BEN
ARRIVATI NEL 2012!
Che
il nuovo anno porti a tutti noi salute, amore, ricchezza, e tante bellissime
fanfictions! ^__^
Cominciamo
quindi il nuovo anno in bellezza, con un nuovo capitolo che, e non mento, è il
momento clou di tutta la storia!
Sappiate,
cari lettori, che non vedevo l’ora di scrivere questa scena dopo averla immaginata
tante e tantissime volte, e vi assicuro non resterete delusi!
Spero inoltre, vista l’importanza, che sarete generosi di commenti! ^__°
Buona
lettura a tutti!
PS:
GAZILLE X LEVI ORA E SEMPRE!
“Signor
Elfman!” –urlò l’infermiera aprendo di botto le porte- “Ci siamo!”
Elfman
scattò in piedi, più terrorizzato che pronto!
“Ci
siamo?! Oh, cielo, ci siamo! L’ha detto! Ci siamo! Oh, mamma, ci siamo!”
“Ehi,
ehi, Elfman!” –cercò di rabbonirlo Gray- “Calmati!”
“Ci penso io!” fece Natsu, mandandolo gambe all’aria con un bel cazzottone!
“Natsu!!!”
–sobbalzò Lisanna- “Non è mica così che si fa!”
“Grazie, Natsu!” disse invece redivivo Elfman, risollevandosi da terra!
Si
spazzò via la polvere dalla giacca: “Un vero uomo può essere destato solo nel
modo dei veri uomini!”
Natsu si passò un dito sotto il naso: “Eh eh eh, è stato un piacere!”
“Essere
uomini… è davvero strano…” commentò Lisanna.
“Ma
sei ancora qui? Sbrigati!” lo spintonò leggermente Erza, vedendo che continuava
a temporeggiare.
“S-si!”
Si
voltò: aveva la mano di Mira su una spalla e quella di Lisanna sull’altra.
“Vai.”
disse la sua sorellona.
“……
Si!”
Prese
un bel respiro e passò di corsa per la porta tenutagli aperta dall’infermiera.
Nel
passare velocemente lungo il corridoio, l’infermiera risparmiò Elfman
dall’indossare nuovamente camice e cuffietta, e arrivati alla sala parto gli
tenne nuovamente aperta la porta.
Sulle
prime, ad Elfman non sembrava cambiato molto rispetto a quando ci era entrato
qualche minuto prima: c’era sempre Ever semidistesa sul letto ad urlare, e le
infermiere e l’ostetrico perennemente sulla difensiva!
Non
sapeva bene dove andare a piazzarsi, quand’ecco che fu il dottore ad
avvicinarlo: “Beh, signor Elfman, di solito in questa delicata fase del
travaglio chiedo al marito, nel suo caso al padre, di stare vicino la madre; ma
nel suo caso…”
“GRRRR!”
Schivò una bottiglietta d’acqua mezza piena che colpì Elfman in petto, senza
fargli tuttavia granché male.
“Glielo
sconsiglio caldamente!” finì il dottore!
Elfman
si batté una mano in fronte!
“GRRRR!
È tutta colpa tua! Se lo sapevo col cavolo che accettavo!” –si dibatté lei al
vederlo nuovamente- “Me la paghi! Me la paghi! AAAAAAAAAAARGH! SIGH! GRRRR!”
Il
dottore tornò ad assistere la per nulla paziente, senza dire altro ad Elfman che
così rimase lì sul posto.
Cosa fare? Era decisamente di troppo! Era già tanto se Ever non si alzava con
le sue sole forze per mandarlo via a calci. In effetti l’avrebbe fatto e come
non fosse stato per le doglie.
Lui
però aveva ugualmente il suo diritto di essere lì: il diritto di chi subito
aveva detto “si” a quel nuovo arrivo. Non era tempo per sentirsi in colpa, né
per rinfacciare tanto astio nei suoi confronti da parte di una donna che
comunque amava.
L’aveva
detto anche l’ostetrico: in quella fase, ciò che l’uomo deve fare, è star
vicino!
“Forza!
Ci sei quasi!”
“Eh?!
AAAAARGH!”
“Forza
Ever! Ce l’hai messa tutta per arrivare fin qui, non puoi arrenderti!”
“NON CHIAMARMI EVER! TI AMMAZZO, DANNATO!”
“Ce la puoi fare, l’hanno fatto tante altre donne prima di te e tu sei una
donna fuori dal comune! Dai, un ultimo sforzo!”
“Ma che fai?! Io ti minaccio e tu mi incoraggi?! Basta, sono stanca di tutto
questo!”
“Allora
continui a spingere, ci siamo quasi!” -la incoraggiò l’ostetrico- “Faccia due
forti respiri e spinga!”
Evergreen
obbedì e urlò di nuovo facendosi paonazza!
“Ancora
una volta!”
Ever
succhiò forte per due volte l’aria dentro di sé e poi spinse di nuovo:
“Maledettoooooooooooo! SIGH!”
Intanto
le infermiere tenevano d’occhio le gambe dell’inquieta partoriente: non
volevano rischiare che loro altri prendessero ancora calcioni sul naso!
Elfman
intanto, colto da brividi di panico, si domandava cosa fare!
Da
lì riusciva a guardare bene ciò che stava accadendo, ma si rendeva anche conto
di non sentirsi troppo bene!
I
denti gli battevano velocissimi! Le gambe erano molli! Anche l’aria sembrava mancargli;
forse Ever se la stava davvero succhiando tutta!
Accidenti,
pensò, di quel passo sarebbe svenuto! Non era mica da uomo una cosa del genere,
svenire nel vedere il parto del proprio primo figlio!
Al
solo pensarci sarebbe arrossito se le urla e la suspance non lo stessero
rendendo così tremendamente bianco!
Al
successivo urlo di Ever, si decise a girarsi, faccia al muro!
Non gli importava se si perdeva il momento…
“VEDO
LA TESTA!”
“GNNNNNN!
ELFMAN, SEI UN BASTARDOOOOOOO! GNNN!
L’importante
era esserci da sveglio!
Era
in momenti come quello che la sua maschera di “uomo”, nel modo in cui la
intendeva lui, andava in frantumi, e prendeva coscienza della propria fifa,
della propria suggestionabilità, che gli impediva anche solo di avvicinarsi un
altro pochino, e dare anche solo un’occhiatina al momento fatidico in cui
ognuno viene al mondo.
“Forza…
Forza Ever… Ce la farai…” continuava a sussurrare alla parete, ignorato da
tutti.
Che
tensione! Era insopportabile! Non vedeva l’ora finisse!
Non vedeva l’ora che tutto iniziasse!
“Un ultimo sforzo!”
<<
Forza! >> disse ancora, rivolto
a tutti e due.
Ed
ecco che nelle sue orecchie l’ultimo grido di Evergreen venne mascherato da un
acuto, ma chiaro e forte, primo vagito!
“……”
“Ueeeehh!”
Ever
crollò come morta sul materasso, annaspando rumorosamente; distrutta dallo
sforzo, e obnubilata dal sollievo, non sarebbe stata in grado di sentire o
rispondere per qualche secondo.
“Ooooh!
Ecco qui! Ed anche questa volta è andata bene!”
“Congratulazioni,
signorina Evergreen!” –le disse un’infermiera- “Alla fine ce l’ha fatta,
visto?”
Ever
la afferrò per il bavero del camice: “Un antidolorifico, vi supplico!”
Elfman
si girò piano: “È… È… È fatta?”
“Si,
signor Elfman, è fatta!” disse il medico togliendosi i guanti e passandosi un
fazzoletto in fronte.
Fu
allora che saltò, incontenibile!
“Ah ah ah! Si! Ce l’ha fatta! Sono papà!” –cominciò ad alzare le braccia al
cielo- “È nato! È nato! È na…”
“Congratulazioni,
signor Elfman! È una bambina!”
“È
na… è na… è na… na… ta… nata…” balbettava lui convulsamente mentre
l’infermiera, dopo aver amorevolmente pulito e dato i primi controlli alla
piccola, gliela porgeva, avvolta in un morbido asciugamano.
“Nata…”
Era
sbiancato di nuovo; e sulle prime, ebbe paura di essere sul punto di lasciarla
cadere tanto gli mancavano le forze per la scoperta!
Quanto
fiato sprecato tutti quei “maschio” venendo lì!
Poi,
si decise a guardare quell’esserino per chi era, non per com’era. E quella
consapevolezza gli tolse la delusione, e persino la vergogna di piangere.
La
salutò con il suo più ben riuscito sorriso: “Non mi importa… Non mi importa se
non è un maschio! È una bimba bellissima e l’ho fatta io! Sono il papà di una
bambina! Ho una figlia! Ho una figlia! Ah ah ah!” esultò senza staccarle gli
occhi di dosso.
Le
tre infermiere tirarono il classico sospiro; fu ancora più risollevante dopo
tutte le pene patite a causa della mamma. Se non altro, la nuova arrivata aveva
qualcuno.
“Anf…
anf… Eh eh eh! Ho una figlia!” ripeté.
L’emozione
gli aveva fatto venire il fiato corto!
Chi
ancora pensa che gli uomini grandi e grossi non possano commuoversi, di sicuro
non ha mai avuto tra le mani la sua prima bambina o il suo primo bambino!
Ansante,
la voce di Evergreen tornò a riaprirgli alla mente il resto del mondo: “Anf…
anf… Ricorda il patto Elfman… Ora è tua!”
“……”
Si
accorse ovviamente delle reazioni, dal dispiacere al disprezzo, che aveva
suscitato negli altri presenti, ma se né fregò altamente. Dal canto loro,
questi ultimi sapevano che il loro compito era curare ed assistere, non
giudicare, specie non conoscendo. tutti i dettagli della storia. Ciò non aveva
ovviamente impedito che facessero il tifo tutti per la stessa parte.
“Certo,
certo… Non temere Ever…” la rassicurò lui, già abbastanza padre da dispiacersi
più per la piccola che per sé stesso.
Ever
aveva la faccia coperta dal dorso del braccio e continuava a mormorare,
incurante di tutto il resto all’infuori di sé: “Ufff… Mai più! Mai più! Questa
è stata la prima ed unica volta! Anf… anf…”
“Eh eh, è stata dura, vero?”
Elfman
la fece dondolare un pochino: all’inizio la piccina si era guardata intorno, ma
ora aveva gli occhi chiusi. Forse anche per lei era stata dura e aveva bisogno
di un riposino.
“Anf…
Accidenti, quanto è carina! Dovresti vederla!”
“Anf…
Ufff… No, grazie!”
“Anf…
Come?”
“Ho
detto che non mi va di vederla!”
“Eh? Dai, non esagerare, eh eh! Certo te ne ha fatte passare tante, ma…”
“Ma appunto per questo non la voglio davanti gli occhi!” sbraitò lei.
“Che-che
stai dicendo?”
“Sto
dicendo che ti voglio fuori dai piedi!” –gli ruggì contro- “Tu e quella bambina
del cavolo! Non ho mai patito tanto dolore in vita mia per colpa sua!”
“Non … Non stai… stai dicendo sul serio, vero?” chiese Elfman, che sulle prime
di quella raggelante risposta del cavolo aveva sentito di nuovo la presa
allentarsi.
“SI!
STO DICENDO SUL SERIO!”
Ed
Elfman capì che era esattamente così: si era girata sul fianco dall’altra
parte, preferendo la porta al suo ex e alla sua neonata figlia.
“Ora
è finalmente finita Elfman: io torno alla mia vita e tu a giocare al paparino!
E lei!” –sbraitò di nuovo contro l’infermiera- “Quanto ci vuole per questo
dannato antidolorifico?”
“……”
Il
viso di Elfman era teso come un tamburo. Le narici si dilatavano ad ogni
respiro: aveva ancora il fiato corto, ma stavolta l’emozione che lo soffocava era
ben diversa.
Guardarla
le faceva venire la pelle d’oca. Dava le spalle. Cercava pure di tenere gli
occhi chiusi. Stava aspettando che se ne uscisse via, di vederlo sparire, come
gli aveva reso ben chiaro dai mille insulti e minacce nei dolori del travaglio.
E ci poteva stare, la conosceva.
Il
patto era fatto apposta per sciogliere i nodi che intrecciavano le loro vite,
ma mai si sarebbe aspettato un qualcosa del genere.
Non
voleva neppure vederla.
L’avevano
generata insieme.
L’avevano
aspettata insieme.
L’aveva
messa al mondo dopo mille sforzi, dopo averla sentita vivere e crescere in lei
per quasi nove mesi.
Lui
era stato lì a farle coraggio nel momento più duro, nonostante tutto.
E
dopo tutto questo, lei aveva il fegato di uscirsene così?
Non
voleva nemmeno guardarla?
Impunemente
rivolgeva le spalle alla figlia.
Serrava
gli occhi, come non dovesse succedere nemmeno per sbaglio che la degnasse della
più banale considerazione.
Come
poteva provare una simile repulsione?
Era
troppo.
Adesso era veramente troppo.
L’aveva
sopportata per nove mesi.
Aveva
soddisfatto ogni suo desiderio.
L’aveva
amata, anche se non lo meritava, perché convinto che lei non fosse quel
capolavoro di vanità e egocentrismo che tutti pensavano a sentire il suo nome.
Si
era dunque sbagliato?
A quanto pareva, si!
Ma ora basta!
Ora
non ce la faceva più!
Quel
suo ultimo capriccio, non sarebbe stato disposto a sopportarlo!
“Sei
ancora qui?” –fece lei, stizzita dal non vederlo uscire dalla porta, verso cui
era rivolta- “E si può sapere se questo antidolorifico arriva o…”
Era
stato un rumore fortissimo: Elfman era scattato verso il letto e col palmo
della mano aperto era piombato addosso a lei, tra petto e collo, trattenendola,
anzi, schiacciandola contro il letto che aveva sussultato tutto.
Il
materasso, la rete, le rotelle, le flebo, persino il cassetto dall’altro lato,
come scossi da un sisma.
“S-s-signor
Elfman?!” disse il medico colto da brividi.
Era
enorme, la sovrastava, la teneva incollata lì con la sua forza e con quei suoi
piccoli penetranti occhi spalancati.
Ad
Ever sarebbe bastato togliersi gli occhiali con una delle mani, che ancora
aveva libere, per pietrificarlo.
Ma
non ci riuscì; paralizzata dalla paura.
“Che…
Che ti prende ora?” disse tremando.
Elfman
succhiò l’aria tra i denti e spinse ancora con la mano: sembrava volerla
soffocare.
“Come
sarebbe a dire che non la vuoi nemmeno guardare?”
“C-chiama
la sicurezza!” ordinò ad una delle infermiere il medico, osservando la scena, sapendo
bene di essere impotente contro un uomo di quella stazza e per giunta tanto
imbestialito.
Si
domandò se poi gli uomini della sicurezza sarebbero stati abbastanza, ma
soprattutto perché quel parto, un evento che non smetteva mai di rallegrarlo e
meravigliarlo, non la smettesse di rivelarsi attimo dopo attimo il più duro
della sua carriera!
Non
vedeva l’ora finisse il suo turno…
“S-sei
impazzito? L-lasciami stare! Hai avuto la tua bambina, no? Levati dai piedi!”
disse lei abbozzando un tentativo di sollevarsi, che si rivelò del tutto
inutile. Elfman non l’avrebbe fatta andare da nessuna parte!
“Il
patto era…”
“Come
puoi essere così insensibile? Hai fatto nascere questa creatura e tu la tratti
così? Un briciolo di rispetto sarebbe d’obbligo!”
“Ho
detto tienila lontana da me!” strillò lei, stringendo gli occhi quando aveva
provato ad avvicinargliela.
Per
tutta risposta, Elfman la incollò al letto ancora di più.
La
bambina, spaventata da tutte quelle urla, aveva già cominciato a piangere, e
un’altra delle infermiere a pregare.
Il
pianto della piccola ridiede un barlume di razionalità all’infuriato padre che
allentò la presa, ma la sua rabbia non si spense.
“Evergreen,
ti prego! È nostra figlia, anche se non vuoi essere sua madre! Abbiamo deciso
che non ti starà tra i piedi, ma almeno adesso che è appena nata…”
“Vattene!”
sibilò lei.
“Me
ne vado, lo giuro! Ma voglio solo che la guardi!”
“NO!”
“Perché
no?” continuò ad urlare lui, tanto la povera piccola già piangeva.
“Te
l’ho fatta nascere! Lasciami in pace! Non voglio vederla!”
“E
invece lo farai!”
“NO! TU NON PUOI COSTRINGERMI! NON PUOI! NON PUOI!” urlò lei, le stesse parole
di quella volta, davanti quello stesso ospedale, nella prigione di Freed.
“Di che diavolo hai paura?! Sii uomo!”
“NON SONO UN UOMO!” disse scalciando nella pancia di quel cerebroleso.
“NO,
NON LO SEI! MA NON SEI NEMMENO UNA DONNA SE TI COMPORTI COSÌ!”
Ever
digrignò i denti; avendo smesso di pensare ad Elfman come a un bruto senza
tatto, era rimasta completamente spiazzata dal vedere quella improvvisa, mostruosa
trasformazione rivoltarglisi contro.
In
realtà era esattamente come lui: dopo aver visto il meglio dell’altro, non
riusciva ad accettare di fare i conti col peggio del peggio.
Ma
la rabbia nei suoi confronti, unica fonte di coraggio contro quella così
inaspettata reazione, cedeva ora il passo a una paura sempre maggiore.
“Ma che vuoi da me?” -chiese con gli occhi lucidi, nella speranza segreta che,
riuscito a ridurla a quel punto, avesse pietà e la smettesse.
“Te
l’ho detto, Ever…” –sibilò invece Elfman- “Non mi importa se non le rivolgerai
mai la parola. Ma almeno guardala!”
Elfman
reggeva la bimba nell’altra mano, ma ogni volta che cercava di portargliela
davanti, lei si girava o stringeva gli occhi, o tutte e due le cose. E serrava
le palpebre con una forza tanto disperata e assurda che non riusciva a
comprendere.
Anche
quella volta fu così: “No!”
“Guardala!” le ordinò di nuovo.
“Sigh! Lasciami in pace!”
“Guardala ho detto!”
Ever
scosse il capo.
“GUARDALAAA!!!”
Il
cuore le balzò in gola.
Lentamente
girò la testa, e poi, aprì gli occhi, guidata da quel pianto stridulo.
E
nello stesso istante in cui apparve nel suo mondo, Ever capì di essere ormai
spacciata.
Aveva
fatto bene a temere tanto di guardarla; non era senza motivo la sua paura,
quella stessa paura che l’aveva colta guardandosi allo specchio la sera prima.
Eccoli
già partire, suscitati da quel faccino, quei tipici, incontrollabili pensieri,
che confermavano che l’irreparabile era accaduto.
Com’è
piccola.
Quanto
strilla.
L’ho
fatta davvero io?
È
così bella…
Mi
somiglia davvero.
Chi
l’avrebbe mai detto?
L’abbiamo
spaventata.
Poverina.
Quante
me ne ha fatte passare!
Ora
è viva.
Così
piccola.
Così
bella.
Ever
girò la testa verso il soffitto.
Strinse
di nuovo gli occhi, e anche le labbra si contorsero. Da esse uscì un lungo
gemito, simile al cigolio di una porta mal oliata che, alla fine, si decide ad
aprirsi.
Singhiozzò
un paio di volte e scosse il capo.
“Io lo sapevo che andava a finire così!” disse, con lo stesso tono
scricchiolante.
Elfman,
che le aveva tolto di dosso il braccio nello stesso istante in cui si era
decisa a degnarla di un’occhiata, lunga e appannata dal pianto, si era spento
completamente.
“Ehm,
Ever…” disse, adesso un po’ confuso.
Ever
tirò su col naso. Siccome continuava a guardare fisso dinanzi a sé, pensò non
l’avesse sentito.
Riaprì
bocca, ma lei lo anticipò.
“Dammi
la bambina…”
“Eh?”
“DAMMELA HO DETTO!”
“Urgh!
S-sissignora!”
Più
che farsela dare, gliela strappò da mano.
E
la prima cosa che fece, fu zittire il suo pianto nel modo più istintivo che le
veniva in mente: carezzandole la testolina.
Senza
smetterla di passare le dita sui quei sottili capelli, del suo identico colore,
rialzò la faccia tutta contratta dal pianto.
“Grrrr! Io lo sapevo, accidenti! Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo!”
E batté una mano sul materasso facendo sobbalzare Elfman.
“Sigh!
Accidenti! Sniff!”
Le
due infermiere rimaste piangevano anche loro, senza disturbare. Il medico, più
distaccato, ma ugualmente toccato, sorrise sornione vedendo come Evergreen si
comportasse come quelle che pensano: << Maledizione, alla fine ci sono caduta! >>
In
quel mentre si aprì la porta alle sue spalle: “Avete chiamato la sicurezza?”
“Eh? Oh, no, falso allarme!” –si fece subito avanti- “Eh eh, tranquilli!”
In
effetti, con una madre col proprio bambino e con un grosso tipo (abbastanza
grosso da non essere saggio partire in quarta con lui…), non c’era nulla lì che
potesse sembrare un’emergenza.
“Va
tutto, bene, non vi preoccupate! Buon lavoro!” li congedò, o per meglio dire
“scacciò” l’ostetrico, mentre le altre infermiere rimaste lì spiegavano alla
terza ciò che era successo.
Elfman
respirò come non si concedesse quel piacere da tempo.
Non
riusciva a credere a ciò che aveva fatto, lui che non aveva mai allungato le
mani su una signorina, e aveva avuto il coraggio di terrorizzare a morte la
donna che amava, solo perché l’aveva immensamente deluso.
Però,
era tanto bello vedere Evergreen piangere e carezzare, che per descrivere quel
momento non poteva che usare il suo aggettivo preferito… Virile!
Si
avvicinò ad Ever, stavolta piano, e le carezzò una spalla, felice, orgoglioso.
La
bimba ora aveva smesso di piangere; tutt’al più ebbe un po’ di fastidio per una
lacrima finitale sul naso, ma la sua mamma fu pronta ad asciugargliela subito.
“Perdonami…
Perdonami…” sussurrò a quelle innocenti orecchiette.
“……”
Prima
non perdeva un istante per rinfacciargli che era lui il colpevole di tutto e
ora non lo degnava più neanche della minima attenzione.
Elfman non poteva sperare di vedere altro di più bello da quella giornata.
Ricevuta
una pacca dall’ormai sollevato ostetrico, si avviò come imbambolato, braccia
ciondolanti verso il chiostro.
Mira,
Lisanna, Natsu, Happy, Lucy, Gray, Cana, Reedus, Laxus, Bixlow e Freed lo
accolsero alzandosi, e aspettando che dicesse lui qualcosa per prima.
Questi
sorrise e alzò le mani al cielo, gridando, in barba le regole dell’ospedale!
“SONO PADRE!”
Mira batté le mani!
Elfman
riabbassò le enormi braccia e sospirò, con finto dispiacere: “Di una bambina…”
“Una
bambina! Una bambina!” saltellò Lisanna che ci aveva sperato sin dal primo
istante!
Le
sorelle gli saltarono addosso.
I
suoi amici iniziarono a ridere e congratularsi tutto intorno.
Reedus,
su di giri come tutti, non aveva certo dimenticato il compito per cui era lì: non
perse tempo e tracciò uno schizzo della scena per un disegno di quel momento!
<<
Questo è veramente il giorno più virile
della mia vita! >> gioì Elfman, mentre lo spiritoso Natsu gli
azzeccava un fiocchetto rosa dietro l’enorme schiena!
“Possiamo
andare da Ever?” domandò Laxus.
“Ehm,
no, Laxus! Io… penso che Ever voglia stare un po’ per conto suo adesso… Eh eh eh!”
Nella
sala parto erano rimaste solo tre persone.
Un’infermiera,
lì ad aspettare, senza fretta, di riavere la bimba per portarla al nido.
La
stupenda bimba in questione.
E
una mamma.
Era
spossata ed aveva le guance di un rosso infuocato per via del pianto.
Ma
teneva sua figlia tra le braccia più salda di quanto l’emozionato Elfman avesse
potuto fare prima di lei.
“Perdonami…”
le sussurrò dolcemente.
Sorrise.
Ci era davvero caduta.
Questo
capitolo, per meglio la scena madre che gli dona il titolo, è rimasta nella mia
mente per tantissimo tempo; prima di questa estate di sicuro, allorquando ho
buttato giù una bozza del primo capitolo di questa storia, che avevo immaginato
molto, molto prima.
Quella
bozza è rimasta lì sul mio desktop dimenticata per mesi, ed ero convinto, senza
dispiacere, che sarebbe rimasto uno dei miei vari progetti irrealizzati.
Potete
immaginare quindi la mia gioia nell’essere riuscito a far mettere ad Elfman le
mani addosso ad Ever, e ad aver costretto quella testarda ad aprire gli occhi!
Forse
vi aspettavate una storia più lunga, ma in effetti, con questo toccante
quadretto ci avviciniamo alla conclusione.
Ma
non mancatela, perché ci sono altre belle sorprese in arrivo!
Alla prossima!
PS: ELFMAN X EVERGREEN ORA E SEMPRE!
PPS: NARUTO X HINATA ORA E SEMPRE!