Aria:
Madamina,
il catalogo è questo.
Cinque
anni dopo …
Squillo
a vuoto. Squillo a vuoto. Squillo
a vuoto. Toh, segreteria.
Chissà
come mai non ne era sorpresa.
*Salve,
questa è la segreteria
telefonica di Jun Misugi. Al momento non sono in casa, potete lasciare
un
messaggio dopo in segnale acustico. Vi richiamerò appena mi
sarà possibile,
grazie.*
Beep.
Adesso
la sentiva.
-Jun
Misugi, brutto cretino che non sei
altro, vedi di tirare su la cornetta del telefono o di aprirmi la
porta, o
questa volta non te la caverai con una scusa qualsiasi!-
Ma
niente, il silenzio assoluto dall’altro
lato della cornetta, e poi la segreteria le chiuse la telefonata; la
donna
sospirò spazientita, chiudendo il cellulare e
incrociando le braccia, guardando la porta
d’ingresso dell’appartamento,
lasciando un’occhiata veloce al corridoio dietro di lei,
voleva certo evitare
di fare la figura della barbona con gli altri inquilini.
Oramai
era da un’ora che bussava, ed
erano spaventosamente in ritardo; sperava di svegliarlo telefonandogli,
ma Jun
quando dormiva non lo buttavano giù nemmeno le cannonate.
Meno
male che aveva tenuto la chiave
dopo aver lasciato Jun!
La
recuperò dalla piccola borsa, ed aprì
la porta, facendo prima una piccola preghiera perché la casa
non fosse quel
cesso che si ricordava dall’ultima volta che ci era stata;
aprì lentamente, e
non appena vide la gamba di un pantalone rovinata a terra, la donna
perse tutte
le speranze, aprendo con un colpo, facendo sbattere la porta contro uno
scatolone da imballaggio, probabilmente pieno di cose delicate.
E
lui lo teneva lì!
Sospirò
pesantemente, chiudendo la porta
e notando che le tapparelle erano ancora tutte chiuse.
-Jun?
Jun dove ti sei cacciato?! Guarda
che siamo in ritardo per la riunione.-
Sentì
una specie di rumore gutturale, e
lentamente cominciò a muoversi per la stanza, alzando per
bene i piedi per non
pestare nulla, una volta aveva provato a camminare in quel buio ed era
finita
con una scarpa nuova di zecca in un cartone della pizza semivuota.
Finalmente
raggiunse la finestra, e
tastando riuscì a trovare il pulsante delle tapparelle,
avviandole e pregando
nuovamente che quella stanza non fosse come si era immaginata.
Una
linea orizzontale di luce solare di
formò sul tappeto morbido, e subito individuò una
scarpa slacciata, abbandonata
a terra, e già pensò al peggio; fortunatamente
non c’erano cartoni di pizza,
bibite rovesciate o altre schifezze varie, ma solo abiti stropicciati
scaraventati senza alcuna cura a terra.
E
lì, abbandonato sul divano, con i
chiari segni di una sbronza appena passata, Jun Misugi,
l’uomo più disordinato
che la donna avesse mai conosciuto.
Oramai
la terrazza era completamente
tirata su, pertanto la donna si avvicinò al grande e ampio
divano, ammirando la
sua maestà placidamente immersa nel mondo dei sogni; e lo
ammise, in fondo Jun
Misugi rimaneva sempre e comunque un bell’uomo, e quando
dormiva era un piacere
starlo a vedere.
Aveva
trentadue, trentatre anni, ma
sembrava sempre averne venti, con quel viso che molti uomini
gl’invidiavano,
perché sebbene avesse dei tratti marcati, come le
sopracciglia e gli zigomi,
aveva anche dei lineamenti dolci, che gli davano un’aria
sempre giovane, quasi
adolescenziale.
Si,
era bello. Bello … e tremendamente
disordinato, sconclusionato e avventuriero; anche per questo motivo lei
aveva
preferito chiudere la loro storia prima che fosse troppo tardi: meglio
rimanere
collega e amica di Jun piuttosto che amante o, peggio, fidanzata.
Perché
quelle non avrebbero mai preso il
posto dell’unica moglie di Jun. Sposato! Ma ci pensate? Quel
tizio, sdraiato
sul divano, il cui fascino era ridotto solo al suo bel faccino e al suo
fisico,
aveva avuto una moglie che lo aveva sopportato!
Buon
per lei che, alla fine, se n’era
andata.
Forse.
Comunque,
ara la priorità era svegliare
Jun, e con le buone non c’era riuscita.
Poco
male, sarebbe passata alle cattive:
gli afferrò il polso e una caviglia, e puntando i piedi a
terra lo spinse giù
dal divano, facendolo cadere di faccia a terra, fortunatamente il
tappeto
morbido ammorbidì la caduta.
La
reazione fu immediata: come un pesce
fuor d’acqua, l’uomo si agitò
animatamente, riuscendo alla fine ad alzare la
faccia e, con le braccia, a mettersi seduto, passandosi una mano sul
volto e
mettendo a fuoco la presenza davanti a lui, che subito lo
redarguì.
-Jun
Misugi, comincio a perdere la
pazienza con te: vatti immediatamente a lavare a metterti qualcosa, che
siamo
spaventosamente in ritardo.-
L’uomo
ci mise qualche minuto a
connettere, poi ebbe due moti: da una parte una crescente incazzatura
verso la
donna di fronte a lui, ma dall’altra gli salì il
panico, ricordandosi che,
effettivamente, quel giorno doveva assolutamente presentarsi alla
riunione. Le
due cose, mescolate insieme, generarono un’energia nel corpo
dell’uomo che
schizzò in piedi e corse in bagno, parlando alla donna nel
frattempo.
-Porca
miseria Matilde! Perché cazzo mi
hai svegliato solo adesso?!-
-Perche
prima ero chiusa fuori di casa.-
-Hai
la chiave, merda!-
-Speravo
che ti svegliassi, sono stufa
di entrarti sempre in casa come una ladra perché non ti sai
gestire.-
-Fammi
un caffè.-
-Non
ne abbiamo il tempo.-
-Ti
chiedo solo un caffè, cribbio! Non
ti sto chiedendo qualcosa di difficile! Le cialde sono …-
-Nel
cassetto in basso, lo so, ti
ricordo che sono sempre qui a farti da balia.-
Lui
grugnì, e la donna velocemente si
diresse in cucina, notando che questa era stranamente pulita,
probabilmente non
mangiava a casa da un bel po’; velocemente trovò
le cialde, optando per
qualcosa di bello forte, frugando poi alla ricerca della tazzina e
velocemente
preparando il caffè istantaneo, meno male che, prendendo
quella casa, l’uomo
aveva avuto la decenza di comprare solo cose utili.
Ecco,
su questo si poteva dire che Jun
era un uomo giudizioso.
Il
caffè c’impiegò il tempo sufficiente
per l’uomo di darsi una rapida lavata, vestirsi e raggiungere
la cucina, dove
trangugiò il caffè bollente scottandosi la lingua.
-Merda!-
-Dai,
muoviti.-
Matilde
lo afferrò per un braccio,
obbligandolo a prendere al volo almeno le chiavi di casa, portafoglio e
cellulare, facendosi trascinare fuori di casa, giù
dall’appartamento e prendere
il primo taxi al volo, dirigendosi verso la clinica privata dove
lavoravano
entrambi.
-Allora?
Chi era?-
-Chi?-
-Il
motivo per cui ti sei preso una
sbronza tale da trovarti sul divano.-
-Non
capisco di cosa parli.-
-Di
CHI parlo, Jun Misugi, guarda che a
me non mi freghi. E una che conosciamo?-
Lui
non rispose, passandosi una mano tra
i capelli, quelli dietro erano umidi per la doccia veloce che si era
fatto;
Matilde, tuttavia, non si sarebbe accontentata di quel silenzio, gli
piaceva vederlo
storcere la bocca quando parlava delle sue avventure.
Non
perché fosse un tipo particolarmente
riservato, ma perché sapeva anche lui che rischiava, sempre.
-No.-
-Ok,
l’hai conosciuta solo ieri. E
com’era? Alta, bassa, bruna, bionda? O magari rossa?-
-Ma
che ti frega della mia vita!
Piantala!-
Rossa,
aveva reazioni così esplosive
solo con le donne dai capelli rossi; Matilde non sapeva
perché, ma lui aveva
sempre avuto un debole per quel tipo, e lei che era biondissima si
sentì al
sicuro dalle sue grinfie.
-Ok,
è rossa.-
-Ti
prego Matilde!-
-Sai
bene che non smetterò Jun, almeno
fino a quando non parlerai, pertanto sputa il rospo o te lo cavo io di
gola.-
Il
taxi fermò ad un semaforo rosso, e
Jun sbuffò, intrappolato in quelle maniere con quella pazza
di una bionda
italiana.
-L’ho
conosciuta ieri, in un locale.-
Di
solito, quando andava all’avventura,
ci andava da solo, perché la compagnia lo distraeva, e anche
perché Jun Misugi
era tendenzialmente inconsistente nelle decisione di tipo sentimentale:
era
come un bambino, se una cosa gli piaceva la prendeva, ci giocava, e
appena
c’era qualcosa di più interessata la buttava via.
Terrificante una cosa del
genere per una donna.
Però
una cosa Matilde doveva ammettere:
Jun Misugi non era un uomo cattivo.
Ma
farfallone di sicuro, ci metteva lei
la firma.
-E
poi?-
-Vuoi
sapere anche i dettagli?-
-Certo!-
Jun
sospirò di nuovo, sforzandosi di
ricordare, ma il cervello aveva ancora qualche difficoltà a
carburare, il caffè
non gli era servito a niente.
-Eh,
dunque …-
Il
taxi ripartì, e fortunatamente il
tragitto da casa sua alla clinica non era così lontano,
poteva già riconoscere
gli edifici che di solito superava a piedi, e l’uomo prese un
respiro di
sollievo, girandosi verso la donna con aria vittoriosa.
-Spiacente
Matilde, ma per questa volta
la scampo.-
-Jun
Misugi, scommetto che ti sei fatto
anche la dea della fortuna.-
-Già,
ma non credo che stavolta riuscirà
a farmela scampare al ritardo sulla riunione di oggi.-
-Tzè,
ti basterà mostrare il tuo solito
modo di fare da uomo maturo, e quel vecchiaccio del capo te la
perdonerà. Te la
cavi sempre tu.-
Jun
pagò cavallerescamente il tassista,
e con Matilde superò il cancello bianco, entrando dentro la
clinica senza
guardarsi intorno, salutando i colleghi che conosceva con un cenno del
capo,
assumendo pian piano il suo solito aplomb: espressione concentrata,
schiena
dritta, atteggiamento posato.
Perché
effettivamente, a Jun piaceva il
suo lavoro, sia come medico sportivo che come tecnico della FC Tokyo;
aveva
smesso di giocare, ma la sua passione per il calcio era rimasta, ed
aveva
continuato a lavorare nella squadra per cui aveva giocato per molto
tempo,
riuscendo anche a completare i suoi studi medici.
Quella
clinica era, per lo più, il posto
dove teneva il suo studio, ma per la maggior parte del tempo
l’uomo era sempre
fuori: i suoi impegni sportivi, insieme ai suoi studi medici, lo
avevano
obbligato ad una vita molto più vagabonda
di quanto avesse immaginato, anche perché lui,
personalmente, preferiva
molto di più starsene in giro, a seguire i suoi vari
pazienti, che restare
chiuso ad ammuffire nel suo studio o nel suo appartamento.
Salutò
le segretarie del primo pian
distrattamente, ma Matilde non poté non notare, con un
sorriso divertito, che
quelle comunque lo guardarono affascinate; e così fu anche
per le infermiere e
le dottoresse, nemmeno quelle più avanti con
l’età si risparmiavano dal
lanciargli una veloce occhiata.
-Buongiorno
dottor Misugi.-
-Akata-san,
buongiorno.-
-In
ritardo anche stamane, eh?-
L’anziana
donna era il capo del reparto
di psicologia, dove ci lavorava Matilde, e tendenzialmente Jun
preferiva non
starci molto tempo lì perché i medici
all’interno tendevano sempre a
psicanalizzare chiunque passasse, rendendo difficile la conversazione.
-Capita
purtroppo.-
-Tranquillo,
anche il tema della
riunione di oggi è in ritardo.-
-Il
“tema”? abbiamo un nuovo arrivato in
clinica?-
-Nuovi
arrivati: pare che il capo del
reparto fisioterapia abbia richiesto un assistente esterno alla
clinica.
Inoltre il reparto di pediatria è pronto per essere usato, i
nuovi medici
dovrebbero arrivare oggi stesso.-
-E
immagino che lei si sia documentata su
tutti loro e sul loro stato mentale, giusto?-
-Che
insinuazioni, dottor Misugi.-
Ma
la donna sorrideva divertita, e
l’uomo ricambiò con un cenno del capo.
Matilda
a quel punto scosse il capo: era
inutile, quell’uomo era veramente bravo a rigirarsi qualsiasi
essere di sesso
femminile nel raggio di cento metri.
-In
effetti mi sono documentata: il
fisioterapista pare che sia un giovane con molta esperienza, ha
lavorato molto
all’estero e, negl’ultimi tempi, ha lavorato presso
l’Ospedale Centrale.-
-Niente
male.-
-Niente
male davvero, per questo il
dottor Fusako l’ha voluto a tutti i costi.-
-Ma
che è successo con la sua precedente
assistente?-
-Si
è sposata e ha lasciato il lavoro.
Motivazione più che discutibile.-
Matilde
lanciò un’occhiata attenta a
Jun, notando come questo avesse accigliato lo sguardo alla parola
magica:
matrimonio.
Si
sapeva che lui era stato sposato, ma
non aveva mai fatto trapelare niente del suo matrimonio, neanche il
nome della
sua ex-moglie; quello che si conosceva era che aveva divorziato da
oramai
cinque anni, e che aveva perso completamente i contatti con lei.
Neanche
quello sorprendeva l’italiana:
quando voleva, Jun Misugi sapeva benissimo scomparire dalla tua vita,
anche
perché con la vita che faceva era un miracolo se continuava
a restare in
contatto con i suoi amici, ex compagni di squadra della Nazionale.
-E
degl’altri? Che mi può dire?-
-Tutti
dottori con ottime credenziali,
niente d’interessante a riguardo. Uno
degl’infermieri oggi è assente.-
-Come
mai?-
-Motivi
personali, ha assicurato la sua
puntualità per domani.-
Raggiunsero
la sala riunioni parlando
del più e del meno, e molti dei medici erano già
arrivati, erano si e no una
decina tra i pezzi grossi della clinica, compreso il capo, un vecchio
signore
di sessant’anni con due baffi alla Bismarck davvero
impressionanti, con un
vocione tale che quasi ti arrivava dentro le budella quando parlava.
-Dottoressa
Akata. Dottor Misugi.
Dottoressa Cecconi.-
-Buongiorno.-
Risposero
tutto e tre in sincronia,
accomodandosi nelle prime sedie libere che riuscirono a trovare,
chiacchierando
fra di loro del più e del meno fino a quando il dottor
Henrich Guffred non
prese la parola, presentando i medici del nuovo reparto di pediatria,
senza
però accennare all’unica mancanza, solitamente era
un uomo tremendamente
preciso in queste cose.
-Secondo
me è perché l’infermiere è
in
realtà una infermiera.-
Jun
si voltò verso Matilde, che gli
aveva bisbigliato all’orecchio. Lui, di rimando, fece
spallucce.
-Bah,
può darsi. Lui di iscuro è un
cavaliere con il gentil sesso.-
-Puoi
dirlo forte.-
-Te
ne approfitti sempre tu …-
E
Matilde sorrise divertita al commento
di Jun, facendo anche la linguaccia.
In
quel momento il dottor Fusako apparve
in sala, accompagnato da un giovane uomo dai capelli neri.
-Buongiorno
colleghi, scusate il
ritardo. Dottor Guffred.-
-Prego,
dottor Fusako, ci presenti il
suo nuovo assistente, e poi daremo inizio alla vera e propria riunione.-
-Certo:
questo è il dottor Kishimoto, e
da questo momento entra ufficialmente a far parte della clinica
“Kanon” come
mio assistente al reparto di fisioterapia.-
Il
giovane salutò con un sorriso, e
frettolosamente il dottor Guffred gli diede il benvenuto, invitandolo
poi a
sedersi ed iniziando a discutere degl’argomenti di quella
settimana; Misugi ne
approfittò per prendere il suo i-pad e controllare
l’agenda, per vedere che
appuntamenti aveva quel giorno.
La
prima annotazione che vide era
persino scritta in rosso sul cellulare, e diceva testualmente
“Rimpatriata”;
giusto, quel giorno si riunivano tutti i suoi ex-compagni di squadra
della FC
Tokyo, lo aveva completamente dimenticato. A parte una visita di
controllo,
fortunatamente, si era ricordato di tenersi libero, pertanto
già si pregustò la
piccola partitella che sicuramente avrebbero organizzato.
Matilde
si sporse verso di lui,
mormorandogli.
-Ehi,
non scappare come al tuo solito
appena finisce la riunione, che dobbiamo parlare di quella rossa.-
-Matilde,
piantala.-
-Perché
te la prendi tanto? Sei stato
tu, ieri, a finire ubriaco sul divano, mica io.-
-Appunto,
questo ti fa capire che non è
successo niente.-
-Hmm,
e pensi che me la beva?-
E
l’italiana si allontanò dal giapponese
con un sorriso divertito, e l’uomo alzò per un
secondo gli occhi al cielo,
pregando le divinità perché i suoi piedi fossero
abbastanza veloci per riuscire
ad evitarsi quella tortura.
Nel
caso avrebbe fallito nella fuga, che
gli avrebbe detto?
Madamina, il
catalogo è questo
Delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt'io;
Osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta;
In Alemagna duecento e trentuna;
Cento in Francia, in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre.
(Da
“Il Don
Giovanni” Primo atto, scena cinque)
-Mamma!!
Dov’è il grembiule?-
-Lì
vicino alla porta d’ingresso, dove l’abbiamo
lasciato ieri amore.-
Il
bimbo si sporse verso la porta, e con
un sorriso entusiasta vide il suo bel grembiule nuovo con tanto di
cappello,
sua madre gliel’aveva comrpato apposta per quel primo giorno
all’asilo nuovo.
La
donna, in quel momento, si affacciò
dalla camera e si avvicinò al figlio, mettendoglielo
sistemandolo al meglio, il
bimbo rimase dritto e fermo come un soldatino, parlandole un
po’ incerto.
-Mamma,
sicura che a lavoro non si
arrabbiano?-
-Ma
no, tranquillo: ho parlato con il
mio capo, e ha detto che questa è un’occasione
troppo importante, e che non
devo certo mancare!-
Oddio,
non gli aveva detto veramente
così il dottor Guffred, ma sotto quei baffoni la bocca aveva
assunto un sorriso
divertito, e la donna era stata certa che non ci sarebbe stato alcun
problema
per la sua assenza.
Quell’assunzione
era una manna dal
cielo: dal suo lavoro all’ospedale non aveva trovato alcuna
occupazione
decente, e con suo figlio era stata costretta persino a tornare alla
casa
paterna per almeno un anno, cercando un lavoro decente con cui poter
crescere
il figlio.
Poi
la clinica “Kanon”, quella
telefonata, la chiacchierata e alla fine la firma sul contratto,
contratto a
tempo determinato, certo, ma almeno sarebbero stati tre anni
retribuiti,
avrebbe avuto tutto il tempo di trovare un altro lavoro e, soprattutto,
di far
finire l’asilo a suo figlio avviandolo verso la prima
elementare.
Cielo,
quanto era cresciuto! Le sembrava
solo ieri che stringeva quel piccolo fagottino arrossato nella sua
camera d’ospedale,
ed ora il suo “piccolo principe” stava per fare
l’ultimo anno d’asilo in una
scuola nuova.
…
quando si era dovuta trasferire si era
sentita male per lui: lo aveva obbligato a lasciare i suoi amichetti
per
seguirla in quella regione di campagna, con poca compagnia e con il
tempo che
non sembrava passare mai.
Tuttavia
suo figlio aveva un dono: era
straordinariamente tranquillo, o paziente, ma le sembrava che questo
pregio
fosse un po’ troppo da adulto per un faccino rotondo con quei
due occhi color
cacao.
-Ecco,
sei pronto.-
-Come
sto?-
-Benissimo!-
E
la donna gli sorrise, restando
inginocchiata di fronte a lui e prendendogli una mano, stringendola con
dolcezza.
-Senti,
Hikaru … sicuro che ce la farai?
Se vuoi resto con te.-
Ma
il bimbo scosse deciso la testa, non
aveva la minima paura negl’occhi.
-Andrà
tutto bene mamma. Mi farò un
sacco di amici.-
E
la donna sorrise, poggiando la sua
fronte su quella del figlio.
-Si,
lo so. È un talento che hai preso
da papà.-
E
il bimbo sorrise contento, sorrideva
sempre quando la donna accennava a suo padre: ne parlava poco,
sporadicamente,
ma ogni volta Hikaru sentiva che la mamma ne parlava con grande affetto
e
tranquillità, e lui restava quasi affascinato da quella
figura senza volto,
stranamente sua madre non gli aveva mai mostrato una foto di suo padre.
Ma
ne parlava sempre, e lui lo conosceva
bene. Era sicuro che, se lo avesse incontrato, l’avrebbe
riconosciuto subito!
-Allora,
andiamo?-
-Si!!-
E
la donna si alzò in piedi, afferrando
al volo la sua borsa e prendendo per una mano suo figlio, guardandolo
con sguardo
fiero: era una bambino tranquillo, ma socievole e sempre sorridente,
con occhi
grandi e curiosi che guardavano il mondo attorno a lui.
E
poi aveva il suo grembiule nuovo, e
camminava per farlo ammirare al meglio a chiunque si fosse voltato a
guardarlo.
Anche
in questo assomigliava tanto al
padre.
Ma
la donna, a quel ricordo, sorrise
comunque, chiudendosi la porta dietro e chiudendola a chiave,
sistemando la
targhetta sopra il campanello.
“Aoba”.
Vedere
il suo cognome, ancora una volta,
la lasciò per un momento ferma. Poi la voce di suo figlio la
risportò all’ordine.
E
allora eccoci qui. Modificata dall’ultima volta che ho
postato, con tante
novità in riserbo per voi; la precedente stesura mi era
sembrata troppo
scialba, destinata a diventare noiosa, specie per la sottoscritta,
così ho
voluto arricchire il tutto con un personaggio in più, spero
vi piaccia!
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