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Autore: Selene Silver    08/01/2012    0 recensioni
Finché sai vedere la bellezza di una cosa, questa non è morta, anche se sei l'unico a conoscerla, a notarla. Ho sempre amato il passato, ed in qualche modo mi comporto come se ci vivessi. Vorrei poter mostrare ad altre persone quanto sia bello scostare la tendina del presente ed immergersi in un'atmosfera in bianco e nero, o, ancor meglio, color seppia. Ma non conosco nessuno che potrebbe apprezzare questa visione. O anche solo capirla. O anche solo riuscire a vederla.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Moving through my changes as fast as I can

 Movimento #2 - Luci.
Prima che il buio scenda, sembrano solo ammassi di ferro sospesi in un cielo pesante di nubi. Qui è sempre nuvoloso, in questa stagione, con rari giorni pieni di sole. Sembra di essere avvolti in una bolla d'aria stagnante. È uno dei problemi di questo posto.
Si sta avvicinando il Natale. Natale per me vuol dire folla che pretende di spupazzarmi anche se non mi conosce, oppure una sera normale, resa amara da quelle lucine scintillanti che portano allegria solo se ti rendi conto che la solitudine è una condizione mentale dettata dalle convenzioni che in teoria dovrebbero adattarsi a tutti, uomini, bambini, maschi, femmine, vecchi e scimmie. Guardare un albero di Natale da soli è un'esperienza triste, se non ti rendi conto che, comunque, saresti solo anche con qualcuno accanto.
Ma la condizione umana impone di sentirsi depressi per la solitudine, suppongo. A volte mi sento così tanto un alieno, per essere andata oltre quest'idea idiota. Perché, alla fine, hai davvero bisogno che qualcuno ti dica che sei vivo?
Che qualcuno ti dica se stai vivendo o meno, invece, è un'altra cosa.
Esco spesso la sera per fare commissioni, perché durante il giorno me ne dimentico. La nebbia è già più fitta. È a quel punto che le luci rinascono, si accendono, smettono di essere nient'altro che ferraglia.
D'improvviso si accende questa luminescenza calda, che fende la nebbia. Sono luci fredde, a forma di stelle. Non importa. Ascoltando la mia musica, le gambe che si muovono a ritmo regolare, tengo lo sguardo fisso verso di loro. Natale vuol dire anche questo.
Come vuol dire frotte di persone che corrono a spendere soldi senza motivo, che ti passano accanto per strada e ti spintonano perché stai in mezzo, perché loro hanno la precedenza. Io sto chiusa in me stessa, stretta fino a scoppiare, come un barattolo a pressione. Non uscirò fuori di qui. Ascolto la mia musica, che è dolce, che mi porta via.
Luci vogliono dire persone, vogliono dire calore e affetto, ma anche riflettori puntati prima di un colpo di pistola. Vogliono dire anche sorrisi freddi di persone finte.
A volte vorrei parlare con la gente che incontro per strada; le ragazze con le cuffie da DJ e le magliette larghe per chiedere cosa stanno ascoltando, regalare biscotti, fare foto ai ragazzi asiatici che stanno seduti fra di loro sui marciapiedi e ridono parlando nella loro lingua spigolosa che, chissà perché, mi ricorda gli agrumi, e che trovo così incredibilmente belli. Ma ho passato così tanto tempo a fingere di odiare la gente, che ormai ho la certezza che questa odi me; e quindi divento uno di quei ricci che si trovano in autostrada, raggomitolati. Speriamo solo che nessuno mi travolga nella sua corsa.
Natale vuol dire corse infinite sul ghiaccio sporco di una pista sovraffollata di ragazzi che parlano a voce troppo alta per sovrastare una musica ripetitiva e spacca timpani; rifiuto da tempo questa convenzione sociale che m'impone la folla, il soffocamento: meglio correre via, scappare, rifugiata in note rassicuranti di chitarre vere, in canzoni così strappacuore, infinite e bellissime da non riuscire a capire come possano uscire dai corpi così piccoli - e dagli strumenti in scala - di musicisti che hanno fatto la storia, e che man mano vengono dimenticati. Ma finché sai vedere la bellezza di una cosa, questa non è morta, anche sei l'unico a conoscerla, a notarla.
Ci siamo io e la nebbia e la mia musica, ora. E chiudo gli occhi mentre cammino. E non importa niente. C'è la luce sopra la mia testa, una luce elettrica che per una volta vuol dire calore in mezzo al freddo della frenesia di noi formiche. E non posso accettare che questa perfezione svanirà, ma so che è così, e che nulla è perfetto, e che non ho ancora sperimentato quel momento in cui si è così felici da morire, da poter dire non sapevo neanche cosa fosse, la felicità, prima di ora.
Sembrano tutte stupidaggini prese da un film, non è vero? Lo so, lo so. Sono una persona sentimentale, anche se non si direbbe. È solo che sono giovane, e nessuno mi ha ancora accettato in tutte le mie stranezze, le mie rabbie, i miei comportamenti stupidi e i miei difetti, in generale. Quindi aspetto quel qualcuno che me lo dirà, se esiste, riciclando film in cui una donna può stare bene sia coi capelli verdi che rossi che blu - sperando di poter sperimentare una di queste tinte, un giorno, e di essere altrettanto bella.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind.
Suppongo di essere strana perché divento felice con poco. Per esempio, se sintonizzo un orologio sul fuso orario di Tokyo. Se guardo un libro fotografico di posti in cui non sono mai stata. Se un personaggio di un libro porta il mio stesso nome.
Anche andare nelle librerie mi rende felice. Passeggiare fra gli scaffali, leggere i titoli, fermarmi un po' in tutte le sezioni, dal fantasy ai classici, dalla musica alla cucina, dalla narrativa alla poesia. Mi piace annusare i libri, sfogliarli, leggere le prime righe e sentire quell'interesse particolare - un luogo che t'inspira, un personaggio che già dalle prime righe segue i tuoi pensieri finché non sono un unico flusso. Quest'incantesimo cominciò quando avevo sei anni, e capii di voler diventare una scrittrice.
Il mondo si può riversare su carta, si può catturare in tanti momenti belli o brutti, si può fermare il tempo e scoprire di amare qualcuno che non esiste. Si può creare.
Al contempo, sono così lontana dall'essere un'artista da sfiorare il ridicolo. Non riuscirò mai a ideare qualcosa di abbastanza originale, mi dico; soprattutto perché non ho niente di cui scrivere, se non le avventure di personaggi che creo e dipingo dentro di me.
Mi rendono felici i negozi di dischi con un retrobottega dove si possono trovare dei vinili, amo quel loro odore polveroso e la cura e l'attenzione che ti costringono a prodigar loro. Amo la serie di gesti che ti porta a posare il disco sul piatto, schiacciare i pulsanti o muovere il braccino perché la puntina si posi sull'inizio del primo solco. Amo quel momento di silenzio in cui si sentono fruscii e scariche simili a singhiozzi, e amo quando la musica parte, che sia lenta e dolce o forte ed improvvisa.
Mi rende felice guardare le persone che camminano per strada e tracciarne ritratti nella mia mente, come mi rende felice scattare foto a tradimento a persone che neanche mi conoscono, quando sono così belle e naturali; i piani e gli assi dei loro visi sconosciuti a muoversi per renderli spontanei e se stessi quando non sanno neanche di esserlo: le fossette sulle guance quando ridono, le rughe attorno agli occhi socchiusi per il sole e l'ombra che il naso proietta sulle guance.
Mi rendono felici il vento e le foglie che cadono e la natura in tutto. Mi fa felice capire una canzone in una lingua straniera solo ascoltandola, mi fa felice la soddisfazione che provo quando traduco una storiella dall'inglese e sembra che scorra.
Ci sono mucchietti di foto che ritaglio dai giornali, nei miei cassetti, e anche quelli sono frammenti di felicità, che pur in pochi capiscono.
Immagino che in molti giudicherebbero queste mie gioie stupide e puerili. Come puoi essere felice senza un cellulare col touchscrean, dice la televisione. 
Forse è questo il sole degli smemorati, ciò che ci fa dimenticare per un attimo le tristezze e le cose che dovremmo fare.
Dimentico le chiavi a casa e rimango chiusa fuori dalla porta, dimentico di mettermi la sciarpa e dimentico i compiti di matematica e perfino le spiegazioni, ma la mia mente contiene un numero incalcolabile di canzoni e immagini e parole, tante che a volte credo di scoppiare e allora respiro, e mi sembra che da me esca fuori un po' di luce, che si disperde nel mondo come tempera in un bicchier d'acqua.
E se la felicità è qualcosa di cui abbiamo così bisogno, allora potremmo anche prendercela, non è vero?
Certo, so che non è così facile. Ci sono cose che mi feriscono e che ho voluto dimenticare, ma che rimangono dentro di me come sedimenti affilati.
Ricordi di quand'ero bambina e i miei "amichetti" mi prendevano in giro perché amo leggere, ricordi di quando mia madre si arrabbia con me senza altro motivo se non che è stanca, ricordi di momenti bui in cui ho cercato di essere normale e altri in cui ho capito di non poterlo essere e, quindi, non poter essere neanche accettata, e di dover sparire.
Non posso tenermi un po' più stretta la mia felicità? Solo quel tanto che basta perché il cuore smetta di farmi male così spesso. Vorrei solo un letto caldo e un tè con poco miele, un po' dei miei cd e libri preferiti. Un pezzo di carta dove scrivere e disegnare. Non farei niente di male.
Ma ovviamente la Terra gira ed io guardo un po' troppo spesso il cielo, alla ricerca di altri merli, di astronavi, di una cabina telefonica blu, di paracadutisti e supereroi. E poi guardo la terra e cerco sguardi da merli, da astronauti, da alieni, da persone che sanno volare, nella folla. 
A volte trovo qualcosa d'interessante. Colori di capelli particolari. Occhi brillanti. Atteggiamenti che m'ispirano tenerezza. Musiche che conosco. 
Quando me ne andrò da qui, continuerò a cercare tutte queste cose in ogni persona che incontro. Quando me ne andrò, spero di essere cresciuta e coraggiosa abbastanza da riuscire a parlare con quelle persone particolari, che mi rimangono impresse dentro come quadri di grande bellezza. In fondo, io non dimentico mai le cose davvero importanti.



Ora che ho finito, posso andare a vedermi Supernatural e dire di averci provato :D
Buonanotte.
  
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