Tornati a casa, Tom e Kim non
erano ancora rientrati e la
tovaglia tappezzata di caffè era ancora sul tavolo.
Bill posò i nostri giacchetti su una panca in corridoio e
corse in camera.
Presi a sistemare i piatti nel lavandino, la tovaglia
l’arrotolai e la misi nella cesta dei panni sporchi, accesi
la TV e la voce di
un presentatore di MTV catturò la mia attenzione.
“I gemelli Kaulitz sono scomparsi letteralmente dalla
loro casa in California, nessuno sa dove siano diretti
perché non c’è stato
modo di mettersi in contatto con loro.”
Mi avvicinai allo schermo per sentire meglio continuando
ad asciugarmi le mani bagnate con un canovaccio.
“Il loro produttore ha lasciato solo una breve
dichiarazione ai media sottolineando l’importanza della loro
privacy e l’attesa
per i fan di quello che sarà un periodo d’assenza
abbastanza lungo. Ma… cosa
sarà successo di così scandalizzante da lasciare
la band divisa a metà? Litigi,
dibattiti, incoerenze?”. Il presentatore si
avvicinò ad una ragazza del
pubblico che aveva in mano una fascetta da concerto dei Tokio Hotel e
la teneva
stretta come una reliquia. In volto dipinta la sofferenza, quel tipo di
sofferenza che una fan prova quando la propria band preferita la delude.
“Tu cosa ne pensi? Vedo che l’argomento ti tocca in
prima
persona.” Disse ridendo falsamente e indicando la fascetta
fra la presa ferrea
di quella ragazza.
La ragazza prese un profondo respiro, qualche attimo di
silenzio e poi parlò quasi singhiozzando.
“Penso che sparire dalla circolazione non abbia senso.
Sono scappati dalla Germania, sono arrivati in California e adesso sono
di
nuovo scappati senza farci sapere nulla! Io sosterrò sempre
la band ma facendo
così molti fan si fanno domande, si chiedono i
perché di certi comportamenti e
situazioni… essere fan dei Tokio Hotel non è
facile…” aggiunse “Sei
perennemente in balia del caos del fandom e se provi a chiedere
un’informazione
subito che ti attaccano dicendoti che non sei abbastanza fan e che
certe cose
si devono sapere categoricamente.” Io non credevo a quello
che le mie orecchie
stavano ascoltando. Ero allibita e sconcertata dalle parole di quella
ragazza
perché non capivo cosa c’era di tanto difficile
nell’essere fan.
“Quindi, in conclusione cosa diresti?” le
domandò
prontamente il presentatore.
La ragazza tirò su col naso e cacciò dentro le
lacrime
che stavano per rigare il suo viso del nero mascara.
“Ho solo una cosa da dire: se mi state ascoltando,
sappiate che non è giusto nei nostri confronti! Non
è proprio per niente
corretto! Capiamo tutto: dalla privacy, alle vacanze ma svanire nel
nulla, no!
Padroni della vostra vita, ci mancherebbe altro però non
fate in modo e maniera
da allontanarci! Senza i fan nessun artista è completo e voi
state remando
contro tutto questo, lo state facendo da un anno ormai… non
penso che andremo
lontano così e…”
La TV si spense improvvisamente.
- Smettila di guardare queste stupidaggini, sono frasi
senza senso. – disse con voce bassa.
Gettò il telecomando sul divano dove mi ero seduta e si
diresse verso la finestra a braccia incrociate lasciando che il suo
sguardo
vagasse per la strada sottostante. Aveva ascoltato tutte le parole di
quella
fan.
- Che cosa vogliono da me? Che cosa vogliono da noi? – il
tono della sua voce crebbe e Bill divenne incredibilmente irritato.
– Hanno
tutto! Cd, interviste, poster, backstage filmati, meet & greet,
autografi,
concerti, eppure… non gli basta! Non gli basta mai! – appoggiò
delicatamente la fronte al vetro freddo e a
contatto con esso il suo calore creò un piccolo cerchio di
condensa. Chiuse gli
occhi ed inspirò lentamente, profondamente.
Quello che aveva detto Tom era vero: Bill era sul limite
del suo limite massimo di sopportazione di tutto, del mondo intero
penserei a
questo punto.
La sua figura dietro di me mi intristiva e anche se mi
aveva fatto soffrire in passato, io non volevo vederlo star male in
diretta
davanti ai miei occhi seppur per una cosa di poca importanza, ma sapevo
benissimo che di poca importanza non era.
Forse Tom aveva ragione anche su questo, provare a dare a
Bill una seconda opportunità e lasciare il passato alle
spalle. L’indecisione e
la paura di un’ulteriore freddata mi pugnalava il cuore ma
Bill aveva bisogno
di qualcuno con cui parlare, aveva bisogno di me.
Mi alzai e mi avvicinai a lui. Sembrava strano eppure
percepivo che c’era qualcosa che non andava.
Posai le mie mani sulla sua schiena e salii fino a
cingergli le spalle, sapendo che probabilmente in futuro mi sarei
pentita di
quello che stavo facendo ma in quel momento non lo pensavo nemmeno.
Sfiorai con il naso la sua maglietta e rimasi con la
guancia lì, ferma, ascoltando i battiti del suo cuore.
Il suo profumo, la sua presenza vicino a me, tutto lui mi
faceva sentire estremamente felice e perfettamente in sintonia con il
resto
dell’universo.
Una malinconia si attanagliò dentro di me e tristi
ricordi riaffiorarono compensati al tempo stesso da ricordi
meravigliosi,
ricchi di risate e armonia. Bill era questo: con lui eri costantemente
in
bilico tra l’eterna felicità e la distruzione
totale.
…e mi piaceva, mi piaceva ancora. Mi mancava.
Mi prese una mano e mi fece girare attorno a lui finchè i
nostri occhi non furono gli uni di fronte agli altri.
La luce soffusa del cielo berlinese illuminava il viso di
Bill e gli dava una sfumatura antica, quasi nobile: la pelle bianca, la
linea
del naso perfetta, lo sguardo magnetico e quelle labbra impeccabili.
Tom era bello, ma Bill era divino.
In quel frangente non sapevo cosa fare: mi si era seccata
completamente la bocca, non avevo più saliva neanche per far
schioccare la
lingua e anche provare a pensare ad una semplice frase era
un’opzione da
scartare. Non ci capivo più nulla, la vista cominciava ad
appannarsi
lievemente.
Mi fissava in maniera glaciale, con le mani serrate sui
miei polsi. Generalmente non sopportavo di essere bloccata, ma ammetto
che
essere bloccata da lui in quel
preciso istante aveva un non so che di stimolante e terribilmente
affascinante.
Si avvicinò di più verso il mio viso, sentivo il
suo
respiro sulle mie labbra e il sangue fluirmi tutto insieme nel petto.
- Devi dirmi una cosa Kim. – mi sussurrò quasi
sulla
bocca – Devo sapere assolutamente, sto impazzendo. –
Di sicuro stavo impazzendo anche io. Ogni singola cellula
del mio corpo mi tirava a lui come pezzettini di metallo attratti da
una
potente calamita.
- Proverò a risponderti, se ce la faccio… -
quell’ultimo
pezzo di frase riportò sul volto di Bill un piccolo sorriso
vincitore che mi
scombussolò la testa.
Si fece ancora più vicino, adesso la distanza fra le mie
e le sue labbra poteva sicuramente essere contata in millimetri.
Le sue mani si staccarono dai miei polsi e scivolarono
sui miei fianchi. Le mie, invece, salirono fino a cingergli il collo e
mi
ritrovai intrappolata con la schiena attaccata al vetro e Bill davanti
a me.
Si spostò di lato, scendendo delicatamente e sfiorandomi
la pelle della guancia con le labbra, lungo tutto il profilo del mio
viso ed
inconsciamente, rapita da quell’improvviso turbine di casta
passione, portai la
testa all’indietro lasciando che Bill proseguisse a scendere.
Il mio collo fu
coperto da soffici baci che mi mandarono in estasi e chiusi gli occhi
godendomi
quegli attimi di ritrovata beatitudine.
La maglietta che portavo era diventata carta velina fra
le sue mani e ad ogni tocco la mia pelle a contatto con la sua ardeva
con un’intensità
che non avevo provato con nessun’altro ragazzo. Era solo e
solamente Bill che
mi completava eppure più ci pensavo e più la
malinconia si faceva forte nei
miei pensieri. Feci il possibile per scacciarli via e per non rovinare
il
momento.
Ad un tratto le sue labbra si fermarono all’altezza della
mia clavicola, le braccia gli cominciarono a tremare.
Presi coraggio e cercai i suoi occhi ma non li incontrai
subito. Sentii solo il suo respiro accelerato per alcuni secondi.
- Se non avessi fatto quella stronzata di scappare e ti
avessi proposto di andare via da qua, da tutto insomma… per
me… lo avresti
fatto seriamente? – domandò e quasi riuscii a
sentire nella sua voce il timore
della mia risposta.
Capitava che, prima della sua “fuga”, parlavamo di
un
ipotetico futuro assieme ed ogni santissima volta che lo facevamo era
scontato
che io lasciassi tutto per stare con lui, quindi:
- Si… avrei lasciato tutto all’istante, senza
pensarci
due volte. Volevo stare con te e mi bastava, mi bastavi tu. Ma,
giustamente,
eravamo troppo piccoli e non sei riuscito a capirlo. Non penso che
adesso
affronterei una decisione del genere molto superficialmente come avevo
fatto qualche
anno fa. – risposi meravigliandomi della prontezza della mia
capacità
comunicativa fra le sue braccia.
Attimi di silenzio.
- Però sei qua, con me… non hai negato la
possibilità di
partire. – forse avevo sbagliato, gli avevo messo in testa
false aspettative. –
Ho qualche possibilità di farmi perdonare, Kim? –
In quel momento mi apparve Tom nella mente e i suoi
discorsi sulle possibilità. Crescendo era diventato fin
troppo saggio per i miei
gusti.
- Una persona a me molto cara mi disse che a tutti è
concessa una seconda chance, Bill, e tu non sei diverso. –
Alzò lo sguardo e mi guardò così
immobile che sembrava
fosse paralizzato.
Abbozzando un sorriso sbieco mi ringraziò e io non potei
fare a meno di ricambiare il sorriso.
- Però… non è questa la risposta che
volevo sentire,
perché in realtà non era questa la domanda che
volevo farti… - abbassò gli
occhi e sciolse il nostro abbraccio. La magia era finita… o
forse no?
Posò le mani sul vetro dietro di me e con la testa china
i ciuffi corvini che erano scappati dalla presa della lacca mi
toccavano il
petto.
- Cosa dovevi chiedermi allora? – chiesi quasi senza un
filo di voce.
Improvvisamente alzò lo sguardo, fissandomi.
- Mi ami ancora, Kim? – a quella domanda rimasi in
silenzio.
Gli attimi passati parevano essere scomparsi del tutto e
i miei occhi non riuscirono a sopportare di essere incatenati ai suoi.
Mi voltai
verso lo schermo nero della TV e desideravo ardentemente di trovarmi
seduta sul
divano dove ero poco prima invece che sentire il suo sguardo su di me
in attesa
di una risposta.
- Forse io… - cominciai.
- E’ permessooo!? – domandò qualcuno
dall’ingresso di
casa, facendo scattare la serratura della porta.
- Ma che ti urli, si può sapere? – chiese una
seconda
voce femminile.
- Bhè sai… stando alle mie esperienze passate
è sempre
meglio far sapere a chi è dentro casa che sei arrivato
altrimenti potresti
trovare scene strane… non si sa mai… - Tom.
- Ehm… credo sia un ragionamento logico. – Kate.
Scappai da Bill non appena li sentii, ringraziando il
cielo che per una volta il mio fratellone rasta mi aveva salvata a
tempo
debito.
- Ciao ragazzi, tutto bene Tom? – chiesi andandogli
incontro e prendendo la domanda con una nota un po’ troppo
alta, infatti il
rasta si bloccò e mi squadrò alzando un
sopracciglio. Saranno stati i miei
capelli tutti arruffati per essere stati dieci minuti schiacciati sul
vetro
umido o la mia finta euforia, ma lui sapeva che quando ero in
difficoltà me ne
uscivo con qualcosa di imprevedibile… anche, e comprese,
vocine stridule.
Distolse gli occhi da me e guardò il fratello con fare
indagatore.
- Ciao brò. – disse Bill appoggiato alla finestra
e
facendogli un cenno.
Ancora non convinto ma arrendendosi per non aver trovato
nulla di insolito fra di noi, mi passò dietro e
andò in cucina seguito dal
fratello.
- Ciao Kim tutto ok? – anche Kate si era accorta che ero
leggermente “fuori” ma con lei potevo gestirmela
meglio mentre Tom, con lui era
davvero difficile fargli passare per vera una situazione improbabile
sotto il
naso senza che dicesse niente.
- Si, tutto ok. – la mia voce era tornata normale.
Ci sistemammo in salotto con qualche salatino e qualche
bibita sul tavolino di fronte la TV, chiacchierammo del più
e del meno, delle analisi
che avrebbe dovuto fare Tom e del mio giro con Bill per Berlino
(tralasciando
il
particolare del regalo per Kate, ovviamente).
Passarono le ore e scese la notte.
Presi le chiavi della macchina per andare a prendere le
pizze che avevamo ordinato qualche isolato più
giù rispetto a casa mia e Tom si
propose per accompagnarmi.
Felicissima, accettai la sua compagnia e mentre stavamo
per uscire:
- Guarda che la tua macchina ha la batteria scarica,
prendi la mia. – la voce di Bill mi raggiunse in corridoio e
sbuffai sapendo
che aveva ragione ma me ne ero totalmente dimenticata. – Le
chiavi sono nel
giacchetto sul letto. –
Mi voltai e corsi in camera senza accendere la luce,
rovistai fra le lenzuola e trovai il cappotto.
Presi le chiavi dell’Audi e in mano mi ritrovai anche un
biglietto che misi nella tasca del mio trench senza pensarci.
- Grazie Bill. – lo vidi sorridere ed illuminarsi alle
mie parole. Avevo solamente detto “grazie”.
- Guarda per un misero “grazie” come è
felice… - disse
Tom non appena chiusi la porta alle nostre spalle.
Alzai gli occhi al cielo ma dovetti accettare l’idea che
anche adesso aveva pienamente ragione a sottolinearmi certe cose.
Eppure, cavolo, quella che era stata lasciata ero io. Teoricamente
chi doveva sentirsi verme e farmi illuminare di gioia era lui, non
viceversa. Vabè…
Salii in macchina di Bill e accesi il motore. Tom era
rimasto fuori dalla parte del passeggero.
Abbassai il finestrino.
- Bhè, che fai? Non Sali? – chiesi.
- Guidi tu? – mi indicò con gli occhi sgranati.
- Dai Sali, guarda che guido bene. Fidati! –
Tom salì in macchina e chiuse la portiera mettendosi
immediatamente la cintura.
- Malfidato. – feci una smorfia e regolai il sedile visto
che Bill aveva le gambe doppiamente lunghe rispetto alle mie e riuscire
ad
arrivare ai pedali, per me, era pura fantasia.
- Vorrei mangiarmela vivo la pizza stasera se per te non
ti dispiace. –
- Tom… -
- Si? –
- Non so usare la frizione, ho la macchina automatica. –
il panico si dipinse sul suo viso.
- MA COME NON SAI USARE LA FRIZIONE? Scendi che… -
- Ahahah, scherzavo! Sei un folle! – ingranai la prima e
partii alla guida di quel macchinone meraviglioso con Tom che rideva
affianco a
me.