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Autore: alwaysabelieber    05/01/2012    2 recensioni
Grazie ad un'iniziativa scolastica, una tredicenne Italiana avrà la possibilità di ospitare, in casa sua, un coetaneo Americano. Un miscuglio di nazioni, cultura, e modi di fare. Il racconto di una grande amicizia destinata a diventare storia di un grande amore. Tutto deve, però, svolgersi in un solo mese. Quanti sogni possono realizzarsi in 31 giorni? E soprattutto, ne saranno davvero 31, o i due otterranno altre possibilità?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo aver salutato i miei compagni, e i loro rispettivi ospiti Americani, tornammo a casa in macchina, io e Justin occupammo entrambi i sedili posteriori. 
La mamma guidava e di tanto in tanto faceva qualche domanda a quel ragazzino, credo che si piacquero subito a vicenda. 
- e così sei Canadese? - gli chiese, guardandolo dallo specchietto. 
- Canadese e fiero di esserlo, sì - rispose Justin. 
- Sono sempre voluto venire in ltalia - continua, - mi ha sempre attirato, forse per le belle ragazze - ride da solo alla sua battuta e mi rivolge uno sguardo malizioso. Non ci metto più di un secondo a distogliere i miei occhi dai suoi. 
- Non guardarmi così - gli sussurro. 
- No? E sentiamo, perché? - alza un sopracciglio e ride, cavolo, l'ho detto dall'inizio che era buffo. Non gli rispondo.
Non appena la macchina si fermò, mi accorsi di aver perso il cellulare, non ci misi molto a capire che si trovava sotto il mio sedere. La porta si aprì da sola, un tantino perplessa scesi. 
- BU! - Justin si era nascosto dietro la portiera. 
- Idiota! - non posso fare a meno di ridere. Gli do uno schiaffo sul braccio, e lui sfreccia verso la porta d'ingresso di casa mia.
E' assurdo, è come se lo conoscessi da una vita, come se non stavo aspettando nient'altro che lui, che arrivasse a stravolgere i miei piani. Lo raggiungo e riesco a sorpassarlo.
- Vieni, Bieber, ti faccio vedere la tua stanza - lo tiro per il braccio, e inizio a correre, costringendolo a starmi dietro. 
- Ok, ok, vengo - mi dice col fiatone. - Ma dopo voglio vedere anche il resto, ci tengo eh - ride. 
Saliamo le scale ed atterriamo sul piccolo pianerottolo dove affacciano tre porte.
- Qui dentro - gli dissi, aprendo la porta sulla destra, ma prima di lasciarlo entrare lo fermai. - Quella - ed indicai la porta a sinistra, di fronte a questa, ora di Justin. - è la mia camera, e.. - 
Non mi lascia finire. - Ah, non dormiamo insieme? - mi fa una faccia supplichevole, lo guardo, come a sfidarlo di non ridere, ma subito perde. 
- Smettila! - rido anche io. - dicevo, questa porta al centro, invece è il bagno - 
- Perfetto, ho capito. Sono un tipo intelligente io - 
- Davvero? Io una tipa aggressiva invece. Ti dice niente? - gli sorrido.
Scherzo, ma non c'è bisogno di dirlo prima, lui lo sa, lo capisce, ha già imparato a conoscermi, a differenza di persone, che al contrario, mi sono amiche da una vita. 
- Quindi qui dormirai per un mese, se ti piace bene, se non ti piace cazzi tuoi - gli rivolgo una smorfia. 
Mi prende la mano e mi tira dentro la stanza. 
- Già lo conosco questo posto, io. Tranquillo - 
- Io no. Me lo potresti, gentilmente perlustrare, signorina? - mi pizzica una guancia. 
Gli rivolgo uno sguardo torvo, poi comincio. 
- Questo è il letto, quella la porta, quello l'armadio, tutto chiaro? si, ciao - gli stampo un bacio sulla guancia. E' morbidissima, liscia, perfetta, come lui. 
Corro nella mia stanza prima che Justin potesse fermarmi nuovamente. 
Avevo bisogno di stare da sola. 
Entrai e socchiusi la porta, mi stesi sul letto, a pancia in giù. 
Ebbi finalmente l'opportunità di mettere tutto in ordine, i pensieri, le idee, tutto. 
Come prima cosa, a me stessa ammisi che quel ragazzo mi piaceva, tanto anche. 
Non volevo farglielo capire, volevo stuzzicarlo, provocarlo con la mia freddezza, con la mia acidità, insomma, farmi desiderare. 
Se c'era una cosa che avevo imparato in quattordici anni di vita, è che maggiore è il desiderio di ottenere una cosa, più la si apprezza quando la si ha. 
Se, al contrario, una cosa la si ottiene facilmente, significa che non è poi tanto preziosa, tanto bella. 
Questa era la mia filosofia, ora, se avrebbe funzionato, non lo so, ma che l'avrei messa in atto, era poco, ma sicuro. 
Mi girai, stesa con la schiena, quando guardai verso la porta, potetti giurare di aver visto qualcuno, mi alzo e la spalanco, mi guardo in giro e per un attimo non vedo nessuno, poi mi giro e lo trovo lì, in piedi, spiaccicato al muro per non farsi vedere. Gli sbatto la porta in faccia, ci appoggio la bocca vicino ed urlo. 
- Questa, ad esempio, è una cosa che non devi fare - appiccico l'orecchio alla porta e lo sento ridere come un bambino. 

Di solito era la mamma che lo faceva, lei urlava quand'è che era pronto il pranzo, questa volta a farlo fu Justin.
- E' pronto, brutta - disse qualcosa a mia madre, da dov'ero qualcosa di indecifrabile. 
Attraversai il pianerottolo e percorsi il dritto corridoio. La porta della cucina era aperta, erano tutti seduti attorno al tavolo, anche il mio adorabile papà.
- Brutta… a me… non… lo… dici - gli dissi, riempendolo di botte e ridendo. 
- Ora fatti perdonare - mi disse. - Dammi un bacetto, uno di quelli tuoi - 
Lo guardai male, proprio non sapeva quand'è che era il momento di smetterla. Voglio dire, c'era anche mio padre. Ma con mia grandissima sorpresa, rideva di gusto. 
- Non se ne parla - gli risposi, poi andai verso papà e lo salutai con un abbraccio. 
C'era un'armonia diversa con quell'idiota a tavola, si potrebbe dire che era, se non fossi stata così maledettamente attratta da lui, il fratello che non avevo. 
- Allora, dopo ci facciamo una partita all' x-box? - gli chiede papà, gliela leggo negli occhi la felicità.
Io sapevo quanto aveva desiderato quel figlio maschio, quello che morì prematuro e che non ebbero mai il coraggio di provare a rifare. 
- Oh, solo se è l'ultimo modello - risponde Justin, la bocca piena, ma nonostante questo riesce a ridere. 
- E' l'ultimo modello, sono un fanatico almeno quanto te. E ti batterò Justin, lo farò - ride davvero, per la prima volta di fronte ad un mio amico. 
Ma con Justin era diverso, l'avevo capito dal primo istante, lui era diverso, aveva un non so che di speciale. 
- Non credo, davvero, non ci spererei troppo, signor Francesco - fu la risposta. 
- Insomma, la finite tutti e due? Che poi se voglio, gioco io e vi batto entrambi - 
Li vidi guardarsi con la coda dell'occhio, poi scoppiarono a ridere e si diedero il cinque. 
Sferrai un calcio sotto il tavolo, riuscì a colpirli entrambi, lo percepì dalla loro, dolorante, faccia. 
Rivolsi ad entrambi un largo sorriso, loro fecero lo stesso. 
Si alzarono non appena ebbero finito di mangiare e corsero in salotto a giocare.
- No ma tranquilli, tanto la tavola la togliamo io e la mamma, eh - urlai. 
- Ok, grazie - risposero Justin e papà all'unisono. 
La mamma mi strinse in un abbraccio e si avvicinò al mio orecchio.
- Ti piace, non è vero? Piace anche a me - mi fece l'occhiolino, era terribile la somiglianza tra lei e la nonna. 
Non diventai rossa dall'imbarazzo, né il mio viso s'infuocò, alla mamma ero abituata a dirle certe cose. 
- Perché mi conosci così bene? - le dissi, stampandole un bacio ed aiutandola a pulire la cucina. 
Dal salotto provenivano urli di esultanza, e sentì anche qualche parolaccia.
Quando finimmo di sistemare, scendemmo da loro. 
La mamma si stese sul morbido e lungo divano bianco, appoggiata al bracciolo, con il suo fedele libro. 
Io, al suo fianco, ad osservare papà e quel ragazzino che tanto era piaciuto sia a lui, che alla mamma.

  
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