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Autore: Dony_chan    06/01/2012    8 recensioni
La storia è ambientata dieci anni dopo rispetto agli avvenimenti attuali.I vari prototipi dell'APTX4869 non hanno avuto riscontri positivi, anzi: gli anticopri di Shinichi Kudo sono addirittura diventati immuni al farmaco sperimentale. Cosa ne sarà dei nostri protagonisti?
Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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What If..?
6.

 

Estraggo dal mio cassetto una vecchia foto che conservo ancora gelosamente. Si tratta dell’ultima che ho scattato assieme a Shinichi, il giorno stesso in cui è cominciato a sparire.
Ci trovavamo al Tropical Land per festeggiare la mia vittoria ai campionati di Karate giovanili.
Avevamo quasi diciassette anni, quindi la foto andrà più che bene.
La trovo nascosta tra le ultime pagine del romanzo che, a parer mio, ci rappresenta di più: Cime Tempestose.
La guardo sentendo un forte buco allo stomaco. Sono passati otto anni da quando l’ho tolta dal mio comodino, ma la ricordo ancora perfettamente in ogni piccolo particolare.
Lancio un’occhiata all’orologio, prima di buttare giù in un sorso la mia vodka. Sono le quattro della mattina. Devo proprio essere pazza.
Sento la testa girarmi appena, ma mi costringo a tenere gli occhi aperti. Sono tre giorni che non faccio altro che pensare a questa eventualità, e non mi rimane altro che controllare.
Da un secondo libro, che mi ha regalato Conan per il mio venticinquesimo compleanno estraggo una foto che ci ritrae insieme. L’abbiamo scattata a giugno, quando siamo partiti assieme a Sonoko e a Makoto per una gita al mare. Qui ha sedici anni.
Bevo un altro sorso della vodka, dandomi della stupida.
Questa ‘prova’, come la chiamo io, è del tutto inutile. Il volto di Shinichi me lo ricordo a memoria, come se fosse stato ieri quel maledetto giorno passato al Tropical Land.
Ma forse ho bisogno di vedere nero su bianco. Di avere una conferma fuori dalla mia confusione. Ho sempre pensato che quei due si assomigliassero troppo, anche per essere solo parenti alla lontana. Forse ho solo finto di non capire. Forse ho celato troppe verità a me stessa.
Alla fioca luce della mia abat-jour avvicino le foto e rimango fissa sul volto di Conan, che sorride all’obbiettivo accanto a me e a Sonoko.
Con un enorme sforzo faccio scorrere lo sguardo e mi fisso ora sul volto di Shinichi.
Torno a guardare entrambi e mi affiorano le lacrime, mentre sento il mio stomaco contrarsi violentemente.
Mi alzo di scatto dalla scrivania e nella foga la bottiglia di vodka si frantuma a terra rilasciando una forte puzza di alcol.
La mia nausea aumenta e sento lo stomaco collassare, mentre mi ritrovo a carponi sul pavimento, in un bagno di sudore.
 
 
Guido con rabbia fino alla città di Beika, superando di molto il limite di velocità consentito. Devo affrontare il problema di petto, adesso, prima che mi logori del tutto.
Sono frustrata e agitata. E devo essere anche una pazza, visto che mi sono messa alla guida in piena notte.
Parcheggio un isolato più in là dall’agenzia di investigazioni di mio padre e cammino spedita fino all’edificio. Per strada non incrocio nessuno, tutti ancora sotto le coperte a dormire.
La ‘passeggiata’ non mi ha fatto sbollire, ma tanto meglio. Se devo litigare e urlare, sarà meglio farlo  al massimo della rabbia.
Salgo le scale con foga e mi fermo davanti alla porta del mio vecchio appartamento, la mano posata sulla maniglia che trema leggermente. Non so come sono riuscita ad arrivare fin qui senza fare un incidente.
Faccio girare la chiave che papà si è premurato di farmi tenere per le emergenze e spalanco la porta. Mi travolge subito un insopportabile odore di bruciato, e sento in lontananza il ronzio del vecchio frigorifero.
Sbatto la porta e mi dirigo in cucina, dove trovo i resti della cena bruciata ancora sul tavolo, assieme ad una serie di lattine di birra vuote.
Hanno di nuovo bruciato la cena nel forno.
Non mi lascio impietosire e mi dirigo verso la stanza dove dormono lui e mio padre. Sono certa che il loro sonno profondo non sia stato interrotto dallo sbattere della porta. Ma non ha importanza. Sono pronta a svegliare l’intero quartiere.
Apro delicatamente la porta e rimango sulla soglia a fissarli attraverso il buio. I miei occhi si abituano alla fioca luce che entra dalla finestra e finalmente riesco a scorgere le loro figure beatamente addormentate.
Sono sicura che appena li sveglierò, mi guarderanno spaesati e confusi.
 
Odi non capire le cose, vero, Shinichi? Vuoi sempre tutto sotto controllo...
 
Mi avvicino al futon sul quale il ragazzo sta dormendo scompostamente e mi inginocchio accanto a lui. Il suo respiro è leggero, la bocca leggermente aperta.
Sento le lacrime agli occhi, ma riesco a trattenermi. Non voglio mostrarmi petulante davanti a lui.
Lui è un meschino e un bugiardo, non posso credere che possa avermi davvero fatto tutto questo.
Lo guardo posarsi una mano sulla pancia, grattarsela inconsciamente e poi voltarsi su un fianco, dandomi le spalle.
Il mio cuore sobbalza un attimo. Per un momento, solo per un momento, ho avvertito la voglia di scappare da qui. Subito, prima che tutto possa essere irrecuperabile.
Le lacrime scendono a fiotti lungo le mie guancie, e non riesco a trattenerle. Abbasso il capo e mi stringo la testa fra le mani, mentre mi dondolo sui talloni.
“Ran...?” mormora appena. Alzo di scatto la testa, il cuore in gola.
Nella stanza non c’è nessun movimento. Nessun rumore.
Lui si volta sull’altro fianco, tornando a mostrarmi il suo giovane volto, ancora perfettamente nelle braccia di Morfeo.
La mia collera aumenta e mi trattengo dal mollargli un altro schiaffo. “Ran niente!” vorrei gridare. “Non provare mai più a rivolgermi la parola o farti vivo con me! Per me sei morto!”.
Ma, anche stavolta, rimango muta.
Sento mio padre borbottare qualcosa e muoversi inquieto nel suo letto, e solo allora realizzo che, se si svegliasse e mi vedesse qui, mi riempirebbe di mille domande.
Domande alle quali non so dare una risposta. Domande a cui pretendo una risposta.
Non posso crederci di aver avuto la verità davanti per tutto questo tempo ed essere stata così cieca da non accorgermene. Sono stata proprio una stupida.
Ma d’altronde, non so ancora capacitarmene io stessa. Come può essere possibile? Come? So solo che è così. Sento che è così.
Alla fine la voce mi muore in gola. Accidenti, mi sento più confusa di prima. Voglio davvero sapere la verità? Mi sentirò davvero meglio?
 “Sei solo un bugiardo” mormoro piano, passandogli una mano tra i capelli. Non ho più la forza di gridare. Non ho più la forza di fare niente.
“Io mi fidavo di te!” piango.
Le lacrime scorrono copiosamente sulle mie guancie e non riesco a trattenerle nemmeno stavolta. Ma forse è meglio così. Questo sarà l’ultima volta che piangerò per lui, l’ultima volta che avrò ancora la forza di piangere.
“Mi hai soggiogata e presa in giro. Io ti ho aspettato per tantissimo tempo Shinichi!” sussurro infine, togliendo la mano dai suoi capelli e alzandomi in piedi.
Dire il suo nome è come una liberazione. Niente più maschere, niente più stratagemmi. Niente, solo io e lui, faccia a faccia, per l’ultima volta.
Anche se la verità me la deve, non la voglio più ascoltare.
Sorrido tristemente, per poi posarmi le mani sulla testa. Rimango a guardarlo per una frazione di secondo che mi sembra infinita, poi prendo svelta la borsa e mi dirigo all’uscita.
Faccio più silenzio di quando sono entrata. Non voglio svegliarli. Non voglio.
“Non so come sia possibile che tu sia potuto diventare un... un bambino...” mormoro disgustata, facendo girare le chiavi nella serratura. Corro velocemente giù dalle scale e fuggo via velocemente.
Sento il cuore a pezzi e il respiro affannoso. Questa è veramente la fine.
Il buio è ritornato.
 
 
Nella segreteria risuona il sesto messaggio, questa volta lasciato da mamma, che mi domanda se nel pomeriggio voglio accompagnarla a fare spese.
E anche a questa telefonata, non risponderò.
Sono rinchiusa in casa da una settimana, dandomi malata sul lavoro.
Da quando sono tornata dall’incursione di quella notte, il mondo sembra essermi crollato addosso. Non ho più la forza di fare niente, non tocco cibo da tre giorni, non sono nemmeno uscita di casa per controllare la posta.
Ran Mouri è come scomparsa, morta.
Il mio cuore è trafitto da spine, e ad ogni respiro sento una sensazione di soffocamento. Stesa a pancia in giù sul divano, osservo la bottiglia di vodka vuota che ho lasciato sul tavolo due giorni fa. La luce che entra debole dalle tapparelle abbassate gioca con il vetro creando una sorta di riverbero che mi da fastidio agli occhi.
Mi alzo lentamente, sentendo la testa girarmi vorticosamente.
Come studentessa di medicina, so che devo mangiare almeno qualcosa, se non voglio stare davvero male.
Tenendomi salda su una sedia, mi alzo e lentamente mi avvicino al frigo, dove trovo una confezione di yogurt bianco e un succo alla pesca.
Li prendo con me e con lo stomaco sottosopra mi dirigo verso la mia camera, dove potrò forse schiacciare anche un pisolino.
Credo di essere rimasta sveglia, a fissare quella bottiglia, per circa trentasei ore. La mia mente non connette più di tanto e, se solo provo a pensare a lui, sento un immenso dolore squarciarmi il petto. Per cui non ci penso, lasciando il mio cervello in stand-by.
Mi siedo un istante alla scrivania, giusto per consumare alla svelta il mio pranzo. Ne approfitto per accendere un istante il computer e controllare la posta.
Il ronzio dell’apparecchio mi risuona fastidioso nelle orecchie, mentre stappo il succo e lo scolo in un paio di sorsi generosi.
La mia gola mi ringrazia del sollievo del liquido, mentre apro la casella di posta e vedo che non c’è nulla di nuovo, escluse le solite pubblicità.
Sto per chiudere tutto, quando l’occhio mi cade su una vecchia mail. Sgrano gli occhi, ricordando tutto all’improvviso.
Ma certo! Si tratta del corso di karate full-immersion che si terrà a New York l’anno prossimo, del quale mi ero fatta spedire per posta elettronica le informazioni per la durata dei corsi, i costi e il programma.
Con tutto quello che mi ha occupato la mente in questo ultimo periodo, me ne ero completamente dimenticata.
Riapro la mail e la rileggo con nuovo interesse.
Sei settimane.
A New York.
Lontana da casa. Lontana da lui.
Una vocina dentro di me mi ricorda che devo ancora laurearmi. Che l’università deve venire prima di tutto e che non posso far mandare a monte i miei progetti da lui. Non un’altra volta.
Ma il karate è tutta la mia vita.
Chiudo la posta con un sospiro e spengo il computer.
Mi lascio cadere sul letto senza mangiare lo yogurt. Il mio stomaco brontola contrariato, ma ora so come fare per ignorarlo.
 
New York...
 
 
 
“Se qualcuno a te caro ti nascondesse una grande verità, tu come reagiresti?”.
La mia domanda mi esce di getto, senza averci pensato tanto su.
Sonoko smette di passare sull’attaccapanni i vestiti e si gira lentamente verso di me, gli occhi sbarrati.
“Sai qualcosa su Makoto?!” mi chiede con la voce incrinata.
Capendo l’errore, faccio freneticamente cenno di no con la testa e gesticolo a vuoto con le mani.
“Ma no, ma no! Cosa hai capito! Non mi riferivo a lui!” mi affretto a dire.
Sonoko rimane dubbiosa ancora per un attimo, poi si lascia sfuggire un sospiro di sollievo, la mano sul cuore.
“Ran, mi hai fatto morire! Già che in questo periodo lui è abbastanza suscettibile...”. Sonoko torna a cercare nella lunga fila di vestiti quello più adatto da indossare per la festa di compleanno del suo ragazzo che gli ha organizzato a sorpresa – anche se credeva di averlo già trovato –, e per un momento cala il silenzio.
Oggi mi sono imposta di uscire di casa. Non ce la facevo più, dentro quelle fredde quattro mura, ed avevo bisogno di svagarmi. Sono corsa a casa di Sonoko non appena ho sentito il suo messaggio nella mia segreteria. Non mi farò rovinare di nuovo la vita.
Non più.
“Credi che abbia capito qualcosa circa la festa?” chiedo, per sviare il discorso. Forse quella domanda non avrei mai dovuto porgliela.
“No, però è nervoso per non so cosa. Ho cercato di farlo parlare, ma non c’è stato verso. Comunque... perché mi hai fatto quella domanda?”.
Mi mordo la lingua, rendendomi conto che è difficile tenere nascosta a Sonoko una cosa. E poi mi prenderebbe per pazza, se le esponessi la mia tesi su Conan.
E non ho intenzione di rivelargli quello che è successo con lui! Sarebbe imbarazzante.
“Niente, ci riflettevo stamattina...” mento. Afferro un vestito giallo canarino con una profonda scollatura e lo mostro alla mia migliore amica. “Che ne dici di questo? A te piace il giallo, no?”.
Sonoko corruga la fronte e mi strappa di mano l’abito, mettendo poi le braccia sui fianchi e rivolgendomi uno dei suoi sguardi indagatori.
“Ran? Che hai combinato?” mi chiede, il tono superiore.
Io mi faccio piccola piccola e sposto lo sguardo verso una pila di scarpe col tacco vertiginoso. “Ma niente, era solo una domanda” sminuisco cercando di essere il più convincente possibile.
Sonoko non fiata e appoggia l’abito giallo su un carrellino dove ha già sistemato un paio di abiti, che ha selezionato come ‘possibili’ da indossare alla festa.
Torna a cercare in mezzo ad un’alta pila di giacchette eleganti, mentre io mi tolgo le ballerine e mi infilo un paio di scarpe rosse decolté tacco dodici.
Con passo sicuro, mi avvicino allo specchio e faccio una piccola giravolta. Sono davvero stupende, e starebbero benissimo con il vestito nero che ho intenzione di mettere per la festa.
“Ran?” mi chiama Sonoko, dietro ad una montagna di cappotti.
Avrà sicuramente trovato qualcosa di interessante, quindi mi avvicino a lei cercando di stare attenta a non incespicare sulle maglie e pantaloni per terra.
Sonoko sta con le braccia incrociate e lo sguardo serio, senza nessun abito tra le mani.
Il mio sguardo si fa interrogativo, e la spiegazione di Sonoko non tarda ad arrivare.
“Ran... non starai ancora ragionando sul misterioso motivo per cui Shinichi se n’è andato, vero?”.
L’avevo detto che a lei nulla può essere nascosto.
Mi lascio cadere sulla poltrona e mi prendo la testa fra le mani.
“Stavolta è diverso” ammetto dopo qualche istante.
Sento un fruscio e un attimo dopo Sonoko si siede accanto a me, circondandomi con il braccio le spalle.
“Ran, sai che Kudo è sempre stato un idiota e tu hai già sofferto molto per lui. Non tormentarti ancora” mi dice dolcemente.
Irritata, sposto il suo braccio e mi alzo in piedi. Incrocio le braccia e fisso cattiva il pavimento.
“Ho detto che stavolta è diverso. Credo... credo di sapere qualcosa” dico dura.
Sonoko si stizzisce e accavalla la gambe per poi sprofondare nella poltrona. “Sentiamo”.
“No, non sono ancora sicura” dico e mi lascio trasportare dallo sconforto.
No, in realtà ne sono sicura. È solo dura da accettare.
“È assurdo che tu ci pensi ancora, dopo otto anni!” si lascia sfuggire Sonoko. La fulmino con gli occhi, sapendo che lei non potrà mai veramente comprendere quello che c’è sempre stato tra me e Shinichi.
Noi due ci eravamo scelti fin da quando eravamo piccoli, e per me è inaccettabile pensare che ora lui possa avermi dimenticata.
Anche perché... se la mia teoria su Conan è vera, lui non se n’è mai realmente andato.
“È meglio che vada” dico secca e mi tolgo con rabbia le scarpe di Sonoko.
La mia amica si alza e cerca di trattenermi per il braccio, ma con uno scossone la stacco da me e rimaniamo a squadrarci in cagnesco.
“Credi che io sia pazza? Credi che dovrei andare da uno psicologo?” la attacco.
Sonoko si posa le mani sui fianchi e inarca un sopracciglio. “No, ma dovresti trovarti un ragazzo per toglierti Kudo dalla testa!”.
Non ribatto, sentendo le guancie arrossarsi. Ma come si permette?
“Bene!” sbotto e afferro la borsa. “Non disturbarti a mostrarmi la strada, la conosco fin troppo bene!”.
Alla velocità della luce esco dall’enorme cabina armadio di Sonoko e mi dirigo velocemente giù dalle scale. Sono quasi alla porta, quando sento la voce di Sonoko chiamarmi dalla cima della scalinata di marmo.
“Ehi, hai dimenticato queste!” urla e faccio appena in tempo a voltarmi, per vedere che scaraventa le mie ballerine al piano di sotto.
Queste si fermano poco distanti da me e, lanciandole un’occhiataccia, le afferro per poi uscire da questa maledetta casa scalza.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non ci posso credere che sono già arrivata al capitolo sei... mi sembra ieri il giorno in cui ho scritto la prima pagina di questa ff!
Anche se non sembra, ci stiamo avvicinando alla fine. Ho tutto chiaro su come concludere la storia, e non manca moltissimo.
Allora allora: questo capitolo è molto introspettivo. Dovevo scriverlo per far capire i pensieri di Ran e per mostrare la sua presa di coscienza.
Mi è piaciuto molto scrivere la parte in cui lei raggiunge la casa di suo padre nel pieno della notte, dopo aver fatto il confronto tra le due fotografie. Adoro macchinare con la testa di quella ragazza ;)
Per il resto, che mi dite? Aspetto i vostri pareri! :)
 
Ah, quando dico che il romanzo che rappresenta di più il legame tra Shinichi e Ran è ‘Cime Tempestose’, mi riferisco in particolare alla frase pronunciata dalla protagonista “Io sono Heathcliff”. Lei si identifica con l’amato, in poche parole, dicendo che sono una cosa sola, una sola anima... e secondo me, anche Shinichi e Ran lo sono <3
 
Passo ai ringraziamenti: grazie a Yume98, 88roxina94, _Flami_, _Rob­_, Ran Mouri e a shinichi e ran amore per aver commentato lo scorso capitolo; e grazie a 88roxina94 e a ranshin22 per aver aggiunto la storia nelle preferite!
Grazie anche a chi ha solo letto!
Un abbraccio e alla prossima,
 
Dony_chan 
  
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