Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    09/01/2012    6 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 22 – Scoperto
(Natsume)

Aprii la porta e buttai la borsa sul pavimento. Ero stanco morto. Avevamo perfezionato la prima parte del piano, anche se ancora non avevamo una missione dell'Accademia a cui agganciarlo per metterlo in moto. Tutti si aspettavano qualcosa da me che non ero sicuro di poter garantire. Non sapevo in che modo potessi aiutarli senza mettere in pericolo Mikan. Non che non mi dispiacesse per la loro collega, con ogni probabilità era una gran brava persona, ma non sapevo se potevo mettere sullo stesso piano la vita di una sconosciuta con quella di Mikan.
«Ehi, sei tornato.» era uno dei miei coinquilini, in quel momento non mi ricordavo precisamente quale dei tre. Avrebbe potuto essere Ryoutarou, ma non ne ero certo, ancora non avevo associato alle loro facce il loro nome, e sospettavo che anche loro non l'avessero fatto con me. Anche se ricordarsi una singola persona nuova dovrebbe essere meno complicato che ricordarsene tre, quelli non sembravano esattamente persone a posto, almeno cerebralmente parlando. «Sai che praticamente dormi e basta a casa?»
«Ma non mi dire...» borbottai, trascinando la borsa con i piedi. Mi avevano dato delle planimetrie dell'Accademia, chiedendomi di studiarle per sapere se ci sarebbero servite. Almeno queste erano dei piani sotto il livello della strada, un po' più utili del piano terra. Io sapevo più o meno dove si trovavano le entrate per la prigione, quindi trovare la collega non sarebbe stato un grosso problema, ciò che ci importava era conoscere tutte le possibili vie di fuga.
«Lo sai, vero, che... in questo modo ti sei evitato un po' di responsabilità.» mi chiesi in che modo avrei potuto evitarmele, con tutto il lavoro che avevo. Erano tutte responsabilità, e lui mi stava dicendo che le stavo evitando. Lo guardai, in attesa che continuasse. «Sai, i turni per pulire, per cucinare. Il minimo per farti perdonare sarebbe pensare alla cena.»
«E come pensi che possa fare?» non seppi se suonai sarcastico come desideravo. «Non paghiamo il gas, è difficile cucinare qualcosa senza quello. A meno che tu non abbia scoperto come cuocere qualcosa sul ghiaccio. Saresti il primo, un sacco di soldi.»
«Davvero si può cucinare sul ghiaccio?» domandò lui, sinceramente sorpreso. Io evitai di rispondere, e mi limitai a massaggiarmi le tempie con l'indice e il pollice della mano destra e mi imposi di calmarmi, forse non potevo cucinare la cena, ma in un impeto di rabbia sarebbe potuto succedere che fossero loro a finire cucinati inspiegabilmente.
«Dov'è la signora di sotto?» sapevo che era lei che ci sfamava. «Come mai non vi ha portato la cena?»
«Se n'è andata da suo figlio per un po'.» disse lui, scrollando le spalle. «Dice che ci sono infiltrazioni d'acqua dal soffitto. Mi chiedo come mai.»
«Già...» commentai io, con ironia. «c'è davvero da chiederselo!» sospirai, volendo proprio sapere come avevo fatto a ritrovarmi in mezzo a dei pazzi simili, e come avevo potuto sopportarli per tutto quel tempo. Poi mi ricordai dei vecchi con l'altarino per il figlio, e decisi di ritenermi fortunato. Ma solo un po'.
«Vero?» disse lui, grattandosi la testa. «Eichi dice che è colpa della pioggia, ma... non piove da un po'.» lui si portò un dito alla tempia e lo picchiettò contro di essa. «Ma secondo me, detto tra noi, la vecchia è un po' fuori di testa.»
«Senz'altro.» fu tutto ciò che risposi, senza particolare enfasi. Se non capivano da soli che era colpa loro, non c'era modo in cui potessi anche solo pensare di convincerli. Perciò, decisi di lasciar perdere. «Quindi siamo senza gas, cioè senza fuoco, quindi senza possibilità di cucinare qualcosa. Come pensate che potrei procurarvi la cena?»
«Beh...» quello che credevo fosse Masao sbucò da dietro il divano. Evitai di chiedergli che stesse facendo, forse era meglio che non lo sapessi: li consideravo abbastanza strani senza conoscere ogni loro mossa, e non avevo bisogno di altri particolari da aggiungere all'idea che mi ero fatto. «pensavamo che, siccome hai un lavoro, potevi andare a comprare qualcosa di pronto per tutti.»
«Giusto. Io ho un lavoro.» mi morsi il labbro superiore, per non sputare fuoco. Non era mai successo, ma non potevo escluderlo. «e voi?»
«Noi siamo studenti.» spiegò lui, come se questo avesse dovuto fugare tutti i dubbi. «Non possiamo spendere troppi soldi, i nostri genitori potrebbero anche decidere di tagliarci i fondi.»
«Come no.» avevano soldi per comprare canotti – e ogni genere di altro bizzarro attrezzo – e bucare palloni, ma non per comprare qualcosa da mangiare. Comunque non commentai, ero piuttosto stanco e non avevo voglia di mettermi a discutere con quei tre, soprattutto perché non sapevo dove saremmo potuti finire, magari in ergastolo in Brasile. Meglio lasciar perdere. «Quindi... dovrei uscire e andare a comprare qualcosa.» non era una prospettiva allettante, anche perché sospettavo che comprare da mangiare per quattro persone non fosse economico in nessun caso.
Loro tre annuirono entusiasti. «Vedo che hai capito, Soichiro.» e, detto questo, Masao mi diede una pacca sulla spalla. «Ci piacerebbe mangiare cinese.»
«Pure.» borbottai, cacciando la sua mano dalla mia spalla. Decisi di contenermi ripensando che un triplice omicidio non lascia scampo. «Cinese, d'accordo.»
«Perfetto. Porzioni doppie, per favore. Siamo affamati.» rincarò la dose il suo amico Eichi, strofinandosi la pancia per sottolineare il concetto. «E portaci tanti nachos.»
Quanto volevano mandarmi in giro? «Ma non avete detto cinese?» o cinese, o nachos, pensai.
«Perché,» intervenne Ryoutarou, sfregandosi il mento con aria pensierosa. «i nachos non sono cibo cinese?»
Tirai un lungo sospiro, massaggiandomi la solita tempia. «Sentite, voi tre state zitti. Io vi porto da mangiare.» era meglio fare così, prima che avanzassero proposte assurde, magari cibo del Burundi. E poi, l'altro lato positivo era che sarebbero stati occupati a mangiare piuttosto che dire altre scemenze.
Loro tre si sono guardati, in un tacito consulto. Poi Ryoutarou si è girato verso di me, e mi ha dato un'altra pacca sulla spalla. «Va bene, amico.» disse, con una convinzione nella voce del tutto fuori luogo. «Lasciamo tutto nelle tue mani, da te dipende la nostra sopravvivenza.»
«Sì... certo.» ho commentato, con un sospiro. Desideroso di non continuare quella conversazione – o meglio, qualsiasi tipo di conversazione con quei tre – sono uscito di casa in cerca del più economico take away di cibo cinese. Se non ricordavo male, ce n'era uno in fondo alla strada, a circa dieci passi dalla porta della vecchietta che abitava sotto di noi. Non ci avrei messo troppo tempo, o, almeno, meno di quanto ci avrebbero messo loro a cambiare idea. Comunque, se l'avessero fatto, avevo piani per ficcare loro il cibo in bocca con un imbuto, anche se la visione del brutto spettacolo minacciava di togliermi l'appetito per mesi. Pensai che il gioco valesse comunque la candela: la soddisfazione sarebbe stata non indifferente.

Quando entrai dalla porta, il proprietario, un tizio di circa settant'anni, socchiuse gli occhi, probabilmente per riuscire a mettermi decentemente a fuoco e mi squadrò da capo a piedi, come se stesse cercando di capire se fossi un ladro o meno. Avrei voluto avere uno specchio per sapere che razza di aspetto avessi a quell'ora, senza neanche aver avuto la possibilità di cambiarmi o passare dal bagno. «Sono venuto ad ordinare qualcosa.» pensai di dire, prima che si facesse qualche strana idea.
Lui grugnì e mi passò un foglietto, che supposi fosse una specie di menu. Scelsi involtini primavera, nuvole di drago, riso alla cantonese e qualche altra cosa, quattro porzioni, nessuna doppia. Mi sedetti ad aspettare su uno sgabello dal cuscino rosso, mentre guardavo i suoi dipendenti correre da una parte all'altra del piccolo locale con i muri di legno. Sbuffai, prendendo un giornale: non c'era davvero niente di interessante. Erano riviste di attualità con delle rubriche assurde, ad esempio “cosa mangiano i giovani d'oggi?”, oppure “cosa guardano di più in televisione i nostri ragazzi?”, cosa c'era di tanto interessante? Lo chiusi e lo buttai in un angolo, su uno dei minuscoli tavolini. Alzai lo sguardo solo perché mi sentivo osservato: la moglie del vecchietto che aveva preso le mie ordinazioni mi stava guardando storto. Mi chiesi che volesse: era solo uno stupido giornale.
Anche lei mi squadrò con gli occhi socchiusi, sembrava che volesse leggermi nel pensiero. «Tu sei combattuto, ragazzo.»
Sollevai entrambe le sopracciglia, scettico. Che intenzioni aveva? Leggermi il futuro sui fondi di caffè, forse? «Ma non mi dire...» soffiai, tra i denti. Era solo tutta la settimana che cercavo di far conciliare il mio lavoro, quello vero, con quello che dovevo fare per l'Accademia tentando di tenere fuori bambini innocenti e cercare di tenere Mikan lontana dal Preside delle Elementari allo stesso tempo. Un gioco da ragazzi, insomma. Non ero stressato o chissà che, era solo un'impressione!
«Vuoi un biscotto della fortuna, caro?» mi domandò, porgendomene uno. Avevo sentito dire che dentro c'erano dei foglietti con sopra scritto delle scemenze, ma non ricordavo bene a che servissero.
«Se lo tenga pure,» risposi, prendendo la busta che suo marito mi stava porgendo e appoggiando i soldi sul bancone velocemente. «arrivederci.»
Avevo forse la faccia di quello che si lascia abbindolare da scemenze come “biscotti della fortuna”? Non che ne avessi da vendere, certamente, ma credevano davvero che la situazione si sarebbe ribaltata mangiando uno stupido biscotto e leggendo uno stupido messaggio? Ero troppo cresciuto per credere in certe cose, e in ogni caso non ci credevo nemmeno da bambino. Se fosse bastato uno stupido biscotto per far togliere di torno il Preside e far diventare l'Accademia un buon posto per gli Alice ne avrei mangiati almeno dieci. Non era così, Mikan era ancora lì dentro, e io non sapevo niente riguardo le sue condizioni. Naru non era stato per niente chiaro, e io iniziavo a preoccuparmi, soprattutto perché nella decina d'anni che avevo passato in quella scuola, avevo imparato che non ci si può mai fidare di quel nanetto e che Mikan combinava guai in abbondanza già da sola; in più, il non sapere che diamine stesse succedendo dietro quelle mura mi dava sui nervi. Come se non fosse bastato, anche i miei 'colleghi' facevano i misteriosi, volevano che io li facessi entrare lì dentro, ma non erano disposti a condividere più di tante informazioni. Insomma, prima mi avevano preso con l'unica garanzia del nome e poi finivano col dire molto meno di quello che sapevano. I conti non tornavano per niente.
I miei pensieri furono interrotti a circa tre passi dalle scale che mi avrebbero portato nel regno dell'acqua. Il mio istinto mi diceva che c'era qualcosa che non andava e lo notai quasi subito: la porta della casa della vecchietta che abitava sotto di noi era socchiusa. Che l'Accademia non avesse voluto aspettare per ricevere informazioni e avesse deciso che era ora di venirsele a prendere? Ma come avevano scoperto dove vivevo? Quei tre idioti non avevano nemmeno un contratto regolare, non c'era nessuna traccia – legale, quantomeno – del mio soggiorno in quel palazzo. Piuttosto strano, mi dissi. Le ipotesi erano molteplici, e l'unico modo per verificarne una era entrare e controllare. Se fosse stato un ladro, quantomeno avrei sventato una rapina. La mia buona azione del giorno.
Posai la busta di cibo cinese su uno degli scalini e, cercando di fare meno rumore possibile, spinsi la porta della casa con un dito. Le missioni mi avevano insegnato a essere silenzioso come un gatto. Solo per un attimo mi soffermai sull'ironia della mia ultima affermazione. La porta dava su una saletta, le persiane erano chiuse e non si vedeva granché, ma non sembrava esserci nessuno. Proseguii, e mentre attraversavo il corridoio che separava l'entrata dal resto dell'abitazione, sentii uno strano rumore, come di qualcosa di duro che cade sul pavimento. Vidi la porta della cucina semiaperta e decisi di dare un'occhiata.
Fu quando sentii le mie mani prudere in modo incontrollabile, che mi domandai in che modo si potessero sopprimere istinti omicidi tanto forti, o se fosse un crimine semplicemente il pensare di farlo. Avrei liberato il mondo da delle aberrazioni inutili.
«Che cazzo state facendo?» sbottai, aprendo la porta di scatto. Loro si girarono, improvvisamente impauriti. Ryoutarou si mise una mano sul cuore e prese un bel respiro.
«Caspita, amico!» disse, appoggiandosi al lavello. «Ci hai fatto prendere un colpo, pensavamo fossi un ladro!»
«Un ladro.» ripetei, trattenendomi dal saltargli al collo per strozzarlo. «Che stavate facendo?»
«Beh...» fu Masao a rispondermi. «sai com'è... avevamo fame e tu non tornavi più, quindi... abbiamo pensato che alla signora non sarebbe dispiaciuto se usavamo i suoi fornelli. Lo sai che non...»
«Sì lo so.» lo interruppi, per non sentirgli dire di nuovo il motivo per cui non pagavano il gas. Li avrei ammazzati sul serio. «Fatemi capire bene. Io sono stato via dieci minuti scarsi, ho comprato cibo per tutti coi miei soldi, e adesso vi trovo che frugate nella dispensa di una vecchietta e usate i suoi fornelli e...»
«E cosa c'è che non va?» proseguì Masao. Eichi era vicino a lui che si ingozzava di merendine, probabilmente destinate ai nipoti di quella povera donna. «Non essere esagerato.»
«Sarò sincero: non so se chiamare la polizia e farvi rinchiudere in prigione, o uno psichiatra e farvi rinchiudere in un ospedale in isolamento.»
Ryoutarou ci mise una mano sulla spalla, e diede una leggera pacca a quella di Masao. «Deponete le asce, compagni.» annuì con fare solenne. «Hai detto di aver portato del cibo, amico? Bene, perché in questa casa ci sono solo cibi precotti. E lo sai che noi mangiamo sano.»
«Quale parte di... pane e cipolle crude, completamente scondito è sana?» domandai, senza però ricevere risposta. Si erano ormai avviati tutti verso il piano di sopra. Sospirai e li seguii.

«Ma... ma come?» era la voce delusa di Eichi, che aveva appena aperto la busta che nessuno di loro si era degnato di raccogliere dalle scale mentre passava. «Niente doppie porzioni?»
«No.» ribattei, sedendomi. «Niente doppie porzioni.»
«Accidenti, Kyou, sei davvero come i miei genitori! Sempre che cerchi di responsabilizzarmi...» ribatté lui, sedendosi. «Cos'è questa mania che avete tutti?»
«Guarda che non si chiama in quel modo!» lo interruppe Ryoutarou, puntandogli contro un indice, con fare saputo. «Ma Naruhiko.»
«Ma...» stavolta fu Masao a parlare. «ma siete sicuri? Per me era Ryozo.»
«Non può essere Ryozo! E nemmeno l'altro!» riprese la parola Eichi. «Gli ho visto un maglione, mentre curiosavo tra la sua roba.» inarcai un sopracciglio a quell'affermazione, ma non dissi una parola, mentre mangiavo la mia parte di involtini. «E c'è una visibilissima “K” stampata sopra.» io l'avevo sempre detto che sembrava una “K”, anche se Mikan non mi aveva mai creduto. Decisi non solo di trovare un posto sicuro per le mie cose – in modo che quegli invasati non ci potessero mettere le mani quando non c'ero –, ma anche di ottenere qualche informazione in più su di lei. Il problema era come. Non potevo elaborare un piano decente con quei tre che ancora discutevano sul mio nome.
«Allora quale sarà il suo nome?» Ryoutarou si mise una mano sotto al mento, guardando il soffitto, concentrato. «Koetsu!»
«Kokushi!»
«Kaname!»
«No, Kobo!»
«Natsume.» risposi, gelandoli. Mi alzai, per buttare i cartoni vuoti della mia cena. «Se proprio non ve lo ricordate, evitate di chiamarmi. Anzi, evitatemi e basta.» loro mi guardarono straniti per un po', fino a che non mi girai per andarmene. Non appena entrai nel corridoio che separava la sala dalle camere, però, ripresero a parlare.
«Però...» commentò Ryotarou. «che caratteraccio...»
«Eppure sembrava un tipo così simpatico...» fu la risposta di Eichi, col tono di qualcuno che ha visto tutte le sue speranze deluse.
Chiusi la porta della stanza alle mie spalle e gettai un'occhiata alla borsa: era sfatta, ma era logico supporlo, visto che quei tre ci avevano curiosato dentro. Sbuffai e decisi di tirare fuori le mie cose, tanto era abbastanza chiaro che non sarebbero state al sicuro nemmeno con una tagliola. Il mio maglione con la “K” era appallottolato vicino al letto; lo scossi e lo posai sullo schienale della sedia, tanto non mi sarebbe mai stato, a meno che non fossi tornato alla mia statura da dodicenne. Scossi la testa, posando uno dei portafotografie che la sua amica Imai aveva regalato a Mikan per il compleanno, e infilai nei cassetti il resto dei vestiti. Solo dopo notai che c'erano un sacco di foto nuove: erano quasi tutte buie, ma sembrava che i miei vecchi compagni di classe se la stessero spassando ad una specie di festa; in una più luminosa sembrava che fosse appena scoppiato qualcosa e mi chiesi che diavolo stessero combinando quei pazzi. La cosa positiva era che, se Mikan era impegnata a fare delle foto, non si trovava in mezzo a nessun trambusto.
Mi sedetti sul letto continuando a guardare le foto, ma non si vedeva davvero niente, era come aver immortalato il cielo di notte. Niente. Sembravano più gli scatti di una scimmia ubriaca che non sapeva come funziona una macchina fotografica e stava – inutilmente – tentando di scoprirlo.
Nonostante fosse ovvio che era opera di Mikan, dovevo assolutamente sapere che stava succedendo. Avevo bisogno di qualche informazione in più. Posai il portafoto sul comodino e incrociai le braccia al petto, appoggiandomi alla testiera del letto con la schiena. Era chiaro che se avessi mandato informazioni tramite quell'affare che mi avevano dato il Preside e Persona per comunicare con loro, non avrei mai saputo niente, perciò era meglio seguire il consiglio che il Preside delle Superiori mi aveva dato il giorno in cui gli avevo portato la mia richiesta per diplomarmi in anticipo: «Qualunque stupidaggine la gente ti obblighi a fare, con qualunque mezzo, ricordati che c'è sempre una scappatoia. Trovala, e fai ciò che vuoi fare.»
La scappatoia era semplice: in un incontro faccia a faccia avrei potuto fare qualche domanda. Inoltre, era più facile ottenere dei file cartacei che digitali. Consegnarli a mano era più rischioso, ma non avevo molta scelta. La cosa difficile era trovare delle informazioni inutili da mandare loro, dato che non avevo nessuna intenzione di trasferire qualcosa che loro potessero usare per i loro scopi. Sarebbe stato piuttosto complicato, dato che non avevo idea di quali fossero.

«Che ci fai qui?» mi domandò Mitsuki, non appena sbucai fuori dall'ascensore, quasi sapesse che stavo arrivando. «Non è il tuo giorno libero?»
«Sì,» risposi, buttandomi su quella che, ormai, consideravo la mia sedia. «immaginavo solo che avreste voluto che continuassi a lavorare su quello.» indicai con un cenno della testa le planimetrie della scuola, che erano arrotolate in un angolo.
«Non ce n'è bisogno.» mi disse Ryu, dandomi una pacca sulla spalla. Doveva essere arrivato dopo di me. «Anzi, è meglio se stiamo fermi per un po'.»
«Come mai?» chiesi, confuso. Prima mi mettevano tutta quella fretta, e poi... niente? «Che è successo?»
«Yuka è parecchio nervosa in questo periodo.» fu Mitsuki a parlare. «Evidentemente, ha ricevuto brutte notizie. Non è il momento per strani colpi di testa.» guardò ogni membro della squadra attentamente. «Vale per tutti.»
«Tranquilla, capo.» rispose Jou, sbadigliando, e tirandosi via il giornale della faccia. Non aveva la faccia di quello che ha dormito molto. Mi chiesi che razza di compito potesse averlo tenuto in piedi per tutta la notte. «Siamo troppo stanchi per pensare a qualche scemenza da fare.»
«Tu dici?» chiese lei, ironica. «Ricordati la volta che Ryu ha incendiato l'archivio. Non so quanto ci abbiamo messo a recuperare tutti quei dati.»
«Ancora con questa faccenda?» brontolò il diretto interessato. «Non è stata colpa mia, se la luce ha deciso di scioperare e tutto ciò che avevamo a disposizione era una candela!»
«Sì, certo.» commentò Mitsuki, stiracchiandosi. Poi, si rivolse a me. «Che fai, non torni a casa?»
«Già che sono qui.» sollevai le spalle, come se non mi importasse. «Almeno vi darò una mano.»
Lei mise su un'espressione indecisa. «Come vuoi, in effetti un po' di aiuto non ci farà male.»
«Bene,» commentai, sollevandomi dallo schienale. «che devo fare?»
«Aiuta me.» disse Jou, tirandosi su dalla sedia. «Ci sono un paio di documenti da sistemare nell'archivio. Così prendi anche dimestichezza con l'ambiente.»
Mitsuki annuì, pensierosa. «Mi sembra okay.» concesse, poi. «Buon lavoro, allora.»
Ci allontanammo e colsi l'occasione per fare qualche domanda. «Si può sapere che sta succedendo?»
Jou mi rivolse lo sguardo, a metà tra annoiato e sonnolento. «Sei un tipo piuttosto impaziente, Natsume.»
«Quindi?» continuai, quando non disse altro.
«Quindi, niente.» rispose lui, semplicemente. «Non ti aspetterai certo che tutti sappiano tutto.»
«Così,» commentai, sbuffando. «siete una specie di surrogato dell'Accademia?»
«Niente affatto.» ribatté lui, con voce dura. «Noi forniamo nuove identità e tutto il resto alle persone che si sentono minacciate dalla scuola.»
«Va bene,» concessi. Ma queste cose già le sapevo. «ma che c'entra con quello che sta succedendo?»
«C'entra che c'è qualcosa che non va.» disse lui, svoltando in un altro corridoio. «Si supponeva che l'Accademia non sapesse della nostra organizzazione. Fino a qualche mese fa. Uno dei dirigenti ai piani alti viene fatto fuori e ritrovato fuori città.» mi limitai a mugolare una specie di assenso, aspettando che continuasse. «Non sappiamo ancora in che modo sia successo, qualche informazione è trapelata, perciò non tutti sappiamo quello che succede. A volte bisogna solo eseguire gli ordini, Natsume.»
«Sì, ma...»
«So che per te, per ora, non c'è differenza con la scuola.» riprese Jou. Tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi e aprì una porta. «Ma nessuno di noi vuole fare del male agli Alice per qualche oscuro motivo. Il Preside delle Elementari non è una brava persona, come ben sai, e i suoi piani sono tutt'altro che noti. Dobbiamo fare molta attenzione. Tutti noi.»
Annuii, lasciando che mi guidasse dentro quella stanza piena di scaffali di ferro. Contenevano tutti degli scatoloni, classificati per anno. «Come mai è tutto su carta?»
«Perché se fosse su computer e qualcuno decidesse che è divertente aggirare i nostri sistemi di sicurezza, tutte le informazioni che cerchiamo di proteggere sarebbero in pericolo.»
«Capisco.» presi in mano dei fogli e li lessi: somigliavano molto a quelli che Naru nascondeva in camera sua, anche se questi non erano scritti a mano. Era evidente che lui avesse qualcosa a che fare con Z, come anche un sacco di altre persone all'interno dell'Accademia, tra cui Subaru Imai, ma non erano certo persone che avevano contatti con la classe di Abilità Pericolose o con le loro missioni. «Non abbiamo un infiltrato nella classe delle Abilità Pericolose?»
Jou sorrise, ma non disse nulla. Io aggrottai le sopracciglia: avevo azzeccato il problema oppure c'era davvero qualcuno nelle Abilità Pericolose? «Perché ti interessa saperlo?»
«Perché sarebbe utile averne uno.» risposi, mettendo da parte fogli di persone adulte. «Non credi?»
«Forse.» disse lui, strascicando la parola.
Immaginai che sarebbe stato difficile averne uno, dal momento che tutti i membri dell'Organizzazione erano già diplomati da un pezzo, ritornare a scuola da vecchi sarebbe stato un problema, li avrebbe resi insegnanti e nessuno di loro aveva una benché minima possibilità di diventarlo al posto di Persona. Se davvero c'era un informatore per loro doveva essere uno degli studenti. Che fosse stato Narumi a metterlo in contatto con loro? Conoscevo tutti i ragazzi di quella classe, chi mai di loro – che fosse in possesso di conoscenze sufficienti, perlomeno – si sarebbe prestato a una cosa del genere? E se non c'era, stavano forse lavorando per procurarselo? Mi chiesi se tutto quel mistero fosse dovuto a questo problema. Qualcosa, però, non quadrava. Per niente. «Senti,» decisi di tentare, dopotutto non mi andava di spifferare informazioni al Preside, nemmeno se inutili, a meno che non avessi avuto altra scelta. «non è che per caso sai che cosa Naru ha detto a Yuka, quando è venuto qui?»
Lui scosse la testa. «Nessuno sa mai di cosa si tratti, puoi chiedere a chi vuoi.» rispose lui, frugando in uno scatolone. «Sappiamo solo che è incaricato di sorvegliare una persona. Meno persone sanno di cosa si tratta più il tutto è sicuro. Pare che il suo compito sia delicato.»
Per me non aveva alcun senso, ma decisi di tenerlo per me. Non dissi nulla, anzi, evitai di fare altre domande, dal momento che stava rispondendo, anche se non mi stava dicendo nulla di utile. Le ipotesi erano due: o davvero non sapeva nulla, oppure non voleva condividere le sue informazioni con me. Strano.
Strano e anche fastidioso, non avevo scelta. «Io vado a posare questo, tu continua pure.» mi fece sapere, sollevando lo scatolone che aveva in mano. Il momento era assolutamente perfetto, senza lui che guardava tutto quello che facevo e con la telecamera che puntava dall'altra parte rispetto a me, potevo sottrarre qualche documento, senza che nessuno se ne accorgesse.
I bambini erano classificati tutti per ordine alfabetico, di ognuno c'erano le fotocopie dei nuovi documenti, nella scheda allegata, invece, i dati riguardanti l'Alice. Ne trovai tre che facevano al caso mio: uno con un Alice che gli permetteva di farsi crescere le antenne, uno con l'Alice dell'Amplificazione dei Sapori, e l'ultimo con un Alice che poteva cambiare il colore a qualunque cosa. Inutili. Perfetto.
Terminai il mio lavoro proprio prima che la telecamera ruotasse verso di me, ma riuscii a piegare i fogli e me li misi sotto la maglietta, fermati dalla cintura, in modo che non cadessero mentre camminavo e che non si vedessero mentre mi muovevo. Misi qualche altro foglio dentro lo scatolone e quando fu pieno lo chiusi. Jou tornò e non sembrò sorpreso di vedere che avevo finito.
«Bene,» disse, infatti. «mettilo pure laggiù, in quel posto vuoto.»
«Ricevuto.» mi alzai e feci come mi aveva chiesto.

«Allora,» fu la voce squillante di Mitsuki a farci saltare per lo spavento. Ci prese alle spalle. «com'è andata lì dentro?»
«Bene.» rispose Jou, riconsegnandole le chiavi. «Lì dentro sembra tutto okay.»
«Perfetto.» commentò lei, dandoci una pacca sulla spalla l'uno. «Giornata proficua, allora?»
Aggrottai le sopracciglia, pensando che avesse potuto intuire qualcosa, soprattutto per come pizzicavano quei fogli. «In che senso?»
«Hai imparato qualcosa, no?» mi disse lei, lasciandomi andare. «Basta che non hai fatto casino coi fogli.»
«No.» confermai io, appoggiandomi a un muro. «Tutto okay, sono stato supervisionato da vicino per praticamente tutto il tempo.» accennai con la testa a Jou.
«Bene.» commentò lei, con un sorriso. «Noi andiamo a pranzo, che fai, vieni con noi?»
Purtroppo, avevo cose più urgenti da fare. Scossi la testa. «Non posso.»
«Non anche a pranzo!» brontolò Jou, stropicciandosi gli occhi. «Non ce la posso fare.»
«A fare cosa?» sibilò Mitsuki, con una nota di avvertimento nella voce.
«A sopportare te. Pensi sempre e solo a lavorare.» rispose lui, facendole la linguaccia. Lei sembrò calmarsi all'improvviso, stupendomi, avrei giurato che si sarebbe messa a gridargli contro, e invece niente. Sembrava essere parecchio stanca anche lei.
«Screanzato.» gli rispose lei, scuotendo la testa.
«Io non vengo.» disse Ryu, sommerso dalle carte. «Prenderò un panino al volo.»
«Eccone un altro.» commentò Jou, sbuffando.
«Smettetela di litigare.» li ammonì Mitsuki, con calma. «O Yuka verrà giù e ci butterà fuori perché ci sente fin da su.»
«Sei tu quella che strilla.» osservò Ryu, ridacchiando. «Di solito, almeno.»
Mitsuki si girò verso di me. «Spero che tu non le tratti così le ragazze.» disse, lanciando un'occhiataccia ai colleghi un attimo dopo. «A proposito, fai tanto il misterioso perché vai a pranzo con la tua fidanzata?»
Beh, non era proprio così. «Qualcosa del genere.» non stavo per incontrarla fisicamente, ma stavo cercando informazioni su di lei e – speravo, di conseguenza – su tutto il casino che stava succedendo, quindi non era proprio falso.
«Goditela finché puoi.» mi consigliò Jou. «Perché tra un po' non avrai tempo di mantenere una relazione.»
Feci un breve sorriso. «Non è un gran problema.» non avevamo opportunità di vederci in ogni caso.
«Bravo ragazzo!» stavolta la pacca sulla spalla me la diede Ryu. «Nessun sentimentalismo.»
Mitsuki sbuffò. «Uomini.» borbottò, con aria di disapprovazione.
«Parli così solo perché il tuo è...» cominciò Jou, ma lei lo interruppe subito.
«Offendilo di nuovo e ti faccio arrivare la lingua lì dove non batte il sole.»
Jou fece una faccia fintamente impressionata.«Manesca la signora.»
«Io vado.» dissi; non avevo intenzione di perdere altro tempo con le loro sciocchezze. E prima mi toglievo di mezzo quei fogli, prima avrei potuto sapere quello che mi tormentava da giorni. Avevo pensato che, una volta fuori dalla scuola, il Preside avrebbe smesso di avere un'influenza su di me e sulle azioni che avrei dovuto compiere. Credevo che sviare i suoi piani da fuori sarebbe stato molto più semplice, solo che non avevo tenuto conto di parecchi fattori, e ora ero costretto a barattare informazioni nel peggiore dei modi. L'unico lato positivo era che l'Accademia non era un brutto posto per chi non ha un Alice degno di attenzione.
Uscii dall'ufficio e mi diressi verso casa. Non volevo che qualcuno dei miei colleghi mi vedesse col palmare che mi aveva dato il Preside in mano, sembrare sospetto era l'ultima cosa che mi serviva. La cosa migliore era telefonare chiuso in camera mia, l'ora sembrava anche essere quella giusta, quei tre idioti avrebbero dovuto essere a lezione, o comunque a studiare. Avrebbero.
Non appena varcai la soglia di casa, li trovai mentre si tiravano palloncini pieni d'acqua. I tappeti dovevano essere ormai abituati ad assorbire acqua, oppure erano già completamente fradici, perché le parti bagnate non erano distinguibili dal resto.
«Ehm...» iniziai, ma le loro grida di euforia sovrastavano la mia voce. «che state combinando?»
Ryoutarou si girò verso di me e sbracciò per salutarmi. «Ehilà, amico, che ci fai qui?»
«Ci vivo.»
Riuscii a raggelare l'aria, ma solo per un attimo.
«Intendevamo... che ci fai qui a quest'ora, ehm...» Eichi si girò verso Masao. «Com'è che ha detto che si chiama?»
«Iniziava con la K.» ricordò loro Ryoutarou.
Oltre a quello strano hobby, a quanto pare condividevano anche un unico neurone ubriaco. È sempre deprimente trovare degli adulti che hanno la stessa capacità di comprendere – e farsi comprendere – di un pesce rosso. «Ma voi non studiate mai?»
«Siamo studenti.» disse Masao, come se fosse la miglior giustificazione. «Non si è mai sentito che gli studenti debbano studiare.»
«Capisco.» dissi, chiudendomi la porta alle spalle. Forse i loro genitori li avevano spediti fuori casa per levarseli dai piedi, non perché credevano davvero che avrebbero combinato qualcosa nella loro vita «E cosa dovrebbero fare? Tirarsi palloncini fino a farsi la doccia?»
«Buona idea!» Ryoutarou diede una forte botta sulla schiena a Eichi che finì con la faccia sul tappeto con uno 'splat', che mi fece capire che il tappeto era davvero completamente impregnato d'acqua. «Perché cavolo non ci abbiamo pensato prima! Sei un genio, Nu.. Ka... beh, tu.»
«Già!» convenne Masao, non perdendo neanche per un secondo la sua giovialità. «Perché non ti unisci a noi? Le tue idee potrebbero portare meraviglie al nostro circolo.»
«No, grazie.» risposi, senza entusiasmo. Mi chiesi fino a che punto uno sguardo potesse intimorire, ma non lo scoprii mai con quei tre. «Preferisco restare fuori dal circolo.»
I tre si scambiarono delle occhiate sospettose. «Tra le persone noiose?» domandò poi Masao.
«Tra le persone sane di mente.» borbottai, mentre mi avviavo verso la mia stanza. Li sentii vagamente parlare su quanto strano fossi e chiusi la porta. Non mi serviva che durante la telefonata che stavo per fare si sentissero loro di sottofondo.
C'era un unico numero memorizzato in rubrica, così chiamai senza indugiare oltre.
«Chi non muore si rivede.» sentii la voce di Persona dall'altra parte.
«Già...» commentai, come se io, invece, fossi stato ansioso di risentire la sua voce. «Ho qualcosa per te.» «Finalmente.» disse lui, ma non mostrò alcun entusiasmo. Che diamine mi potevo aspettare da quello? «Ero ansioso di sapere quand'è che ti saresti reso utile.»
Allontanai il telefono e sbuffai. «Sono tutti dati cartacei.» lo informai, trattenendomi dal dire qualche altra cosa di offensivo. «Quindi dobbiamo incontrarci.»
Ci fu un attimo di silenzio dall'altra parte. «Ti faccio sapere io quando e dove.» poi chiuse, senza darmi tempo di dire qualcos'altro.

Il terzo giorno che aspettavo le notizie di quel tipo, mi arrivò un messaggio con il luogo e l'ora dell'incontro, previsto quel giorno stesso. Potevo arrivarci a piedi, ci avrei messo un po', ma per fortuna avevo finito il mio turno di lavoro, così non avrei dovuto chiedere a Mitsuki di farmi andare via prima. Quando arrivai al bar indicato nel messaggio, non fu difficile individuarlo. Era, come al solito, vestito di nero – in netto contrasto con il bianco delle sedie e dei tavoli all'aperto –, ma non aveva quella ridicola maschera in faccia, era solo pieno di orecchini. Sentii una ragazzina riferirsi a lui come “il tizio goth”. Alzai un sopracciglio: definirlo goth, purtroppo, era un'offesa per il genere.
Mi sedetti davanti a lui, facendo strisciare la sedia sul pavimento. Lui alzò lo sguardo. «Ce ne hai messo di tempo, Natsume.»
Feci una smorfia invece di rispondere alla provocazione. «Pensiamo alle cose serie.»
«Giusto, dammi quello che hai.» tese una mano e io gli cedetti i fogli. Lui li contò. «Un bottino piuttosto magro, mio caro.»
«Beh, che ti aspettavi? Sono appena entrato.» protestai, quando lui alzò entrambe le sopracciglia, in evidente segno di disappunto.
«Quindi è... tutto qui?» sembrava deluso. «Non dirmi che mi hai fatto venire qui solo per questo.»
«Ho un paio di domande, effettivamente.»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Mi viene il dubbio che tu non abbia ben capito qual è il tuo ruolo, Natsume.» disse lui, massaggiandosi una tempia. Mi chiesi se gli fosse venuta voglia di toccarmi col suo Alice. «Tu procuri informazioni, e basta.»
«Voglio sapere di Mikan.»
Lui incrociò le gambe e intrecciò le dita delle mani. «Non ti facevo così sentimentale.» mi schernì, sorridendo sprezzante.
Non riuscii a trattenermi dallo scoccargli un'occhiataccia. «Vuoi dirmelo, o no?» lo incalzai.
«So che è stata in infermeria qualche tempo fa. Subaru Imai ha detto calo di zuccheri.» rispose, come se fosse la cosa meno interessante del mondo. «Interessante, no?» mi stava evidentemente prendendo in giro. Strinsi un pugno per non tirargli la zuccheriera.
«Nient'altro?»
«Sembra molto impegnata a seguire il nuovo studente.» mi riferì lui, con un sorriso malizioso. Io inarcai un sopracciglio, senza dire niente. «Sembrano diventati grandi amici.»
«Ma davvero?» ora capivo che era venuto lì solo per stuzzicarmi un po'. Sbuffai. «Insomma, sta bene?»
«Per ora.» confermò lui, con un cenno di assenso della testa. «Se, ovviamente, continuerai a fare il tuo lavoro, lei starà bene ancora per molto.»
«Già che siamo qui, ho bisogno che tu cerchi informazioni su una famiglia.» aprì un foglietto e me lo consegnò, c'era solo un cognome “Tamura”. Lo guardai, in cerca di spiegazioni. «A quanto pare, la loro figlia è scomparsa. O meglio, è stata nascosta dall'Organizzazione Z. Aveva un Alice molto utile. Trovala.» ordinò, secco.
«Come si chiama?» chiesi. Non era affatto una cosa facile, senza un punto da cui partire. «Tamura è uno dei cognomi più diffusi in Giappone. Come posso trovarla se non so come si chiama la bambina?»
«Chihiro Tamura.» rispose. «A quanto pare, eravamo quasi riusciti a prenderla, ma alla fine ci è sfuggita perché quelli di Z si sono messi in mezzo.»
«E voi non l'avevate previsto.» conclusi io per lui. Persona, però, non disse nulla. Non potei non provare una certa soddisfazione per il loro fallimento.
«Tu vedi di fare il tuo lavoro.» suonava più come una minaccia che un buon consiglio.
«E se non dovessi riuscire a trovare niente su di lei?»
Lui sorrise nello stesso modo inquietante del Preside. «Credevo che tenessi alla tua amichetta, Natsume.» osservò, con un tono falsamente preoccupato. «Sono certo che troverai qualcosa di utile negli archivi.»
Guardai il foglietto: non avevo nessuna intenzione di mettere nelle mani del Preside qualcosa di utile. «Mi ci vorrà del tempo.»
Lui sorrise. «Non mettercene troppo.» mi disse, come a voler sottolineare che ci sarebbero state delle conseguenze. «E non pensare di poter prendere tempo in questo modo.»
«Non lo sto facendo.» assicurai, ma aveva decisamente colto nel segno. «Ma non pensare che non lo stia facendo solo perché non hai mie notizie a riguardo.»
«Ma certo.» presi un bel respiro, perché la zuccheriera era ancora troppo vicina alla mia mano, ma sarebbe partita presto con destinazione la sua faccia, se non l'avesse fatta finita. Non ero certo lì per farmi prendere in giro da lui.
«Hai nient'altro da darmi?» volevo solo che sparisse dalla mia vista.
«Non per ora, ma tieni acceso il palmare. Potrei avere motivo di contattarti di nuovo.»
Sorrisi brevemente. «Ma certo.» lo imitai.
Lui mi rivolse un sorriso beffardo. «Buon lavoro.»
“Crepa” avrei voluto rispondergli io, ma mi trattenni. L'imprecazione minacciò di uscirmi dalle labbra quando un cameriere mi presentò il conto da pagare. Non c'era niente da dire: era un gran signore.

«Ma guarda tu...» borbottai, rimettendo il portafogli in tasca. Stavo meditando di non presentarmi al prossimo incontro, ma poi sbuffai, mimandolo mentre parlava di Mikan. Chissà se per la strada qualcuno mi prese per scemo. Probabilmente lo stavo diventando per davvero. Alla fine, non avevo concluso granché, ma di certo non mi aspettavo che proprio lui si presentasse all'incontro, credevo che non avesse intenzione di occuparsi di queste cosucce, ma, a quanto pareva mi sbagliavo.
Sbuffai: non ne andava una per il verso giusto. Alla fine ero stato solo incaricato di fare un altro sporco lavoro per loro e di Mikan sapevo solo che “stava bene”. Fantastico. Niente di più di quello che mi aveva detto Naru. Avevo fatto tutto quello per niente. No, aspetta, mi aveva detto che si stava occupando di un nuovo studente... speravo per lui che tenesse le mani a posto.
«E così torni a casa?» era una voce che conoscevo bene. «Senza sentirti nemmeno un po' in colpa? Non eri tu quello che si lamentava tanto dei metodi della scuola? E poi sei tu che li aiuti...»
Mi voltai. Davanti a me, c'era Ryu che mi guardava con l'aria di volermi azzannare il collo e dissanguarmi. «Non è certo perché mi piace farlo.» provai a rispondere, ma Ryu sembrò non sentirmi.
«Yuka si è fidata subito di te.» commentò lui, con disprezzo. «Mitsuki però ci ha chiesto di tenerti sotto osservazione, dato che lei sembrava così sicura su di te. Voleva saperne di più, e alla fine non ha scoperto il motivo per cui Yuka si fida di te, ma tutt'altro.»
Sospirai, cercando di mantenermi calmo. «Senti...»
«Non voglio nemmeno sentirle le tue stupide scuse!» mi puntò un dito contro, con rabbia. «Sei stato contro di noi fin dall'inizio!»
«Pensa quello che ti pare.» tanto qualunque cosa dicessi, sarebbe stato inutile.
«Cosa vuoi fare ora, spifferare tutto alla scuola? Dove sono le persone che abbiamo nascosto? Ti hanno mandato per questo?»
«Portami da Mitsuki.» tagliai corto. Lei, se non altro, in questi giorni era calma e, forse, più ragionevole. «Così ci spieghiamo.»
Lui ridusse gli occhi a due fessure. «Non so che piani hai, ma non riuscirai a scamparla, Natsume. Mitsuki saprà cosa fare di te.»
Mi finsi impressionato e ottenni solo di farlo diventare ancora più ostile. «Vogliamo andare?» chiesi, sbuffando. «Oppure vuoi tenermi qui a fare la ramanzina?» non ero per niente fiero di aver preso quei fogli, soprattutto dopo aver ottenuto dei così magri risultati, e non c'era nessun bisogno che parlasse in quel modo. Ero già abbastanza nervoso, perché potessi restare calmo.
Lui fece solo una smorfia disgustata. «Vedremo se avrai ancora voglia di fare del sarcasmo, quando parlerai col capo.»
Mi trascinò per un braccio, e mi resi conto che non potevo usare il mio Alice su di lui. «Hai una pietra Alice dell'Annullamento?» chiesi, esterrefatto. «Da chi l'hai avuta?» per quanto ne sapevo io era un Alice molto raro e lo possedeva solo Mikan.
«Non sei è proprio nella posizione adatta per fare domande.»
Beh, qualunque fosse dovevo saperlo. «È stata una ragazza a dartela?»
«Perché insisti tanto? È importante per l'Accademia?» chiese lui, con un sorriso derisorio. Sospirai rumorosamente. Non c'era niente che potessi dire o fare per convincerlo a parlare, perciò preferii rimanere in silenzio.
Quando arrivammo da Mitsuki, Ryu mi spinse a sedere su una sedia. Lei e Jou stavano ancora pranzando. Dopo che sentì la storia, credevo che il boccone che aveva preso dalle bacchette le si sarebbe fermato in gola. «Che hai detto?» chiese lei, senza fiato, dopo averlo mandato giù con un litro d'acqua.
«Quello che ho visto.» rispose lui, guardandomi male. «Passa informazioni all'Accademia.»
Il braccio di Mitsuki crollò sul tavolo e il suo sguardo era smarrito dietro di noi. «Spero che tu,» si riprese dopo qualche minuto, voltandosi verso di me. «abbia una spiegazione grandiosa per tutto questo.»
«Ce l'ho.» dissi, subito, sperando che nessuno mi interrompesse, stavolta.
Mitsuki prese un bel respiro. Credo che fosse la prima volta che dimostrasse un po' di serietà. «Voglio sentirla.»
«È sicuro una stronzata.» ribatté Ryu. Mitsuki si girò verso di lui, con una calma che non credevo potesse possedere in un simile momento. Stava dimostrando di essere un buon caposquadra e che, in fondo, anche se lei e i suoi si erano presentati come dei cialtroni, non lo erano davvero. Un buon modo per mascherare le loro vere intenzioni e per farmi abbassare la guardia. Ero davvero stupito.
«Fallo parlare. Possiamo strozzarlo più tardi, intanto sentiamo che ha da dire.» poi mi rivolse di nuovo la sua attenzione. «E ora spara.»
«Non qui.» mi guardai intorno. Se mi avevano seguito loro senza che me ne accorgessi, avrebbero potuto farlo anche quelli dell'Accademia. Non avrei fatto due volte lo stesso errore. «Andiamo in ufficio.»
«Jou, paga il conto.» disse lei, mettendogli una mano sull'avambraccio. «Noi andiamo, raggiungici.» lui annuì, mi guardò storto e si alzò. «E tu, non fare cose strane, sei già abbastanza nei guai, per quello che mi riguarda.»
«Perché non lo portiamo da Yuka? Lei saprà cosa fare con lui.» propose Ryu, strattonandomi il braccio sinistro. «Almeno deve sapere che il tizio di cui lei si fidava tanto ci rema contro!»
Mitsuki parve pensarci un po', guardò da me a lui e poi rispose: «Dopotutto, hai ragione tu.»
Mi chiesi che tipo di punizione mi stesse aspettando, se neanche lei mi avesse lasciato il tempo di spiegarmi. Se non fossi riuscito a chiarire tutto, mi avrebbero sbattuto fuori – nella migliore delle ipotesi – quindi, in che modo avrei potuto aiutare Mikan, o evitare che le facessero del male per via di questo fallimento se non potevo stare all'interno dell'Organizzazione Z? Non sarei stato più utile all'Accademia e questo avrebbe potuto mettere molti forse sul mio futuro.
Questo era un bel problema.

*****

Ehilà ^^ alla fine ho mantenuto la promessa di pubblicare oggi. Non credevo che ce l'avrei fatta, fino a due giorni fa. Ho finito di scrivere ieri sera all'ora di cena e ci è voluto un bel po' per farlo ricontrollare e per mettere il codice html, ma è perché non sono molto pratica, ancora -.- vabbè, oggi niente lista, altrimenti ritardo ancora la pubblicazione, magari la aggiungerò in un secondo momento.
Comunque, grazie a tutti quanti per averla inserita tra i preferiti, seguite, ricordate, e soprattutto alle new entry!
Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando!
A presto (tenendo conto dei miei brevissimi tempi di pubblicazione, ovviamente) =)

  
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