus ci fosse stato Albion? Eppure, per quanto comprensibile, quel rancore doveva estinguersi. Oppure avrebbe aiutato Arles a divorare tutti loro, a cominciare da lei. E dal loro amico temporaneamente impazzito.

— Kelly, ti prego. Se non riesci a trovare altre ragioni, fallo per me. Camus non ha colpa di quello che hanno fatto a Dave a Death Queen. —

— Ma di certo ne ha altre — insisté sua sorella.

— Già… — sospirò Christine. "Mi tocca persino fargli pubblicità…" — e da quando l'ho conosciuto mi chiedo come ce la saremmo cavata noi al suo posto. Mi prometti che ci rifletterai? —

Kelly rimase in silenzio per qualche minuto, poi la guardò, finalmente più serena. — Penso che Camus ti debba almeno una cena per quello che stai facendo per lui — scherzò. — E comunque, non ti ho promesso nulla. —

— Uhm, cucina francese, giusto? Devo pensarci… — Christine corrugò la fronte, fingendo di soppesare la possibilità. Strinse forte la sorella, ridendo, mentre il groppo alla gola finalmente si allentava, e le permetteva di respirare a pieni polmoni. O quasi. Si alzò, insieme a lei. — Faglielo presente, quando lo vedi! — gridò, mentre Kelly già svaniva nella nebbia. Si avviò con passo stanco verso la sua baracca. Se solo ci fosse stato anche Steve con loro…

~.~


Era di nuovo sola. Aveva parlato con Saori e con gli altri. Jason non aveva dato nessuna notizia di sé, segno che con ogni probabilità stava ancora saltabeccando come una capra sulle rocce dello Jamir alla ricerca del fantomatico carrozziere delle armature, e la situazione, privi di un cavaliere e di due Vesti Sacre, si presentava tutt'altro che allegra. Persino Mark si era astenuto dalle sue solite spacconate. Suo fratello era rimasto zitto, ma sul suo viso aveva potuto chiaramente leggere la preoccupazione e anche una certa irritazione. Il suo ego doveva essere rimasto piuttosto provato dallo scontro con il suo doppio, quel Black Swan, o come diavolo si chiamava.
Il peggio, comunque, era stato affrontare lo sguardo di Michael, percepire sulla pelle il dolore e il senso di colpa che non riusciva a dominare né tanto meno a nascondere.
Per fortuna, anche questa era fatta, e Kelly aveva imparato che se voleva sopravvivere doveva affrontare un momento dopo l'altro. Un giorno dopo l'altro.
Lanciò uno sguardo circolare alla sua soffitta con vista sul canale. Che strano. Stava cominciando a considerare quel posto come un rifugio. Come la sua casa.
"Male, molto male. Pensa invece che non ci resterai a lungo."
"Sì, come no. Sai già come si fa a tornare a casa tua, vero?

Camus. Ancora lui, la fonte di tutti i guai e la soluzione a qualcuno dei loro problemi. Magari le avrebbe insegnato quello che aveva bisogno di sapere, se solo glielo avesse permesso. E in fondo Chris aveva ragione, avrebbe dovuto concedergli almeno il beneficio del dubbio, prima o poi.
"Non oggi, però. Non ne ho la forza. Né la pazienza. Né…"
Toc toc.
Non poteva trattarsi che di uno dei suoi compagni, o di suo fratello. "Magari uno dei becchini della Fondazione…" Kelly andò ad aprire dopo aver controllato di indossare la maschera. Fosse dipeso da lei, l'avrebbe già incenerita da tempo, e forse era per quel motivo che ultimamente aveva rischiato un paio di splendide figuracce con Saori, Tatsumi, e tutti quelli di fronte ai quali era prudente continuare a portarla.
Aprì la porta come un automa. La richiuse con uno scatto felino, le gambe tremanti. La puntellò con la schiena, lasciandosi scivolare sul pavimento. Passarono diversi minuti mentre cercava di calmarsi. Quando la respirazione riprese un ritmo accettabile si alzò e riaprì la porta con circospezione, con la speranza che lo sgradito visitatore fosse realmente andato via.
Sullo zerbino colorato, che augurava il benvenuto in sette lingue, un paio di stivali. "Non ti arrendi mai?" Jeans molto scuri, maglietta bianca, un giubbotto di pelle perfettamente adagiato su due spalle scultoree e lunghi capelli scuri che incorniciavano un viso dai tratti eleganti. Un paio di occhiali da sole si sollevarono sulla testa del losco figuro, e occhi troppo penetranti si piantarono nei suoi attraverso la maschera, fulminando sul nascere ogni ulteriore tentativo di fuga. "Ti hanno vestito gli Hell's Angels?"

— Possiamo parlare adesso, o ripasso quando sarai cresciuta? —

Kelly scattò come una molla di fronte a quel mirabile esempio di spudoratezza. — Io sarei infantile, ma il cosiddetto adulto — gli puntò contro un dito con sommo disgusto — non riesce ad accettare che non gli si voglia parlare! —

— Non avrei certo violato la tua privacy, se non mi avessi ignorato quando ho cercato di contattarti attraverso il cosmo… — Quella risposta, e quel tono compassato, erano sufficienti a farla sentire in difetto. E questo le mandava il sangue alla testa. "Adesso sono anche obbligata a vedere la tua faccia ogni volta che ti aggrada? Dopo quello che hai fatto?"

— E questo non ti ha suggerito nulla? — sibilò. — Che so, che ti volessi fuori dai piedi fino alla fine dei miei giorni? — La voce di Kelly stava pericolosamente virando verso lo stridulo. Lo fissò infuriata. "Tu non sei il mio padrone, fotoghiacciolo da quattro soldi. È ora che te ne faccia una ragione."

— Ho passato l'età per giocare a nascondino, ragazzina, e non sono l'unico. Questa storia va avanti da tre giorni: quando avresti intenzione di farla finita? — s'informò freddamente il suo ospite, senza darle la soddisfazione di mostrare la voglia che aveva di metterle le mani addosso.

— Di sicuro non quando lo decidi tu, Grande Capo dei miei stivali! — strillò lei, inviperita. — E levati dal mio zerbino! — aggiunse, voltandogli le spalle.

Stava per piantarlo lì sulla soglia, ma lui la precedette. — Come desidera, mademoiselle — sibilò, afferrandola come un fuscello e gettandosela su una spalla. Si richiuse la porta alle spalle con la mano libera e la scaricò poco gentilmente sul divano.

Kelly si mise a sedere, rossa in viso, tastandosi la schiena. La maschera, fissata alla meno peggio, già era volata chissà dove. — Come visitatore sei un vero zotico, Camus di Aquarius. —

— Oh, magari Sua Altezza preferiva continuare a dare spettacolo per i vicini… — ribatté l'altro, sardonico, sovrastandola dall'alto.

— Non prendermi in giro! Se ti importasse un accidenti di quello che preferisco saresti già sparito dalla mia vista! — sbraitò lei col naso all'insù, tanto per dimostrargli quanto le importava della forma e del rischio degli spettatori non paganti.

Camus le si avvicinò fin quasi a sfiorarla e rimase a fissarla, le mani piantate sullo schienale del divano. I suoi occhi mandavano lampi sinistri e Kelly si ritrovò a pensare, del tutto incongruamente, a quanto l'abbronzatura da alta montagna ne valorizzasse il colore. "Fantastico. Sono ammattita del tutto." Contrariamente alle aspettative, il suo maestro si mosse, ma non per ridurla ad un cristallo di ghiaccio. La oltrepassò rigido, intenzionato a sigillare almeno la finestra. Dopo aver tirato le tende con cura, si girò e aprì la bocca. Alzò gli occhi su di lei per un attimo, e parve ripensarci. Tutta la sua baldanza pareva svanita, mentre si appoggiava al muro, le mani strette a pugno con tanta forza che le nocche erano sbiancate.

— Non riuscirai mai a guardare oltre, non è così? —

Kelly sobbalzò al suono di quella voce sommessa, che suonava ancora più triste nel silenzio teso che era calato nella stanza. Improvvisamente, si sentì calare sulle spalle una stanchezza che non aveva niente a che fare con i suoi sonni agitati. Si voltò a guardare Camus, che era scivolato a terra, la schiena contro il muro, senza smettere neppure per un attimo di fissare il vuoto.

— Non posso dimenticare… non di nuovo — mormorò, più che altro a se stessa.

Non sapeva per quanto tempo erano rimasti in quella posizione, lui sul pavimento sotto la finestra e lei seduta sul divano, le mani sulle ginocchia. La luce pomeridiana filtrava calda e ovattata attraverso le tendine colorate. Lo vedeva seduto sul parquet senza sapere che fare, mentre quel ridicolo sentimento di comprensione, travolto e quasi cancellato dagli ultimi avvenimenti, trovava nuovamente strada in lei, come qualche notte prima, nel Tempio dell'Acquario.

— In tutta questa storia Camus è stato poco più di una pedina su una scacchiera più grande di lui —

"Lo pensi davvero, Christine?"

— Mi chiedo come ce la saremmo cavata noi al suo posto… —


La voce di sua sorella era chiara e sonora, nel ricordo di quel pomeriggio. Kelly ci pensò su per un po'.

"Non lo faccio per lui. Ma di te mi fido, Chris…"

~.~


— Forse un modo c'è. —

Camus alzò la testa, sorpreso. Kelly era china su di lui. Deglutì a vuoto. Quella posizione offriva una veduta sin troppo interessante, ma quella piccola stordita non se ne accorgeva. Invece, lo costrinse delicatamente ad allargare le ginocchia quel tanto che le bastava per accovacciarsi a terra e spingere i piedi tra i suoi. Il cuore prese inspiegabilmente a martellare.
Camus pensò che era davvero bella dietro la maschera, e che ormai era grande. Era diventata una piccola guerriera coraggiosa, di cui non poteva non essere orgoglioso. E sì, quella camicia aperta gli ricordava anche che aveva appena gettato via un'altra scatola di preservativi che non aveva avuto l'occasione di usare.

— Che… che hai detto? — riuscì ad articolare, diviso tra la sorpresa di non ricevere una padella sulla testa e l'insano desiderio (si rese conto con orrore) di sbirciare oltre quei bottoni. "Datti una calmata, adocchiatore di minorenni…"

Kelly lo scrutò a lungo. Dannati, dannatissimi occhi, luminosi come l'aurora boreale. — Forse… c'è un modo per farti perdonare… — sussurrò.

"Uno solo? Ne ho giusto in mente un paio…" Camus non aveva il coraggio di proferire verbo. In compenso, i suoi ormoni stavano tenendo una conferenza. Ci volle uno sforzo immane per metterli più o meno a tacere.

— Di cosa stai parlando? — le chiese, per prendere tempo. Non era sicuro di aver ben afferrato la sostanza del discorso. "Una bella doccia fredda, ecco cosa ti ci vuole…"

La ragazza tornò a fissarlo, come se volesse strappargli l'anima. Era evidente quanto le pesasse tendergli quel ramo d'ulivo.

— Camus, io mi fidavo di te. Sei stato il mio maestro, il mio modello. Per sei anni ti ho seguito… e creduto. Credevo davvero di essere una predestinata, che il senso della mia esistenza fosse uno scopo più alto. Ma ora… dovrei attraversare la fossa dei leoni mano nella mano con te, senza ricordare in ogni maledetto istante che sei stato proprio tu a gettarmici? — strinse le labbra, come se volesse dire altro, quindi scosse la testa. — Hai una vaga idea di quanto possa far male scoprire che gran parte della tua vita è stata nulla più che una menzogna? —

Camus si sistemò meglio contro la parete, tentando di assimilare quel colpo basso. I suoi bollenti spiriti erano stati chetati da qualcosa di più efficace dell'acqua gelata. — Tu lo saprai molto meglio di me — fu costretto a concederle.

— E tu non saprai mai più di così, non è qualcosa che si possa raccontare. Ma forse conosci altri tipi di dolore. E forse potresti restare al nostro fianco per te stesso, per il tuo amico Aioros, per la dignità profanata del tuo venerato Santuario. — Rimase un attimo in silenzio, cogliendo un moto di sorpresa mista a disagio. — O almeno, è quello che spero. Vorrebbe dire che c'è ancora qualcosa che possiamo fare. —

— Dove stai cercando di arrivare, ragazzina? — Lui non era mai stato un emotivo. Detestava dal fondo del cuore i discorsi che mettevano in piazza i sentimenti. Lo facevano sentire vulnerabile e rendevano ridicolo chi ne parlava. Eppure quella marmocchia sapeva maledettamente bene dove colpire. "Forse sono io, quello che non ti ha mai conosciuto…"

Lei scosse la testa, quasi se lo fosse aspettato, gli prese entrambe le mani e le tenne tra le sue. Un'ondata di calore lo investì, mentre si dava dell'idiota: ci sarebbe mancato solo di arrossire come un ragazzino.
E intanto non riusciva a trovare la voglia di scostare le mani.


— Adesso ascoltami bene, Camus. Se vuoi, da oggi possiamo ricominciare da capo. Ma basta con i segreti, basta con le menzogne. Tu ti fidi di me, e col tempo io tornerò a fidarmi di te. — La sua voce si ridusse ad un sussurro. — Se mi aiuti a proteggere i miei amici, potremo combattere Arles. Dovrà pentirsi del dolore che ha causato. — Gli strinse le mani con più forza. — A tutti noi. —

Camus cominciava quasi a sentirsi commosso. Rimase in silenzio, ricambiando la stretta per un istante, mentre tentava di rimettere in ordine le idee. C'era qualcosa che doveva dire, e non sapeva se avrebbe avuto un'altra occasione. "Ma come posso?"

— Non … — Respirò profondamente, prima di proseguire in tono amaro. — Non posso cambiare il passato, Kelly. — "Ma se potessi, lo farei". A occhi bassi si domandò se avesse compreso. O se gli avrebbe almeno risposto. Non vide il viso di lei allargarsi nel sorriso più caloroso che gli avesse mai rivolto. Il suono della sua voce lo sorprese, così come la dolcezza del suo tono.

— Credimi, lo so. Per esempio, non sai come mi pento di non averti rotto qualche osso, il giorno della mia investitura… mi sarei sentita meglio — replicò la ragazzina con serietà. — Ora è troppo tardi… —

Camus rialzò la testa di scatto. La fissò, incredulo di fronte a tanta spudoratezza. Ma capiva che c'erano nuove regole, in quel gioco. Non avrebbe mai visto ammirazione e rispetto incondizionati in quegli occhi, ma forse… avrebbe contato su di lui. Era quello, l'importante. "L'unica cosa davvero importante…"

— Non tirare troppo la corda, piccola strega — si limitò a commentare. — E non dovresti illuderti che battere il proprio maestro sia un'impresa facile. —

Lei scoppiò a ridere allegramente. — Lo so, Camus dell'Acquario, lo so. Sarà per sempre uno dei grandi rimpianti della mia vita — lo canzonò, a pochi centimetri dal suo viso. I loro sguardi s'incontrarono. Le sembrò di vederlo per la prima volta, ed era davvero un bel vedere. Accidenti a lui, se lo era. E ora la stava valutando con uno strano lampo negli occhi.

— Forse potresti riuscirci, prima o poi. — Prima che Kelly potesse pronunciare una sola altra parola, era scattato in piedi sollevando anche lei. Cercò di ignorare il desiderio irrazionale di stringerla tra le braccia, forte, e non lasciarla andare mai più. "La solitudine ti fa male", pensò, irritato. — Dovrai ricominciare ad allenarti come prima, signorina. Non mi accontenterò di niente di meno della perfezione. — Guadagnò il divano fingendo una noncuranza da primato. "Distanza di sicurezza, prego…"

Kelly prese una sedia, la rivoltò e sedette al contrario, incrociando le braccia sulla spalliera. "Non mi prendi in giro. Non più."

— Neanche tra mille anni riuscirei ad eguagliarti, Camus. Perché vorresti perder tempo a migliorare le mie capacità? —

— È il desiderio di ogni maestro che si rispetti… — recitò lui, prendendo un tono ispirato. Era qualcosa di completamente nuovo, scherzare in quel modo con lei. E forse gli piaceva un po' troppo.

Lei non si lasciò abbindolare. Interruppe la litania prima che lui cominciasse a prenderci gusto. — Maestro… un po' di serietà, se non ti è di troppo disturbo! —

— Ti hanno mai detto che sei troppo sospettosa, ragazzina? — la rimbeccò, divertito. Lei continuò a fissarlo diritto negli occhi. "D'accordo, Kelly. Basta giocare…" — Voglio che tu sia pronta. Il Gran Sacerdote presto vorrà le teste dei tuoi amici, e forse anche la tua. Un giorno ti troverai ad affrontarlo. —

"Tu e quegli altri squilibrati che si esibiscono in mondovisione…"

Lei sorrise con una dolcezza inaspettata. — Quel giorno ti renderò orgoglioso — cinguettò, la voce tutta miele. — Quanto ho sognato di poterti restituire tutte le sberle che ho preso in questi anni… —

— Era della mia serietà che ti lamentavi? —

Lei lo squadrò come l'avesse accusata di ordire la strage degli innocenti. — Ma io non stavo scherzando… —

"Questa ragazza mi porterà al manicomio molto presto…" Camus rinunciò a ribattere, scuotendo la testa con comico sconforto. Un silenzio denso cadde tra loro, intimo e inopportuno. Troppe parole non dette. Che non potevano essere dette. Kelly si chiese se fosse normale avere un ragazzo e trovare qualcun altro così… affascinante.

— A proposito, devi una cena a Christine — gli annunciò, tanto per non restare là a fissarlo come una stupida. — Vorrebbe che le preparassi qualcosa di francese. —

"Christine?"

— Tua sorella? — La faccia di Camus era il ritratto vivente della perplessità. Oltre che di una giustificabile diffidenza. — E perché? — "Ci manca solo una morte per avvelenamento, adesso…"

Kelly ebbe un piccolo sogghigno, ripensando alle ingenue aspettative della sua povera sorella. — Dopotutto, ha perso un'intera mattinata per convincermi a rivolgerti la parola. —

"E io che m'illudevo sulle mie capacità persuasive…" — Pensavo le volessi bene. —

La ragazza sorrise. Christine non sapeva, non poteva sapere che rischio si corresse a lasciar cucinare quel flagello domestico. Ma questo rendeva la faccenda ancora più divertente. — E io penso che sarai tu a spiegarle la triste verità… —

— Durante l'addestramento non sembravi tanto schizzinosa — Camus si alzò e si diresse verso la cucina. Si sentiva snervato, e aveva bisogno di un pretesto qualsiasi per sciogliere la tensione. — Forse potrei rinfrescarti la memoria… — le propose, senza pensarci troppo. Troppo tardi si rese conto di quanto era stato invadente. E di averle mostrato quanto poco desiderasse andarsene.

Kelly gli si parò di fronte, ostruendo il passaggio. Sembrava la caricatura del terrore.

— Vade retro, Satana! Alla larga dai miei fornelli. — Ci pensò su per un momento, poi si appoggiò allo stipite con uno sguardo da gattina. — Se proprio tieni alla cena, puoi sempre occuparti dei piatti… — miagolò, defilandosi dietro la porta prima che potesse obiettare.

Camus sospirò, sconfitto. E tornò sul divano. "Era meglio cenare con Milo…" Eppure, sapeva già che di quella serata, qualunque cosa riservasse il futuro, non si sarebbe mai pentito.

~.~










Angolo della vergogna™


Niente vergogna, questa volta, ma solo l'usuale, sentito ringraziamento a Madama Barakei, donna del LOL, e tanti, tanti auguri per un 2012 esattamente come tutti voi lo vorreste!
   
 
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