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Autore: AngelOfSnow    04/01/2012    2 recensioni
"Cosa?!"
Si riscosse dal proprio stato di trance maledicendo la propria stupidità: si era persa in un labirinto di rose. Persa nel vero senso della parola perché, oramai, non riusciva più a scorgere nessuna luce provenire dalle torce presenti precedentemente sul sentiero verso la Magione. Fu assalita da un gelido terrore quando un gufo, annunciò la propria presenza per due volte di fila. Svoltò due volte a sinistra, percorse un corridoio e svoltò a destra ma si dovette fermare: un muro verde le impedì di continuare.
Cosa avrebbe dovuto fare adesso?
Trapassare le siepi era fuori discussione: avrebbe rovinato il vestito. Gridare non le avrebbe giovato se non ad ammalarsi velocemente. Si sarebbe data manforte ricorrendo a tutta la propria freddezza d’animo e non avrebbe deluso la madre; a qualsiasi costo. Almeno, non quella sera.

Spero che la mia storia sia di vostro gusto e non esitate a dirmi una vostra qualunque impressione: mi aiuteranno a crescere. Ne sono convinta. Saluti vivissimi.
Mary!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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III 
 


<< Posso scendere adesso? >>
<< Si...certo. >>
La prima cosa che trovò appena tornata con i piedi per terra fu un libro con la fine rilegatura per distrarre la mente da pensieri poco casti. Automaticamente lo sfilò trovandosi tra le mani Orgoglio e Pregiudizio. Sorrise quando il suo cavaliere si avvicinò per guardare la fine bordatura del nome del libro e sorrise fingendosi Elizabeth, inventando un dialogo totalmente fuori dalla trama.
<< Non posso credere che lei abbia trattato così malamente il caro Wickham...>>
Con movimenti melodrammatici Melody si strinse nelle spalle dando le spalle al biondo e fingendosi indignata al tempo stesso impersonando una Elizabeth  completamente differente da quella scritta e descritta dall’autrice, Jane Austen.
<< Elizabeth...>>
Mormorò invece il biondo nei panni del Conte Darcy.
<< Io vi amo follemente! >>
Si mostrò orgoglioso alzando di poco il petto e sorridendo di sbieco, facendo perdere un battito a Melody che sorrise compiaciuta: quindi aveva letto il romanzo.
<< Non accetterò mai l’amore di un uomo come voi...>>
Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere di gusto.
<< Certo che erano proprio complessati. >>
Si trovò a dire ad alta voce, facendo ridere ancor di più il ragazzo al proprio fianco.
<< Ehi, Darcy dacci un taglio! >>
Ottenne solo la risata più fragorosa del ragazzo che con una certa delicatezza mise la mano calda sulle labbra di Melody impedendo lei di parlare.
<< Ascolta...>>
Automaticamente Melody mise la propria mano su quella del ragazzo portandosela gentilmente al naso per sentire meglio l’odore di fiori di pesco che precedentemente aveva sentito.
<< Ti piace il mio odore? >>
<< Non particolarmente, ma... mi è familiare...>>
Sorrise lui restio a ricordarle l’episodio in cui si era addormentata nella propria camera. Sorrise se possibile ancor di più. No, avrebbe bellamente eclissato l’accaduto per crogiolarsi in quel dolce ricordo che, egoisticamente, avrebbe tenuto tutto ed esclusivamente per sé.
Melody dal canto suo, ricordava il profumo nitidamente, come se l’avesse appena, o da poco, inalato in grandi quantità. Presa da un sentimento più grande di lei, simile all’amore, ne baciò il palmo facendo fremere il ragazzo contemplando poi i riflessi che la luce lunare donava al colorito del giovane.
<< Ascolta...>>
Intimò più a se stesso che alla ragazza parandosi davanti alla stessa senza permettere che quel piccolo contatto si staccasse, aggiungendo il contatto tra i loro occhi così diversi quanto così simili: entrambi, chiedevano voracemente il modo per carpire ogni segreto dell’altro.
 Alzò una mano per posizionarla al fianco, non troppo magro, della ragazza e con l’altra guidò quella di Melody, completamente assorta dalla meticolosità e dalla gentilezza di quei gesti, alla propria spalla.
<< Vuoi dire ascolta la musica? >>
Sulle delicate note di una composizione loro sconosciuta, presero a danzare, senza tempo o costumi, volteggiando sotto un raggio di luna che li illuminava creando ombre e confondendo i colori tra di loro; non aveva importanza in quel momento perché erano inesorabilmente ingordi di prolungare quell’attimo a costo di dilatare il tempo e murare le mura della stanza.
<< Melody, ti trovo affascinante...>>
La ragazza sorrise in modo sghembo assottigliando gli occhi: il ragazzo aveva scoperto la sua identità, e lei non aveva la benché minima idea di chi egli fosse.
<< Touchè.>>
Delicatamente, senza interrompere il movimento circolare, sfilò la maschera dal viso poggiandola sullo scaffale più vicino.
<< Adesso mi dici come hai fatto...>>
Riappoggiò la mano sulla spalla del biondo avvicinandosi al petto grande e virile, sembrando quasi molto piccola.
<< Ho le mie fonti...>>
<< Tu stai mentendo. >>
Non gli diede modo di continuare mettendo in modo il proprio gelido intelletto.
<<  Sappi che mi accorgo di chi mi mente. Non lavoro nel mondo degli affari per nulla...>>
 Ingoiò un quantitativo enorme di saliva paragonabile ad un cucciolo di San Bernardo e poi sorrise facendo leva sulle regole della serata.
<< Non posso dirti la mia identità fino la mezzanotte...>>
Osservò il vecchio orologio a pendola che segnava esattamente le 22:30 di sera e sospirò sollevato, sollievo che si sgonfiò come un palloncino gonfiato ad elio che inevitabilmente avrebbe toccato il suolo incapace di volteggiare nell’aria, appena incrociò gli occhi della ragazza ridotti ancora a due fessure.
<< Io ho appena tolto la maschera perché tu hai scoperto la mia identità e sei stato sempre tu, ad assecondarmi nell’abolire quel “voi”... adesso, sarai tu a toglierti la maschera per un atto estremo di gentilezza: non è carino parlare con chi è mascherato. Tanto meno se lui conosce chi tu sia mentre tu no. Non credi? >>
Melody sapeva di aver vinto. Vinceva sempre in questo campo.
Quando la mano del ragazzo toccò con la punta delle dita la superficie della maschera un brivido le percorse tutta la schiena: avrebbe finalmente scoperto la sua identità.
 
Anthony si sentiva soffocare perché era consapevole che il discorso della ragazza non facesse una piega, mentre tutte le scuse che passavano nella propria mente, in un danza troppo turbolenta per elaborarne una che reggesse almeno in parte, sarebbero state vane. Quando sentì la stoffa che ricopriva la maschera in questione, un’idea così folle e priva di senso gli venne spontanea in mente; deviò il corso delle proprie dita che andarono ad alzare maggiormente il volto della ragazza al proprio in un atto disperato.
<< Come hai detto tu, cara Melody, non è carino...ma non sono certo stato io ad importi di levare la maschera dal tuo bel viso. Ti ho, e sto, assecondata abolendo il “voi” perché anche al sottoscritto da un fastidio immenso e non credo che tu sia tanto in suggestione al mio fianco, da dovermi assolutamente togliere la maschera: sbaglio o stai dialogando tranquillamente con me? >>
Sorrise fiero tornando a volteggiare assecondato da Melody che, senza discutere oltre, aveva accettato la propria sconfitta senza emettere più fiato o azzardarsi ad alzare lo sguardo su quei pezzi di cielo. Aveva per la prima volta in vita sua perso e non poteva accettare una cosa simile, poteva provarci volendo, ma l’orgoglio aveva cominciato a pulsare reclamando vendetta ad un torto, che torto in realtà  non era.
<< Ti sei offesa? >>
Sussurrò Anthony dopo molti minuti di forzato silenzio, tra i capelli di Melody che scosse il capo negando.
<< No, sto solo elaborando il fatto di esser stata battuta per la prima volta in una contrattazione...>>
<< Non credo che la nostra sia stata una contrattazione...>>
Sorrise tornando a guardarlo negli occhi.
<< Per me lo era. >>
Cadde di nuovo il silenzio, non un silenzio fatto di imbarazzi, ma fatto di pensieri e grondanti di perché.
<< Ehi...>>
Melody richiamò l’attenzione del biondo completamente perso nell’osservare la delicatezza con cui si muoveva la giovane rimuginando sul fatto che forse era particolarmente attratto da quella ragazza così dolce quanto letale.
Ma... perché?
<< Darcy.. >>
Mormorò un’altra volta utilizzando il falso nome del personaggio precedentemente inscenato. Melody cominciava a volersi stringere pericolosamente a lui.
<< Dimmi... >>
<< Non è che...>>
Arrossì di colpo sentendosi improvvisamente accaldata nella parte delle guance costringendola a sciogliersi dalla presa del ragazzo per nascondere quel imbarazzante rossore con entrambe le mani piantandosi in modo statico e ostinandosi a guardare il pavimento di una qualche ceramica molto costosa dal colore non ben definito.
<< Cosa ti succede? >>
Mormorò lui non capendo il motivo di tutto quell’imbarazzo: che avesse fatto qualcosa di sbagliato?
<< Non è che potresti...ecco... >>
Anthony aspettò con pazienza che la ragazza si calmasse, sentendosi infastidito dalla lontananza dei propri corpi. Strano a dirsi, ma avrebbe volentieri stretto a sé il piccolo corpicino per ore.
<< Non è che potresti stringermi a te? >>
L’aveva detto con una fatica certamente non paragonabile al proprio imbarazzo da non avere il coraggio di alzare gli occhi su quelli del proprio cavaliere. Si diede della stupida in tutte le lingue che conoscesse, ne aveva studiate parecchie, chiudendo gli occhi e stringendo i pugni lungo i fianchi. Si diede della sciocca quando sentì il passo cadenzato del ragazzo avvicinarsi a lei e fermarsi a pochi passi dal proprio corpo.
<< Potevi dirmelo subito... >>
Due braccia la circondarono stringendola forte e sorrise vittoriosa perché lei otteneva sempre ciò che desiderava: che fosse a lavoro o a casa.
<< Si ma adesso vorrei ballare serenamente! >>
Mormorò Anthony, troppo emozionato da un sentimento che non sapeva riconoscere ma che nel proprio profondo scalpitava e Melody, troppo presa ad inalare e a lasciarsi andare contenta, attribuì l’avvenimento ad uno dei miracoli che aveva chiesto prima di arrivare in quel luogo.
 
William camminava e destra e sinistra sviando inutili e futili discorsi e altrettanto futili individui cercando lei il punto su cui avrebbe potuto scaricare la propria frustrazione senza dover stare attento ad inutili dettagli, tanto, non aveva mai detto nulla a 14 anni, figuriamoci a 20 anni...
<< Willy! >>
Trillò una voce talmente zuccherata da mandarlo fuori di sé dall’ira: perché proprio a lui sarebbe toccata Rose?
<< Willy! >>
La voce si fece ancora più vicina fino a quando William non venne affiancato da una ragazza sinuosa dagli occhi blu, non azzurri ma proprio blu, e dai capelli di un caldo miele raccolti sapientemente in una coda specie di coda laterale lavorata e perfettamente appuntata infatti non un singolo capello era fuori posto.
<< Willy... da quanto tempo! >>
Uno slancio di affetto da parte della ventinovenne e William si ritrovò ad annaspare aria in cerca di ossigeno per far cambiare l’aria e approfittando di un attimo di tentennamento sopra i tacchi della donna, l’allontanò di malo modo risistemandosi il vestito e la cravatta.
<< Oh avanti, quanto possono essere brutti i miei abbracci?! >>
Una risatina frivola uscì acuta dalle sottili labbra per divenire, poi, un brutto e penetrante ghigno maligno degno di lode: in confronto gli sguardi di William parevano facce amichevoli. .
<< A quanto vedo il tuo caratteraccio non ha accennato a diminuire: mi stupisco che ti abbiano tenuto con loro, orfano. >>
L’ultima parola rimbombò nella testa del ragazzo per minuti interminabili lasciandolo leggermente spiazzato. Si sistemò gli occhiali continuando a camminare ignorando le provocazioni della “cugina” che avrebbe dato volentieri in pasto a qualche predatore che avrebbe dilaniato le carni divorandole con soddisfacente lentezza ed esultò interiormente quando la provvidenza divina avesse ripagato Rose della stessa moneta e,  tutto ad un tratto, guardò con gratitudine quel biondino pescato a sorte tra i migliori studenti appena diplomati a mestiere del maggiordomo perfetto e doc .
James spettatore indiretto allo scambio dei due, aveva fatto malamente cadere, inciampando nella coda di un abito involontariamente,  il contenuto sopra la suddetta Rose che sbraitando in modo poco consono era stata accompagnata dalla zia Alyssa nella camera che l’avrebbe ospitata per la notte promettendo lei una severa punizione per il maggiordomo ed un abito nuovo, oltre quello che indossava che sarebbe stato lavato dalle cameriere, lindo e pinto per l’indomani.  Sorrise James in un sorriso mesto e furbo contro  quella che aveva soprannominato “Rosa Canina”, perché per quanto difficili siano i propri padroni nessuno aveva il diritto di deriderli a quel modo. Nessuno avrebbe dovuto inveire contro William, mai.
<< James... subito nel mio ufficio. >>
Si risollevò d’animo quando appena usciti fuori dall’immenso salone ed entrati nell’ufficio del giovane rampollo, William prese due bicchieri di cristallo presenti all’interno di una vetrinetta di fianco alla porta-finestra ed a una libreria stracolma di libri che James conosceva a memoria in cuor suo, proprio in occasione di intrattenimento tra lui e l’ospite, in questo momento James.
<< Lo dirò solo una volta e ti offrirò solo un bicchierino del migliore brandy di tutto il mondo. Quindi rilassati e goditelo perché non accadrà spesso o addirittura sarà l’unica volta della tua vita. >>
Dicendo questo aveva davvero riempito due bicchierini e ne aveva passato davvero uno  ad un James che sarebbe potuto essere il ritratto della felicità. William alzò il bicchierino guardando fisso negli occhi castani, visibilmente più chiari rispetto ai propri, facendo una smorfia con il viso che doveva essere un sorriso. Doveva, ma fu solo il pallido riflesso di un sorriso, ma a James andò benissimo così, anzi, la provvidenza quella sera aveva fatto tantissimo per il cuore del ragazzo perché da che ne avesse memorie, aveva sorriso solo  all’età di 8 anni varcando per la prima volta l’ingresso dei Cavendish, quella fu la prima e ultima volta che sorrise di cuore, alla vista di James che già bazzicava all’interno della  Magione, data la presenza del nonno deceduto al diciottesimo compleanno come inserviente fidato e devoto.
<< Grazie per avermi tolto dalle scatole la cara e dolce “Canina” per un paio d’ore...>>
A James quasi mancò l’aria: il suo padrone con le sue stesse idee in fatto di nomignoli a pochi centimetri di distanza, separati solo da una banalissima scrivania in mogano antico, che lo bruciava con lo sguardo. Si, perché lo sguardo di William era una lama a doppio taglio: o ti pietrificava, o ti ardeva l’anima. Il biondo amava  sia la prima che la seconda opzione.
<< Ah...con mia madre...>>
Continuò poi il bruno dopo aver buttato giù in un sorso il contenuto alcolico del bicchierino in una sola volta.
<< Non preoccuparti, ci penso io. >>
William sentì improvvisamente caldo, decisamente  troppo, tanto che senza scomodare il maggiordomo, alle prese con il brandy, si alzò ad aprire poco la porta finestra per poi sedersi di nuovo ad osservare con noia lo strano ragazzo davanti a sé.
James si impose calma chiuse per alcuni secondi la respirazione mandando giù in due sorsi, abbastanza lunghi, il brandy cercando di mantenere un decoro sotto gli occhi attenti di William, se qualcuno avesse chiesto a James cosa fosse la felicità, avrebbe risposto semplicemente “un bicchierino di brandy”.
Inalò aria sentendo la trachea raschiare per l’ alcol che, lui, non era mai riuscito a reggere poi si alzò e dopo essersi inchinato profondamente in segno di gratitudine e rispetto si voltò per uscire dal piccolo ufficio. Si richiuse la porta alle spalle sospirando appena.
<< Proprio te cercavo! >>
Un man rovescio lo colpì in pieno viso, inaspettatamente, facendogli girare la testa dal lato sinistro della casa e perdere contemporaneamente la piccola maschera bianca, dal lato opposto alla porta dello studio che si aprì di colpo lasciando intravedere la figura preoccupata di William che aveva sentito lo schiocco, simile ad una frusta, dall’interno dello studio.
James rimase perfettamente composto tornando a guardare la padrona di casa senza rimorso che gli inveiva contro tante di quelle cose che fu facile non ascoltarla per due semplici motivi: uno perché prendeva le parti della Canina e due perché istericamente stava parlando del maggiordomo Doc prendendo in esempio la figura del nonno. Si rese conto di un piccolo bruciore alla guancia schiaffeggiata ma non disse nulla: sicuramente era graffiata. Alyssa, resasi conto della totale fierezza del gesto da parte del ragazzo, caricò un altro man rovescio alla guancia sinistra questa volta, che non andò mai a segno: William aveva fermato il braccio della madre, appena in tempo.
<< Non azzardarti a colpirlo. Mai più. >>
<< William lasciami subito il braccio e non permetterti questo tono impudente con me. >>
Usavano entrambi un tono glaciale per parlarsi alquanto impressionante.
<< Ripeto, non azzardarti a colpirlo. Mai più. Anzi, dovresti solo ringraziarlo perché ha difeso il nostro...>>
Guardò la madre correggendosi.
<< Il mio nome. >>
Ed è lì che Alyssa Cooper vide che gli occhi di James, nascosti al figlio di spalle, brillarono di una luce particolare a cui non seppe dare nome.
<< Andiamo J. ti sanguina il graffio sulla guancia...>>
J. il nomignolo che tanto odiava, improvvisamente cominciò a suonare in modo più dolce, perché no, elegante alle orecchie di James che non disse nulla anche quando William, ancora di spalle, afferrò la mano del ragazzo trascinandoselo dietro.
 
Si rese conto troppo tardi di essersi completamente scordato di mettere in atto il piano per torturare la cugina, William,  preso com’era dal curare quel brutto graffio a quel così bravo ragazzo. “Nulla a che vedere con me.” Pensò.
<< Ma che c’hanno al posto delle unghie, artigli? >>
Borbottò più e più volte vedendo come la pelle diafana del ragazzo, prima rossa, stesse pian piano diventando di un colore più scuro quasi nero e si sorprese di quanto un ragazzo, forse più piccolo di un anno, riuscisse a stare per così tanto tempo in silenzio.
<< Oi...>>
Tuonò.
<< Ma sei muto o cosa? >>
<< No, sono solo stato abituato a parlare soltanto se interpellato...>>
Annuì.
<< Bene, quando sei in mia presenza, sentiti libero di parlare normalmente senza chiedermi stupidi permessi o altro...>>
Il cuore del biondo perse un battito.
<< Signorino...>>
L’aveva incenerito con gli  occhi, il bruno.
<< William...>>
Aveva pensato di non poterlo mai pronunciare i sua presenza e adesso, che poteva dare un tono, stava masticando ben bene la fonetica del nome come un pezzo di argilla da modellare: appena avrebbe trovato la giusta intonazione, sarebbe stato perfetto.
<< William. >>
Ripeté un’altra volta facendo fermare la piccola medicazione allo zigomo, adesso completamente inviolato.
<< Grazie. >>
Non disse nulla troppo imbarazzato da qualcosa di non identificabile mentre il più delicatamente possibile spalmava una pomata sulla parte viola, applicò il cerotto traspirante dopo aver fatto asciugare la pomata.
<< Ho finito. >>
Annunciò girando i tacchi ed uscendo dal bagno chiudendosi l’uscio prepotentemente alle spalle e a grandi falcate rientrò in sala puntando sulla signorina Griffin che teneva una cartellina in mano con la tabella dei turni.
<< Signorina Griffin aspetti! >>
Per la prima volta dopo anni, William fece qualcosa di carino verso qualcuno.
<< Perché lo hai fatto? >>
Lo fermò la madre appena la governante cambiò i turni.
<< Riconoscenza. >>
Sorrise in modo sghembo ringraziando,  mentalmente il cielo, per non avere legami di sangue con la donna isterica e infantile innanzi a sé, prima di tornare alla spasmodica ricerca di Melody; voleva svagarsi un poco.
 
Quando tornò in sala, ricomposto alla perfezione, James venne sbattuto fuori a calci da una Moona irritata che gli aveva “gentilmente” riferito quanto il Signorino, cioè, William avesse osato per lui: aveva anche fatto in modo che potesse congedarsi o partecipare alla festa. Sorrise più a se stesso che alla Griffinch augurando lei buon lavoro che, parlandoci chiaro, sarebbe durato per tutta la notte fino la sera dell’indomani tra valzer e champagne. Sorrise ancora mentre si avviava nella propria camera toccandosi la guancia dove il cerotto era stato applicato. Avrebbe dovuto solo parlare di questa “cosa” ad Anthony sperando che capisse, prima o poi, la situazione.

   
 
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