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Autore: Sten__Merry    06/01/2012    6 recensioni
Una mattina qualunque, il sole, lo strepitio della gente e due occhi scuri.
*
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Antony Costa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci!
La befana quest'anno porta un nuovo capitolo della FF!
Spero vi piaccia quanto gli altri, spero di vedere tanti vostri commentini!
Un basì.
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___


“Kerry, ci sei?” chiesi alzando la voce non appena spalancai la porta, lei spuntò dalla camera da letto tenendo in bocca una penna blu

“Cassie, ciao!” esclamò entusiasta avvolta in un abito rosso a fiori gialli, lasciando cadere la biro sul divano. Io sorrisi calorosa, poi, sporgendo leggermente le labbra nel vago tentativo di farle tenerezza, le chiesi una mano a portare in casa le valigie, lei accettò.

Non appena si sporse oltre il pianerottolo la vidi bloccarsi e girarsi verso di me incredula

“Cinque? Come diavolo riuscivi a fare entrare tutta questa roba in una stanza d'albergo?” chiese, io alzai i pollici sorridendo

“Sono una campionessa a Tetris” scherzai, lei rise e iniziò a trascinare in casa le grosse borse.

“Complimenti per la performance di ieri” dissi boccheggiando mentre lasciavo cadere l'ultimo pesante bagaglio, lei mi ringraziò calorosamente

“Com'è andata con quel ragazzo?” chiese camminando verso la cucina, la seguii, ci sedemmo al bancone che separava la sala dall'angolo cottura l'una di fronte all'altra.

Per tutta risposta le rivolsi un sorriso a trentadue denti

“Così bene?” chiese lei, fingendosi sorpresa, io mi chiusi nelle spalle e annuii velocemente più di una volta chiudendo gli occhi, lei scoppiò a ridere

“Sembri un cartone animato giapponese” sentenziò, smisi di fare oscillare la testa senza però smettere di sorridere. Appuntai mentalmente di controllare la mia goffaggine se mai avessi voluto sedurre Andrew.

“Ci siamo baciati” spiegai, non la lasciai replicare e continuai a parlare “E' stato magico. Sai, un po' come nei film d'autore. Quando tutto sparisce, quando il bacio non è il preludio di null'altro, quando ci sei solo tu per lui, e lui per te.” spiegai quasi sognante, lei annuì impressionata

“Deve essere davvero un tipo fantastico se riesce a far sentire così una ragazza con un solo bacio” presi un bel respiro ed annuii

“così pare” dissi prendendo la tazza di té che la ragazza mi stava offrendo per poi berne velocemente un sorso

“Sembra che le cose ti stiano andando bene, no?” commentò lei “casa, lavoro, e ora pure l'amore.” annuii

“Questa città si sta dimostrando davvero generosa con me” spiegai

“Probabilmente lo meriti. Credi nel karma?” chiese, io scossi il capo

“Sono un tipo scettico” spiegai

“Io ci credo, invece.” mi interruppe con un repentino gesto della mano “e sono certa che hai fatto qualcosa per meritarti tutto questo” sorrisi per l'ennesima volta. Mi augurai che avesse ragione.

“Ti ho fatto una copia delle chiavi” disse lei, cambiando discorso “Così sarai davvero di casa” la ringraziai calorosamente.

Lei si congedò dicendo che era in ritardo per il lavoro ed uscì in tutta fretta.

Osservai la stanza in cui mi trovavo e ne rimasi soddisfatta. Sapevo che non avrei potuto fare scelta migliore.

La posizione era fantastica, la coinquilina gentile e il posto pulito, pensai, mentre lavavo le tazze da cui avevamo appena bevuto.

Sì, le cose stavano andandomi davvero bene.

Passai le seguenti ore a mettere e togliere vestiti dall'armadio cercando di organizzarli secondo un ordine logico per facilitarmi nella scelta la mattina, solo dopo molti tentativi capii che una mente come la mia, che in quei giorni viveva solo momenti di inconstanza, non poteva riuscire ad organizzare razionalmente nulla, neppure un semplice armadio.

L'ironia in tutto questo era che fino a pochi giorni prima, la razionalità era stato un mio tratto caratteristico, qualcosa che tutti indicavano sia come un mio pregio che come un difetto, ma da quando avevo incontrato Andrew sentivo che stavo radicalmente cambiando e stavo lasciando al mio cuore le redini della mia vita.

Da quel momento avevo camminato sempre un metro sopra le nuvole, felice, sorridente, sognante.
Riposi nel cassetto più in basso l'ultima T-shirt, poi infilai le valigie dietro la porta ed uscii di casa.

Scovai un supermercato a poche centinaia di metri da casa, l'insegna blu accesso sembrava sfidare sfacciata il grigiore del cielo di Londra.

Presi un respiro profondo e iniziai a vagare tra le corsie con lo sguardo smarrito, non c'era cosa al mondo che odiassi di più che dover far conoscenza con un nuovo negozio, affrontando le persone decise che sfrecciavano da un lato all'altro dell'edificio con sicurezza. Mi facevano sentire come una bambina lenta e goffa in un parco giochi in cui tutti i bambini si conoscevano già.

Sbuffai e pazientemente scelsi dagli scaffali i prodotti e le pietanze di cui avrei avuto bisogno, rimasi sorpresa dall'enormità di tempo che impiegai a compiere quella semplice operazione e mi ritrovai a salutare la cassiera solo un paio d'ore dopo con la testa che martellava e gambe e schiena doloranti.

La luce del giorno contrastava con quella artificiale che illuminava il negozio e, appena uscita, mi ci volle qualche istante per abituarmici.

Stinsi gli occhi per affrontare la differenza di luminosità tra i due ambienti, un leggero giramento di testa mi spinse a sedermi su una delle panchine nel piazzale asfaltato che fronteggiava l'edificio da cui ero appena uscita.

Mi appoggiai al freddo marmo e il contatto mi causò un brivido gelido per tutta la schiena.

Infilai una mano in tasca con foga e ne estrassi un pacchetto azzurro di sigarette a basso costo, ne accesi una, e ricacciai l'accendino nei jeans quasi pugnalandomi la gamba.

Scossi la testa infastidita per quell'improvviso cattivo umore, causato da un'attività comune come fare la spesa.

Chiusi gli occhi aspirando intensamente, slanciai la testa all'indietro come a guardare il cielo, e chiusi gli occhi, pronta a lasciare uscire tutto lo stress. In quel momento suonò il telefono.

“Cassandra?” la voce di Andrew mi accarezzò calda l'orecchio. Le nubi tornarono a sorridere. Presi un respiro profondo

“Sì?” risposi fingendomi calma, mi morsi le labbra, pentendomi di aver replicato in maniera così impersonale

“Io oggi inizio a lavorare piuttosto tardi, sei libera nel pomeriggio?” mi mordicchiai nervosamente un'unghia

“sì” mugugnai dimenticando di allontanare la mano dal viso “pensavo di passare la giornata a cucinare qualcosa per ringraziare Kerry della gentilezza” spiegai, dall'altro lato del telefono mi sembrò di percepire un sorriso

“Ti serve una mano?” ricambiai il tono gioviale. mentre fissavo il vuoto sentii che i miei occhi iniziavano a brillare di felicità.

“Ti mando l'indirizzo per sms” dissi, il tono quasi sognante.

Non feci quasi in tempo a riattaccare che già stavo digitando un veloce messaggio di testo con le coordinate della mia abitazione.

Mi accorsi che il mio umore era diametralmente cambiato, non riuscivo a smettere di sorridere al solo pensiero di trascorrere la giornata con lui.

Anche quando, durante il percorso verso casa, una delle borse della spesa si ruppe facendo andare in mille pezzi una bottiglia di vino, mi strinse nelle spalle e tappando la falla sommariamente con le mani continuai a camminare serena, senza quasi imprecare.

*

Un'ora più tardi aprii la porta abbracciata da un vestito nero che non fasciava il corpo, lo spallino lasciato cadere morbido sulla spalla.

“Entra” dissi sorridendo, facendogli un cenno di accoglienza con il braccio sinistro, lui annuì e mosse un passo verso di me. Un veloce bacio sulla guancia di benvenuto.

“Sei bellissima” mi disse con la voce quasi strozzata “ti vesti sempre così quando stai in casa?” chiese poi divertito.

Mi strinsi nelle spalle

“Volevo recuperare per le condizioni in cui mi hai trovata ieri sera” confessai fissandolo con uno sguardo reso più intenso da una pesante linea di eyeliner sulla palpebra superiore

“Ci sei riuscita” replicò lui con la voce di qualche tono più basso, avvicinandosi pericolosamente a me. Sentii il profumo della sua pelle avvolgermi, fruttato e aromatico così come lo avevo imparato a conoscere.

Non riuscii a far nulla quando le sue labbra toccarono le mie.

Con le braccia lungo il corpo, incapace di muoverle, mi limitai ad alzarmi in punta di piedi e ricambiare avida il suo tocco, gli occhi ancora spalancati.

Mi cinse con un potente abbraccio all'altezza della vita e mi sollevò, finalmente chiusi gli occhi.

Strinsi leggermente i denti sul suo labbro inferiore e sorrisi

“Mi sembra di volare” dissi sognante, ancora assorta in quel bacio.

Lui si allontanò di pochi centimetri con il viso, gli occhi socchiusi, mi fissò senza dire nulla, poi, improvvisamente, mi stinse di nuovo e mi abbracciò forte, il suo naso appoggiato alla mia clavicola.

Prese un respiro profondo, quasi cercassi di immagazzinare il mio profumo, poi, delicatamente, mi posò a terra. Iniziai a ridacchiare imbarazzata.

“Allora sei pronto a sporcarti le mani?” chiesi dissimulando noncuranza cercando di smorzare la tensione.

Lui annuì

“Ma oggi non ti permetterò di trovare scuse per defilartela” lo avvertii lanciandogli una ciotola a mo' di frisbee

“Sappi che sono negato” rispose lui avvicinandosi al bancone della cucina dopo aver preso al volo il recipiente azzurro

“Inizi già a trovare scuse!” affermai con la testa nell'armadietto in cui erano contenuti gli attrezzi da cucina.

Lui sbuffò

“Poi non dire che non ti avevo avvertita” replicò.

Prima di rimettermi in piedi alzai lo sguardo e lo vidi che si passava nervosamente il palmo della mano sulla nuca

“lo fai spesso, lo sai?” esclamai rialzandomi senza spostare lo sguardo da lui

“cosa?” chiese sorpreso, ridacchiai

“la mano sul collo, la premi forte, come fanno i bambini” spiegai cercando di trasmettergli tutta la tenerezza che quel gesto mi suscitava, poi continuai “non te l'ha mai fatto notare nessuno?”

lui spalancò gli occhi incredulo

“sei davvero un'ottima osservatrice. Gente che mi conosce da anni non l'ha mai notato, tu invece in una sola settimana hai sezionato le mie abitudini” mi strinsi nelle spalle

“credo che nella vita ci siano delle persone affini. Io e te lo siamo.” dichiarai sicura, stringendo però le braccia attorno al corpo.

Avevo deciso di scommettere su noi con queste parole. Per la prima volta mi sbilanciai, esponendomi di fronte a lui, mi sentii nuda e solo allora mi accorsi che con i movimenti del corpo avevo creato una barriera tra noi, quasi a difendermi da quella che sarebbe stata la sua risposta

“forse hai ragione. Forse è davvero così semplice e non importa quello che facciamo, sento che io e te torneremmo sempre ad avvicinarci”.

Colpita e affondata.

Un battito del cuore un po' più forte all'udire quelle parole accompagnò il sorriso che si stava formando sul mio volto. Mi avvicinai a lui

“non vedo perché dovremmo allontanarci” sussurrai baciandolo dolcemente sulle labbra che sapevano di mandorla, lui annuì pensieroso

“già, perché dovremmo?” rispose poi lasciando in sospeso la frase, alzai un sopracciglio confusa, poi sorrise, io mi sciolsi e lo baciai di nuovo rapida.

“Su, prendi le banane, pelale e schiacciale” ordinai porgendogli una forchetta “Non dovresti riuscire a far troppi danni” scherzai, lui, per tutta risposta, mi mostrò la lingua. Alzai le braccia in segno di resa facendogli notare che era stato a lui a dirmi che era negato in cucina.

Misi del burro in un recipiente, aggiunsi lo zucchero ed iniziai a lavorarlo con lo sbattitore elettrico. Il compito non richiedeva particolare attenzione così iniziai a guardarmi attorno.

Vidi Andrew armeggiare con la banana, la lingua leggermente stretta tra i denti, ridacchiai

“Che c'è?” chiese lui, una punta di irritazione nella sua voce

“Nulla” dissi fingendomi vaga “E' che non pensavo che un omone grande e grosso come te non sapesse sbucciare la frutta” scherzai

“Non è che non so farlo, è questa banana che è particolarmente ostinata” rispose stizzito, io ridacchiai, spensi lo sbattitore e con un coltello incisi impercettibilmente la gialla buccia del frutto che Andrew teneva fra le mani. Tornai al mio compito.

“Prova ora” gli consigliai, il tono dolce, ma lo sguardo malizioso. La banana si aprì senza il minimo sforzo, lui sbuffò ed io scoppiai a ridere. Lui mi fulminò con lo sguardo

“Dai su, è divertente” lo esortai, lui scosse la testa fissando il muro di fronte a sé. Inclinai leggermente la testa verso sinistra, arricciai le labbra e sbattei le ciglia qualche volta

“Su, Andrew” gli bastò un'occhiata e scoppiò in una fragorosa risata

“Sembravi quell'esserino fastidioso della Valle Incantata” disse, fu il mio turno di sbuffare

“Ci risiamo?” chiesi “E vorrei farti notare che non solo mi hai paragonata a un'animale, ma mi hai paragonata a un animale estinto, morto, kaput” dissi tirando fuori la lingua da un lato fingendomi grottescamente priva di vita e chiudendo gli occhi.

Prima che potessi riaprirli sentii qualcosa di freddo e vagamente viscido scivolarmi sulla schiena. Spalancai gli occhi.

“Non l'hai fatto” dissi scuotendo la testa fingendomi infuriata, in realtà trovavo la scena esilarante, lui prese a ridacchiare mentre io cercavo di mantenere una certa dignità nello sfilare la banana sbucciata dal retro del vestito “Se ti prendo, questa banana conoscerà posti che non avrebbe mai voluto conoscere” lo minacciai, lui iniziò a correre per casa, io a cercare di fermarlo.

Tre ore più tardi stavamo sfornando dodici squisiti muffin alla banana e cioccolato, dopo aver pulito la cucina ed esserci baciati stesi sul pavimento perdendo la cognizione del tempo.

“Che buon profumo!” esclamò avvicinandosi alla teglia incandescente, il suo telefono suonò, gli diede una veloce occhiata “Scusami, è Simon. E' per lavoro” spiegò spostandosi di qualche passo da me

“Cazzo!” lo sentii imprecare “ho perso la cognizione del tempo. Arrivo subito”, mi guardò leggermente intristito

“Devo andare” si scusò, io annuii

“Spero di non averti fatto far tardi” lui si avvicinò per baciarmi

“In effetti sì” disse prima che le nostre labbra si unissero per l'ennesima volta quel giorno “ma ne è valsa la pena” sorrisi

“Che vai a pensare?” continuò “Mica per te, per i muffin” disse infilandosi la giacca, agguantò un dolcetto appena sfornato e fece per uscire. Non appena appoggiò la mano sulla maniglia della porta si girò verso di me un'ultima volta

“Davvero sono stato bene” sorridendo, annuii

“Anche io” Non sai quanto, pensai.

   
 
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