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Autore: Willow Whisper    05/01/2012    3 recensioni
God and his priests and his king
Turn their faces, even they feel the cold,
What you are given can’t be forgotten and never forsaken
What you are given can’t be forgotten and never forsaken
"Il paesaggio iniziò a scivolargli davanti agli occhi, veloce; alberi quasi del tutto privi di foglie, signore di mezza età vestite in modo colorato a spasso coi loro cani di piccola taglia, uomini coperti da lunghi cappotti che gli riportarono alla mente una vecchia figura vista su un libro di Sherlock Holmes, tenuto al sicuro nella splendida libreria di Arthur e che, proprio quest'ultimo, gli aveva letto più di una volta prima di metterlo a dormire, con quel suo caldo e fluido accento inglese che risvegliava in Alfred un'attrazione irrefrenabile".
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il giro del mondo in 80 giorni'
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Fever

Cold, Cold
(Freddo, freddo)

God and his priests and his king
(Dio e i suoi preti e i suoi re
)
Turn their faces, even they feel the cold,
(Voltano le facce, persino loro sentono il freddo,
)
What you are given can’t be forgotten and never forsaken
(Quello che ti è stato dato non si può dimenticare e non sarà mai abbandonato)

What you are given can’t be forgotten and never forsaken
(Quello che ti è stato dato non si può dimenticare e non sarà mai abbandonato)

Cold, cold
(Freddo, freddo)

Fever

Erano soltanto le sei di mattina quando in casa Jones squillò il telefono. America dormiva ancora, steso in modo scomposto tra le lenzuola tutte spiegazzate, macchiate da una Coca-Cola risalente ad almeno un paio di giorni prima.
Si decise ad aprire gli occhi solo dopo una decina di minuti, quando quel suono fastidioso gli era ormai entrato nel cervello interrompendo i suoi sogni e sovrapponendosi ad essi. Grugnì un "fuck" tra i denti e rotolò letteralmente fuori dal letto, cercando ancora con la vista offuscata le pantofole in cui infilare i piedi e scoprendo che una delle due s'era incastrata sotto al comodino. Sbuffò e alzandosi uscì fuori dalla sua stanza, sul corridoio, rispondendo al telefono con borbottio confuso e sommesso.
Dall'altro lato della cornetta, la voce educata del maggiordomo di Inghilterra lo informava che il Signore era stato colto di nuovo dalla febbre e che era più grave del solito.
«Più grave, dici?» Alfred spalancò gli occhi, svegliandosi del tutto.
«Sì, ho già chiamato un medico, ma il Signore ha insistito affinché vi informassi che non sarebbe potuto essere presente al prossimo incontro con voi e gli altri rappresentanti degli Stati...»
«Arrivo subito! Prendo il primo volo per Londra, Rob!» riagganciò e corse di nuovo nella sua camera, vestendosi senza troppa attenzione per i dettagli: una t-shirt della sua squadra di baseball preferita, un berretto rosso come le sue luride Converse e dei jeans tutti strappati.

Alla fine andava sempre a finire così.
Aveva preteso l'indipendenza eppure dipendeva ancora da lui, in un modo che non é per niente facile da spiegare.

Il viaggio fu così lungo che ad America sembrò di non giungere mai a destinazione. La bella hostess che girava tra i sedili dei passeggeri della prima classe si era soffermata più di una volta su di lui, regalandogli qualche fugace sorriso che agli occhi di altri poteva sembrare solo d'ordinanza e per almeno tre o quattro volte dall'altoparlante si era sentita la voce di una sua collega che raccomandava i viaggiatori di non alzarsi e di godersi il volo.
Certo, come no, pensava Alfred.
Una volta a terra il dinamico ragazzo americano corse a prendere un taxi, buttando sul sedile posteriore la sua tracolla riempita con solo un ombrello per evitare gli sbalzi di tempo inglesi e un paio di hamburger schiacciati nella carta da forno.
«Abbey Road. In fretta per favore!» disse al tassista, per poi scivolare in modo scomposto contro lo schienale e poggiando la testa al vetro, rinfrescandosi la fronte.
Il paesaggio iniziò a scivolargli davanti agli occhi, veloce; alberi quasi del tutto privi di foglie, signore di mezza età vestite in modo colorato a spasso coi loro cani di piccola taglia, uomini coperti da lunghi cappotti che gli riportarono alla mente una vecchia figura vista su un libro di Sherlock Holmes, tenuto al sicuro nella splendida libreria di Arthur e che, proprio quest'ultimo, gli aveva letto più di una volta prima di metterlo a dormire, con quel suo caldo e fluido accento inglese che risvegliava in Alfred un'attrazione irrefrenabile.
«Accidenti a te, Alfred...» si passò una mano sul viso e si chiese perché doveva essere così.
Cosa lo spingeva a tornare da Inghilterra ogni volta? Cosa, chiuso nel suo energico cuore, batteva con forza i pugni per cercare di uscire? Era stato lui a volerlo, no? Lui aveva detto addio a quel Paese, a quelle nubi gonfie d'acqua, a quella splendida casa in cui era cresciuto e...a quell'uomo così solo e con lo sguardo perennemente triste a cui era sempre stato difficile strappare un sorriso.

Il taxi fermò la sua corsa.

In un attimo America fu fuori dall'auto, dopo aver lasciato più di quel che doveva al tassista e scavalcando con un balzo il cancelletto che divideva il piccolo giardino inglese dalla strada pubblica. Bussò con forza, trattenendo il fiato e mostrando un enorme sorriso, ritrovandosi a guardare da qualche centimentro in più di altezza il volto segnato dal tempo di Robert, il maggiordomo con cui aveva parlato al telefono.
Quello vedendolo sembrò sorpreso. Balbettò un rapido 
«Signorino, che piacere rivederla. Mi aspettavo che ci mettesse di più ad arrivare...» e qualcos'altro, che Alfred non si fermò ad ascoltare.
Non aveva notato quell'elegante cappotto beige sistemato sull'attaccapanni vicino all'ingresso.
«Certo Rob, certo...vado da Arthur» sorrise, interrompendo in modo sbrigativo l'uomo e salendo di sopra, facendo le scale a due a due per arrivare poi davanti alla porta della sua stanza. Prese fiato, sfiorando il legno scuro e gli splendidi ghirigori che lo avevano affascinato sin da bambino, poi entrò senza neanche bussare.

Un fulmine non sarebbe stato più veloce. Qualcosa dentro di lui si frantumò, ed era proprio quel qualcosa che fino a pochi attimi prima premeva per uscire. Una sensazione di freddo inspiegabile e atroce aveva iniziato a pervaderlo, come se stesse annegando in un oceano ghiacciato.
Le mani di Arthur erano strette delicatamente sopra la testa da quelle di Francis, che stava giocando con le sue labbra, mordendole e baciandole; non un solo gesto sembrava suggerire ad Alfred che l'inglese non volesse ricambiare, anzi.
Quegli enormi occhi verdi sempre così spenti erano chiusi in una dolce espressione di arrendevole soddisfazione e quella bocca sempre distorta in qualche smorfia era invece travolta da fugaci sorrisi divertiti.
«Je suis ici pour toi, mon chère. Seulement pour toi...(*)» quella voce era così seducente, e calda! America si disse che non avrebbe mai avuto chance contro Francia, così raffinato e pieno di quel fascino che a lui, venuto dal Nuovo Mondo, mancava. Cosa poteva uno Stato giovane e maldestro contro l'esperienza e la sicurezza dimostrate dal suo rivale?
Arthur rise e mormorò, sospirando 
«Smettila di parlare francese, vinofilo...» prese fiato e aggiunse «E non approfittartene. Quando sarò guarito...»
«Tornerai a trattarmi male, giusto?» Francis si lasciò sfuggire un sorrisetto, iniziando a mordicchiargli un orecchio, poi aggiunse in un soffio «Allora spero che questa febbre non ti passi troppo in fretta».
«You are so...stupid!» borbottò Inghilterra, senza cattiveria, lasciandolo fare. Voltò la testa e vide la porta aperta.
Ricordava di aver sentito Francia chiuderla, dopo essere entrato.

America aveva sceso le scale, tremando, coi pugni stretti. Aveva salutato a mezza bocca Robert, già pronto ad aprirgli la porta, ed era uscito sotto la pioggia appena iniziata senza neanche tirar fuori l'ombrello dalla sua tracolla, camminando a passi svelti e poi iniziando a correre.
Tutti, almeno una volta nella vita, hanno ringraziato l'acqua scesa dal cielo per aver nascosto le lacrime. Quella fu la volta di Alfred Jones, che mentre si allontanava da Abbey Road promise a sé stesso di vincere la sua guerra personale contro Francis poiché gli aveva appena concesso di trionfare nella battaglia.


(*Sono qui per te, mio caro. Solo per te)






Spazio autrice: ._.
Insomma...dovevo scriverla! La scena in cui Arthur ha la febbre e Francia gli rimane accanto é !
Comunque...passando alle spiegazioni...mh.
Questo come avrete capito é un perfetto triangolo amoroso U_U sono fantastici, tutti e tre i personaggi, poiché nessuno é mai esplicito nel rivelare i propri sentimenti, anche se Bonnefoy é degno di nota per i suoi perversi tentativi
.
Di solito preferisco le FrUK e penso che anche con questa ff si sia notato (visto che a baciare Inghilterra é Francia e non America), ma volevo iniziare a inoltrarmi nella mente di qualcuno con cui non avevo ancora sperimentato in nessuna fanfiction e Alfred era il terzo sul podio delle mie preferenze (seguiranno presto Antonio e Lovino ).
Spero che vi sia piaciuto leggere questa storia e che gradirete quelle che scriverò in futuro, non solo su questi tre^^
Cordiali e calorosi saluti :3
Etienne
P.s.: Abbey road. Piccolo tributo ai Beatles, alle loro canzoni e alla musica made in England(♥)





















   
 
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