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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    06/01/2012    1 recensioni
[MimiWoSumaseba][MissingMoments][SeijiCentric]
Partecipante al Miyazaki Prompt Contest e classificatasi PRIMA.
Seiji è partito per l'apprendistato a Cremona e, presso il liutaio che lo ospita e gli fà da mentore, conosce la nipote di lui, la quale gli insegnerà qualcosa di molto importante.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore: SHUN DI ANDROMEDA/KungFuCharlie
Fandom: Mimi Wo Sumaseba
Personaggi: Seiji Amasawa, OCs
Rating: Verde
Avvertimenti: OneShot
Genere: Introspettivo, Generale, Romantico
Introduzione/riassunto: Seiji è partito per l'apprendistato a Cremona e, presso il liutaio che lo ospita e gli fà da mentore, conosce la nipote di lui, la quale gli insegnerà qualcosa di molto importante.
 

WHISPER OF THE HEART

La poca luce, che si spandeva nel piccolo e disordinato laboratorio, rendeva le forme degli oggetti, disposti sugli scaffali strapieni e sui banchi da lavoro, simili a quelle di fantastiche creature, colorando d'oro i trucioli di legno abbandonati sul pavimento e dando all'ambiente quel tocco magico che tanto lo faceva somigliare a un quadro fiammingo.

Un'ombra umana, snella e agile, s'affaccendava nell'alone di luce della lampada, appesa poco sopra la grande tavolata in fondo alla stanza mentre un piccolo, e obsoleto, giradischi, nell'angolo più estremo alla sinistra del banco da lavoro, mandava fuori dalle sue casse una vecchia partitura per violino: certo, i più esperti l'avrebbero riconosciuta come eseguita da una delle più famose orchestre italiane, ma neppure loro avrebbero mai immaginato che i violini che la eseguivano erano stati tutti creati e plasmati su quel medesimo piano ligneo, su cui il giovane allievo Seiji Amasawa lavorava.

Una settimana.

Tanto era trascorso da quando il treno da Milano l'aveva depositato nel centro di Cremona, a neppure due ore dall'atterraggio del volo che da Tokyo l'aveva portato in Italia.

Sette, lunghi giorni, in cui la sua terra natale sembrava così lontana e nebulosa, ogni volta che ripensava a lei, in quei rarissimi momenti di nostalgia; un alternarsi frenetico di soli e lune che avevano scandito il suo soggiorno presso mastro Ghinini e sua nipote Letizia.

Un'importante famiglia di liutai, quella dei Ghinini, di cui la ragazza, sua coetanea, e il nonno di lei, Maurizio, erano gli ultimi esponenti: amici di vecchia data, conosciutisi durante un festival proprio lì in Italia, il nonno di Seiji e il nonno di lei erano rimasti continuamente in contatto.

E l'apprendistato di Seiji non era stato che un nuovo, importante tassello nei rapporti tra le due famiglie.

Le ombre della notte calavano sempre troppo in fretta, per il ragazzo, che si rendeva conto, ogni giorno di più, della difficoltà nel creare strumenti perfetti: troppe erano le cose da imparare, troppi erano gli ostacoli che si paravano sul suo cammino.

Ma ciononostante, la guida esperta dell'anziano liutaio contribuiva non poco a semplificargli le cose.

E anche Letizia non era da meno.

Stiracchiandosi, il giapponese si lasciò andare a un'innocente sbadiglio, mentre i suoi occhi assonnati indugiavano sugli attrezzi sporchi di segatura e le narici erano piene del penetrante odore di trementina e vernice, i cui barattoli aperti erano poggiati al centro del disordinatissimo tavolo, che Seiji aveva eletto come suo laboratorio sin dal suo arrivo.

Su un banchetto più basso, erano impilati una serie di fogli e libri, accanto a quaderni di appunti compilati in una fittissima calligrafia hiragana.

Una cosa era certa: il ragazzo prendeva estremamente sul serio quell'apprendistato.

All'improvviso, con una giravolta elegante e il grembiule sporco che volteggiava con lui, Seiji si voltò verso la porta della bottega: aveva sentito un rumore, come un cigolio.

Che fosse entrato qualcuno?

Anche il fruscio della puntina sulla superficie lucida del vinile s'interruppe, rompendo la multicolore bolla di sapone che sembrava aver inglobato come un sogno la realtà del giapponese, in quella manciata di minuti.

Senza paura, in un italiano un po' incerto, si rivolse alle ombre: “Chi c'è?” chiese, asciugandosi le mani nell'ampia superficie di tela.

Una risata femminile s'udì dal piccolo ingresso, prima che la figura di Letizia, coi suoi foltissimi capelli rossi e il viso punteggiato di lentiggini, e macchie di vernice, comparisse nel cono di luce della lampada: “Mi stavo chiedendo dove ti fossi andato a infilare, avrei dovuto immaginare subito di trovarti qui.” dichiarò lei, rifacendo la coda che le legava i folti ciuffi color della fiamma.

Seiji scoppiò a ridere: “È che la tua ultima lezione mi ha lasciato molto perplesso.” ammise lui, tornando a sedersi sul basso sgabello ed esaminando attentamente gli appunti, “Volevo capire, anche a costo di passarci la notte.”.

Letizia mise su un'espressione imbronciata: “Si, e poi chi lo sente il nonno, se domattina mentre mescoli la vernice ti addormenti? In ogni caso, la tua insegnante è qui, tormentala con tutte le domande che ti frullano per la testa!” esclamò con entusiasmo, sporgendosi oltre la spalla del ragazzo.

Lui le puntò addosso i grandi occhi scuri, pieni di aspettativa e curiosità.

Cosa vuol dire << Sentire i sussurri del legno allo stesso modo di quelli del cuore >>? Tu mi hai detto che è necessario essere in grado di sentirli, per capire come intagliare il legno, e per capire anche le persone. Ma come si fa?”.

Per un attimo, Letizia restò interdetta: di tutte le cose che aveva spiegato in quei giorni, si era aspettata che quella fosse stata la più facile da comprendere, per Seiji; in effetti, tutti i procedimenti di carteggio del legno e di intaglio delle sagome reputava fossero molto più complessi e bisognosi di spiegazioni, non un concetto così semplice.

Poi però scosse la testa con rassegnazione: doveva ammettere però che anche per lei, all'inizio, capire quel particolare insegnamento del nonno era stato difficoltoso, non poteva biasimarlo.

Con pazienza, si levò il grembiule, gettandolo in un angolo, e gli si sedette accanto.

Poi, poggiò sul petto del ragazzo la sua mano sottile e con l'altra prese in mano un cubo di legno massiccio, abbandonato nel cumulo di trucioli e avanzi sparsi per il pavimento, chiudendo infine gli occhi.

Sotto le sue dita, sentiva il battito del cuore del ragazzo attraverso la stoffa e, al tempo stesso, sentiva anche il pulsare della vita, un fievole sussurro quasi, provenire dall'oggetto apparentemente inanimato.

Poi, con un gesto rapido, la ragazza prese lo scalpello e cominciò a picchettare gentilmente sulla superficie grezza del cubo: come ipnotizzato da quei movimenti, Seiji restò a fissarla per parecchi minuti, mentre davanti ai suoi occhi, a poco a poco, prendeva forma ciò che la ragazza voleva mostrargli.

Era meraviglioso, come se, davanti a sé, stesse sbocciando un fiore, dalle forme complesse e incredibilmente raro.

Dopo quella che il ragazzo, a malapena, riuscì a quantificare come un'ora trascorsa lì, tra le mani della giovane era comparso un violino.

Certo, era appena abbozzato, grezzo e poco rifinito, per non parlare del fatto che fosse solo una sorta di statuetta, come quella del Barone, ma agli occhi di Seiji sembrava il più grande miracolo dell'universo.

Trionfante, Letizia lo sollevò, depositandolo tra le mani tremanti e aperte del giapponese.

Ecco quello che intendevo.” annunciò lei con un sorriso.

Ma l'occhiata di Amasawa era più confusa di prima.

Vedo che non hai compreso...” borbottò la ragazza, scuotendo la testa sconsolata: “Ascolta bene. Il legno è vivo, non importa che sia inanimato.” cominciò, giocherellando con lo scalpello, “Il compito del liutaio è quello di saperlo ascoltare, di riuscire a intuire quale sia il punto ideale per intaccarlo e così cominciare a lavorarlo, per creare i violini. Riuscire a sentire i sussurri del legno è lo stesso che sentire quelli del cuore, sia del proprio che delle altre persone, così da interpretare quale sia il punto ideale per 'intaccarle' e riuscire a trovare un punto di contatto. Non c'è un vero e proprio metodo per sentire questi sussurri, bisogna trovare da sé la strada. È un po' come vivere.” gli spiegò.

Seiji sembrava pensieroso.

Il legno è come il marmo. Per fare una scultura, l'artista sa esattamente da dove cominciare perchè riesce a sentirne il soffio vitale. Allo stesso modo, noi liutai dobbiamo essere in grado di sentire quello del legno. Non quelle tavolette da nulla, di compensato!” sembrata infervorata mentre lo diceva: “Sarebbe troppo facile... Il gioco funziona solo col legno massiccio, e nient'altro. Solo quando ci sarai riuscito, avrai superato la prova.”.

Seiji era rimasto basito, senza parole quasi.

Così... Era quello che doveva fare per superare la prova del suo apprendistato?

Comunque non preoccuparti, hai ancora parecchio tempo! Vedrai che non ti ci vorrà molto a capire, hai la stoffa del liutaio, mio caro. Fidati del mio giudizio, devi solo... Come dire... Accordare le corde del violino del tuo cuore e drizzare le orecchie.”.

Il sorriso della ragazza era contagioso e, per un attimo, nella mente di Seiji, si sovrappose a un altro, molto lontano da lì, fisicamente parlando, ma da quando era arrivato in Italia, non si era mai allontanato dalla sua mente.

Shizuku gli mancava tantissimo.

Si era reso conto di quanto veramente fosse importante solo dopo aver posato i piedi sull'asfalto, appena sceso dalla scaletta dell'aereo: in quel momento, si era sentito come sull'orlo di un baratro, sperduto.

La lontananza da casa, la sensazione di avere il fiato spezzato in gola...

Ma la sua espressione imbronciata della sera in cui avevano cantato e suonato assieme aveva spazzato via ogni paura, ogni preoccupazione, e gli aveva dato la forza di muovere quei primi, sudatissimi passi sul suolo italiano.

E da quel momento, era stato come un piccolo faro verso cui dirigersi nelle difficoltà di ogni giorno.

Ehi, bella statuina. Svegliati. Non dormire in piedi come i cavalli, o ti mando veramente a stare nella stalla con loro!”.

La risata comprensiva di Letizia riscosse all'improvviso Seiji dal suo torpore, facendogli abbassare lo sguardo imbarazzato.

Stavi pensando alla tua bella?” lo canzonò lei, improvvisando alcuni passi di danza sul parquet ingombro di trucioli: lo spostamento d'aria della sua gonna generava piccoli vortici di segatura che, vuoi per la luce che li investiva, vuoi per l'atmosfera quasi magica, a Seiji sembravano quasi assumere lo splendore dell'oro.

Forza, andiamo a letto, che domani ti aspetta una giornatina niente male!” esclamò poi la ragazza, afferrandolo per il polso e trascinandoselo dietro, malgrado le vivaci proteste dell'apprendista a rimbombare nel laboratorio ormai deserto.

§§§

Letizia lo lasciò davanti alla porta della stanza degli ospiti, augurandogli la buonanotte e intimandogli di svegliarsi presto, il mattino seguente: “Non sognare troppo, mi raccomando! O il nonno domattina se la prenderà con me!” rise lei, sparendo poi nella propria camera.

Con un sospiro stanco, Seiji entrò, buttandosi di peso sul letto senza neppure levarsi il grembiule ma beandosi dell'odore di pulito che emanava la federa del cuscino su cui aveva affossato il viso.

Non aveva neppure acceso la luce, e dopotutto a cosa sarebbe servita?

Se chiudeva gli occhi, poteva vederla da sé.

La finestra con le tendine di pizzo, i muri dipinti di bianco, il grosso armadio in noce in fondo, accanto alla porta...

E il comodino accanto al letto.

Si prese qualche istante per gustarsi la vista delle lunghe e minuziose lettere, disposte in bell'ordine sulla superficie, che suo nonno gli aveva mandato da casa; ormai le sapeva a memoria.

Era un debole legame col Giappone, ma finchè durava era ben contento: anzi, sperava che giungesse presto un'altra lettera.

Sentendosi improvvisamente stanchissimo, il ragazzo si levò il grembiule, buttando poi i vestiti alla rinfusa sul pavimento, prima di recuperare il pigiama da sotto il cuscino: un minuto dopo, era già sprofondato nel mondo dei sogni, popolato da cubi di legno, cuori pulsanti, e il vento, simile al canto di un violino, che gli sussurrava qualcosa di inintellegibile all'orecchio.

Ma era certo che sarebbe riuscito a capirlo, prima o poi.

Era la sua missione, il suo obiettivo.

Di lettere, nei giorni seguenti, non ne arrivarono, e ciò, anche se frustrava e preoccupava il giovane apprendista, d'altra parte lo spronava a impegnarsi sempre più seriamente nel lavoro: mastro Ghinini era una persona esigente ma i suoi insegnamenti avevano spalancato a Seiji un mondo sterminato come il cielo.

L'uomo era soddisfatto di come le cose stavano andando con il suo allievo: non era stato raro, per Letizia, sentire il nonno parlare del moro con entusiasmo agli amici liutai del circondario e ogni volta che accadeva, la ragazza correva a tutta velocità nel laboratorio, dove sapeva esserci il giapponese, e gli raccontava tutto.

Lei era fiera di lui.

Trascorse infine anche la seconda settimana e fu proprio il lunedì mattina della terza che Seiji trovò, fuori dalla porta di casa, una candida busta.

Era appena sorta l'alba e il postino doveva essere passato da poco, forse anche una manciata di minuti.

La raccolse e si precipitò in casa, salendo a due a due le scale e facendo probabilmente un chiasso indiavolato: ma voleva leggere quella lettera senza avere nessuno tra i piedi, e la sua camera gli sembrava il luogo ideale.

Si ributtò tra le coltri stropicciate, stringendo al petto la busta vergata nella calligrafia stentata del nonno.

Concessosi un minuto per riprendere fiato e regolarizzare i battiti del cuore, con mano tremante, andò ad aprire delicatamente la busta: lesse avidamente ogni singola parola e lettera scritta sul leggero foglio di carta all'interno, bloccandosi infine su una frase in particolare, che aveva attratto la sua attenzione per alcuni kanji fin troppo familiari.

La prima volta che li aveva visti erano stati scritti da una mano infantile, non da quella di un vecchio, ma l'emozione che provava era la stessa.

Shizuku-san ha deciso di mettersi alla prova, come te. Mi ha detto che scriverà un racconto e che vuole utilizzare il Barone come protagonista. È una brava e volenterosa ragazza.”.

A quelle parole, Seiji ebbe un tuffo al cuore, seguito da un'insolita sensazione di calore: se anche lei si era decisa a fare una cosa del genere, allora lui non doveva essere da meno, non poteva assolutamente permettersi di sbagliare.

Doveva arrivare in fondo a quell'apprendistato, riuscire a risolvere il quesito di Letizia.

Ancora inebetito dalla notizia, restò a fissare il soffitto per qualche minuto, godendosi il silenzio di una Cremona ancora addormentata mentre, dalla finestra lasciata aperta, oltre al vento entrava anche la luce dell'alba.

Poteva vedere un lembo di cielo dorato dalla sua posizione.

Certo, non era bello come quello che vedeva dal suo “posto segreto”, dalla sua tana, ma in un certo senso contribuiva a rafforzare la sua risoluzione: “Voglio portarci Shizuku, voglio farle vedere lo spettacolo della foschia argentata mentre viene spazzata via dal Sole!” annunciò a voce alta.

E voglio chiederle di...”

Quest'ultima frase la mormorò a fior di labbra, sentendosi subito dopo le guance in fiamme per l'imbarazzo, spezzandola alla fine: non riusciva quasi a pensarla, figuriamoci a dirla, una cosa del genere.

Però una cosa era innegabile.

Lui, Shizuku la amava.

Se n'era reso gradualmente conto in quei giorni: si era ritrovato più volte a canticchiare o fischiettare quella sua Concrete Roads, o Country Rods - non era mai stato molto ferrato in inglese - e a pensare a lei sempre più spesso.

A poco a poco, aveva compreso che il sentimento che provava non poteva essere altro che amore, come quello dei romanzi che lui e lei avevano letto, inseguendosi per la biblioteca a suon di racconti e libri.

E aveva deciso che l'avrebbe sposata e resa felice!

Sarebbe diventato un mastro liutaio e l'avrebbe amata per sempre!

È questo ciò che mi dice il cuore!” annunciò al Sole ridente al di là del vetro mentre balzava in piedi e s'affacciava alla finestra: “Io sposerò Shizuku!”.

Nessuno gli rispose, si udivano solo gli uccellini che fischiettavano infastiditi per il suo chiasso.

Allegro come mai si era sentito in vita sua, Seiji spuntò un nuovo giorno sul calendario e uscì dalla camera, dirigendosi al piano di sotto della casa senza accorgersi della presenza di Letizia che, nell'ombra del corridoio, esultava.

Dai che sei sulla buona strada, Seiji.”

§§§

Un mese.

Era trascorso un mese, aveva ancora davanti a sé una trentina di giorni, e l'allegria della lettera ormai era sfumata: sentiva di avere ormai la soluzione a un passo da lui, eppure questa continuava a sfuggirgli!

Ed era certo che Letizia sapesse cosa doveva fare, quel suo ghignetto perennemente sulle labbra lo confermava!

Ma, ciononostante, la ragazza si ostinava a tenere la bocca cucita e a non lasciarsi sfuggire neppure il più piccolo indizio o suggerimento.

No, in effetti un consiglio glielo aveva dato, ma era più contorto e sibillino dei discorsi degli yokai nei libri di favole che gli leggevano da bambino.

Non aveva assolutamente tempo da perdere.

Come già all'inizio del soggiorno, aveva sempre più spesso preso a rinchiudersi nel laboratorio, in compagnia del piccolo violino che Letizia aveva intagliato e di un cubo di legno della stessa grandezza e fattura di quello da cui era nata la statuetta.

A volte, si dimenticava anche di mangiare.

Letizia, all'ennesimo vassoio lasciato intonso, si lasciò andare a un sospiro rassegnato: “I maschi sono proprio stupidi e ciechi, vero, Paganini?” borbottò lei con fare da sorella maggiore, quella sera, rivolgendosi al pasciuto gattone rosso che sonnecchiava sopra il pendolo nell'ingresso di casa.

Questi le soffiò contro, disturbato nel suo pisolino ma la pigrizia gli impediva di alzarsi e punirla adeguatamente: si limitò a voltarsi dall'altra parte, agitando la coda con fare regale e scatenando nella ragazza un violento accesso di risa, che rimbombarono un po' per tutta l'abitazione.

Poi, lei gli si avvicinò, accarezzandogli affettuosamente le orecchie: “Certo che da Paganini hai preso solo il nome, non hai neppure un briciolo della sua irrequietezza.” brontolò.

Sei pigro come un gatto di casa qualunque.” concluse soddisfatta, sparendo subito dopo in cucina con il vassoio in precario equilibrio sulla mano; il micio sembrò quasi ignorarla anche mentre si allontanava ma, non appena ella fu scomparsa al di là della porta, lui spalancò gli occhi e balzò giù dal suo letto improvvisato, muovendosi elegantemente verso il laboratorio, con le brillanti pupille a scrutare il buio e le sue ombre.

Nel piccolo ambiente dove si trovava, Seiji era, come al solito, seduto alla scrivania, più ingombra di fogli che mai: era concentratissimo, si vedeva, e il gatto, agitando piano la coda, lo osservava con curiosità, domandandosi forse il perchè di tutta quell'agitazione. In fondo, la soluzione era così semplice da dare...

Con un balzo elegante, si portò sotto la luce della lampada, proprio davanti al giovane apprendista: lo scrutò con severità, cercando di attirarne l'attenzione con bassi miagolii ma il giapponese non sembrava sentirlo.

Frustrato, il felino si avvicinò a lui, graffiandogli la mano e facendogli fare uno sgorbio sul foglio.

Seiji sobbalzò, frastornato e dolorante, mentre Paganini gli puntava addosso i penetranti occhi luminosi.

Per un attimo, Amasawa pensò di avere davanti il Barone: quello splendore era così simile a quello delle pupille del tesoro del nonno...

Scusa...” borbottò il ragazzo, massaggiandosi il dorso ferito: “Non volevo ignorarti, davvero.”.

Il bel pelo rossiccio dell'animale sembrò gonfiarsi per il disappunto mentre questi, sfregando la morbida testa contro il cubo in legno, spargeva lunghi peli un po' dappertutto.

Con un sospiro stanco, Seiji gli fece due carezze, parlandogli a bassa voce: “Sono proprio stanco, lo sai, Paganini-kun?” gli disse in giapponese, “Più ci penso e più non riesco a venire a capo del quesito di Letizia...” brontolò, guardando con espressione vacua l'oggetto dei suoi crucci, “Che diavolo vuol dire sentire i sussurri del legno al pari di quelli del cuore??? A sentire lei, è tutto facilissimo e banale, ma non mi sembra proprio!” sbottò esasperato lui, buttando per terra tutto con una manata.

Il micio lo guardò impassibile, come a dirgli: “E ora? Ti senti meglio dopo tutto questo?”.

Quel rimprovero silenzioso da parte dell'animale imbarazzò non poco il moro che, calmatosi, tornò a sedersi.

Mormorando qualche parola di scusa, cercò di tornare al lavoro ma la mente era da tutt'altra parte, assorbita dalle preoccupazioni: e se non fosse riuscito a capire?

Se i sussurri del legno non fossero stati comprensibili per lui?

Avrebbe dovuto rinunciare al suo sogno, e di conseguenza al sogno di sposare Shizuku?

Prese in mano quel dannato cubo, esaminandolo nuovamente da ogni angolo e soppesandolo, stringendolo tra le dita: era normalissimo, anche chiudendo gli occhi e concentrandosi, come aveva fatto la sua coetanea, non riusciva a cavare un ragno dal buco.

In quel momento, però, si accorse che Paganini lo stava fissando con vivo interesse, leccandogli con la linguetta rosata la punta delle dita e mordicchiandogli i polpastrelli: sulle prime, pensò che volesse solo attirare la sua attenzione per giocare, ma poi ricordò che la pigrizia ai limiti del possibile era la caratteristica più pregnante del felino.

E se volesse invece fargli notare qualcosa?

L'interesse del ragazzo si fece spasmodico nei confronti dell'animale mentre questi, allungando la zampina, sfiorò con gli artigli la foto di Shizuku a poca distanza.

Che fosse un caso il fatto di averlo visto soffermarsi maggiormente sulla mano sinistra della ragazza, in particolare sul suo anulare.

Vuoi dirmi che...?

Il gatto annuì.

Seiji era stupito: se era veramente così, allora era già arrivato alla soluzione da un pezzo senza essersene accorto!

Per sentire ciò che il legno ha da dirti devi aprire il tuo cuore, e per farlo devi essere in grado di sentire quello che lui stesso ha da dirti. Per questo ti ho detto che è un po' come vivere.”.

La voce divertita di Letizia precedette la comparsa della ragazza dalle ombre.

Nel tuo caso, la soluzione era talmente ovvia che mi sono stupita del fatto che non te ne sia accorto prima! Insomma, hai praticamente urlato la soluzione a tutti i cremonesi che dormivano beati.” rise lei, prendendo in braccio Paganini: “Ora vediamo cosa sai fare.” gli disse con tono serio, ammiccando verso lo scalpello.

La prova durò tutta la notte: concentrato com'era, Seiji non si accorse del trascorrere del tempo fino a quando non sentì la sveglia di mastro Ghinini suonare dal piano superiore. Lui e la ragazza sobbalzarono spaventati, facendo cadere a terra con un tonfo attutito il povero micio, addormentato sulle ginocchia della sua padrona.

La fronte del giapponese era imperlata di sudore e aveva il fiato mozzo per la stanchezza: aveva lavorato per tutta la notte, ma finalmente aveva concluso.

Chiedendo mentalmente scusa al felino, Seiji esaminò il piccolo violino, perfettamente intagliato, alla luce della lampada.

Era perfetto.

I particolari, la cassa armonica... Anche le corde erano state rifinite alla perfezione.

Con orgoglio, sempre tenendo tra le dita la propria creazione, il ragazzo prese in mano quella di Letizia e glieli passò entrambi con espressione di sfida.

Quella manciata di minuti da lei impiegati a confrontare le due opere furono i più lunghi della vita di Seiji.

Poi venne la sua risata, sincera e allegra, e il giapponese capì che aveva vinto.

§§§

Le settimane, da allora, si susseguirono frenetiche.

Sempre più spesso, Letizia e Seiji si chiudevano nel laboratorio, intenti ad armeggiare con qualcosa che mastro Ghinini non riusciva a comprendere fino in fondo.

Ma si fidava di loro, sapeva, aveva capito a sua volta, quanto potenziale veramente Seiji avesse e se la nipote aveva preso così a cuore il suo apprendistato, allora il giapponese aveva veramente le possibilità per diventare qualcuno.

E lisciandosi la barba, ogni volta che si allontanava dalla porta chiusa, non poteva fare a meno di pensare, con curiosità, a quale fosse stata la strada intrapresa da Amasawa per “sentire” il legno.

La passione che il ragazzo ci metteva, nel suo lavoro, gli aveva dato un indizio: il suggerimento che, probabilmente, era l'amore ad averlo spinto in avanti. E in quello erano molto simili, quasi uguali.

Anche per lui era stato così.

Ora, tutto quello che doveva fare era attendere.

E l'attesa non sarebbe durata a lungo.

§§§

Nonno, dobbiamo farti vedere una cosa.”.

La voce di Letizia suonò timida e stanca, quella sera, quando lei e Seiji raggiunsero l'anziano artigiano nel salotto, riscaldato dal caminetto.

L'uomo si alzò, guardandoli con attenzione e paterna apprensione dipinta sul viso rugoso.

I due ragazzi si tenevano per mano, Amasawa aveva con sé una lucida custodia da violino.

Seiji ha finito il suo strumento, e vorrebbe farti sentire un pezzo.”.

Mastro Ghinini sgranò gli occhi ma non disse nulla mentre il giapponese, poggiata la scatola sul tavolo, prese in mano la sua nuova creatura: con la cura di un padre alle prese con il primo figlio appena nato, allo stesso modo l'apprendista sfiorava leggero il ponte e la cassa dello strumento, il legno lucidato e dipinto aveva ancora un vago sentore di trementina.

Socchiuse gli occhi, trattenendo il fiato per un attimo soltanto mentre, nella sua mente, si materializzavano come per magia le note della canzone, accompagnate dalla voce che più di tutte desiderava risentire.

Nel momento esatto in cui aveva riaperto gli occhi, l'archetto semplicemente era partito, scivolando con maestria sulle corde tese.

E mentre suonava la canzone che Shizuku gli aveva fatto conoscere, sul violino nato dai sentimenti che provava per lei, Seiji aveva una sola ed unica certezza.

Quel sentimento era la sua Country Road, la strada che lo avrebbe portato nuovamente da lei, che aveva permesso tutto quello.

La sua strada.


§§§

Prima classificata: SHUN DI ANDROMEDA “Whisper of the heart” con punteggio 46,5
 

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A) Lingua italiana: 9
Non ci sono errori di grammatica basilare, solo alcuni accenti invertiti (acuti invece che gravi, e Word questi li segnala, come mai non li hai corretti?). Un altro punto che mi ha stonato un po’ è la punteggiatura alla fine del discorso diretto. Questo è un punto caldo e dolente, nel senso che ogni scrittore di fanfic utilizza un metodo tutto suo, ci sono accesi dibattiti sull’argomento e non sempre se ne viene a capo. Ciò di cui sono sicura è che la punteggiatura si può mettere dentro o fuori le virgolette, ma ad ogni modo, basta che venga messa una volta sola. Ad esempio:

“È questo ciò che mi dice il cuore!” annunciò al Sole ridente al di là del vetro mentre balzava in piedi e s'affacciava alla finestra: “Io sposerò Shizuku!”.


Qui il punto non ci va, alla fine, perché hai già chiuso con il punto esclamativo alla fine della frase.
O ancora:
Comunque non preoccuparti, hai ancora parecchio tempo! Vedrai che non ti ci vorrà molto a capire, hai la stoffa del liutaio, mio caro. Fidati del mio giudizio, devi solo... Come dire... Accordare le corde del violino del tuo cuore e drizzare le orecchie.”.

Anche qui, hai messo due punti. Io toglierei quello fuori, perché c’è già dentro; altri preferiscono mettere la punteggiatura fuori; scegli tu, ma mettine uno solo (e segui lo stesso criterio in tutta la fanfic!)

B) Padronanza ed esposizione dei contenuti: 9
Sembra quasi che tu sappia come si costruiscano violini! Hai utilizzato, in ogni frase, le giuste parole e con la sicurezza di chi è avvezzo del mestiere. Mi piace quando un tema così particolare ed insolito viene affrontato con tanta padronanza, perché questo rende la lettura fluida e non lascia dubbi al lettore.
Per quanto riguarda la parte invece “sentimentale” della vicenda, l’ho trovata un po’ ingenua e smielata (l’amore che gli fa trovare la direzione giusta), ma in molti casi questo fa parte di Miyazaki, quindi posso passartela.
L’utilizzo del prompt è ottimo, perfettamente funzionale alla vicenda senza essere fastidioso.
Un unico punto interrogativo riguarda il gatto: inizialmente dici che è nero come la pece, poi che ha il pelo rossiccio. È vero che alcuni gatti neri hanno la base del pelo, quella vicino alla cute, simile al fulvo, ma detta così la tua sembra una svista; se intendi mantenere i due colori, forse dovresti aggiungere una brevissima frase che spiega i riflessi rossi.

C) Stile ed espressione: 10
Nulla da ridire, l’ho trovato efficacissimo ed adatto alla vicenda; è buona l’impalcatura generale del racconto, che è abbastanza lungo, e mi è piaciuta in particolare l’idea di cominciare con una musica (quella del grammofono, con i violini costruiti in quello stesso laboratorio) e di finire, alla stessa maniera, con la musica (il violino di Seiji). La chiusura in particolare è secondo me ben fatta, per niente retorica o scontata. Anche la lunga descrizione iniziale è affascinante, il pulviscolo e i giochi di luce sembrano quasi reali.

D) Originalità: 10
Non credo siano molte le fanfic su questo fandom, e questo sicuramente ti ha dato una marcia in più; del resto, credo sarebbe stato più banale rappresentare la storia d’amore, magari qualche anno dopo, tra Shizuku e Seiji, mentre tu hai deciso di affrontare il tempo che lui passa da solo in Italia, mostrandoci la sua lotta per crescere e migliorarsi (visto che nel film ci viene mostrata solo quella di lei). È una bella idea, ed apprezzo anche molto che tu ti sia impegnata nel creare dei personaggi originali caratterizzandoli con attenzione (mi riferisco soprattutto a Letizia).

E) IC e coerenza interna: 8,5
Seiji è molto simile a quello del film, l’ho trovato IC quanto basta. Il liutaio compare pochissimo, quindi è impossibile per me valutarlo, mentre Letizia è un personaggio molto vivo e simpatico, e sembra decisamente un prodotto di Miyazaki; in particolare mi ha ricordato (non so se ti ci sei ispirata anche tu) la ragazzina protagonista di Porco Rosso. I due ragazzi fanno sicuramente discorsi che sono un po’ troppo elevati e contorti per l’età che hanno (mentre nel film una delle cose che ho apprezzato è proprio la loro semplicità ed a volte ingenuità), ma è l’unica pecca che ho riscontrato. Il gatto è un personaggio simpatico, e mi piace perché riprende uno degli elementi chiave del film; sicuramente però è poco credibile ed un po’ troppo “umanizzato”, quando indica a Seiji come trovare la sua strada.

   
 
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