Anime & Manga > Fairy Tail
Segui la storia  |       
Autore: TonyCocchi    02/01/2012    5 recensioni
Fatto il "guaio", bisogna prendersi le proprie responsabilità, ma se si tratta di vite? E la propria è un pò difficile da lasciar andare, specie se piace com'è... Due punti di vista diversi, due desideri diversi, un rapporto rovinato da un giorno all'altro... Basterà un accordo a far finire tutto per il meglio?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elfman , Evergreen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Elf Ever guardala

BEN ARRIVATI NEL 2012!

Che il nuovo anno porti a tutti noi salute, amore, ricchezza, e tante bellissime fanfictions! ^__^

Cominciamo quindi il nuovo anno in bellezza, con un nuovo capitolo che, e non mento, è il momento clou di tutta la storia!

Sappiate, cari lettori, che non vedevo l’ora di scrivere questa scena dopo averla immaginata tante e tantissime volte, e vi assicuro non resterete delusi!
Spero inoltre, vista l’importanza, che sarete generosi di commenti! ^__°

Buona lettura a tutti!

 

PS: GAZILLE X LEVI ORA E SEMPRE!

 

 

 

“Signor Elfman!” –urlò l’infermiera aprendo di botto le porte- “Ci siamo!”

Elfman scattò in piedi, più terrorizzato che pronto!

“Ci siamo?! Oh, cielo, ci siamo! L’ha detto! Ci siamo! Oh, mamma, ci siamo!”

“Ehi, ehi, Elfman!” –cercò di rabbonirlo Gray- “Calmati!”
“Ci penso io!” fece Natsu, mandandolo gambe all’aria con un bel cazzottone!

“Natsu!!!” –sobbalzò Lisanna- “Non è mica così che si fa!”
“Grazie, Natsu!” disse invece redivivo Elfman, risollevandosi da terra!

Si spazzò via la polvere dalla giacca: “Un vero uomo può essere destato solo nel modo dei veri uomini!”
Natsu si passò un dito sotto il naso: “Eh eh eh, è stato un piacere!”

“Essere uomini… è davvero strano…” commentò Lisanna.

“Ma sei ancora qui? Sbrigati!” lo spintonò leggermente Erza, vedendo che continuava a temporeggiare.
“S-si!”

Si voltò: aveva la mano di Mira su una spalla e quella di Lisanna sull’altra.

“Vai.” disse la sua sorellona.

“…… Si!”

Prese un bel respiro e passò di corsa per la porta tenutagli aperta dall’infermiera.

 

Nel passare velocemente lungo il corridoio, l’infermiera risparmiò Elfman dall’indossare nuovamente camice e cuffietta, e arrivati alla sala parto gli tenne nuovamente aperta la porta.

Sulle prime, ad Elfman non sembrava cambiato molto rispetto a quando ci era entrato qualche minuto prima: c’era sempre Ever semidistesa sul letto ad urlare, e le infermiere e l’ostetrico perennemente sulla difensiva!

Non sapeva bene dove andare a piazzarsi, quand’ecco che fu il dottore ad avvicinarlo: “Beh, signor Elfman, di solito in questa delicata fase del travaglio chiedo al marito, nel suo caso al padre, di stare vicino la madre; ma nel suo caso…”

“GRRRR!”
Schivò una bottiglietta d’acqua mezza piena che colpì Elfman in petto, senza fargli tuttavia granché male.

“Glielo sconsiglio caldamente!” finì il dottore!

Elfman si batté una mano in fronte!

“GRRRR! È tutta colpa tua! Se lo sapevo col cavolo che accettavo!” –si dibatté lei al vederlo nuovamente- “Me la paghi! Me la paghi! AAAAAAAAAAARGH! SIGH! GRRRR!”

Il dottore tornò ad assistere la per nulla paziente, senza dire altro ad Elfman che così rimase lì sul posto.
Cosa fare? Era decisamente di troppo! Era già tanto se Ever non si alzava con le sue sole forze per mandarlo via a calci. In effetti l’avrebbe fatto e come non fosse stato per le doglie.

Lui però aveva ugualmente il suo diritto di essere lì: il diritto di chi subito aveva detto “si” a quel nuovo arrivo. Non era tempo per sentirsi in colpa, né per rinfacciare tanto astio nei suoi confronti da parte di una donna che comunque amava.

L’aveva detto anche l’ostetrico: in quella fase, ciò che l’uomo deve fare, è star vicino!

“Forza! Ci sei quasi!”

“Eh?! AAAAARGH!”

“Forza Ever! Ce l’hai messa tutta per arrivare fin qui, non puoi arrenderti!”
“NON CHIAMARMI EVER! TI AMMAZZO, DANNATO!”
“Ce la puoi fare, l’hanno fatto tante altre donne prima di te e tu sei una donna fuori dal comune! Dai, un ultimo sforzo!”
“Ma che fai?! Io ti minaccio e tu mi incoraggi?! Basta, sono stanca di tutto questo!”

“Allora continui a spingere, ci siamo quasi!” -la incoraggiò l’ostetrico- “Faccia due forti respiri e spinga!”

Evergreen obbedì e urlò di nuovo facendosi paonazza!

“Ancora una volta!”

Ever succhiò forte per due volte l’aria dentro di sé e poi spinse di nuovo: “Maledettoooooooooooo! SIGH!”

Intanto le infermiere tenevano d’occhio le gambe dell’inquieta partoriente: non volevano rischiare che loro altri prendessero ancora calcioni sul naso!

Elfman intanto, colto da brividi di panico, si domandava cosa fare!

Da lì riusciva a guardare bene ciò che stava accadendo, ma si rendeva anche conto di non sentirsi troppo bene!

I denti gli battevano velocissimi! Le gambe erano molli! Anche l’aria sembrava mancargli; forse Ever se la stava davvero succhiando tutta!

Accidenti, pensò, di quel passo sarebbe svenuto! Non era mica da uomo una cosa del genere, svenire nel vedere il parto del proprio primo figlio!

Al solo pensarci sarebbe arrossito se le urla e la suspance non lo stessero rendendo così tremendamente bianco!

Al successivo urlo di Ever, si decise a girarsi, faccia al muro!
Non gli importava se si perdeva il momento…

“VEDO LA TESTA!”

“GNNNNNN! ELFMAN, SEI UN BASTARDOOOOOOO! GNNN!

L’importante era esserci da sveglio!

Era in momenti come quello che la sua maschera di “uomo”, nel modo in cui la intendeva lui, andava in frantumi, e prendeva coscienza della propria fifa, della propria suggestionabilità, che gli impediva anche solo di avvicinarsi un altro pochino, e dare anche solo un’occhiatina al momento fatidico in cui ognuno viene al mondo.

“Forza… Forza Ever… Ce la farai…” continuava a sussurrare alla parete, ignorato da tutti.

Che tensione! Era insopportabile! Non vedeva l’ora finisse!
Non vedeva l’ora che tutto iniziasse!
“Un ultimo sforzo!”

<< Forza! >> disse ancora, rivolto a tutti e due.

 

Ed ecco che nelle sue orecchie l’ultimo grido di Evergreen venne mascherato da un acuto, ma chiaro e forte, primo vagito!

 

“……”
“Ueeeehh!”

Ever crollò come morta sul materasso, annaspando rumorosamente; distrutta dallo sforzo, e obnubilata dal sollievo, non sarebbe stata in grado di sentire o rispondere per qualche secondo.

“Ooooh! Ecco qui! Ed anche questa volta è andata bene!”

“Congratulazioni, signorina Evergreen!” –le disse un’infermiera- “Alla fine ce l’ha fatta, visto?”

Ever la afferrò per il bavero del camice: “Un antidolorifico, vi supplico!”

Elfman si girò piano: “È… È… È fatta?”

“Si, signor Elfman, è fatta!” disse il medico togliendosi i guanti e passandosi un fazzoletto in fronte.

Fu allora che saltò, incontenibile!
“Ah ah ah! Si! Ce l’ha fatta! Sono papà!” –cominciò ad alzare le braccia al cielo- “È nato! È nato! È na…”

“Congratulazioni, signor Elfman! È una bambina!”

“È na… è na… è na… na… ta… nata…” balbettava lui convulsamente mentre l’infermiera, dopo aver amorevolmente pulito e dato i primi controlli alla piccola, gliela porgeva, avvolta in un morbido asciugamano.

“Nata…”

Era sbiancato di nuovo; e sulle prime, ebbe paura di essere sul punto di lasciarla cadere tanto gli mancavano le forze per la scoperta!

Quanto fiato sprecato tutti quei “maschio” venendo lì!

Poi, si decise a guardare quell’esserino per chi era, non per com’era. E quella consapevolezza gli tolse la delusione, e persino la vergogna di piangere.

La salutò con il suo più ben riuscito sorriso: “Non mi importa… Non mi importa se non è un maschio! È una bimba bellissima e l’ho fatta io! Sono il papà di una bambina! Ho una figlia! Ho una figlia! Ah ah ah!” esultò senza staccarle gli occhi di dosso.

Le tre infermiere tirarono il classico sospiro; fu ancora più risollevante dopo tutte le pene patite a causa della mamma. Se non altro, la nuova arrivata aveva qualcuno.

“Anf… anf… Eh eh eh! Ho una figlia!” ripeté.

L’emozione gli aveva fatto venire il fiato corto!

Chi ancora pensa che gli uomini grandi e grossi non possano commuoversi, di sicuro non ha mai avuto tra le mani la sua prima bambina o il suo primo bambino!

Ansante, la voce di Evergreen tornò a riaprirgli alla mente il resto del mondo: “Anf… anf… Ricorda il patto Elfman… Ora è tua!”

“……”

Si accorse ovviamente delle reazioni, dal dispiacere al disprezzo, che aveva suscitato negli altri presenti, ma se né fregò altamente. Dal canto loro, questi ultimi sapevano che il loro compito era curare ed assistere, non giudicare, specie non conoscendo. tutti i dettagli della storia. Ciò non aveva ovviamente impedito che facessero il tifo tutti per la stessa parte.

“Certo, certo… Non temere Ever…” la rassicurò lui, già abbastanza padre da dispiacersi più per la piccola che per sé stesso.

Ever aveva la faccia coperta dal dorso del braccio e continuava a mormorare, incurante di tutto il resto all’infuori di sé: “Ufff… Mai più! Mai più! Questa è stata la prima ed unica volta! Anf… anf…”
“Eh eh, è stata dura, vero?”

Elfman la fece dondolare un pochino: all’inizio la piccina si era guardata intorno, ma ora aveva gli occhi chiusi. Forse anche per lei era stata dura e aveva bisogno di un riposino.

“Anf… Accidenti, quanto è carina! Dovresti vederla!”

“Anf… Ufff… No, grazie!”

“Anf… Come?”

“Ho detto che non mi va di vederla!”
“Eh? Dai, non esagerare, eh eh! Certo te ne ha fatte passare tante, ma…”
“Ma appunto per questo non la voglio davanti gli occhi!” sbraitò lei.

“Che-che stai dicendo?”

“Sto dicendo che ti voglio fuori dai piedi!” –gli ruggì contro- “Tu e quella bambina del cavolo! Non ho mai patito tanto dolore in vita mia per colpa sua!”
“Non … Non stai… stai dicendo sul serio, vero?” chiese Elfman, che sulle prime di quella raggelante risposta del cavolo aveva sentito di nuovo la presa allentarsi.

“SI! STO DICENDO SUL SERIO!”

Ed Elfman capì che era esattamente così: si era girata sul fianco dall’altra parte, preferendo la porta al suo ex e alla sua neonata figlia.

“Ora è finalmente finita Elfman: io torno alla mia vita e tu a giocare al paparino! E lei!” –sbraitò di nuovo contro l’infermiera- “Quanto ci vuole per questo dannato antidolorifico?”

“……”

 

Il viso di Elfman era teso come un tamburo. Le narici si dilatavano ad ogni respiro: aveva ancora il fiato corto, ma stavolta l’emozione che lo soffocava era ben diversa.

 

Guardarla le faceva venire la pelle d’oca. Dava le spalle. Cercava pure di tenere gli occhi chiusi. Stava aspettando che se ne uscisse via, di vederlo sparire, come gli aveva reso ben chiaro dai mille insulti e minacce nei dolori del travaglio.
E ci poteva stare, la conosceva.

Il patto era fatto apposta per sciogliere i nodi che intrecciavano le loro vite, ma mai si sarebbe aspettato un qualcosa del genere.

 

Non voleva neppure vederla.

 

L’avevano generata insieme.

L’avevano aspettata insieme.

L’aveva messa al mondo dopo mille sforzi, dopo averla sentita vivere e crescere in lei per quasi nove mesi.

Lui era stato lì a farle coraggio nel momento più duro, nonostante tutto.

 

E dopo tutto questo, lei aveva il fegato di uscirsene così?

 

Non voleva nemmeno guardarla?

Impunemente rivolgeva le spalle alla figlia.

Serrava gli occhi, come non dovesse succedere nemmeno per sbaglio che la degnasse della più banale considerazione.

Come poteva provare una simile repulsione?

 

Era troppo.
Adesso era veramente troppo.

L’aveva sopportata per nove mesi.

Aveva soddisfatto ogni suo desiderio.

L’aveva amata, anche se non lo meritava, perché convinto che lei non fosse quel capolavoro di vanità e egocentrismo che tutti pensavano a sentire il suo nome.

Si era dunque sbagliato?
A quanto pareva, si!
Ma ora basta!

Ora non ce la faceva più!

 

Quel suo ultimo capriccio, non sarebbe stato disposto a sopportarlo!

 

“Sei ancora qui?” –fece lei, stizzita dal non vederlo uscire dalla porta, verso cui era rivolta- “E si può sapere se questo antidolorifico arriva o…”

 

 

Era stato un rumore fortissimo: Elfman era scattato verso il letto e col palmo della mano aperto era piombato addosso a lei, tra petto e collo, trattenendola, anzi, schiacciandola contro il letto che aveva sussultato tutto.

Il materasso, la rete, le rotelle, le flebo, persino il cassetto dall’altro lato, come scossi da un sisma.

“S-s-signor Elfman?!” disse il medico colto da brividi.

Era enorme, la sovrastava, la teneva incollata lì con la sua forza e con quei suoi piccoli penetranti occhi spalancati.

Ad Ever sarebbe bastato togliersi gli occhiali con una delle mani, che ancora aveva libere, per pietrificarlo.

Ma non ci riuscì; paralizzata dalla paura.

“Che… Che ti prende ora?” disse tremando.

Elfman succhiò l’aria tra i denti e spinse ancora con la mano: sembrava volerla soffocare.

“Come sarebbe a dire che non la vuoi nemmeno guardare?”

“C-chiama la sicurezza!” ordinò ad una delle infermiere il medico, osservando la scena, sapendo bene di essere impotente contro un uomo di quella stazza e per giunta tanto imbestialito.

Si domandò se poi gli uomini della sicurezza sarebbero stati abbastanza, ma soprattutto perché quel parto, un evento che non smetteva mai di rallegrarlo e meravigliarlo, non la smettesse di rivelarsi attimo dopo attimo il più duro della sua carriera!

Non vedeva l’ora finisse il suo turno…

“S-sei impazzito? L-lasciami stare! Hai avuto la tua bambina, no? Levati dai piedi!” disse lei abbozzando un tentativo di sollevarsi, che si rivelò del tutto inutile. Elfman non l’avrebbe fatta andare da nessuna parte!

“Il patto era…”

“Come puoi essere così insensibile? Hai fatto nascere questa creatura e tu la tratti così? Un briciolo di rispetto sarebbe d’obbligo!”

“Ho detto tienila lontana da me!” strillò lei, stringendo gli occhi quando aveva provato ad avvicinargliela.

Per tutta risposta, Elfman la incollò al letto ancora di più.

La bambina, spaventata da tutte quelle urla, aveva già cominciato a piangere, e un’altra delle infermiere a pregare.

Il pianto della piccola ridiede un barlume di razionalità all’infuriato padre che allentò la presa, ma la sua rabbia non si spense.

“Evergreen, ti prego! È nostra figlia, anche se non vuoi essere sua madre! Abbiamo deciso che non ti starà tra i piedi, ma almeno adesso che è appena nata…”

“Vattene!” sibilò lei.

“Me ne vado, lo giuro! Ma voglio solo che la guardi!”

“NO!”

“Perché no?” continuò ad urlare lui, tanto la povera piccola già piangeva.

“Te l’ho fatta nascere! Lasciami in pace! Non voglio vederla!”

“E invece lo farai!”
“NO! TU NON PUOI COSTRINGERMI! NON PUOI! NON PUOI!” urlò lei, le stesse parole di quella volta, davanti quello stesso ospedale, nella prigione di Freed.
“Di che diavolo hai paura?! Sii uomo!”
“NON SONO UN UOMO!” disse scalciando nella pancia di quel cerebroleso.

“NO, NON LO SEI! MA NON SEI NEMMENO UNA DONNA SE TI COMPORTI COSÌ!”

Ever digrignò i denti; avendo smesso di pensare ad Elfman come a un bruto senza tatto, era rimasta completamente spiazzata dal vedere quella improvvisa, mostruosa trasformazione rivoltarglisi contro.

In realtà era esattamente come lui: dopo aver visto il meglio dell’altro, non riusciva ad accettare di fare i conti col peggio del peggio.

Ma la rabbia nei suoi confronti, unica fonte di coraggio contro quella così inaspettata reazione, cedeva ora il passo a una paura sempre maggiore.
“Ma che vuoi da me?” -chiese con gli occhi lucidi, nella speranza segreta che, riuscito a ridurla a quel punto, avesse pietà e la smettesse.

“Te l’ho detto, Ever…” –sibilò invece Elfman- “Non mi importa se non le rivolgerai mai la parola. Ma almeno guardala!”

Elfman reggeva la bimba nell’altra mano, ma ogni volta che cercava di portargliela davanti, lei si girava o stringeva gli occhi, o tutte e due le cose. E serrava le palpebre con una forza tanto disperata e assurda che non riusciva a comprendere.

Anche quella volta fu così: “No!”
“Guardala!” le ordinò di nuovo.
“Sigh! Lasciami in pace!”
“Guardala ho detto!”

Ever scosse il capo.

 

“GUARDALAAA!!!”

 

Il cuore le balzò in gola.

Lentamente girò la testa, e poi, aprì gli occhi, guidata da quel pianto stridulo.

 

E nello stesso istante in cui apparve nel suo mondo, Ever capì di essere ormai spacciata.

Aveva fatto bene a temere tanto di guardarla; non era senza motivo la sua paura, quella stessa paura che l’aveva colta guardandosi allo specchio la sera prima.

Eccoli già partire, suscitati da quel faccino, quei tipici, incontrollabili pensieri, che confermavano che l’irreparabile era accaduto.

 

Com’è piccola.

Quanto strilla.

L’ho fatta davvero io?

È così bella…

Mi somiglia davvero.

Chi l’avrebbe mai detto?

L’abbiamo spaventata.

Poverina.

Quante me ne ha fatte passare!

Ora è viva.

Così piccola.

 

Così bella.

 

Ever girò la testa verso il soffitto.

Strinse di nuovo gli occhi, e anche le labbra si contorsero. Da esse uscì un lungo gemito, simile al cigolio di una porta mal oliata che, alla fine, si decide ad aprirsi.

Singhiozzò un paio di volte e scosse il capo.

“Io lo sapevo che andava a finire così!” disse, con lo stesso tono scricchiolante.

 

Elfman, che le aveva tolto di dosso il braccio nello stesso istante in cui si era decisa a degnarla di un’occhiata, lunga e appannata dal pianto, si era spento completamente.

“Ehm, Ever…” disse, adesso un po’ confuso.

Ever tirò su col naso. Siccome continuava a guardare fisso dinanzi a sé, pensò non l’avesse sentito.

Riaprì bocca, ma lei lo anticipò.

“Dammi la bambina…”
“Eh?”
“DAMMELA HO DETTO!”

“Urgh! S-sissignora!”

Più che farsela dare, gliela strappò da mano.

E la prima cosa che fece, fu zittire il suo pianto nel modo più istintivo che le veniva in mente: carezzandole la testolina.

Senza smetterla di passare le dita sui quei sottili capelli, del suo identico colore, rialzò la faccia tutta contratta dal pianto.
“Grrrr! Io lo sapevo, accidenti! Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo!”
E batté una mano sul materasso facendo sobbalzare Elfman.

“Sigh! Accidenti! Sniff!”

Le due infermiere rimaste piangevano anche loro, senza disturbare. Il medico, più distaccato, ma ugualmente toccato, sorrise sornione vedendo come Evergreen si comportasse come quelle che pensano: << Maledizione, alla fine ci sono caduta! >>

In quel mentre si aprì la porta alle sue spalle: “Avete chiamato la sicurezza?”
“Eh? Oh, no, falso allarme!” –si fece subito avanti- “Eh eh, tranquilli!”

In effetti, con una madre col proprio bambino e con un grosso tipo (abbastanza grosso da non essere saggio partire in quarta con lui…), non c’era nulla lì che potesse sembrare un’emergenza.

“Va tutto, bene, non vi preoccupate! Buon lavoro!” li congedò, o per meglio dire “scacciò” l’ostetrico, mentre le altre infermiere rimaste lì spiegavano alla terza ciò che era successo.

 

Elfman respirò come non si concedesse quel piacere da tempo.

Non riusciva a credere a ciò che aveva fatto, lui che non aveva mai allungato le mani su una signorina, e aveva avuto il coraggio di terrorizzare a morte la donna che amava, solo perché l’aveva immensamente deluso.

Però, era tanto bello vedere Evergreen piangere e carezzare, che per descrivere quel momento non poteva che usare il suo aggettivo preferito… Virile!

Si avvicinò ad Ever, stavolta piano, e le carezzò una spalla, felice, orgoglioso.

La bimba ora aveva smesso di piangere; tutt’al più ebbe un po’ di fastidio per una lacrima finitale sul naso, ma la sua mamma fu pronta ad asciugargliela subito.

“Perdonami… Perdonami…” sussurrò a quelle innocenti orecchiette.

“……”

Prima non perdeva un istante per rinfacciargli che era lui il colpevole di tutto e ora non lo degnava più neanche della minima attenzione.
Elfman non poteva sperare di vedere altro di più bello da quella giornata.

Ricevuta una pacca dall’ormai sollevato ostetrico, si avviò come imbambolato, braccia ciondolanti verso il chiostro.

 

Mira, Lisanna, Natsu, Happy, Lucy, Gray, Cana, Reedus, Laxus, Bixlow e Freed lo accolsero alzandosi, e aspettando che dicesse lui qualcosa per prima.

Questi sorrise e alzò le mani al cielo, gridando, in barba le regole dell’ospedale!


“SONO PADRE!”

Mira batté le mani!

Elfman riabbassò le enormi braccia e sospirò, con finto dispiacere: “Di una bambina…”

“Una bambina! Una bambina!” saltellò Lisanna che ci aveva sperato sin dal primo istante!

Le sorelle gli saltarono addosso.

I suoi amici iniziarono a ridere e congratularsi tutto intorno.

Reedus, su di giri come tutti, non aveva certo dimenticato il compito per cui era lì: non perse tempo e tracciò uno schizzo della scena per un disegno di quel momento!

<< Questo è veramente il giorno più virile della mia vita! >> gioì Elfman, mentre lo spiritoso Natsu gli azzeccava un fiocchetto rosa dietro l’enorme schiena!

“Possiamo andare da Ever?” domandò Laxus.

“Ehm, no, Laxus! Io… penso che Ever voglia stare un po’ per conto suo adesso… Eh eh eh!”

 

Nella sala parto erano rimaste solo tre persone.

Un’infermiera, lì ad aspettare, senza fretta, di riavere la bimba per portarla al nido.

La stupenda bimba in questione.

E una mamma.

Era spossata ed aveva le guance di un rosso infuocato per via del pianto.

Ma teneva sua figlia tra le braccia più salda di quanto l’emozionato Elfman avesse potuto fare prima di lei.

“Perdonami…” le sussurrò dolcemente.

 

Sorrise. Ci era davvero caduta.

 

 

 

Questo capitolo, per meglio la scena madre che gli dona il titolo, è rimasta nella mia mente per tantissimo tempo; prima di questa estate di sicuro, allorquando ho buttato giù una bozza del primo capitolo di questa storia, che avevo immaginato molto, molto prima.

Quella bozza è rimasta lì sul mio desktop dimenticata per mesi, ed ero convinto, senza dispiacere, che sarebbe rimasto uno dei miei vari progetti irrealizzati.

Potete immaginare quindi la mia gioia nell’essere riuscito a far mettere ad Elfman le mani addosso ad Ever, e ad aver costretto quella testarda ad aprire gli occhi!

Forse vi aspettavate una storia più lunga, ma in effetti, con questo toccante quadretto ci avviciniamo alla conclusione.

Ma non mancatela, perché ci sono altre belle sorprese in arrivo!
Alla prossima!

PS: ELFMAN X EVERGREEN ORA E SEMPRE!

PPS: NARUTO X HINATA ORA E SEMPRE!

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Fairy Tail / Vai alla pagina dell'autore: TonyCocchi