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Autore: alwaysabelieber    05/01/2012    1 recensioni
Grazie ad un'iniziativa scolastica, una tredicenne Italiana avrà la possibilità di ospitare, in casa sua, un coetaneo Americano. Un miscuglio di nazioni, cultura, e modi di fare. Il racconto di una grande amicizia destinata a diventare storia di un grande amore. Tutto deve, però, svolgersi in un solo mese. Quanti sogni possono realizzarsi in 31 giorni? E soprattutto, ne saranno davvero 31, o i due otterranno altre possibilità?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La settimana passò velocemente, e assieme ad essa io e Justin coltivammo sempre di più il nostro rapporto, rendendolo, giorno per giorno, più profondo ed intenso.
Avevamo entrambi imparato a conoscerci, a volte c'erano stati addirittura dei momenti in cui ci fissavamo, senza parlare. Ascoltando uno i silenzi dell'altra. 
Eravamo andati a visitare tanti posti, e tra una chiacchiera e l'altra, lui mi aveva promesso che, prima della fine del mese, molto attento a non farmi sapere una data precisa, mi avrebbe fatto ascoltare la sua voce. 
Questo pomeriggio saremo scesi con Valentina e Georgia, la sua nuova amica. 
Justin mi aveva accennato di voler chiedere di uscire anche ad un suo compagno, Ryan, ospite del mio migliore amico. 
Gli avevo detto che per me era indifferente e così, ora, ognuno di noi era nella propria stanza a prepararsi. 
Avevo già fatto la doccia, e sentito l'acqua gelida scorrere sul mio corpo. 
Ora ero alla solita scena: braccia incrociate rivolte verso le ante aperte dell'armadio. 
Alla fine, scelsi di mettere un vestitino blu elettrico. Era stretto nel suo lato superiore, ma aveva un rigonfiamento, come una sorta di palloncino che partiva dalla vita alle ginocchia. Infilai le ballerine al piede e mi truccai al solito modo leggero. 
Spalancai la porta della mia camera e mi diressi verso quella di Justin.
- Ti muovi? - urlai, appoggiata con un fianco al muro - possibile che sia io a dover sollecitare te? - 
- Eccomi, scusa, dovevo farmi ancora più bello - allungò la mano avanti al suo viso e finse che fosse uno specchio - Ok, può andare - rise come un pazzo.
Non potetti fare a meno di ridere anche io. 
Aveva indossato una felpa larga, bianca che però sfumava nel celeste, e portava la stessa targhetta della prima volta che lo vidi, aveva un bermuda largo e marrone, e delle scarpe di gran lunga più grandi dei suoi piedi. I capelli spettinati erano in parte coperti da un cappellino, anch'esso marrone.
Era il suo stile, e gli donava.
- Dai, andiamo, è già tardi - gli camminai avanti, non sentivo rumore di passi dietro di me e mi girai. Justin era rimasto fermo, imbambolato. 
Gli andai incontro e gli diedi una spintarella. 
Niente, continuava a restare lì, come un coglione. E per di più mi guardava a bocca aperta. Lottavo con me stessa per cercare di fare la seria, ma era impossibile, avrei sfidato chiunque a non ridere per più di un minuto alla presenza di quel ragazzo. 
- Che c'hai? - gli chiesi, mentre continuavo a ridere.
- Niente, sei bella. Tutto qui - mi disse, con una perfetta sfacciataggine, come se dirlo non gli fosse costato niente, neanche un pò di imbarazzo.
Abbassai lo sguardo, sentì un calore invadermi il viso. 
Justin fece qualche passo avanti e si fermò non appena fu a pochi centimetri da me, mi tirò su il viso con la mano e subito dopo ci guardammo intensamente, per qualche minuto, forse. Sentivo il suo respiro sulla mia bocca, il suo naso che sfiorava l'estremità del mio. 
Fui sollevata quando la voce di mia mamma rimbombò fino a dov'eravamo, perché quella scena mi aveva messo imbarazzo, e per giunta, dovevo lottare con me stessa per non cedere alle sue soffici labbra.
Ci guardammo per un altro istante, poi scendemmo assieme le scale, accompagnati dal sonoro scricchiolio del legno di cui erano fatte. 
- Noi andiamo, ciao mamma - urlai, con la speranza che mi avesse sentita.

Stavamo aspettando che un tavolo per sei persone si liberasse fuori ad un pub nei paraggi, non ci avevamo messo parecchio ad arrivare, o almeno, con Justin al fianco era stato più piacevole di quando ci venivo da sola. 
- Prego ragazzi, il vostro tavolo - esordì il cameriere, la mano volta ad indicare l'unico tavolo libero in un giardino dietro il locale, sistemato sotto un gazebo. 
Ci fece strada e ci sedemmo, occupammo solo quattro posti perché Valentina era, come suo solito, in ritardo. 
Fu solo in quel momento che passammo alle presentazioni. 
- Ryan, lei è Alessandra, chiamala Ale altrimenti s'incazza - sghignazza Justin rivolto verso il suo amico. 
Gli accenno una smorfia, mista in una risata e afferro la mano che Ryan mi pone.
- Oh, allora piacere Ale, pronuncia bene il mio nome altrimenti picchio Justin - mi dice Ryan. E' più idiota dell'amico. Poi continua. 
- Justin, questo è Francesco, chiamalo come cazzo vuoi - ride e da uno schiaffetto al mio migliore amico. 
Cacciai il cellulare dalla tasca, ignorando le voci di quei tre attorno al tavolo, che un secondo mi entravano nella testa, e quello dopo tornavano ad uscire. 
Digitai il numero di Valentina, con un'espressione leggermente adirata, e attesi una sua risposta. Dopo una serie di squilli, aveva attaccato. 
Mi resi conto del motivo solo quando la vidi girare l'angolo, seguita da Georgia. 
Si sedettero, Valentina accanto a me e Georgia dall'altro lato, accanto a Justin, che si girò immediatamente per stamparle un sonoro bacio su tutte e due le guance.
La cosa mi infastidì, ma più di tutto mi saliva il sangue alla testa nell'osservare il modo in cui lei lo guardava, lo divorava con lo sguardo e ovviamente lui apprezzava. 
- Posso portarvi qualcosa, ragazzi? - ci chiede improvvisamente il cameriere, un blocchetto in mano per segnare le nostre richieste. Tutti finirono per chiedere una coca alla spina, compresa me. 
- Perfetto, allora sette alla spina, arrivano subito - ci rivolse un gran sorriso e riportò dentro i Menù sparsi sul nostro tavolo. 
La presenza di quella ragazza che non aveva neanche avuto il buon senso di presentarsi, aveva sovrastato di gran lunga la mia, ed era evidente dato che Justin non mi degnava neanche più di uno sguardo, conservando i sorrisi migliori per lei. 
Ero incazzata nera, e chi, se non la mia migliore amica, poteva accorgersene?
- Ehm, scusate, noi andiamo un attimo in bagno - disse Valentina, piatta.
Mi afferrò la mano e mi costrinse a seguirla, raggiungemmo il bagno e una volta che ci fummo assicurate di non essere alla portata di orecchie indiscrete cominciò.
- Cos'hai? - mi disse, l'aria preoccupata.
- Cos'ho? No ma dico, lo vedi? E già, come si fa a non vedere che è fottutamente preso dall'amichetta tua. Ah, ma io uccido sia lei che lui. Prima lui però. Li sbrano! - cacciai tutto quello che avevo dentro, con la mia migliore amica mi veniva naturale, tutto era più semplice, fu lei a cacciarmele quelle parole di bocca.
- Calmati Ale, non sta andando giù neanche a me tanto quella lì, sai. Da quanto mi hai raccontato vi piacete a vicenda, sceglierà te, alla fine - disse, stringendo entrambe le mie mani. 
- Se sceglierà me, è soltanto perché riceverà un rifiuto da lei. Ma io non sono la fottuta seconda scelta di nessuno. Basta, non mi va più di parlarne. Andiamo - le dissi, prendendo iniziativa, aprì la porta del bagno con tutto lo sdegno del mondo e tornai al tavolo altrettanto sdegnata. 
Justin era lì, che faceva il casanova con lei proprio come almeno un'oretta fa lo faceva con me, le aveva stretto il viso tra le mani e le aveva stampato un bacio sulle labbra, non curandosi minimamente della mia presenza. 
Tirai la sedia verso di me, che quasi cadde a terra per la forza con cui l'afferrai. 
Bevvi quella coca con malavoglia, riservando la mia parola solo a Valentina, l'unica che la meritava. 
- Brutta, mi hai lasciato solo soletto - mi disse Justin dall'altra parte del tavolo. 
Sentì le vene pulsarmi rabbiose ovunque, serrai i pugni e tentai di ignorarlo, proprio come lui aveva fatto con me. 
Feci come se non esistesse finchè non ebbi terminato la mia coca, salutai Valentina con un sussurro, lasciai una banconota da cinque euro sul tavolo, e senza dire una parola mi alzai. 
La strada al ritorno era fredda e buia.
Lacrime minacciavano di rigare il mio viso, ma non glielo impedì, mi avrebbero aiutato a sfogare. 
Mentre proseguivo per il lungo viale, pensai che l'errore che avevo commesso era crearmi delle aspettative su quel ragazzo.

  
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