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Autore: Talesteller    03/01/2012    2 recensioni
Questa cosa è andata ben oltre dove speravo andasse.
E questo ci ha portati alla catastrofe.
Ma la gente deve sapere perché ora sono qui, in questa cella, ad attendere la fucilazione.
Ciò che ho fatto non deve morire con me e con i miei.
Questi sono i miei diari.
Queste sono le origini del più grande movimento anarchico della Galassia.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 gennaio 15027, data locale, Sirio
Post dal blog “Sirio and Draco”, ora locale 19.45
Post rimosso per diffamazione autorità ufficiali, propaganda esplicita di prodotti estranei all’Impero, diffamazione storica ed incitamento alla rivolta.
Blog sospeso per n° 56 giorni locali.
Provenienza: IP 356.089.664.
 
Un altro blog, un nuovo post.
Credo che i vari proprietari di blog stiano iniziando ad odiarmi.
Ho contato tutte le mail di segnalazione che mi sono state mandate dall’Ufficio Governativo di Sicurezza Informatica, che io definisco in simpatia “censura”.
Centotredici blog sono stati sospesi a causa mia, alcuni definitivamente.
Forse non è questo il modo giusto di lottare. Non è far chiudere blog in giro per la rete con post che cerchino di scrollare la gente.
Ma io sento il bisogno di farlo, non riesco a piegarmi sotto il peso dell’Imperatore.
E questo è l’unico modo in cui sono capace di farlo.
Non parlerò di lei, ne’ di quanto stiano cercando di abbatterci, e ci stiano riuscendo.
Oggi, spinto da non so bene cosa, ho avuto la malsana idea di uscire.
Come ieri sono uscito, mi sono chiuso la porta alle spalle ed ho percorso quel corridoio maleodorante che c’è fuori da casa mia.
Per strada soffiava un vento molto più forte del solito, sollevava la terra nelle aiuole e riduceva ulteriormente la già scarsa visibilità per la nebbia gialla, insieme ad ogni altra sorta di detrito per le strade.
Non sentivo il sibilo del vento, ne’ nient’altro.
Come ogni altra occasione in cui sono uscito da vent’anni a questa parte.
Tutto ciò che sentivo era la musica.
I capolavori degli artisti terrestri precedenti all’Apocalisse.
Per quanto fossero arretrati, i terrestri erano una razza estremamente interessante, sviluppata sotto così tanti punti... E noi l’abbiamo distrutta.
E ne parlano i libri di storia, con orgoglio.
Abbiamo avuto il primo contatto verso la fine dell’epoca dell’esplorazione, in cui c’era ancora qualche angolo della Galassia sconosciuto alle carte dell’Impero.
Da quanto ho studiato, l’intera flotta d’assalto ha attaccato il pianeta.
Le centoventi migliori aeronavi della Galassia hanno imperversato per dodici giorni locali su una civiltà che aveva iniziato da poco la seconda fase della sua evoluzione.
Tuttavia, sono riusciti a resisterci. Due roccaforti della loro civiltà, hai due estremi del pianeta, si sono circondate di armi mostruose e hanno abbattuto a sufficienza delle nostre navi perché il Cancelliere Supremo, altro nome con cui veniva chiamato l’Imperatore prima della Pace Galattica, richiamasse la flotta.
Da allora abbiamo preso ciò che restava di quel piccolo pianeta come tiro al bersaglio per testare i nostri primi cannoni orbitali, e fecero un gran lavoro. Spazzarono la civiltà terrestre dalla Galassia.
E tutto questo senza che nessuno dei nostri scienziati tentasse di decifrare il loro linguaggio e tentare di negoziare la loro entrata pacifica nei domini di quello che allora era il Parlamento Galattico Siriano.
Avremmo potuto apprendere molto da loro, ed invece li abbiamo schiacciati.
Nel tempo che trascorse tra la ritirata della flotta e l’inizio del bombardamento orbitale, ebbero il buonsenso di approfittare delle navi che avevano abbattuto per costruirne di loro.
Ci riuscirono ed in circa due milioni lasciarono il pianeta.
Probabilmente, se loro non fossero sopravvissuti, io sarei in depressione da tempo.
La loro musica è tutto ciò che mi permette di sopravvivere al silenzio che regna ovunque, alla gente là fuori in cui non riconosco niente di quello che sento e sono.
Devo alla loro musica molto di ciò che sono, senza di loro non solo sarei crollato da tempo, ma probabilmente sarei soltanto uno di quelli che fanno a gara col vicino per chi ha il velivolo più veloce.
La musica mi riempiva le orecchie, e per quanto la mia scarsa padronanza del terrestre antico mi consentiva, la seguivo cantando.
Non sentii i passi.
Probabilmente, se non avessi avuto la musica nelle orecchie, quell’incontro sarebbe andato in maniera differente.
Avevo quasi raggiunto la piazza.
Svoltai l’ultimo angolo.
Nella nebbia tossica dei gas, qualcosa avanzava verso di me.
Qualcuno.
Per la prima volta in tredici anni, incontravo qualcuno realmente, senza cercarlo.
Non mi fermai.
Avanzava lentamente, con piccoli passi, un piede davanti all’altro.
Era una donna.
Indossava una giacca di quelle che non si vedono da almeno duecento anni, lunga fino quasi alle ginocchia.
Aveva lo sguardo abbassato, un cappello  dalla linea marcatamente antica le nascondeva il volto.
Il tutto era nero, compresa la sciarpa tirata fin sulla bocca, schiarito dalla polvere e dai gas acidi della nube.
Non mi fermai, non proferii una parola. Interruppi la musica.
Ero talmente impreparato ad una cosa simile che la sola vista di quella figura mi sconvolse.
Non vedevo nessuno da mesi, ed erano passati anni da quando avevo incontrato per l’ultima volta qualcuno per la strada.
Lei non sembrò notarmi. Procedette per la sua strada, lungo la linea sbiadita che segnava la divisione tra le corsie.
I capelli le dovevano arrivare fino alla vita, il vento li alzava alla sua destra.
Sarei finito in quella splendida chioma chiara se entrambi non avessimo leggermente deviato.
Rimanevamo maledetta temente vicini, tuttavia, e fremevo sempre più forte.
Una donna per strada, del tutto diversa da chiunque io abbia mai incontrato.
Mi venne in mente lei.
Non so perché, ma quella figura nera e quei capelli alzati dal vento mi fecero tornare in mente lei e gli anni che avevo sprecato.
Il tempo sembrò dilatarsi all’infinito.
Lei procedeva perfettamente dritta, senza alzare lo sguardo, con le mani nelle tasche della giacca impolverata.
Io potevo solo sperare di stare facendo lo stesso.
Dovevo fare qualcosa.
Era la prima creatura che incontravo da anni.
In quella zona della città non c’era nulla, nessun motivo per scendere in strada.
Quindi lei doveva essere lì per lo stesso motivo per cui c’ero io.
Anche lei doveva aver realizzato che tra i quattro muri di casa sua non c’era abbastanza aria.
Credevo di stare per impazzire.
Arrivammo fianco a fianco.
Tutto ciò che feci fu alzare un istante lo sguardo.
Aveva la sciarpa tirata  fin sopra al naso e la calotta del cappello le calava quasi sugli occhi.
Credo che non rivedrò mai due occhi così.
Non saprei nemmeno come definirli, se non verdi.
Arrivammo fianco a fianco.
Credevo che sarei crollato a terra da un momento all’altro.
Sudavo come non credevo che avrei mai fatto.
Passammo entrambi oltre.
La sentii fermarsi.
Mi fermai.
Mi scoprii ad ansimare.
Erano anni che non partecipavo ad una conversazione, avevo quasi paura che si voltasse e mi salutasse. Non avrei avuto la minima idea di come rispondere.
Riprendemmo a camminare nelle rispettive direzioni.
Di colpo, tutto ciò che provavo un istante prima scomparve e rimase soltanto il freddo.
Mi voltai solo una volta raggiunta la piazza.
Di lei, nessuna traccia.
Non avevo affatto sudato.
Che fosse stata un’illusione, una specie di sogno?
Sapevo che non era così.
Non poteva essere così.
Quella sensazione di essere sul punto di perdere i sensi era dannatamente reale.
Raccolsi un pezzo di metallo caduto dal tetto di bar e lo lanciai verso quell’enorme saracinesca di metallo.
La torretta di destra lo agganciò in pochi secondi e sparò.
Una piccola nuvola di polvere si depositò al suolo ed il cannone tornò al suo posto.
L’avevo lasciata andare via.
Il primo umano che incontravo da anni, la seconda creatura della mia vita non così dannatamente uguale a tutti gli altri.
E non l’avevo nemmeno guardata negli occhi.
Mi voltai e rifeci la strada di corsa.
Senza pensare troppo al fatto di essere sicuro che non l’avrei rivista.
Raggiunsi casa mia e continuai a correre, fino a dove la strada saliva e s’interrompeva.
Era una di quelle rampe abbattute dal Consiglio dopo l’annuncio della tossicità della nube, una delle rampe che attraversavano la nube.
Diedi un calcio alle transenne qualche metro prima della brusca fine della strada.
Erano lì da decenni, e quando il segmento cadde sulla pavimentazione sollevò una nuvola di polvere.
Mi voltai e mi guardai attorno.
Tutte le finestre erano sbarrate, la strada era tornata ad essere la desolazione polverosa di sempre.
Sono riuscito a perdere la più grossa opportunità della mia vita, non so nemmeno bene perché.
Forse per la mia paura, forse perché temevo di crollare al suolo se avessi incrociato il suo sguardo, ma ho pur sempre lasciato passare oltre la prima donna che incontravo da anni.
La prima creatura viva, che avesse qualcosa che la rendesse unica, che la differenziasse dagli altri, che incontravo in ventitré anni o qualcosa di simile.
Non posso sapere se la incontrerò ancora, ma non credo che accadrà.
Questo è ciò che non dovreste mai lasciarvi accadere.
Nessuna possibilità, di qualsiasi genere, deve essere sprecata.
Nessuna.
Questa è la nostra opportunità di alzare la nostra voce, di far sì che il nostro grido superi le mura della Sfera, e non dobbiamo permettere che ci sfugga tra le dita.
Ciascuno di voi, teorici lettori, è responsabile della sua vita, per ciò non posso dirvi altro se non di non lasciar fuggire nessuna possibilità.
Ma la nostra possibilità, la possibilità di noi Siriani che viviamo al di sotto della nube, è adesso.
Non abbiamo nessuna speranza di farci sentire da soli, ed è per questo che dobbiamo lottare insieme.
Il vostro, il nostro, tempo è adesso.
  
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