Fanfic su artisti musicali > Nirvana
Segui la storia  |       
Autore: Melie Devour    05/01/2012    8 recensioni
«Come ti chiami?» mi chiese, senza muovere lo sguardo.
«Io? Alease.» risposi non molto prontamente. Dopo qualche secondo aggiunsi «E tu?»
«Io?» mi scimmiottò bonariamente «Io Kurt.»
Kurt. Eppure quella faccia la conoscevo, ma il nome non mi aiutava a ricordare. All'improvviso Kurt si piegò un po' in avanti con espressione dolorante, in silenzio.
«Va tutto bene?» Gli chiesi, ormai sinceramente preoccupata che potesse svenirmi davanti da un momento all'altro.
*Aggiunte illustrazioni fatte da me! *w*
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Pronto?»

«Mamma? Sono io..»

«Alease! Amore come stai? È successo qualcosa?»

«No, no. Volevo solo sapere come stavate.»

«Noi.. sì, stiamo bene.»

«Papà è lì accanto, vero?»

«Sì.»

«Come stanno Stef e Rudi?»

«Stanno dormendo. Stanno bene. Ora va', non voglio farti spendere troppi soldi.»

«Non è un.. Ok, hai ragione. Dai un bacio alle piccole, ok? Ho preso loro una scatola di matite nuove, gli piaceranno»

«Ok tesoro. Buonanotte.»

 

Riattaccai la cornetta alla parete. Kurt mi guardava sorridente dal letto. Io avevo gli occhi pieni di lacrime, ma ero felice di aver parlato con mia madre, dopo almeno due mesi. Lo ringraziai con un soffio di voce. Mi avvicinai alle buste della spesa e ne estrassi un pacchetto di patatine al formaggio. Lo aprii e sedendomi accanto a lui, gliele offrii. «Come ti senti?»

«Molto bene» cinguettò lui.

«Posso farti una domanda?» Lui annuì con la bocca piena di patatine.

«Cosa ci fai qui?»

Mi guardò smettendo di masticare. «Qui in un motel sperduto con due sacchi della spesa pieni di patatine, succo di arancia e cioccolato? Voglio dire, non sembra una sistemazione permanente. Allora che ci fai qui? Non hai una casa?»

«Io ce l'ho una casa.» Rispose lui àtono, che nel frattempo aveva mandato giù l'immenso boccone. «È da quella casa, che scappo.»

«Dalla casa o da quello che contiene?»

«Da tutti e due, in verità.» Addentò un altro paio di patatine.

«E perché fuggi?»

Lui abbassò il capo, rattristito. «Perché ho paura. Perché la mia vita mi ha travolto e ormai scorre da sé. E stando qui riesco a scordarmene. E sto qui anche perché ho fatto scelte molto sbagliate nel mio passato, e sono anche un po' arrabbiato con la gente.» Aveva l'aria di chi non vuole dire una parola di più, e mi accontentai.

«Kurt?» Dissi, buttando giù un boccone a mia volta «Penso di averti già visto da qualche parte ma non so perché. Tu sai niente?»

Lui sorrise e mentì «No, mi spiace.» Feci spallucce, prima o poi mi sarebbe venuto in mente. 

Kurt emise un grido soffocato all'improvviso, stringendosi il petto tra le braccia, coi pugni serrati, facendomi trasalire. Mi tesi verso di lui, senza dire niente. Stette in quella posizione qualche secondo, poi ad occhi chiusi aprì le braccia e mi ci strinse dentro. Mi abbracciò posando la testa bionda sulla mia spalla, e mi sembrò di sentirgli pronunciare qualcosa.

«Tu non sei la gente con cui sono arrabbiato. Queste ore sarebbero terribili se tu non fossi qui.»

Rinunciai a scoprire cosa lo affliggesse, ma capii che era un'anima delicata, così sensibile che avrebbe potuto soffrire per qualsiasi cosa. «Secondo me dormire ti farebbe bene. Potresti provarci.» Tentai.

Lui sciolse l'abbraccio, e con aria desolata annuì appena. Raddrizzò la schiena, si alzò, e con immensa fatica afferrò l'orlo inferiore del maglione di lana che portava, facendolo scorrere verso l'alto. I capelli biondi furono spazzati in su dal passaggio del maglione sulla sua nuca, e ricaddero in basso subito dopo, scarruffati se possibile più di prima. Rimasto con addosso una canottiera di cotone, camminò verso un borsone smorto e mezzo vuoto in un angolo e fu in quel momento che notai l'incavo del suo gomito destro. La pelle era gialla e bluastra, quasi tumefatta. Ebbi una fitta allo stomaco terribile. Mi alzai di scatto e mi avvicinai a lui. Gli presi il braccio, speravo di aver visto male. Lo guardai negli occhi, non mi aspettavo che fosse un drogato. Lui mi guardò con aria triste e ritirò piano il braccio. Tenendo la mia mano con la sua.

«Kurt.» Non rispose, ma si sedette sul lato del letto. Continuai.

«Cos'è.. cocaina?» Chiesi incerta, non avevo certo esperienza in materia.

«Cocaina? Ma no, la cocaina.. È ero.» "Ero", eroina. Ovviamente non era cocaina, che si sniffava. L'eroina si inietta nelle vene.

«È per questo che stai male, perciò. Quant'è che non ti fai? Qualche giorno?»

«Cinque ore.» Ormai non penso si vergognasse neanche più di ammetterlo «Diciamo che sono in piena crisi di astinenza.»

«E quando passerà?» Chiedi speranzosa. Lui rise alla mia ingenuità.

«I dolori passeranno tra ore. Ma starò male per tanto altro tempo.» E subito finito il pronostico, pronunciando una specie di "ouch", si buttò indietro sdraiato sul letto, di fianco ai nostri giacchetti.

«Voglio dirti la verità.» Mi disse rivolto verso il soffitto «Se tu non fossi qui, sarei sicuramente già uscito a cercare uno spacciatore. E lo avrei trovato.» Fece pausa di riflessione per qualche secondo e continuò. «Ma devo fare gli onori di casa.» Altra pausa. «Dopo avermi visto così, però, non penso che ti avvicinerai mai al mondo della droga» Pausa. «Perciò non puoi dire che non ti abbia salvato la vita, stasera.»

Lo guardavo, ancora in piedi accanto al suo borsone. «Neanche tu puoi dirlo.» Lo feci ridere.

Frugai nel suo borsone e ne estrassi una t shirt di cotone. Gliela lanciai sul viso. Lui fece un molto realistico grido di dolore agitando le braccia, poi lasciandole accasciate aperte, muscoli rilassati. «Colpito.»

Davanti a me non c'era un drogato. C'era una persona che aveva sofferto troppo per gli altri e troppo poco per sè stesso. Alzai il pacchetto di patatine dal letto, lo chiusi, e con l'altra mano liberai il letto dalle briciole. Posai la busta appoggiata alla tv che ancora ciarlava. Decisi di metter fine alle sue pene e premetti il bottone sotto lo schermo, e lei, con un botto di elettrostaticità, si spense. Per la prima volta guardai bene intorno a me. Sul mobile intorno alla TV e alle buste c'erano effetti personali vari, come qualche spicciolo, le chiavi della stanza ed una cintura arrotolata. Su di uno dei due comodini c'era una bottiglia d'acqua semipiena, e nell'altro un quaderno, un paio di penne a sfera e dei fogli sparsi, tutti interamente scritti, fino ai bordi, in una calligrafia infantile e quasi con schema di brainstorming, più che una riga sotto l'altra, il tutto accompagnato da una miriade di disegni e schizzi. Decisi di non leggerli, a lui avrebbe potuto non far piacere. Lui, da quando aveva parlato l'ultima volta non si era più mosso. Mi avvicinai piano, e appoggiando un ginocchio sul letto, allungai la mano per togliergli il panno dal viso. Si era addormentato con la testa girata e le labbra leggermente dischiuse. Beh, dopotutto per quanto ne sapevo io poteva non aver dormito per giorni di fila.

Tornai nei pressi del borsone di Kurt, sopra il quale c'era la finestra che dava su Aurora Avenue. Era buio pesto e metà dei lampioni non andavano. L'orologio alle mie spalle segnava le tre e mezzo. Abbassai lo sguardo e cercai una maglia e dei pantaloni da notte, non ne trovai e neanche me ne sorpresi. Così estrassi una t-shirt enorme. Mi girai un'altra volta verso di lui, per esser certa che dormisse davvero, poi velocemente mi sfilai la mia felpa e mi infilai la t-shirt. Mi arrivava a metà coscia. Ci pensai un attimo su, poi feci spallucce e mi sfilai agilmente scarpe e pantaloni, che piegai insieme alla felpa.

 


 

Raccolsi i nostri giacchetti e li ammassai su una sedia di legno e paglia accanto alla porta, poi tirai le tende della finestra sporca, smorzando l'unica luce che proveniva dal parcheggio esterno del motel, più forte di quanto non avrebbe dovuto.

Gattonai sul letto e senza fare rumore mi rannicchiai di fianco a lui, che essendo sdraiato diagonalmente, mi precludeva non poco spazio. Mi addormentai non molto dopo.

 

Aprii leggermente gli occhi quando mi sentii chiamare da vicino.

«Alease. Alease?» Grugnii un verso che doveva significare "Oh, Kurt, sei sveglio, dimmi pure. È successo qualcosa?"

«Alease, ho paura»

«Di cosa, Kurt?» Doveva essere passata mezz'ora da quando mi ero addormentata.

«Ho paura di uscire.» Non capii, poi realizzai. Era inginocchiato sul letto accanto a me, aveva il giacchetto addosso. Voleva uscire a cercare dell'eroina. Ma si era fermato, e mi aveva svegliata. Mi tirai su a sedere, e senza dir nulla, infilai le dita tra il cotone che copriva le sue spalle e l'impermeabile, sfilandoglielo.

 


Con la mano destra afferrai l'orlo delle coperte e le tirai. Poi posai appena la mano intorno alla pelle del suo avambraccio e non ebbi da tirare, lui mi venne dietro da solo. Mi sdraiai di fianco, portandomi lui dietro. Finalmente potevo appoggiare la testa al cuscino. Lui si sfilò le scarpe con i piedi, ed entrò sotto il lenzuolo. Impacciato si stese a pancia in su, con ogni muscolo e nervo del corpo tesi, gli occhi spalancati. «Ho paura.» Sussurrò.

Allora mi feci vicina, con il braccio gli avvolsi il torace, e la mia gamba girò intorno ai suoi jeans. «Se te ne vai mi sveglio.» Avevo già gli occhi chiusi. Avvicinai la bocca al suo orecchio, e dissi con un filo di voce «Non svegliarmi.»

Lui si girò verso di me, il suo naso ad un centimetro dal mio. Già dormivo quando sognai un bacio leggero dato a fior di labbra.

 

Mi svegliai con la luce del sole e la fronte appoggiata alla sua barba. La mia gamba era ancora intorno alla sua, e il giacchetto in terra. Non era uscito. Sciolsi il braccio dal suo petto e lo portai sopra il suo viso, scostandogli un ciuffo di grano dalla fronte. Lui mosse appena gli occhi emettendo un flebile suono. Gli sussurrai «Come ti senti?» in un orecchio.

Lui si destò un momento, si contorse un po' nel letto e poi borbottò «Sto bene.»

Io ero felice. Per me quella notte e il fatto di essermi svegliata con lui ancora a fianco costituivano una piccola vittoria personale contro il male del mondo. Sfiorai con la mano la sua guancia, e lo portai a voltarsi dalla mia parte. Entrambi ancora con gli occhi chiusi, lo baciai. Rimasi con il suo labbro tra le mie per qualche secondo, poi lui si staccò e subito tornò indietro, stampando le sue labbra sulle mie. 

Forse fu in quel momento che lui decise che poteva valere la pena di vivere questa vita.

 


Grazie d'aver letto fin qui! I disegni li ho fatti io e aggiunti in corso d'opera, l'ultimo è solo un bozzetto ma mi piaceva e l'ho aggiunto!
Fammi sapere che ne pensi! :3
~ Melìe Devour

  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Nirvana / Vai alla pagina dell'autore: Melie Devour