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Autore: the_rest_of_me    07/01/2012    3 recensioni
e se una ragazza si trovasse improvvisamente catapultata nel 1864? potrebbe innamorarsi di uno di fratelli Salvatore.. potrebbe nascere un'amicizia con la Pierce? e se poi dovesse tornare nel XXI secolo cosa accadrebbe... quanto dovrebbe aspettare per rivedere l'uomo/vampiro che ama.. e lui la amerà mai? in tutto questo cosa ne pensereste se lei sapesse già il futuro di tutti... spero di avervi incuriosito con questa piccola introduzione-linea guida...
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Katherine Pierce, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'True love...'
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Quando riaprii gli occhi mi accorsi immediatamente che qualcosa non andava.
Quella non era la mia stanza. Quello non era il mio letto e, di certo, quei pantaloni di lino non erano le mie mutandine. Non sapevo dove mi trovassi. Ciò che sapevo era che quel posto non mi sembrava per niente al passo coi tempi. L’enorme letto stava di fronte all’altrettanto enorme porta di legno massiccio. L’armadio era in legno di quercia come lo scrittoio posto accanto allo specchio.
Lo specchio mi colpì. Era posto in modo da riflettere l’intera stanza, compreso il letto dal quale non mi ero ancora alzata. Guardando la scena da un’altra prospettiva, da quella dello specchio, riuscii a vedere cosa c’era che mancava. Anzi, notai quello che era enormemente presente: i candelabri. C’erano candelabri ovunque ed erano pieni di candele. Candele mai accese prima. Da lì il passo per capire cosa mancasse veramente non fu molto lungo. In qualsiasi casa del XXI secolo, anche la più povera, c’era un po’ di tecnologia. Una tv. Uno stereo. Una lampadina. Ma lì non c’era nemmeno l’interruttore. Mi alzai e mi avvicinai alla finestra. Vedevo un giardino. Era immenso ed estremamente curato. Ma anche lì l’assenza della tecnologia e della modernità a cui era abituata mi fece rabbrividire. Ripensai a cosa potesse essermi successo. Non era possibile che tutto ciò che conoscevo fosse sparito. Uno scherzo o una festa in maschera sarebbero stati più plausibili. Purtroppo, però, non ero sicura che per organizzare una festa qualcuno sarebbe stato in grado di arredare un intero paese a tema. Anzi sarebbe meglio dire che nessuno sarebbe riuscito a “disarredare” tutto il paese. Togliere ogni cosa: lampioni, cartelli stradali, catarifrangenti…
Mi avvicinai allo scrittoio alla ricerca di un qualsiasi dettaglio che mi dicesse dove fossi e perché? Non mi aspettavo certo di trovare un foglietto illustrativo, però non trovare assolutamente nulla mi lasciò infastidita, anzi no, molto di più. Ero arrabbiata, infuriata e incapace di collegare i pensieri.
Sapevo di essere nata nel 1989. Sapevo di essere Americana. Sapevo di essere orfana da quando avevo 16 anni.
Questo mi portò a riflettere su cosa avessi fatto nella vita. Non ero certo stata una ragazza mansueta, se così si può definire una ragazza, dopo la perdita dei miei genitori. Ero nata ad Edison.
Mio padre era un professore di storia appassionato di manufatti antichi nonché ricercatore di beni preziosi ed inestimabili da conservare nel suo museo personale. Amava tutto ciò che era più vecchio di lui di almeno 100 anni e adorava immaginare quale storia potesse esserci dietro ogni singolo oggetto che aveva trovato, sia che si trattasse di una meravigliosa spada saracena del V secolo a.C. che se si trattasse di un fermacapelli risalente al periodo barocco. Non sempre, però, le storie che credeva potessero celarsi dietro un oggetto avevano delle basi razionali. Lui credeva in tutto ciò che non poteva essere dimostrato. Dio. Il nulla che genera materia. Il sole che implode, non ho ancora capito se può farlo davvero oppure no; forse è uno di quei dubbi che si portano fino alla morte. Credeva poi in ogni genere di essere o mostro o animale fantastico e soprannaturale.
Draghi.
Fate.
Folletti.
Elfi.
Babbo Natale.
Maghi.
Streghe.
Vampiri.
Licantropi.
Tutto ciò che non appartiene alla ragione secondo mio padre era realmente presente nel mondo. Diceva sempre “l’uomo intelligente non è colui che sa allontanare da sé le favole, ma colui che in esse scorge la verità”.
Mia madre, invece, odiava tutto ciò che non potesse essere spiegato razionalmente. Era una scienziata. Si era laureata con il massimo dei voti. Tutto ciò che faceva lo faceva considerando ogni possibilità e vagliando le alternative. Ragionava fino allo sfinimento.
Non capii mai come due persone così diverse potessero amarsi così come si amavano loro. Il loro amore era cieco ed incondizionato. Ma l’amore che si scambiavano non faceva altro che accrescere quello che offrivano a me. Fu un duro colpo quando morirono. E il passare da una famiglia all’altra non mi fu d’aiuto. Fui affidata a diverse famiglie. Nessuno riusciva a badare a me per più di un mese, due al massimo. Non accettavo regole. Non ero mai stata una ragazza ribelle, ma cazzo i miei genitori erano morti e loro venivano con quei gran sorrisi porgendomi la mano ed esordendo: “Ciao cara! Saremo una vera famiglia!” “Io non avrò mai più una famiglia, la mia famiglia è morta.” Ecco la risposta che avrei voluto dare ogni volta, ma mi limitavo a dire “Dov’è la mia stanza?”. Dopo di che entrava in scena la ragazza ribelle. Quella che andava male a scuola, non perché non studiassi, anzi ero sempre sui libri e se non studiavo facevo qualche fantastica ricerca super approfondita su un qualsiasi argomento, ma a scuola non mi applicavo. Avevo altro da fare, come importunare i compagni o disegnare alieni. Andavo ad ogni festa nel raggio di 20 chilometri. E bevevo. Molto. Moltissimo. Almeno molto più di quanto possa reggere un corpo. I trasferimenti dovuti ai cambi di famiglia continuarono fino a quando non compii 18 anni. Allora potei occuparmi di me stessa. Quell’anno ero a Fairfax. Comunque la casa di Edison, quella dei miei genitori, continuava ad essere mia. Non la usavo, ma mi apparteneva di diritto. Avevo deciso di lasciarvi tutti gli oggetti che avevano caratterizzato la mia vita in quella casa e tutti gli oggetti che erano appartenuti ai miei genitori: ricerche scientifiche, libri di storia, microscopi, bauli rinascimentali, provette, manoscritti…
Rinsavii dai miei pensieri quando sentii un rumore. Ne fui terrorizzata. Non capivo cosa potesse essere stato. Solo quando lo sentii nuovamente capii che qualcuno stava bussando alla porta.
“Avanti!”.
La porta si aprii e potei vedere una ragazza. Se ne stava sulla soglia senza alcuna voglia di entrare.
“Vi siete svegliata signorina! Come vi sentite?”
Mi alzai, lei non era nemmeno entrata mi sembrava il minimo.
“Bene, grazie! Da quanto dormivo?”
“tre giorni!”
“Oddio… Ma è un’eternità! Perché cazzo non mi sono svegliata prima??”
La ragazza ebbe un sussulto e le sue guance, scure per natura, persero un po’ di colore. Sembrava sconcertata dal mio linguaggio e da… me! Forse avrei dovuto chiedere dove fossi e in che anno.
“Scusi in che anno siamo?”
“Signorina, siamo nel 1864. E dovreste parlarmi con un po’ più di rispetto!”
Più rispetto?? Che dovevo fare? Darle del voi?? Era ridicolo… Ma… oh mio Dio!! Aveva detto MILLEOTTOCENTOSESSANTAQUATTRO?? Non era possibile.
“Scusi, cioè scusate! Che città è questa?”
“Siamo a Mystic Falls!”
Solo allora ricordai…

Flashback
“Mike, oggi non verrò al Bowling! E non credo che riuscirò a venire domani”
“Cosa?? E perché…? Hai un appuntamento??”
“Si, certo! No… ho deciso di andare ad Edison! La casa è chiusa da più di quattro anni! E… mi sento terribilmente in colpa…! E comunque, penso di passare lì qualche giorno”
Mike si avvicinò e mi baciò. Fu uno dei suoi baci passionali che mi facevano capire che lui, per me, ci sarebbe sempre stato.
“Grazie…”
“Vuoi che venga con te?”
“NO!” sorrisi “Cioè, no grazie! È una cosa che devo fare da sola! Credo che avrei dovuto farlo molto tempo fa”
Quel giorno viaggiai ininterrottamente. Quando giunsi nella città dove ero nata la trovai esattamente come l’avevo lasciata.
Arrivata in casa notai solo la polvere. Era come se il mio cervello non volesse cogliere altro. Mi sforzai di osservare e notai, allora, ogni più futile dettaglio. Tutte le foto di famiglia lì dove loro le avevano lasciate. I mobili, però, erano tutti coperti. Li scoprii. Mi sedetti sul nostro divano e cominciai a piangere. Piansi come non avevo ancora fatto. Piansi come non avrei dovuto fare dopo quattro anni, ma come non avevo fatto subito. Solo quattro ore più tardi iniziai a pulire casa. Finii alle tre di notte e mi addormentai nel grande letto dei miei genitori. Potrà sembrare una cosa stupida ma li sentii vicini come non mi accadeva da tanto tempo. Il mattino dopo mi alzai di buon’ora e inizia a rovistare tra le cianfrusaglie di papà. Trovai allora quel baule. Era chiuso con un lucchetto ma vi erano incise delle parole. Sembrava una specie di indovinello che mi avrebbe condotto alla chiave. Ne fui incuriosita. Perché mai mio padre avrebbe dovuto chiudere un baule con un lucchetto e nasconderne la chiave? Cosa c’era di così misterioso da non poter essere trovato? Lessi la frase centinaia di volte: “Sarò sempre con te. Anche se tu non mi vedrai”. Trascorsi due ore a rigirarmi quel catenaccio tra le mani, finché non notai un graffio nel baule. Sembrava, in realtà, un taglio. Lo osservai e non era un taglio, o un graffio. Era una specie di strano pulsante.
Premetti. Non successe nulla.
Cercai di aprirlo con le unghie. Nulla.
Ad un certo punto spostai il polso, che ancora reggeva il catenaccio, per poter ottenere una visuale migliore. Non volendolo feci ruotare il perno del catenaccio e temetti di averlo rotto. Mentre io mi preoccupavo di aver rotto un oggetto appartenuto a mio padre il cassettino si aprì. Conteneva la chiave. La presi ed aprii il baule.
Fu una delusione. Conteneva un grosso libro. Parecchi vecchi diari. Una collana. E altri oggetti non meglio identificati. Perché mai mio padre avrebbe dovuto nascondere tutto questo così bene. Ne fui incuriosita e cominciai a leggere.

http://www.youtube.com/watch?v=6_y5Q6PDqeI (Se vi va scoltate durante la lettura io sono stata ispirata)

I diari risalivano al 1864. Appartenevano a diverse persone. Quattro erano di un certo Fell. Uno, e non tutto scritto, era dello sceriffo Forbs. Due erano di George Lockwood, che da quello che lessi doveva essere più giovane degli altri. Due erano di un certo Giuseppe Salvatore e uno solo era di Jonathan Gilbert. Mi colpì il fatto che tutti parlassero di demoni, nei loro diari. Ognuno raccontava stralci della propria vita, della propria famiglia. Però, tutti indistintamente parlavano di vampiri. Era un dettaglio sconcertante. Li leggevo velocemente. Talvolta saltando qualche pagina. Dopo un paio d’ore notai che nel diario di Gilbert era nominato Giuseppe Salvatore e allora, solo allora, notai che tutti quei diari erano appartenuti a cittadini della stessa città. Una cittadini della Virginia: Mystic Falls. Non ne avevo mai sentito parlare. Ma in geografia non ero mai stata brava. Non appena ebbi finito di spulciare quei diari mi dedicai alla lettura del grosso libro. Sembrava, se possibile, più vecchio dei diari. Leggerlo mi appassionò.
Era una specie di romanzo.
Parlava di vichinghi trasferitisi in America per sfuggire alla peste. In America, però, il clan o il popolo, non ho capito bene come erano organizzati, si imbatté nei lupi mannari. Per difendersi una strega trasformò una famiglia in vampiri. La storia continuava seguendo le vicende dei protagonisti: Esther, Mikael, Niklaus, Kol, Finn, Elijah, Rebekah, Henrik. Ma le loro storie partivano dalla “preistoria” dell’America per arrivare nel 1490 circa in Inghilterra e intrecciare i loro destini, se non quelli di tutta la famiglia almeno quello di Klaus, il vero protagonista, con il destino di Katerina Petrova. La storia continuava concentrandosi proprio su Katerina, che nel 1864 era andata a Mystic Falls. Lì aveva conosciuto i fratelli Salvatore. E poi c’era l’epica storia d’amore tra i tre. Un bel triangolo. La storia comunque continuava fino al 2009 o 2010… c’erano sempre nuovi personaggi. Sembrava un libro senza fine.
Amori.
Guerre.
Dopelganger.
Ibridi.
Il ritorno di Klaus.
La maledizione del sole e della luna.
La maledizione di Klaus…

Fine flashback.

“Avete detto Mystic Falls?” dovevo inventare qualcosa. Cosa avrei dovuto dire? Chi ero? E dove stavo andando? Ero senza denaro e senza vestiti.
“Si, signorina! Vi aiuterò a prepararvi e poi scenderete a cena con i padroni di casa!”
“potri sapere chi è stato tanto gentile da soccorrermi?”
“I signori Salvatore vi hanno offerto riparo. Io vi ho trovata nel bosco. Eravate completamente nuda”
“Beh. Credo di essere stata aggredita. Ero in viaggio. Devono avermi tolto ogni cosa. Avevo con me tutti i miei abiti e molto denaro… adesso come farò?”
La ragazza non sembrò bersi la balla che le stavo rifilando. Ma che altro dovevo fare. Tuttavia, anche se non sembrava crederci, non sembrava nemmeno intenzionata a dirmelo. Si limitò a dire: “non preoccupatevi. I signori Salvatore saranno lieti di darvi una mano. Intanto, la signorina Pierce, un’altra ospite qui in questa casa, sarà lieta di offrirvi i suoi abiti. In segno di solidarietà.”
Ebbi un brivido sentendo quel nome. Pierce. Katerina era lì. La storia nel libro doveva essere vera. Mio padre aveva ragione esisteva tutto.
Vampiri.
Magia.
Streghe.
Streghe! Ecco perché quella ragazza mi guardava così. Come avevo fatto a non capirlo subito. Lei doveva essere Emily Bennet.
Mi aiutò a prepararmi. Mi mise un abito davvero scomodo. Non riuscivo a respirare dentro quel corsetto. Tuttavia dovevo ammettere che nessun vestito che avevo indossato fino a quel momento mi aveva mai reso giustizia come quello che indossavo in quel momento. Ero nata per vivere in quel secolo. Stavo da Dio. Ero veramente stupenda.
“Signorina siete pronta! Potete scendere! Vi presenterò ai signori Salvatore e alla signorina Pierce”
“Grazie Emily!”
Trattenne il respiro per un attimo. Dimenticavo che non si era ancora presentata. Beh, poco male. Tanto non mi diceva nulla.
Quando scendemmo trovammo due ragazzi seduti su un divano e di fronte a loro una ragazza. Lei era bellissima. Con i suoi capelli castani acconciati in quel modo e quel viso di cui si sarebbe innamorato il diavolo in persona. Uno dei due ragazzi, quello che sembrava più giovane, la osservava con interesse ed affetto. Aveva la mascella squadrata e gli occhi di un verde stupendo. Ma il mio sguardo fu catturato dal ragazzo che gli stava accanto.
I suoi capelli erano neri e facevano risaltare gli occhi profondi come l’oceano. Quello che mi colpì fu lo sguardo. Fissava Katherine con occhi innamorati. La guardava come se fosse lei a dargli la vita. Come se l’aria che respirava gli fosse concessa da lei. La adorava, quasi la venerava.
“Scusate. Signori. La signorina si è ripresa.”
Emily aveva parlato attirando la loro attenzione. Fu allora che si girarono tutti a guardarmi. Katherine fu la prima ad avvicinarsi. Avrei dovuto dire qualcosa ma ero come paralizzata.
“Beh! Finalmente vi siete ripresa. Temevamo vi fosse successo qualcosa! Ci avete fatto stare in pensiero!”
Arrossii. Non sapevo bene perché, ma sentivo addosso lo sguardo di tutti. E nonostante sapessi di essere nella stessa stanza con un vampiro l’unico pensiero che riuscivo a formulare era: Lui mi sta guardando.
“Scusate… io credo di aver avuto un grande shock! Quei banditi mi hanno privato di ogni cosa! Non era mia intenzioni farvi preoccupare. Anzi, vi ringrazio per tutto.”
Parlò allora il ragazzo dagli occhi verdi: “Allora è questo che vi è successo? Vi hanno attaccata dei banditi?”
Arrossi di nuovo… mannaggia a me e al mio rossore.
“Si! Io ero in viaggio. Hanno fermato la mia carrozza e mi hanno privata di ogni cosa…”
Prese quindi parola il magnifico ragazzo dagli occhi azzurri e quando lo fece il mio cuore perse dei battiti.
“Non preoccupatevi. Vi daremo ciò di cui avete bisogno e vi offriremo ospitalità finché lo vorrete signorina..?”
Non mi ero ancora presentata… e adesso? Optai per la verità. In realtà non optai per un bel niente. Non capivo nulla con quello sguardo puntato addosso.
“Liza… Liza Allen.”
Mi prese la mano e la baciò.
“Piacere! Damon Salvatore”
Feci una specie di inchino. Un qualcosa di sconcio e di certo poco elegante.
Allora era lui Damon Salvatore. Adesso capivo il suo sguardo innamorato.

Pov Katherine
“Scusate. Signori. La signorina si è ripresa.”
Alzai lo sguardo ed incrociai il suo. Era davvero bella con il mio abito addosso. Stava guardando Damon e sembrava rapita. Bene. Non mi sarei dovuta preoccupare. Stefan sarebbe stato mio. A qualunque costo. Mi avvicinai a lei.
“Beh! Finalmente vi siete ripresa. Temevamo vi fosse successo qualcosa! Ci avete fatto stare in pensiero!”
Arrossì. Il cuore aveva accelerato i battiti. Potevo sentirlo volare. Non mi preoccupai più di quello che diceva. Ero troppo occupata a cercare di trattenere i miei canini al loro posto.

Pov Stefan
“Scusate… io credo di aver avuto un grande shock! Quei banditi mi hanno privato di ogni cosa!Non era mia intenzioni farvi preoccupare. Anzi, vi ringrazio per tutto.”
Oh mio Dio! Lei era bellissima. Non avevo mai visto una bellezza così. Quei capelli neri che incorniciavano il viso diafano. E i suoi occhi così verdi. Ma non erano solo verdi. Erano gialli. Ghiaccio. Contenevano ogni colore. Vivevano. Brillavano. Lei brillava. Splendeva e il mio cuore galoppava. Galoppava per lei e verso di lei. Credetti di amarla solo dopo un attimo. Credetti che l’avrei amata sempre già dopo un solo attimo.
“Allora è questo che vi è successo? Vi hanno attaccata dei banditi?”
Arrossì di nuovo. Chissà perché lo faceva.

Pov Damon
“Si! Io ero in viaggio. Hanno fermato la mia carrozza e mi hanno privata di ogni cosa…”
Parlava come se fosse impacciata. Katherine non avrebbe mai parlato così. Katherine era molto più spigliata e bella. Certo non era una brutta ragazza, ma nulla in confronto alla donna che amavo.
“Non preoccupatevi. Vi daremo ciò di cui avete bisogno e vi offriremo ospitalità finché lo vorrete signorina..?”
Stavo per dire la solita frase di cortesia, ma non potei terminarla. Non si era nemmeno presentata. Ma chi diavolo pensava di essere?
“Liza… Liza Allen.”
Ok non mi porge nemmeno la mano. Cosa vuole che faccia. Gliela afferrai e le feci il baciamano. Un galantuomo lo è sempre.
“Piacere! Damon Salvatore”
Mi sorrise. Aveva un sorriso stupendo, però. Le comparivano due fossette e i suoi occhi si illuminavano di felicità, anche se in fondo se si guardava bene sembrava molto triste.
“Stefan Salvatore!”
Mio fratello le si avvicinò e le fece il baciamano. Anche stavolta lei si inchinò. Ma non distolse mai lo sguardo da me. Non mi sciolse mai dal suo. Se non quando parlò Katherine.
“io sono Katherine Pierce!”
“Signorina Katherine vi ringrazio moltissimo. Davvero!” non sembrava avesse capito che eravamo stati io e mio fratello ad offrirle ospitalità e non Katherine. Certo se lei ce lo avesse chiesto non l’avremmo mai fatto. Però, lei non lo sapeva.
“Grazie anche dell’abito. Ve ne sono grata!”
Katherine sorrise. Eccolo lì il sorriso che tanto amavo.
“Non preoccupatevi. Avrete modo di sdebitarvi!”
Liza sorrise “Oh, ne sono sicura!” mentre lo diceva si portò una mano alla gola. Sgranò gli occhi terrorizzata e guardò Emily.
“Dov’è la mia collana?”

Angolo autrice: spero di avervi incuriosito con questo capitolo… è una storia un po’ strana è nata quasi per sbaglio, ma spero piaccia a qualcuno… recensite e fatemi sapere… se vi va!!! ^_^
Comunque so di non essere una scrittrice eccezionale… apprezzerete lo sforzo?? Lo spero davvero! XD



Disclaimer: i personaggi e gli ambienti di The vampire diaries non mi appartengono, a parte Liza che è mia, interamente, e più avanti un suo amico *grin*
  
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