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Autore: WYWH    09/01/2012    3 recensioni
[STORIA RIVEDUTA E MODIFICATA] Solo per un momento, Yayoi ebbe remora di firmare quella carta, e questo non passò certo inosservato a Jun o all’avvocato; ma non era perché aveva cambiato idea su qualcosa, oramai la donna aveva accettato tutto, anche per sfinimento. È solo … solo che, in una remota parte di sé, la donna ancora si ostinava a pensare che le cose si sarebbero risolte; le succedeva sempre, quando non sembrava esserci soluzione al problema: all’improvviso, nella sua testa, cominciava a sentire una musica ritmata, allegra, che la faceva sorridere.
Era una musica tratta da “L’Elisir D’amore”, forse la sua opera lirica preferita.
"Una tenera occhiatina, un sorriso, una carezza, vincer può chi più si ostina, ammollir chi più ci sprezza. Ne ho veduti tanti e tanti, presi cotti, spasimanti, che nemmanco Nemorino non potrà da me fuggir. La ricetta è il mio visino, in quest'occhi è l'elisir..."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Anche un uomo'
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Aria:

Madamina, il catalogo è questo.

 

Cinque anni dopo …

 

Squillo a vuoto. Squillo a vuoto. Squillo a vuoto. Toh, segreteria.

Chissà come mai non ne era sorpresa.

*Salve, questa è la segreteria telefonica di Jun Misugi. Al momento non sono in casa, potete lasciare un messaggio dopo in segnale acustico. Vi richiamerò appena mi sarà possibile, grazie.*

Beep.

Adesso la sentiva.

-Jun Misugi, brutto cretino che non sei altro, vedi di tirare su la cornetta del telefono o di aprirmi la porta, o questa volta non te la caverai con una scusa qualsiasi!-

Ma niente, il silenzio assoluto dall’altro lato della cornetta, e poi la segreteria le chiuse la telefonata; la donna sospirò spazientita, chiudendo il cellulare e  incrociando le braccia, guardando la porta d’ingresso dell’appartamento, lasciando un’occhiata veloce al corridoio dietro di lei, voleva certo evitare di fare la figura della barbona con gli altri inquilini.

Oramai era da un’ora che bussava, ed erano spaventosamente in ritardo; sperava di svegliarlo telefonandogli, ma Jun quando dormiva non lo buttavano giù nemmeno le cannonate.

Meno male che aveva tenuto la chiave dopo aver lasciato Jun!

La recuperò dalla piccola borsa, ed aprì la porta, facendo prima una piccola preghiera perché la casa non fosse quel cesso che si ricordava dall’ultima volta che ci era stata; aprì lentamente, e non appena vide la gamba di un pantalone rovinata a terra, la donna perse tutte le speranze, aprendo con un colpo, facendo sbattere la porta contro uno scatolone da imballaggio, probabilmente pieno di cose delicate.

E lui lo teneva lì!

Sospirò pesantemente, chiudendo la porta e notando che le tapparelle erano ancora tutte chiuse.

-Jun? Jun dove ti sei cacciato?! Guarda che siamo in ritardo per la riunione.-

Sentì una specie di rumore gutturale, e lentamente cominciò a muoversi per la stanza, alzando per bene i piedi per non pestare nulla, una volta aveva provato a camminare in quel buio ed era finita con una scarpa nuova di zecca in un cartone della pizza semivuota.

Finalmente raggiunse la finestra, e tastando riuscì a trovare il pulsante delle tapparelle, avviandole e pregando nuovamente che quella stanza non fosse come si era immaginata.

Una linea orizzontale di luce solare di formò sul tappeto morbido, e subito individuò una scarpa slacciata, abbandonata a terra, e già pensò al peggio; fortunatamente non c’erano cartoni di pizza, bibite rovesciate o altre schifezze varie, ma solo abiti stropicciati scaraventati senza alcuna cura a terra.

E lì, abbandonato sul divano, con i chiari segni di una sbronza appena passata, Jun Misugi, l’uomo più disordinato che la donna avesse mai conosciuto.

Oramai la terrazza era completamente tirata su, pertanto la donna si avvicinò al grande e ampio divano, ammirando la sua maestà placidamente immersa nel mondo dei sogni; e lo ammise, in fondo Jun Misugi rimaneva sempre e comunque un bell’uomo, e quando dormiva era un piacere starlo a vedere.

Aveva trentadue, trentatre anni, ma sembrava sempre averne venti, con quel viso che molti uomini gl’invidiavano, perché sebbene avesse dei tratti marcati, come le sopracciglia e gli zigomi, aveva anche dei lineamenti dolci, che gli davano un’aria sempre giovane, quasi adolescenziale.

Si, era bello. Bello … e tremendamente disordinato, sconclusionato e avventuriero; anche per questo motivo lei aveva preferito chiudere la loro storia prima che fosse troppo tardi: meglio rimanere collega e amica di Jun piuttosto che amante o, peggio, fidanzata.

Perché quelle non avrebbero mai preso il posto dell’unica moglie di Jun. Sposato! Ma ci pensate? Quel tizio, sdraiato sul divano, il cui fascino era ridotto solo al suo bel faccino e al suo fisico, aveva avuto una moglie che lo aveva sopportato!

Buon per lei che, alla fine, se n’era andata.

Forse.

Comunque, ara la priorità era svegliare Jun, e con le buone non c’era riuscita.

Poco male, sarebbe passata alle cattive: gli afferrò il polso e una caviglia, e puntando i piedi a terra lo spinse giù dal divano, facendolo cadere di faccia a terra, fortunatamente il tappeto morbido ammorbidì la caduta.

La reazione fu immediata: come un pesce fuor d’acqua, l’uomo si agitò animatamente, riuscendo alla fine ad alzare la faccia e, con le braccia, a mettersi seduto, passandosi una mano sul volto e mettendo a fuoco la presenza davanti a lui, che subito lo redarguì.

-Jun Misugi, comincio a perdere la pazienza con te: vatti immediatamente a lavare a metterti qualcosa, che siamo spaventosamente in ritardo.-

L’uomo ci mise qualche minuto a connettere, poi ebbe due moti: da una parte una crescente incazzatura verso la donna di fronte a lui, ma dall’altra gli salì il panico, ricordandosi che, effettivamente, quel giorno doveva assolutamente presentarsi alla riunione. Le due cose, mescolate insieme, generarono un’energia nel corpo dell’uomo che schizzò in piedi e corse in bagno, parlando alla donna nel frattempo.

-Porca miseria Matilde! Perché cazzo mi hai svegliato solo adesso?!-

-Perche prima ero chiusa fuori di casa.-

-Hai la chiave, merda!-

-Speravo che ti svegliassi, sono stufa di entrarti sempre in casa come una ladra perché non ti sai gestire.-

-Fammi un caffè.-

-Non ne abbiamo il tempo.-

-Ti chiedo solo un caffè, cribbio! Non ti sto chiedendo qualcosa di difficile! Le cialde sono …-

-Nel cassetto in basso, lo so, ti ricordo che sono sempre qui a farti da balia.-

Lui grugnì, e la donna velocemente si diresse in cucina, notando che questa era stranamente pulita, probabilmente non mangiava a casa da un bel po’; velocemente trovò le cialde, optando per qualcosa di bello forte, frugando poi alla ricerca della tazzina e velocemente preparando il caffè istantaneo, meno male che, prendendo quella casa, l’uomo aveva avuto la decenza di comprare solo cose utili.

Ecco, su questo si poteva dire che Jun era un uomo giudizioso.

Il caffè c’impiegò il tempo sufficiente per l’uomo di darsi una rapida lavata, vestirsi e raggiungere la cucina, dove trangugiò il caffè bollente scottandosi la lingua.

-Merda!-

-Dai, muoviti.-

Matilde lo afferrò per un braccio, obbligandolo a prendere al volo almeno le chiavi di casa, portafoglio e cellulare, facendosi trascinare fuori di casa, giù dall’appartamento e prendere il primo taxi al volo, dirigendosi verso la clinica privata dove lavoravano entrambi.

-Allora? Chi era?-

-Chi?-

-Il motivo per cui ti sei preso una sbronza tale da trovarti sul divano.-

-Non capisco di cosa parli.-

-Di CHI parlo, Jun Misugi, guarda che a me non mi freghi. E una che conosciamo?-

Lui non rispose, passandosi una mano tra i capelli, quelli dietro erano umidi per la doccia veloce che si era fatto; Matilde, tuttavia, non si sarebbe accontentata di quel silenzio, gli piaceva vederlo storcere la bocca quando parlava delle sue avventure.

Non perché fosse un tipo particolarmente riservato, ma perché sapeva anche lui che rischiava, sempre.

-No.-

-Ok, l’hai conosciuta solo ieri. E com’era? Alta, bassa, bruna, bionda? O magari rossa?-

-Ma che ti frega della mia vita! Piantala!-

Rossa, aveva reazioni così esplosive solo con le donne dai capelli rossi; Matilde non sapeva perché, ma lui aveva sempre avuto un debole per quel tipo, e lei che era biondissima si sentì al sicuro dalle sue grinfie.

-Ok, è rossa.-

-Ti prego Matilde!-

-Sai bene che non smetterò Jun, almeno fino a quando non parlerai, pertanto sputa il rospo o te lo cavo io di gola.-

Il taxi fermò ad un semaforo rosso, e Jun sbuffò, intrappolato in quelle maniere con quella pazza di una bionda italiana.

-L’ho conosciuta ieri, in un locale.-

Di solito, quando andava all’avventura, ci andava da solo, perché la compagnia lo distraeva, e anche perché Jun Misugi era tendenzialmente inconsistente nelle decisione di tipo sentimentale: era come un bambino, se una cosa gli piaceva la prendeva, ci giocava, e appena c’era qualcosa di più interessata la buttava via. Terrificante una cosa del genere per una donna.

Però una cosa Matilde doveva ammettere: Jun Misugi non era un uomo cattivo.

Ma farfallone di sicuro, ci metteva lei la firma.

-E poi?-

-Vuoi sapere anche i dettagli?-

-Certo!-

Jun sospirò di nuovo, sforzandosi di ricordare, ma il cervello aveva ancora qualche difficoltà a carburare, il caffè non gli era servito a niente.

-Eh, dunque …-

Il taxi ripartì, e fortunatamente il tragitto da casa sua alla clinica non era così lontano, poteva già riconoscere gli edifici che di solito superava a piedi, e l’uomo prese un respiro di sollievo, girandosi verso la donna con aria vittoriosa.

-Spiacente Matilde, ma per questa volta la scampo.-

-Jun Misugi, scommetto che ti sei fatto anche la dea della fortuna.-

-Già, ma non credo che stavolta riuscirà a farmela scampare al ritardo sulla riunione di oggi.-

-Tzè, ti basterà mostrare il tuo solito modo di fare da uomo maturo, e quel vecchiaccio del capo te la perdonerà. Te la cavi sempre tu.-

Jun pagò cavallerescamente il tassista, e con Matilde superò il cancello bianco, entrando dentro la clinica senza guardarsi intorno, salutando i colleghi che conosceva con un cenno del capo, assumendo pian piano il suo solito aplomb: espressione concentrata, schiena dritta, atteggiamento posato.

Perché effettivamente, a Jun piaceva il suo lavoro, sia come medico sportivo che come tecnico della FC Tokyo; aveva smesso di giocare, ma la sua passione per il calcio era rimasta, ed aveva continuato a lavorare nella squadra per cui aveva giocato per molto tempo, riuscendo anche a completare i suoi studi medici.

Quella clinica era, per lo più, il posto dove teneva il suo studio, ma per la maggior parte del tempo l’uomo era sempre fuori: i suoi impegni sportivi, insieme ai suoi studi medici, lo avevano obbligato ad una vita molto più vagabonda  di quanto avesse immaginato, anche perché lui, personalmente, preferiva molto di più starsene in giro, a seguire i suoi vari pazienti, che restare chiuso ad ammuffire nel suo studio o nel suo appartamento.

Salutò le segretarie del primo pian distrattamente, ma Matilde non poté non notare, con un sorriso divertito, che quelle comunque lo guardarono affascinate; e così fu anche per le infermiere e le dottoresse, nemmeno quelle più avanti con l’età si risparmiavano dal lanciargli una veloce occhiata.

-Buongiorno dottor Misugi.-

-Akata-san, buongiorno.-

-In ritardo anche stamane, eh?-

L’anziana donna era il capo del reparto di psicologia, dove ci lavorava Matilde, e tendenzialmente Jun preferiva non starci molto tempo lì perché i medici all’interno tendevano sempre a psicanalizzare chiunque passasse, rendendo difficile la conversazione.

-Capita purtroppo.-

-Tranquillo, anche il tema della riunione di oggi è in ritardo.-

-Il “tema”? abbiamo un nuovo arrivato in clinica?-

-Nuovi arrivati: pare che il capo del reparto fisioterapia abbia richiesto un assistente esterno alla clinica. Inoltre il reparto di pediatria è pronto per essere usato, i nuovi medici dovrebbero arrivare oggi stesso.-

-E immagino che lei si sia documentata su tutti loro e sul loro stato mentale, giusto?-

-Che insinuazioni, dottor Misugi.-

Ma la donna sorrideva divertita, e l’uomo ricambiò con un cenno del capo.

Matilda a quel punto scosse il capo: era inutile, quell’uomo era veramente bravo a rigirarsi qualsiasi essere di sesso femminile nel raggio di cento metri.

-In effetti mi sono documentata: il fisioterapista pare che sia un giovane con molta esperienza, ha lavorato molto all’estero e, negl’ultimi tempi, ha lavorato presso l’Ospedale Centrale.-

-Niente male.-

-Niente male davvero, per questo il dottor Fusako l’ha voluto a tutti i costi.-

-Ma che è successo con la sua precedente assistente?-

-Si è sposata e ha lasciato il lavoro. Motivazione più che discutibile.-

Matilde lanciò un’occhiata attenta a Jun, notando come questo avesse accigliato lo sguardo alla parola magica: matrimonio.

Si sapeva che lui era stato sposato, ma non aveva mai fatto trapelare niente del suo matrimonio, neanche il nome della sua ex-moglie; quello che si conosceva era che aveva divorziato da oramai cinque anni, e che aveva perso completamente i contatti con lei.

Neanche quello sorprendeva l’italiana: quando voleva, Jun Misugi sapeva benissimo scomparire dalla tua vita, anche perché con la vita che faceva era un miracolo se continuava a restare in contatto con i suoi amici, ex compagni di squadra della Nazionale.

-E degl’altri? Che mi può dire?-

-Tutti dottori con ottime credenziali, niente d’interessante a riguardo. Uno degl’infermieri oggi è assente.-

-Come mai?-

-Motivi personali, ha assicurato la sua puntualità per domani.-

Raggiunsero la sala riunioni parlando del più e del meno, e molti dei medici erano già arrivati, erano si e no una decina tra i pezzi grossi della clinica, compreso il capo, un vecchio signore di sessant’anni con due baffi alla Bismarck davvero impressionanti, con un vocione tale che quasi ti arrivava dentro le budella quando parlava.

-Dottoressa Akata. Dottor Misugi. Dottoressa Cecconi.-

-Buongiorno.-

Risposero tutto e tre in sincronia, accomodandosi nelle prime sedie libere che riuscirono a trovare, chiacchierando fra di loro del più e del meno fino a quando il dottor Henrich Guffred non prese la parola, presentando i medici del nuovo reparto di pediatria, senza però accennare all’unica mancanza, solitamente era un uomo tremendamente preciso in queste cose.

-Secondo me è perché l’infermiere è in realtà una infermiera.-

Jun si voltò verso Matilde, che gli aveva bisbigliato all’orecchio. Lui, di rimando, fece spallucce.

-Bah, può darsi. Lui di iscuro è un cavaliere con il gentil sesso.-

-Puoi dirlo forte.-

-Te ne approfitti sempre tu …-

E Matilde sorrise divertita al commento di Jun, facendo anche la linguaccia.

In quel momento il dottor Fusako apparve in sala, accompagnato da un giovane uomo dai capelli neri.

-Buongiorno colleghi, scusate il ritardo. Dottor Guffred.-

-Prego, dottor Fusako, ci presenti il suo nuovo assistente, e poi daremo inizio alla vera e propria riunione.-

-Certo: questo è il dottor Kishimoto, e da questo momento entra ufficialmente a far parte della clinica “Kanon” come mio assistente al reparto di fisioterapia.-

Il giovane salutò con un sorriso, e frettolosamente il dottor Guffred gli diede il benvenuto, invitandolo poi a sedersi ed iniziando a discutere degl’argomenti di quella settimana; Misugi ne approfittò per prendere il suo i-pad e controllare l’agenda, per vedere che appuntamenti aveva quel giorno.

La prima annotazione che vide era persino scritta in rosso sul cellulare, e diceva testualmente “Rimpatriata”; giusto, quel giorno si riunivano tutti i suoi ex-compagni di squadra della FC Tokyo, lo aveva completamente dimenticato. A parte una visita di controllo, fortunatamente, si era ricordato di tenersi libero, pertanto già si pregustò la piccola partitella che sicuramente avrebbero organizzato.

Matilde si sporse verso di lui, mormorandogli.

-Ehi, non scappare come al tuo solito appena finisce la riunione, che dobbiamo parlare di quella rossa.-

-Matilde, piantala.-

-Perché te la prendi tanto? Sei stato tu, ieri, a finire ubriaco sul divano, mica io.-

-Appunto, questo ti fa capire che non è successo niente.-

-Hmm, e pensi che me la beva?-

E l’italiana si allontanò dal giapponese con un sorriso divertito, e l’uomo alzò per un secondo gli occhi al cielo, pregando le divinità perché i suoi piedi fossero abbastanza veloci per riuscire ad evitarsi quella tortura.

Nel caso avrebbe fallito nella fuga, che gli avrebbe detto?

 

Madamina, il catalogo è questo
Delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt'io;
Osservate, leggete con me.

In Italia seicento e quaranta;
In Alemagna duecento e trentuna;
Cento in Francia, in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre.

(Da “Il Don Giovanni” Primo atto, scena cinque)

 

 

-Mamma!! Dov’è il grembiule?-

-Lì vicino alla porta d’ingresso, dove l’abbiamo lasciato ieri amore.-

Il bimbo si sporse verso la porta, e con un sorriso entusiasta vide il suo bel grembiule nuovo con tanto di cappello, sua madre gliel’aveva comrpato apposta per quel primo giorno all’asilo nuovo.

La donna, in quel momento, si affacciò dalla camera e si avvicinò al figlio, mettendoglielo sistemandolo al meglio, il bimbo rimase dritto e fermo come un soldatino, parlandole un po’ incerto.

-Mamma, sicura che a lavoro non si arrabbiano?-

-Ma no, tranquillo: ho parlato con il mio capo, e ha detto che questa è un’occasione troppo importante, e che non devo certo mancare!-

Oddio, non gli aveva detto veramente così il dottor Guffred, ma sotto quei baffoni la bocca aveva assunto un sorriso divertito, e la donna era stata certa che non ci sarebbe stato alcun problema per la sua assenza.

Quell’assunzione era una manna dal cielo: dal suo lavoro all’ospedale non aveva trovato alcuna occupazione decente, e con suo figlio era stata costretta persino a tornare alla casa paterna per almeno un anno, cercando un lavoro decente con cui poter crescere il figlio.

Poi la clinica “Kanon”, quella telefonata, la chiacchierata e alla fine la firma sul contratto, contratto a tempo determinato, certo, ma almeno sarebbero stati tre anni retribuiti, avrebbe avuto tutto il tempo di trovare un altro lavoro e, soprattutto, di far finire l’asilo a suo figlio avviandolo verso la prima elementare.

Cielo, quanto era cresciuto! Le sembrava solo ieri che stringeva quel piccolo fagottino arrossato nella sua camera d’ospedale, ed ora il suo “piccolo principe” stava per fare l’ultimo anno d’asilo in una scuola nuova.

… quando si era dovuta trasferire si era sentita male per lui: lo aveva obbligato a lasciare i suoi amichetti per seguirla in quella regione di campagna, con poca compagnia e con il tempo che non sembrava passare mai.

Tuttavia suo figlio aveva un dono: era straordinariamente tranquillo, o paziente, ma le sembrava che questo pregio fosse un po’ troppo da adulto per un faccino rotondo con quei due occhi color cacao.

-Ecco, sei pronto.-

-Come sto?-

-Benissimo!-

E la donna gli sorrise, restando inginocchiata di fronte a lui e prendendogli una mano, stringendola con dolcezza.

-Senti, Hikaru … sicuro che ce la farai? Se vuoi resto con te.-

Ma il bimbo scosse deciso la testa, non aveva la minima paura negl’occhi.

-Andrà tutto bene mamma. Mi farò un sacco di amici.-

E la donna sorrise, poggiando la sua fronte su quella del figlio.

-Si, lo so. È un talento che hai preso da papà.-

E il bimbo sorrise contento, sorrideva sempre quando la donna accennava a suo padre: ne parlava poco, sporadicamente, ma ogni volta Hikaru sentiva che la mamma ne parlava con grande affetto e tranquillità, e lui restava quasi affascinato da quella figura senza volto, stranamente sua madre non gli aveva mai mostrato una foto di suo padre.

Ma ne parlava sempre, e lui lo conosceva bene. Era sicuro che, se lo avesse incontrato, l’avrebbe riconosciuto subito!

-Allora, andiamo?-

-Si!!-

E la donna si alzò in piedi, afferrando al volo la sua borsa e prendendo per una mano suo figlio, guardandolo con sguardo fiero: era una bambino tranquillo, ma socievole e sempre sorridente, con occhi grandi e curiosi che guardavano il mondo attorno a lui.

E poi aveva il suo grembiule nuovo, e camminava per farlo ammirare al meglio a chiunque si fosse voltato a guardarlo.

Anche in questo assomigliava tanto al padre.

Ma la donna, a quel ricordo, sorrise comunque, chiudendosi la porta dietro e chiudendola a chiave, sistemando la targhetta sopra il campanello.

“Aoba”.

Vedere il suo cognome, ancora una volta, la lasciò per un momento ferma. Poi la voce di suo figlio la risportò all’ordine.

 

E allora eccoci qui. Modificata dall’ultima volta che ho postato, con tante novità in riserbo per voi; la precedente stesura mi era sembrata troppo scialba, destinata a diventare noiosa, specie per la sottoscritta, così ho voluto arricchire il tutto con un personaggio in più, spero vi piaccia!

 

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