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Autore: TheWriter    04/01/2012    1 recensioni
La frattura spazio tempo è chiusa, il portale è rotto, Hope Plaza è distrutto... e la stagione è finita.
E adesso?
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Basi segrete

-“Dovrebbe essere da questa parte, le tracce sono più frequenti”, disse il soldato che guidava il gruppo, facendosi strada col machete attraverso le gigantesche felci.
Dietro di lui, i sette tecnici stavano raggruppati al centro del gruppo, circondati da soldati che sondavano con lo sguardo la giungla circostante, in guardia contro eventuali attacchi. Non temevano l’arrivo dei Sixers, che avevano abbandonato la zona, ma quello dei ben più temibili slasher. Di carnosauri, per fortuna, in quel settore non c’era traccia.
Stando al resoconto di Curran, la base segreta dei Sixers sarebbe dovuta essere pochi metri più avanti, ma evidentemente avevano mancato il sentiero usato dai ribelli, perché la giungla sembrava diventare sempre più fitta. L’ultimo colpo di machete non ebbe però l’effetto sperato: la liana che si parava davanti al soldato semplice Quiller non volle saperne di spezzarsi, neanche a un secondo tentativo; così il soldato decise di esaminarla più da vicino.
-“Ma che diavolo…?”
-“Che succede?”, chiese un suo commilitone avvicinandosi.
La liana era intrecciata con sottili fili metallici, che le conferivano una certa robustezza.
-“Credo che siamo arrivati”, rispose quello guardando in alto in cerca dell’attaccatura della liana.
Sopra di loro, la luce del sole non filtrava normalmente attraverso le foglie: era bloccata da grosse piattaforme circolari costruite intorno agli alberi più grandi, e da ognuna di esse pendevano una o più liane. Non c’erano scale o altre strutture fisse che permettessero di accedere alle piattaforme.
-“Molto astuto”, constatò il tenente sopraggiunto nel frattempo, guardando in alto. In caso di attacco, devono solo ritirare le liane, e nessuno sarebbe in grado di salire e raggiungerli “in casa”.
-“Dovremo arrampicarci su questi affari?!?”, chiese seccato un soldato. “Non sarà una cosa semplice portare giù il materiale che troveremo…”
-“Non ce ne sarà bisogno. Curran ha parlato di un sistema di contrappesi… vediamo..”
Il tenente si guardò intorno, osservando meglio l’estremità inferiore della liana, in cerca di qualcosa.
-“Ecco, dovrebbe essere questo”, disse poi infilando un piede in un anello agganciato alla liana, fino ad allora rimasto nascosto tra le foglie morte che ricoprivano il terreno.
-“E queso”, disse poi guardando alla sua destra, vicino al tronco, “questo dovrebbe essere il pulsante per la salita”; tirò un cordino di pelle, e subito la liana scattò verso l’alto, portando con sé il tenente e causando un momentaneo scompiglio nella truppa, con i soldati che tolsero le sicure alle armi e le puntarono in alto e intorno a sé.
-“Tranquilli, è tutto sotto controllo”, li rassicurò il tenente planando dolcemente sulla piattaforma grazie al sistema di palette rotanti che, collegato alla carrucola in cui scorreva il sistema di liane e contrappesi, rendeva dolce e meno brusco l’arresto del rudimentale ascensore.
Dall’anello agganciato alla liana pendeva ora un lungo cordino, che i soldati poterono utilizzare per ricaricare il meccanismo e salire uno ad uno sulla piattaforma.
Era la più grande tra tutte quelle intorno, larga 4 metri e lunga più di 20, circondando con le sue tavole non uno ma tre alberi adiacenti. Tra due alberi era stata costruita una struttura in legno, a formare una sorta di rozza abitazione, mentre lo spazio tra gli altri due era vuoto, ad eccezione di alcune casse disposte a cerchio. Probabilmente una sorta di rudimentale sala riunioni.
Alle estremità della piattaforma, alcuni ponti di corda la mettevano in comunicazione con le piattaforme circostanti, su ognuna delle quali sorgeva una rozza abitazione.
-“La città dei Sixers”, disse con stupore il tenente mentre si guardava intorno con le mani sui fianchi. “Diamoci da fare: radunate sul piazzale tutto il materiale che può essere utile alla colonia”, disse riferendosi con piazzale alla zona al centro del cerchio di casse. Cercate soprattutto nuclei energetici, sementi, e medicinali. Le apparecchiature elettroniche ammucchiatele tutte in questa stanza: dovremo prima esaminarle per vedere se sono funzionati ed eventualmente decidere di portarle con noi. Soldato Morgan”, disse poi rivolgendosi all’esperto di elettronica del gruppo, “sai cosa cercare”.
-“Sì, signore”.
Il suo compito era trovare il trasmettitore temporale che permetteva a Mira di comunicare col futuro; il problema era che nessuno sapeva come potesse essere fatto un trasmettitore temporale, si sapeva solo che doveva esistere, avendolo Mira mostrato di averlo usato in più di un’occasione.
In realtà, le cose stavano molto diversamente da quello che avevano immaginato.

-“E questo cosa diavolo è?”, si chiese un soldato gingillandosi con uno strano congegno trovato sotto una coperta. Grande quanto una scatola da scarpe, aveva un piccolo quadro di controllo su un lato, mentre sul lato corto aveva un foro circolare largo qualche centimetro, chiuso da una spessa lente.
-“Qua ce n’è uno uguale”, disse un altro soldato all’altro capo della stanza.
-“Funziona?”, chiese il primo soldato armeggiando col suo dispositivo finchè riuscì a trovare il pulsante di accensione.
Il secondo soldato armeggiò anche lui il congegno dopo aver osservato il compagno, e riuscì ad accenderlo. Improvvisamente una persona comparve in mezzo alla stanza, e i due soldati lasciarono cadere i dispositivi, imbracciando le armi e puntandole contro la ragazza comparsa dal nulla.
-“Oh, mio Dio, Josh, sei davvero tu! Mi manchi tantissimo...
-“Ma che diavolo…?”, esclamò uno dei soldati avvicinandosi alla proiezione.
-“Significa che e' vero... quello che mi stanno dicendo? Saro' nel prossimo Esodo?
-“Proiettori olografici??”, ipotizzò uno dei soldati abbassando l’arma.
-“Già. Non so come potranno esserci utili, comunque funzionano. Mettili insieme al resto”, disse infine il soldato.
-“Hai mantenuto la tua promessa.”, disse infine l’immagine tridimensionale di Kara,  un istante prima che l’altro soldato spegnesse il proiettore.

-“Tenente, qui soldato Morgan, mi riceve?”, gracchiò una voce alla radio.
-“Qui tenente Lewis, avanti”
-“Tenente, credo che dovrebbe venire a vedere questa cosa. Mi trovo sulla piattaforma più a est, a ridosso della montagna”, rispose quello.
-“Roger, Anderson, ti vedo”, confermò il tenente dopo aver dato uno sguardo e aver visto in lontananza il soldato che agitava un braccio per farsi individuare. “Forse ci siamo”, disse tra sé e sé riponendo la radio.
Qualche istante dopo, il tenente Lewis stava scorrendo una mano sul terreno fangoso alla base della piattaforma. Accanto a lui stava accovacciato il soldato che lo aveva chiamato per radio.
-“Che ne pensa? Cosa può significare?”
Dalla parete della montagna, ricoperta di fitta vegetazione rampicante, scendeva un piccolo rigagnolo d’acqua, che dopo aver attraversato le fronde e il muschio sulla parete stessa, cadeva in una grossa pozza dinanzi ai loro piedi. L’acqua ristagnava leggermente in un’area sabbiosa di una ventina di metri quadri, e non era più profonda di pochi centimetri; sui bordi della pozza c’era un’ampia zona melmosa.
Il luogo era raggiungibile solo calandosi dalla piattaforma soprastante, protetto com’era dalle alte rocce che lo circondavano, e l’acqua colava via dalla grossa pozzanghera da una piccola fessura nella roccia, cadendo poi fino a terra e formando un piccolo rigagnolo che scorreva sotto le piattaforme, fino al vicino ruscello.
Incise nella melma, spiccavano, sul bordo della pozzanghera, alcune strane scritte. Lewis non ebbe difficoltà a leggerle, essendo scritte in inglese.
-“Situazione precipita. Inviare rinforzi. Organico in diminuzione, necessita Azimeth.”

Contemporaneamente, 85 milioni di anni più tardi, l’uomo della Phoenix Group guardava la grossa tavola di pietra racchiusa nella teca del suo ufficio, illuminata da una luce radente che ne evidenziava le ombre. 
E le scritte.
-“Non riceviamo nessun messaggio da ore, ormai. Deve essere successo qualcosa anche lì, dopo che Hope Plaza è saltato”.
-“E adesso che facciamo?”
-“Inviamo una squadra di ricerca a El Quisco. Lucas diceva che quella era l’unica possibilità che avrebbero avuto, se fosse successo qualcosa al portale. Probabilmente sono già diretti ai Calanchi e al Valico.”
-“Ancora non ho capito come diavolo è possibile che compaia su questo pezzo di roccia quello che Mira ha scritto 80 milioni di anni fa”, disse poi il primo uomo accendendosi un sigaro e sedendosi sul divanetto dell’ufficio.
-“E’ molto semplice: quello che tu chiami pezzo di roccia, 85 milioni di anni fa era una massa di fango”. Si fece passare anche lui l’accendino e accese il suo sigaro, dirigendosi però alla sua scrivania. “Col passare dei millenni”, continuò, ”il fango si è dapprima solidificato, poi addirittura trasformato in roccia. Ed ha così conservato miracolosamente la forma che aveva milioni di anni fa”. “Passatemi il capo della squadra di ricerca”, disse poi al telefono. “Quando hanno ritrovato la Sonda conficcata nella roccia in quella cava alle porte di Los Angeles”, riprese, “i tecnici non ci hanno messo molto a capire come avremmo potuto sfruttare la cosa a nostro vantaggio: sapendo per certo che quella pozzanghera di fango è rimasta inalterata per milioni di anni fino a diventare la roccia della cava, potevamo usarla come una vera e propria lavagna per rendere possibili le comunicazioni intertemporali”.
“Sarà”, rispose l’altro poco convinto tirando una boccata dal suo sigaro e appoggiandosi allo schienale della poltrona. “Fatto sta che ora le comunicazioni sono interrotte.”
-“Dovete partire subito per El Quisco. Ci sono stati dei problemi. Fatemi rapporto appena arrivati.”, disse al telefono l’uomo alla scrivania. “Su questo, Lucas ha avuto ragione”, continuò poi.”Finora le informazioni di Mira sono sempre arrivate puntuali. Speriamo che abbia avuto ragione anche sulla frattura alla Piana Salata. Altrimenti, temo che dovremo dire definitivamente dirgli addio, e con lui anche ai nostri soldi. E’ l’unico a sapere come diavolo creare un nuovo portale”, concluse l’uomo riattaccando violentemente il telefono, e sedendosi sulla poltrona di pelle a guardare l’incredibile panorama notturno della cupola di cui si godeva dal 98esimo piano.

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-“Piano… così”, disse Jim mentre insieme. a Josh aiutava Taylor a sedersi a terra, appoggiandosi alla parete di quello che una volta era stato un gigantesco aeromotore.
-“Lucas!”, mormorò Taylor. “Quel pazzo! Ha fatto detonare un ordigno per riaprire il valico!”
-“Come faremo con le radiazioni?!?”, chiese preoccupato Josh rialzandosi.
-“Per quello non dobbiamo preoccuparci, gli ordigni tattici miniaturizzati non hanno fallout radioattivo”, precisò Taylor soffocando un gemito.
-“Cosa diavolo c’è di così importante laggiù da giustificare l’uso di un ordigno atomico?”, chiese allora Jim.
-“Probabilmente…”, disse affannosamente Taylor, “… probabilmente pensano che quelle navi si trovino lì perché c’è una qualche connessione col futuro, e sperano di poterla sfruttare per tornare indietro…”
Con uno stridore di gomme sul brecciolino sopraggiunse il mezzo con Raynolds e Maddy a bordo.
-“Comandante…?”, chiese il soldato dopo essere corso accanto a Taylor.
-“Fa’ presto, dobbiamo caricarlo sul mezzo e portarlo subito in infermeria”, gli disse allora Taylor.

Ad ogni scossone del mezzo, lanciato a gran velocità verso l’infermeria, Taylor reprimeva coraggiosamente un gemito.
-“Coraggio, ci siamo quasi!”, lo incoraggiava Josh, mentre Jim faceva del suo meglio per fare in fretta e allo stesso tempo cercare di evitare sballottamenti eccessivi.
-“Base, qui Shannon, mi ricevete?”
-“Signor Shannon, parla il soldato Ryan, avanti”.
-“Abbiamo un ferito grave a bordo, fate preparare l’infermeria. Il comandante Taylor è stato gravemente ferito da una scheggia in un’esplosione”.
-“Ricevuto, avviso subito la dottoressa”.

Quando arrivarono davanti all’ingresso dell’infermeria, due uomini erano già pronti con una barella, Elizabeth sulla porta ad attenderli. Guardò la ferita di Taylor, poi volse uno sguardo preoccupato a Jim.
-“Come è successo?”
-“C’è stata un esplosione al campo eolico. Un disastro. Anche Josh ha bisogno di medicazioni”, aggiunse indicando il figlio che scendeva dal mezzo sorreggendosi a Raynolds. La madre gli corse incontro preoccupatissima.
-“Josh! Presto, portate il comandante in sala operatoria!”, gridò agli inservienti, aiutando poi Raynolds ad accompagnare Josh in infermeria. Jim li seguì all’interno.
A parte la caviglia slogata, constatò Elizabeth, Josh non aveva ferite gravi, ma sarebbe dovuto rimanere in osservazione in infermeria per qualche giorno.
-“Tu come ti senti?”, disse infine a Jim, dopo aver lasciato il figlio alle cure degli infermieri.
-“Un po’ ammaccato, bruciacchiato e indolenzito, ma tutto sommato sto bene. Il problema non sono io…”
-“Cosa intendi?”
-“Il campo eolico. E’ completamente distrutto.”
-“Distrutto?!? Ma questo significa…”
-“Già. Siamo senza energia. Con il parco solare ancora da terminare, abbiamo solo l’energia delle batterie di riserva. E non durerà molto.”
-“Quanto tempo credi che abbiamo?”
Jim si collegò col plexpad dell’infermeria al computer principale dell’Occhio.
-“A quanto pare meno di 36 ore”, disse dopo qualche second,o “Forse possiamo arrivare a 72, se riduciamo i consumi alle sole strutture essenziali della colonia. Dopodichè dovremo cavarcela... be’, alla vecchia maniera”, disse Jim.
-“Quanto tempo ci vorrà ad attivare il parco solare?”
-“Era previsto che venisse terminato nel giro di una settimana. Se non ha subito danni anche quello con l’esplosione, dovremo comunque contare qualche giorno in più, per radunare e organizzare squadre di lavoro aggiuntive...”
-“Più di una settimana senza elettricità?!? Perderemo tutte le scorte di cibo congelato!”
-“Già. E l’inverno è alle porte. Per quanto tempo credi che ne avrà il comandante?”
-“Vado a sentire i dottori. Ti faccio sapere.”
-“D’accordo, io vado al comando ad informare gli altri ufficiali e a… cercare di fare un po’ di ordine in questo disastro!”
-“A dopo.”
Liz gli diede un bacio veloce, poi andò nell’altra stanza ad assistere Josh e il comandante.
Jim trovò un certo fermento al comando; un ampio gruppo di militari si stava radunando, guidato dai due tenenti in servizio, ma attendevano l’arrivo di Jim per organizzarsi.
-“Cosa è successo?”, gli chiese allarmato il tenete Lewis vedendolo arrivare. “Abbiamo visto il… il fungo…”.
-“Lucas”, spiegò Jim. “Devono aver fatto saltare il Valico con un ordigno tattico a bassa potenza. ‘Bassa’, ma non abbastanza da non devastare completamente il parco eolico.”
-“Il parco eolico?!? COMPLETAMENTE??”
-“Già. Secondo il computer, abbiamo 72 ore di autonomia riducendo i consumi all’essenziale. Dobbiamo organizzare una squadra che informi la gente che siamo in emergenza energetica: tutte le utenze elettriche dovranno essere disattivate al massimo due ore dopo il tramonto, e non riattivate prima delle 6.00 del mattino. Solo il Comando, l’infermeria e l’Occhio dovranno restare costantemente operativi.”
-“Lo consideri fatto”, disse mentre faceva un cenno al tenente Simmons perché li raggiungesse.
-“Tenente Simmons”, continuò Jim,”lei organizzi una squadra di ricognizione: è probabile che l’esplosione che ha devastato il parco solare abbia danneggiato la recinzione esterna. Presto potremmo avere compagnia”.

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Jim aveva più ragione di quanto sospettasse: l’onda d’urto causata dall’esplosione aveva causato una strage nel branco di carnosauri che vivevano nella zona a nord ovest della colonia, ma molti erano sopravvissuti, e ora si stavano riprendendo. Non ci misero molto a scoprire il varco nella recinzione, seguendo le grida dei triceratopi e dei branchiosauri degli allevamenti: rimasti feriti anch’essi dall’esplosione, alcuni giacevano inermi nei pressi delle colture, come un invito a pranzo per tutti i predatori della zona.
Dapprima timidamente, memori di precedenti esperienze nel campo minato, un primo carnosauro raggiunse il varco nella recinzione esterna: l’onda d’urto aveva innescato tutte le mine nella fascia che dalla vallata raggiungeva la colonia, e non c’era niente ora che impedisse agli animali selvaggi di entrare.
L’odore del sangue dei branchiosauri feriti metteva in agitazione i carnivori affamati, che ben presto, una volta resisi conto che non c’erano pericoli ad attraversare sia la recinzione esterna che quella interna, si diressero decisi verso la zona degli allevamenti.
La mole dei branchiosauri era imponente, e le corna dei triceratopi minacciose, ma le bestie ferite, incapaci di muoversi, furono facile preda dei carnosauri; le altre non poterono che scappare nella direzione opposta da quella da cui provenivano i predatori, dirigendosi verso le abitazioni.



Sam stava affacciato sulla veranda con sua sorella Leah, cercando di capire da dove fosse provenuto il suono dell’esplosione, quando aveva visto il terribile fungo atomico, che fino ad allora conosceva solo per averlo visto sul trivisore. Adesso l’eco dell’esplosione era ormai scomparso, e la grossa nube nera si era ormai quasi dissolta. Ma i due bambini sentivano distintamente un rombo sommesso, che andava via via aumentando, finchè le stoviglie sul tavolino iniziarono a tintinnare, sempre più forte. Le fitte fronde delle piante non permettevano loro di vedere niente, mentre guardavano verso il centro della colonia, ma l’istinto di Leah, affinatosi durante la permanenza nella giungla coi Sixers, prevalse.
-“Sam, andiamo via!. CORRI!”
Fece appena in tempo a prendere il fratellino per mano e trascinarlo letteralmente via dalla veranda, correndo forsennatamente verso il viale e di lì verso il Comando, che il luogo un attimo prima occupato dal fratellino fu schiantato da un possente pilastro di ossa e di carne e di pelle squamosa, seguito pochi istanti dopo dall’altra zampa del gigantesco branchiosauro. Ma era niente, in confronto a quello che fu capace di fare la coda lunga 15 metri quando passò sull’abitazione, radendola completamente al suolo. Il tetto aveva appena finito di cadere, che fu subito calpestato da una coppia di triceratopi in fuga terrorizzati.
La devastazione che gli animali in preda al panico lasciarono dietro di sé fu totale.
-“CORRI! CORRI!”, continuava Leah a incitare il fratellino, che dopo essere inciampato per un attimo mentre lei lo trascinava per la mano, si era subito rialzato e adesso correva come un missile per allontanarsi dalla carica dei dinosauri, Leah subito dietro di lui. Si fermarono solo quando non sentirono più il frastuono dietro di loro. Si trovavano infatti ora a più di 400 metri da dove pochi secondi prima si trovava casa loro – ora indistinguibile dal terreno stesso su cui sorgeva – e la curiosità aveva preso il sopravvento sulla paura. Leah era stata la prima a fermarsi e a voltarsi indietro, osservando con enorme stupore l’incredibile scena. “Sam!”, gridò al fratello che ancora correva come un razzo.
Lui le si avvicinò, e lei le prese la manina, mentre entrambi guardavano estasiati e terrorizzati i giganteschi animali calpestare le costruzioni della colonia e disintegrarle come fossero di carta.
-“Le mie trifigurine!”, esclamò a un tratto con tono disperato il bambino, facendo istintivamente un passo avanti, ma trattenuto dalla mano di Leah, che stette bene attenta a non farselo sfuggire.
-“Lascia perdere le tue figurine! Guarda che disastro! Dobbiamo correre ad avvisare il signor Taylor!”
Intorno a loro si erano intanto radunate altre persone, fuggite terrorizzate dalle loro abitazioni, e anche loro adesso incantate ad osservare la devastazione della colonia e la possenza delle enormi bestie, senza sapere bene cosa fare.
Muovendosi ormai a passo d’uomo anziché correndo, gli animali, esaurito lo spavento iniziale, si guardavano adesso intorno, e anziché proseguire dritti verso l’esterno del recinto, alcuni triceratopi avevano iniziato a vagare all’intorno. Uno si stava dirigendo proprio verso il capannello di persone, alcune delle quali fecero istintivamente un passo indietro. L’animale stava annusando il terreno, poi alzò la testa, messo in allarme da un qualche rumore. 


Un istante dopo, le possenti mandibole di un carnosauro spuntato dalle macerie della casa accanto lo afferravano tra le grida strazianti del povero animale, che ormai non poteva fare più niente per difendersi. Un rumore terribile raggiunse le orecchie di Sam e Leah quando le ossa del triceratopo si sbriciolarono sotto il morso mortale dell’enorme carnivoro, e fiumi di sangue iniziarono a scorrere fuori dalla carcassa dell’animale, scivolando lungo la mandibola del predatore affamato. Sam era inorridito e al tempo stesso affascinato alla vista di quella scena di indicibile violenza, e Leah gli portò istintivamente una mano davanti agli occhi per impedirgli di vedere quello strazio, girandosi poi lei stessa per non vedere. Ma la curiosità era troppa, e dopo poco tornò a rivolgere lo sguardo alla scena di caccia preistorica. Vide il carnosauro che teneva ferma con una zampa posteriore la carcassa dell’animale morto, mentre con la bocca ne strappava grossi pezzi. In quell’istante un possente ruggito annunciò l’arrivo di un suo simile, che cercò di affiancarlo per condividere con lui la preda, ma fu bruscamente scacciato da una possente testata, seguita da un ruggito ben poco accogliente. Il secondo carnosauro distolse allora la sua attenzione dal mancato banchetto… e la rivolse alle persone.
Dopo un istante di paralisi da terrore, tutti furono ridestati da un possente ruggito, che anticipò di pochi istanti la carica.
Leah stava di nuovo per gridare a Sam di correre via, quando si accorse di non avere più la mano del fratello nella sua, Sam era già schizzato via appena il secondo animale lo aveva - così gli era sembrato - guardato negli occhi.

Leah non aspettò certo di essere spronata a scappare: raggiunse in tutta fretta il fratello, e insieme presero a correre come forsennati, dapprima lungo il vialetto, ma subito dopo in altra direzione.
-“Di qua!”, esclamò Leah strattonando il fratello. “Conosco un posto…”, accennò, ricordandosi che, poco distante da lì, fuori dal recinto, c’era il luogo che aveva scoperto quando, qualche mese prima, stava cercando un modo di entrare, non vista, nella colonia.
-“Leah, sei impazzita?!? Dobbiamo scappare!!!”
-“Non ce la faremo mai, è troppo veloce, non è come i trici”, obiettò la ragazzina mentre si insinuava sotto la recinzione. “Vieni!”.
Alcune persone che stavano dietro di loro scoprirono a loro spese quanto aveva ragione: spinti dall’istinto, stavano cercando di sfuggire al carnosauro semplicemente correndo più che potevano; ma un carnosauro poteva raggiungere in pochi istanti una velocità di 50 chilometri l’ora.
La prima persona fu afferrata al volo per la testa, e sbattuta a destra e a sinistra come un topo in bocca a un gatto, prima di essere divorata come già prima il triceratopo. La seconda, probabilmente la moglie dell’uomo, accorsa in improbabile aiuto, soccombette sotto la possente zampa artigliata della bestia, che aveva deciso di assicurarsi in quel modo la prosecuzione del pranzo, mentre terminava l’antipasto che stava già mangiando. Le altre persone ebbero così il tempo di fuggire a gambe levate.
-“Da questa parte! NON TI FERMARE!”, gridò terrorizzata, quasi in falsetto, Leah al fratello,  che annaspava tra le fronde, il terreno irregolare e fangoso, e con la paura che gli faceva battere il cuore come un martello.
“Quassù!”, disse poi Leah, mentre si avviava ad arrampicarsi su un enorme albero. 


Alto più di 30 metri, aveva alcuni rami che arrivavano a toccare il terreno, rendendo relativamente facile per loro salire, ma impossibile fare altrettanto per i carnosauri – ammesso che fossero in grado di arrampicarsi – sotto il cui peso i rami avrebbero certamente ceduto.
-“Dammi la mano!”, gli disse aiutandolo a salire. Insieme salirono due, tre, dieci livelli di rami, spinti dalla paura e dai rumori orribili e dalle grida che sentivano ancora dietro di loro. I rami della pianta preistorica cadevano simili a quelli di un salice piangente, non fosse stato per la differenza che il più sottile di essi era spesso quanto un braccio, ma erano così fitti e intrecciati in certi punti da formare quasi delle scale naturali. Più in alto si diradavano un po’, e salire era più complicato, dovendo gattonare a cavalcioni dei rami stessi, che però avevano intanto raggiunto un diametro di alcune decine di centimetri, e fornivano un certo appiglio grazie alle varie sporgenze e rametti che da esse spuntavano. Una volta arrivati in cima alla curva formata dai rami, era poi facile ridiscendere verso il tronco al centro; lì, come aveva scoperto Leah, si trovava una specie di piccola radura, completamente sgombra di rami, all’interno della quale, nei mesi piovosi, ristagnava l’acqua, permettendo a una sorta di muschio di svilupparsi prosperoso; in quel periodo dell’anno, però, la calura asciugava completamente il muschio – spiegò Leah al fratellino – che così diventava un comodissimo nascondiglio, abbastanza morbido da poterci dormire comodamente, e completamente al sicuro dagli attacchi dei predatori.
-“Come sai tutte queste cose?”, chiese stupito il fratellino.
-“Me le ha spiegate Mira”, rispose. “Quando era ancora buona con me”, aggiunse poi con una velatura triste nella voce e nello sguardo. “Zitto!”, gli intimò poi. Avevano iniziato a sentire un rumore di rami rotti e di fronde provenire da sotto l’albero. Sam ammutolì e si rannicchiò addosso alla sorella, che lo abbracciò e lo tenne stretto a sé.
-“Ci hanno trovati!”
-“Non dire scemenze”, lo rimproverò Leah, non volendo dare a vedere quanto era impaurita. “I carnosauri sono troppo grossi per riuscire ad arrampicarsi fin quassù!”.
-“Ah sì?”, ribattè lui scettico e terrorizzato. “E gli slasher? Scommetto che è uno slasher che sta salendo, e adesso ci farà a pezzi, e…”
-“Smettila! Non hai visto che i rami erano così fitti che a momenti non riuscivamo a passare neanche noi?”, disse cercando di rassicurare lui e sé stessa. “Mira ha detto che nessun dinosauro può riuscire a passare tra i rami di un plotinus…”, continuò, il rumore di fronde sempre più vicino. I rami davanti a loro, ora, si stavano muovendo. Leah puntò i piedi a terra e si spinse con le spalle verso il lato opposto del letto di muschio, strisciando con la schiena a terra e stringendo a sé il fratellino.
-“CI MANGERA’!”, gridò lui terrorizzato.
-“Chi è che ci mangerà?!?”, chiese allora la testa appena spuntata dai rami, con un espressione terrorizzata sul volto a sentire una voce provenire da quello che credeva essere un luogo deserto.
-“TIMMY!”, gridò allora Leah, strabuzzando gli occhi.
Era il suo migliore amico, fin da prima che lei se ne andasse coi Sixers. Da quando era tornata, non era passato un giorno senza che stessero insieme a giocare, e a parlare, e a guardare i dinosauri che brucavano nei pascoli interni, e poi ancora a giocare e a scherzare, e a parlare. Ancora troppo piccoli per sapere di essere innamorati, passavano così tanto tempo insieme che più di una volta Sam aveva fatto qualche scenata di gelosia mettendo il broncio a Leah, che il più delle volte nemmeno capiva perché all’improvviso, a volte, Sam si arrabbiasse così tanto con lei.
Lo stupore sul viso della bambina lasciò il posto al rossore, le guance che le andavano a fuoco. Avrebbe voluto correre ad abbracciare l’amico, ma Sam la stringeva forte, terrorizzato, ricambiando il suo abbraccio di poco prima, e lei non sapeva cosa fare.
-“Cosa ci fate voi due nella nostra base segreta?!?”, chiese loro stupito Timmy, avvicinandosi.
-“Base segreta?!?”, chiese Sam stupito.
-“ ‘Vostra’?!?”, chiese invece Leah.
Dai rami dietro Timmy spuntò pochi istanti dopo una chioma color carota sopra una faccia paffuta e lentigginosa. Bobby.
-“Ehi!”, esclamo il bambino vedendo Leah e Sam, un po’ contrariato. “Che ci fanno loro qui?!?”, chiese a Timmy.
-“Sembra che la nostra base non sia più così segreta”, rispose sorridendo Timmy.
-“Da quando avete una base segreta?!? Non me lo hai mai…”, stava per obiettare Leah, improvvisamente arrabbiata all’idea che il suo migliore amico le avesse tenuto nascosta una cosa così fica.
-“Doveva essere una sorpresa…”, la interruppe Timmy corrugando la fronte.
-“Ah sì?!?”, disse lei ora decisamente contrariata, allentando l’abbraccio di Sam e alzandosi in piedi. “Beh, siamo arrivati prima noi, quindi se volete stare qui, dovete… dovete chiederci il permesso!”
Timmy e Bobby restarono allibiti.
-“Sì, siamo arrivati prima noi!”, le diede man forte Sam alzandosi, non sembrandogli vero di potersi mettere contro Timmy, e soprattutto di vedere Leah fare la stessa cosa.
-“Se volete rimanere qui, dovete…”, esitò pensando a una condizione da porre, “…dovete pagare!”
-“Pagare?!? A momenti veniamo spiaccicati da un bronto, infilzati da un tricio e mangiati da un dentone”, disse allora Timmy menzionando tutti i nomignoli con cui loro bambini si riferivano ai dinosauri, “e ora dovremmo anche pagare…?”
La tensione stava salendo, e Leah sentiva nel petto una sensazione che non capiva, e che credeva fosse rabbia, mentre fronteggiava il bambino decisa a non farlo restare.
-“Mangiare? E’ l’idea migliore che ho sentito negli ultimi 10 minuti!”, esclamò allora Bobby; si tolse dalle spalle lo zainetto, lo posò a terra, lo aprì sotto lo sguardo attento dei suoi amici, e un istante dopo addentò famelico un panino farcito.
-“Che c’è???”, farfugliò immobilizzandosi con in bocca il pezzo di panino appena azzannato, osservando tre paia di occhi che lo fissavano increduli, arrabbiati e affamati.
La pace fu immediata, e fu ora di merenda.

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Quando finalmente la polvere si fu depositata, gli uomini di Lucas si mossero.
-“Andiamo!”, disse il maggiore.
Nella confusione che era seguita all’esplosione, Mira aveva approfittato per togliersi di mezzo. Era bastato qualche sguardo coi suoi uomini più fidati, e un inosservato passaparola tra gli uomini durante il tragitto fin lì, per organizzarsi per la fuga, e la pioggia di detriti e la nuvola di polvere che erano seguito all’esplosione erano stati il momento ideale.
Piuttosto che seguire il percorso del canyon, dove sarebbero stati facilmente individuabili dagli uomini di Lucas, decisero di arrampicarsi sui due costoni e dileguarsi sull’altopiano.
In realtà, Lucas e i suoi avevano ben altro a cui pensare: gli uomini erano ormai piuttosto tesi e preoccupati, all’idea di dover passare il resto della loro vita in quell’epoca, ed erano ansiosi di arrivare alla Piana Salata e porre fine a quella storia. Quando si resero conto che solo pochissimi degli uomini di Mira erano rimasti con loro, quindi, non se ne preoccuparono, e si attennero al piano: una volta raggiunta la Piana Salata, Lucas avrebbe attivato il generatore di distorsione temporale, e in un batter d’occhio si sarebbero ritrovati nel XXII secolo, con la squadra di recupero pronta ad accoglierli.
-“Disponete gli amplificatori su tre punti… così, equidistanti, perfetto”, disse Lucas incitando gli uomini che stavano posizionando i treppiedi che sostenevano gli amplificatori di campo. Altri stavano intanto effettuando le connessioni elettriche, mentre Lucas controllava sul suo plexpad che tutto funzionasse a dovere.
-“Credo che ci siamo”, disse poi, “i valori sono nella norma”.
-“E se non funzionasse?”, disse a un certo punto, dubbioso, il maggiore.
-“Funzionerà”, tagliò corto Lucas. “E in ogni caso, ovunque sarà meglio che in questo dannato posto”, concluse poi guardandosi intorno.
Il maggiore non potè non convenirne. Da quando erano arrivati, tra cibo disgustoso, piaghe e bolle che spuntavano nuove ogni giorno in ogni parte del corpo, animali terrificanti da cui difendersi, e tutto il resto, non vedeva l’ora di togliersi di lì: una volta ritirayo lo speciale compenso che gli era stato promesso per quella bizzarra missione, avrebbe potuto ritirarsi a vita privata, e aveva già messo gli occhi su un superattico di Las Vegas. Con tutti quei soldi forse avrebbe potuto anche togliersi lo sfizio di comprarsi un casinò tutto per sé.
-“Raduni gli uomini, ce ne andiamo!”, disse infine Lucas. Fece le ultime regolazioni, mentre il maggiore richiamava i suoi e li faceva raggruppare intorno a loro al centro del triangolo formato dagli amplificatori di campo.
Furono gonfiati sei battelli, ognuno dei quali poteva ospitare comodamente 20 persone, ma vollero tenersi comodi: ormai la missione era finita. Appariva piuttosto bizzarro stare a bordo di un battello gonfiabile sulla terraferma, ma Lucas aveva calcolato che quel punto, 87 milioni di anni più  tardi, si sarebbe trovato sull’oceano, e non sapevano quanto avrebbe impiegato la squadra di soccorso a raggiungerli. A bordo c’erano viveri sufficienti per una settimana.
Sullo schermo del plexpad campeggiva un grosso pulsante rosso con la scritta START.
Lucas lo premette.

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Il capitano scrutava l’orizzonte col termobinocolo elettronico, cercando di scorgere qualcosa che il radar poteva non aver visto. Ma sulla superficie piatta del mare non si scorgeva nessun battello.
-“Comandante, contatto visivo a babordo!”, gridò a un tratto il marinaio che lo affiancava, anche lui armato di binocolo. L’oggetto che aveva individuato non era però un battello di salvataggio, ma qualcosa che galleggiava a fianco della nave.
Un marinaio gettò fuori bordo una corda con un rampino fissato in cima, e tirò a bordo l’oggetto: un grosso telo di plastica, arancione fosforescente, con una lunga corda bianca che lo percorreva lungo tutto il perimetro, fissato a vari anelli di gomma nera. Portò il telo sul ponte, dove il comandante lo esaminò accuratamente. Non ci mise molto a trovare il logo della Phoenix Group, identico a quello che campeggiava enorme sul fianco della nave.
-“E’ uno dei nostri battelli. Allerti gli uomini, monitorate tutti i dintorni in cerca di naufraghi, il battellino deve essersi ribaltato, o forato…”
-“Sissignore!”, rispose il marinaio andando a istruire gli uomini.
-“Qualcosa è andato storto…”, mormorò tra sé.
-“Contatto visivo a babordo!”, esclamò una delle vedette.
-“Contatto visivo a prua!”, gridò un’altra.
Altri marinai stavano ripescando dalla superficie dell’oceano resti di altri battelli e oggetti vari. Nessun corpo.
-“Ma che diavolo è successo, qui?”, si chiese il comandante.

Il dispositivo di emergenza creato da Lucas aveva funzionato alla perfezione; i suoi calcoli erano stati precisi. L’intera squadra era stata trasportata istantaneamente dal -87 milioni al 2149, proprio nel punto dell’Oceano Pacifico che Lucas aveva predetto. 
Sul fondo dell’Oceano Pacifico, a 4000 metri di profondità.
Non c’era stato nessun sopravvissuto.








  
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