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Autore: MystOfTheStars    10/01/2012    2 recensioni
[[Fanfiction scritta per il prompt-athon 2011 su hetafic_it @ LJ. Ho giocato liberamente con l'ambientazione Gakuen e con i personaggi in versione Nyotalia, soprattutto per cimentarmi in una delle versioni che preferisco della GerIta, ovvero ItaliaXfem!Germania~ Altri pairing: het!Spamano, triangolo fem!Prussia/male!Ungheria/fem!Austria]]
Luise è un'adolescente decisa, ma un po' insicura del suo aspetto, timida ed impacciata soprattutto nei confronti dell'altro sesso. Questo è il suo primo giorno di scuola nel liceo frequentato anche dalla sorella più grande, che, al contrario di lei, è l'apoteosi della sicurezza di sé e dell'estroversione. Al di sotto dell'apparenza impeccabile della sua divisa inamidata, Luise spera di non fare figuracce, e, soprattutto, che nessun ragazzo le si avvicini troppo. Ma poi... arriva Feliciano!
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Prompt per questo capitolo: desiderio
Personaggi in questo capitolo: Luise, Feliciano, Julchen, Lavinia, Antonio, Francis, Belgio ed Olanda, menzione di Matthew.
Beta: Yuki Delleran





I professori dicono sempre che, passate le vacanze di Natale, la fine dell'anno è dietro l'angolo. Non è proprio così, perché c'è ancora un bel po' da faticare, un bel po' da studiare, un bel po' da essere interrogati e così via, ma è anche vero che, in un certo senso, con l'arrivo dell'anno nuovo la strada appare improvvisamente in discesa, e, se anche il tempo non scorre più velocemente, l'allungarsi delle giornate e lo scaldarsi dell'aria aiutano a farlo passare in maniera più piacevole.
Così, erano trascorsi i mesi: la neve era andata man mano sciogliendosi, e la primavera, zitta zitta, in paziente attesa sotto la coltre bianca, era d'un tratto sbocciata e fiorita con grande potenza, portando le prime giornate di caldo, gli insetti, i fiori, i pollini e tutto quel rigoglio di cespugli e uccellini e fronde verdi che distraeva gli studenti, attirando i loro sguardi verso le finestre e lontano dalle lavagne.

Era molto piacevole, ora, passare i pomeriggi nel grande giardino della scuola. Ovunque, i ragazzi si sedevano a gruppi, in piccoli circoli, circondati da cartelle, maglie, bottiglie e libri – i quali venivano sì portati appresso con le buone intenzioni di venire studiati, ma venivano prontamente abbandonati in un angolo non appena qualcuno tirava fuori un mazzo di carte, un pallone o una chitarra.
Nel gruppetto che interessa a noi, era proprio una certa chitarra ad essere l'oggetto della distrazione.
Antonio sedeva con la schiena appoggiata al tronco di una albero, un fazzoletto rosso annodato al collo, e la giacca dell'uniforme allegramente buttata di traverso su uno dei rami più bassi. Cantava a squarciagola e suonava il suo strumento con fare spensierato, felice della giornata di sole, del fatto che fosse maggio e senza alcun altro pensiero al mondo.
Il ragazzo era piuttosto popolare, tra le studentesse: di bell'aspetto, simpatico, divertente, gentile, un po' trasandato - ma in maniera accattivante, vinceva su tutti gli altri quando cominciava a suonare e a cantare, soprattutto in pomeriggi oziosi come quello.
Lavinia lo sapeva bene, e non a caso gli stava addosso, seduta a cavalcioni di uno dei rami dell'albero, indossando un paio di jeans alla buona al posto della gonna dell'uniforme, ed osservando le compagne di scuola con felini occhi verdi, sfidandole ad avvicinarsi troppo all'idiota che considerava suo territorio.
Poteva stare tranquilla, comunque, perché quel pomeriggio Antonio aveva una degna concorrenza. Da una parte, c'era Francis: il biondo sedeva felicemente circondato dalle compagne di classe, beato per tutte quelle camicette sbottonate e per tutte quelle gambe che, finalmente, potevano essere mostrate al mondo senza le pesanti calze che le avevano tenute prigioniere d'inverno. Si sentiva un po' come un sultano in mezzo al suo harem.
E poi, c'era Feliciano. Il ragazzo si era portato la sua chitarra all'accademia, dopo l'ultimo weekend in cui era tornato a casa, ed Antonio gli aveva subito chiesto di fare qualche duetto.
Feliciano era ancora un primino e non sapeva suonare altrettanto bene, ma aveva la stessa, spensierata gioia di vivere del compagno più anziano, un sorriso altrettanto largo, ed una galanteria che faceva sorridere le ragazze più grandi. In breve, anche lui si era creato il suo piccolo giro di fan, da cui amava farsi coccolare e viziare.
Naturalmente, Lavinia teneva sott'occhio anche lui, ma non era eccessivamente preoccupata: la sua più acerrima nemica, quella patata lessa di una tedescona, non era abbastanza vicina al fratello per costituire un pericolo, al momento, e la ragazza poteva concentrare i suoi sforzi altrove.
L'unica eccezione alla sua guardia attenta era costituita da Julchen, che poteva starsene tranquillamente accoccolata a fianco di Antonio a limarsi le sue magnifiche unghie – non era abbastanza donna, agli occhi di Lavinia, per costituire un vero pericolo riguardo a nessuno dei suoi due uomini.

Luise stava seduta in disparte, cercando disperatamente di concentrare tutta la sua attenzione sul libro che teneva tra le mani. Era uno sforzo piuttosto vano, in effetti: tra tutto il vociare degli altri studenti e le pallonate che ogni tanto le passavano vicino, seguire il filo logico del suo saggio era un'impresa ardua. Tuttavia, la cosa che la distraeva di più era probabilmente il suono di una certa voce, che al momento stava duettando con un'altra in una sdolcinata ballata d'amore.
Luise spostò casualmente gli occhi dal libro alla fonte della musica: quei due beoti di Antonio e Feliciano se la cantavano tranquillamente, con tutte le ragazze intorno a ridacchiare e fare il coretto, dimentiche delle mani leste di Francis che accarezzavano fianchi e gambe con nonchalance. Lavinia, le gambe penzoloni dal ramo dell'albero, sembrava pronta a prendere tutte a pedate nei denti – fine che sarebbe sicuramente toccata anche a Luise, se si fosse avvicinata a ricordare a Feliciano che il test di matematica si avvicinava e che lui avrebbe fatto meglio a spendere il suo tempo a studiare, invece che a fare la cicala in mezzo al prato.
Riportò la sua attenzione sul libro, lisciandosi nervosamente l'orlo della gonna.
Ora, a Luise piaceva la primavera: le squadre avevano ricominciato ad allenarsi all'aperto, le giornate erano lunghe abbastanza per rendere piacevole la sua corsetta serale, e l'abbondante luce naturale rendeva lo studio meno faticoso. La stagione, tuttavia, portava anche conseguenza più sgradite: il caldo non consentiva di indossare nulla al di fuori della camicetta e la gonna della divisa, e questa sembrava anche più corta ora che la temperatura non consentiva più di portare le calze.
Luise si tolse gli occhiali da lettura, stropicciandosi gli occhi con un sospiro sconfortato: stare seduta sull'erba a leggere non era stata una buona idea. Per impedire che la gonna si sollevasse oltre i limiti della decenza era costretta a stare tutta storta e con la schiena rigida, e la cosa alla lunga era stancante. Che poi, a che pro scegliere una simile collocazione? Naturalmente, il fatto che Feliciano fosse poco distante e che lei desiderasse stargli vicino non giocava alcun ruolo in tutto questo, assolutamente no. Un prato assolato, pieno di ragazzi che giocavano a pallone, che cantavano e che ridevano era decisamente il luogo migliore per dedicarsi alla lettura di Nietzsche, senza dubbio.
Anche perché, beh... se sperava che Feliciano si ricordasse di lei, circondato com'era dalle compagne di scuola che lo riempivano di moine, stava fresca.
Rimettendosi gli occhiali, tornò ad alzare la testa per gettare un'occhiata in quella direzione. La canzone che stavano cantando era finita e le studentesse cinguettavano in maniera sconclusionata, chiedendo ai due tordi di attaccare con una delle loro canzoni preferite. Ad ogni titolo, Lavinia replicava dicendo che faceva schifo, e, sebbene Luise sapesse che di fatto la ragazza aveva gli stessi gusti musicali delle altre, per una volta si sentiva perfettamente d'accordo con lei.
Con la coda dell'occhio, però, si accorse che Feliciano la stava guardando. In fretta, si sistemò gli occhiali e continuò a leggere: improvvisamente, stare lì sul prato non era più un'idea tanto buona, e la gonna sembrava diventata perfino più corta di prima.
Un momento dopo, l'ombra di qualcuno oscurò il sole e, prima che Luise potesse replicare stizzita che le stavano togliendo la luce, Feliciano si accucciò accanto a lei. Sulla faccia aveva sempre lo stesso sorriso idiota che aveva riservato alla sua piccola schiera di groupie.
“Veee~ Ciao! Che cosa leggi?”
La nascita della tragedia di Nietzsche.” rispose lei, guardandolo da sotto in su attraverso le lenti degli occhiali. Poté praticamente sentire l'eco delle sue parole riverberare nel vuoto della testa di Feliciano, all'assoluta mancanza di reazioni da parte sua. Ovviamente, non aveva idea di che cosa stesse parlando.
“Presto sarà la tua tragedia, se non smetti di farmi ombra.” aggiunse lei corrugando le sopracciglia.
Capita l'antifona, Feliciano si spostò.
“Beh, uhm, perché non vieni lì con noi? Ti suoniamo qualcosa?” chiese lui, tutto propositivo dopo un attimo di iniziale incertezza.
Luise indicò il gruppo con un cenno del mento. “Non credo sia una buona idea.”
Lavinia stava storcendo il collo nella loro direzione, mangiandosi le mani perché non poteva lasciare da solo Antonio per andare a trascinare indietro il fratello. Perfino un paio delle ragazze del “pubblico” li stava guardando di soppiatto, commentando qualcosa sottovoce.
Luise arrossì e distolse lo sguardo. “Che pettegole.”
Feliciano scrollò le spalle. “Si accontenteranno di Antonio, ve?” suggerì gentilmente, accoccolandosi vicino a lei, le gambe che sfioravano le sue.
Imbracciò la chitarra, strimpellando qualche accordo per accompagnare le sue parole, e subito attaccò a canticchiare qualcosa di incomprensibile in spagnolo, ed a questo punto la mente di Luise si scollegò. Non aveva idea di che cosa stesse dicesse l'altro, ma non importava. A dirla tutta, non era nemmeno perfettamente intonato, ma non avrebbe potuto interessarle di meno: a contare erano solo i riflessi color miele nei suoi capelli bruni e quelle labbra morbide che si muovevano al ritmo della musica.
Era bello, anche se era tutto spettinato, anche se il bordo della camicia gli sfuggiva da sotto il gilet, tutto spiegazzato, anche se i lacci delle sue All Stars pendevano inerti ai lati delle scarpe, così lunghi che pareva incredibile che lui non vi inciampasse ad ogni passo.
(Nel mentre, Lavinia stava scalpitando per andare a mangiarseli vivi, trattenuta solo da una sapiente azione di disturbo messa in atto da Julchen.)
Luise sentì un sospiro uscirle dalle labbra, e subito tornò a nascondersi dietro Nietzsche. Feliciano non la stava guardando, cantava ad occhi semichiusi, e lo sguardo di Luise continuava ad essere calamitato nella sua direzione.
Era sempre così anche quando erano distanti, ma quando Feliciano le stava seduto proprio a fianco l'attrazione gravitazionale che quel viso esercitava sui suoi occhi era inutile da combattere, prevedibile ed ineluttabile come ogni legge fisica.

“FELIIIIII~ Torna qui! Ci avevi promesso un'altra canzone!” lo strillo di una delle groupie fece cadere entrambi dalle nuvole. Feliciano si voltò subito, ma la ragazza che lo aveva chiamato non stava guardando lui, aveva gli occhi fissi su Luise. Non erano occhi gentili.
“Oh, certo! Arrivo!” fece lui sventolando una mano nella direzione degli altri, e poi si voltò verso Luise. “Vieni anche tu, dai!”
Rossa in faccia – mannaggia a questo sole primaverile ed alla sua pelle chiara così incline alle scottature! - Luise si alzò in tutta fretta, scuotendo la testa. Il prato era stato davvero una pessima idea.
“Nein. Non penso di essere la benvenuta.”
“Ma Luise!” la implorò Feliciano afferrandola per la gonna “Sei la mia migliore amica, è chiaro che...”
Lei lo fulminò con lo sguardo. “Non. Toccare. La. Mia. Gonna.” sibilò. Migliore amica, ja? Feliciano aveva pronunciato le parole sbagliate. La bionda gli puntò contro un indice accusatore: “Faresti meglio a tornare a studiare algebra, perché sai benissimo che al tema non ti farò copiare, verstanden?”
Detto questo, girò i tacchi e si avviò a passo marziale verso il dormitorio, lasciando Feliciano a struggersi nello sforzo di capire dove mai avesse sbagliato.

Poco distante, appoggiati al tronco di un altro albero, una coppia di ragazzi dai capelli biondo cenere osservava in silenzio la situazione. Lui – lo spilungone che Luise aveva soprannominato il brucaliffo il primo giorno di scuola – fumava tranquillamente la sua pipa, e dallo sguardo dei suoi occhi grigi si capiva come non dovesse avere un'opinione particolarmente alta degli eventi a cui aveva assistito.
Lei osservava un po' divertita e un po' scettica, piluccando di tanto in tanto da una confezione di cioccolatini, un albo a fumetti aperto in grembo.
“Certo che è un'ingiustizia.” commentò la ragazza ad un tratto. Il fratello le lanciò uno sguardo interrogativo, senza emettere un suono.
“Voglio dire, non vedi? I ragazzi più carini e gentili finiscono sempre con delle bisbetiche possessive.” commentò, gettando un'occhiata significativa verso Lavinia, che aveva appena allungato uno scappellotto sulla nuca del fratello, e per l'occasione anche ad Antonio.
“Quell'altra” andò avanti riferendosi a Luise, che si era già eclissata “sarebbe anche una tipa a posto, se solo smettesse di comportarsi da kapò nei confronti di tutta la classe... ma l'italiana sa essere un vero terrore, eh?”
Lavinia ora sedeva a gambe incrociate tra i due ragazzi, con un ramo appoggiato alla spalla a mo' di fucile da guerra. Un po' inquietante come visione, in effetti.
“Gli uomini si innamorano sempre di quelle sbagliate.” sospirò la ragazza, infilandosi in bocca un ennesimo cioccolatino.
“...mh.” fu tutto quello che il fratello seppe produrre in risposta, tornando ad attingere fumo dalla sua pipa. La cosa non lo disturbava più di tanto, in realtà, anzi: quell'Antonio non gli era mai piaciuto.


Migliore amica, migliore amica. Gliela dava lei la migliore amica!
Luise si chiuse la porta della stanza alle spalle e si sedette alla scrivania sospirando. Appoggiata allo schienale della sedia, si massaggiò le tempie con fare drammatico. Feliciano le dava troppo da pensare, decisamente.
Da un lato, era chiaro come lui fosse il suo migliore amico. Luise non aveva molte amicizie, a scuola, tolte Julchen e Sophia - ma una era sua sorella e l'altra la sua compagna di stanza, per cui era ovvio che fosse legata ad entrambe. Feliciano, invece, era un'altra questione.
Certo, non era molto esperta in fatto di amicizia, ma per quanto ne sapeva questa doveva nascere tra persone affini, che condividevano gli stessi interessi. Bastava prendere lei e Sophia: ascoltavano la stessa musica, si erano prestate diversi libri, condividevano opinioni e giudizi molto simili in merito alla gestione della scuola e alle pessime abitudini di molti degli studenti.
Ma con Feliciano era differente. Innanzitutto, non avrebbe potuto esistere persona più diversa da Luise: pigro e svogliato, quando lei era una macchina da studio, rumoroso e troppo espansivo, quando lei era silenziosa, riservata e decisamente poco incline al contatto fisico. Le stava appiccicato quando gli faceva comodo e contava su di lei per troppe cose, vero, eppure c'erano momenti in cui tutta quella sua allegria le strappava un sorriso, momenti in cui, quando lui non c'era o era triste, a lei tutti quei suoi sorrisoni ed abbracci mancavano: non era brava a consolare le persone, Luise, lo sapeva bene, ma con Feliciano sembrava riuscirci. Era... bello: il fatto che lei potesse tornare a farlo sorridere se lui era depresso, infatti, metteva di buonumore anche lei, la faceva sentire importante, necessaria, desiderata.
Feliciano cercava la sua compagnia, il suo aiuto, i suoi sorrisi, ed era la prima volta che questo le capitava. Per quel che ne sapeva, poteva benissimo trattarsi di amicizia, ma... questo non bastava.
Se Luise sapeva poco dell'amicizia, era chiaro che sapeva anche meno dell'innamoramento, e, in effetti, era confusa. C'erano una serie di sintomi, di eventi che non sapeva qualificare. Quando lei e Feliciano erano seduti vicini a lezione, ad esempio, e le loro mani si avvicinavano per caso, la sua pelle formicolava per la tensione. Se poi le dita si sfioravano a tradimento, riceveva una scossa che quasi la faceva saltare sulla sedia.
Poi, di tanto in tanto, si ritrovava a guardarlo ed a pensare che fosse carino. Non era atletico, non era alto, e a dirla tutta aveva spesso un'espressione poco intelligente, soprattutto a lezione. Eppure lo trovava bello, e non ci poteva fare niente.
Luise continuava a massaggiarsi le tempie, cercando di venire a capo di quel puzzle, incapace di incastrare i pezzi che per metà si trovavano nella sua testa e, per l'altra metà, nel suo cuore.
Era naturale che lo amasse perché era il suo amico più caro, ma non bastava: mancava sempre una tessera, in quel mosaico, ed era la stessa mancanza che sentiva quando sedevano vicini, quel vuoto che rimaneva tra le loro mani, quel qualcosa di più che lei desiderava ardentemente.

~*~

“Allora, Lieschen, mancano due giorni al ballo di fine anno!”
Julchen atterrò sul divano con poca grazia ed accavallò le sue magnifiche gambe sopra quelle della sorella.
Luise alzò gli occhi dal libro che la stava impegnando.
“Sì. E' segnato sul calendario scolastico.” rispose telegrafica, prima di riabbassare lo sguardo sulla sua lettura.
Julchen fu lesta a chiudere il libro con un'abile mossa del piede, e la sorella sollevò su di lei uno sguardo esasperato. Sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa di simile, vista la festa che incombeva, ma non aveva alcuna voglia di affrontare l'argomento.
“Kesesese, voglio sapere in quale modo buffo ed imbarazzante Feliciano ti ha chiesto di essere la sua dama per il ballo... e voglio sapere quale magnifico abito indosserai!” spiegò Julchen con un sorrisone complice.
Luise arrossì. Per fortuna, la sala comune del dormitorio era praticamente vuota, e le altre ragazze non sembravano fare caso a loro.
“Non ho nulla da raccontarti.”
“Dai, sono la tua sorellona, a me lo puoi dire!”
“Non c'è niente da dire!” sibilò Luise, dandole un'occhiataccia “Non sono stata invitata da nessuno e quindi non indosserò nessun abito perché al ballo non verrò, va bene? Punto. Ora, se sei così gentile da togliere questo piede da...”
“Eeeeeh?” Julchen si rizzò sul divano, torreggiando sulla sorella minore ed afferrandola per le spalle. “Ma è assurdo! D'accordo che è un ritardatario nato, ma pensavo te l'avesse chiesto da tempo!”
Luise fece spallucce, riabbassando lo sguardo nel vano tentativo di riprendere la lettura.
“Si sarà preso per tempo con una delle innumerevoli ragazze con cui ci prova quotidianamente. Non mi stupirei se ne avesse invitata più di una, anzi.” commentò, con una certa amarezza nella voce.
Julchen si sedette, abbracciandosi le ginocchia e guardando la sorella con aria pensosa. Gelosia, eh? Un sentimento di cui Julchen conosceva bene l'odore.
“Kesesesese, credi davvero che Feliciano preferirebbe qualcun'altra alla sorella della magnifica sottoscritta? Ma per favore, Lieschen! Probabilmente l'hai spaventato e fatto scappare prima che lui potesse parlarti.”
Luise roteò gli occhi. In effetti, le ultime settimane erano state piuttosto pesanti, con tutti i test e gli esami di fine anno a tenerli impegnati. Lei e Feliciano avevano studiato assieme, come sempre, ma Luise era stata pronta ad azzittirlo tutte le volte che il ragazzo deviava appena dal discorso “studio” per parlare di qualcos'altro. Che questo qualcos'altro potesse davvero essere l'invito al ballo, però... ah, impossibile.
“Assurdo. Ma l'hai visto? Quel ragazzo è un flirt continuo. E come sei carina oggi di qua, e che bene che ti sta il nuovo taglio di capelli di là... Invitare me? Come no. Sono sua amica, e basta.”
Improvvisamente, Julchen assunse un'espressione seria.
“Ma a te così non sta bene, non è vero, Lieschen?”
L'altra non alzò lo sguardo, ma il suo rossore aumentò in maniera evidente.
“E' chiaro che lui ti piace, sono la tua magnifica sorellona, lo so. Non posso leggere nella testa di Feliciano, ma se fossi in lui non oserei invitare un'altra al ballo, se potessi chiedere a te.”
“Beh, comunque non lo ha fatto, quindi non vedo perché dovremmo discutere di...”
“Ehi.” Julchen le prese il mento tra le dita e la fece voltare per guardarla negli occhi. “E' un uomo ma non ha le palle di invitarti, ok? Cosa credi, se stai ad aspettare che siano quelli a muovere il sedere e a venire a bussare alla porta, puoi stare fresca. Una deve andare e prenderseli, ed è quello che farai tu, verstanden? Va' da lui e digli che ti porterà al ballo.”
Luise non batté ciglio. Tentava di mantenere un'espressione glaciale, ma aveva le guance in fiamme.
“Non ha senso, Julchen!” Andare ad implorarlo di portarla al ballo? Ma che discorsi erano? E se poi lui fosse già stato impegnato...? Luise era troppo orgogliosa per affrontare una prova simile e l'umiliazione che poteva conseguirne. “E poi ci sono gli esami, non ho tempo da perdere dietro a balli e compagnia bella!”
Le pupille di Julchen si assottigliarono.
“Tu non vuoi che qualcun'altra te lo porti via, Lieschen, da' retta alla tua sorellona. E fidati che il ballo di quest'anno sarà molto, ma molto più importante per te che non tutti gli esami messi insieme. Considera questo libro requisito fino a che non avrai l'invito al ballo, sorellina.” disse lei gelida, prendendo il libro per sequestrarglielo.
Luise lo afferrò prima che lei potesse tirarglielo via.
“E tu con chi ci andrai al ballo, sorellona?”
Sapeva che Sophia era stata invitata da Gary, naturalmente, e, da quello che Luise aveva dedotto riguardo al rapporto tra loro e Julchen, la cosa sicuramente non faceva piacere a sua sorella.
La bocca di Julchen si piegò in un ghigno. “Ho ancora una decina di inviti da esaminare, kesesese.” disse annoiata, mentre si metteva a trafficare con il cellulare “Non credo che ci sarà nessuno di abbastanza magnifico da essere al mio livello, ma vedrò di accontentarmi.”
Luise indurì lo sguardo. “Avrò il mio invito quando tu avrai il tuo.” replicò secca.
Julchen emise un teatrale sospiro di esasperazione. “Ce l'ho, l'invito, ce l'ho. Di... uh, come si chiama...” si grattò la testa. “Beh, è di una persona così poco magnifica che non mi ricordo nemmeno il nome, kesesese!”
Luise inarcò un sopracciglio, scettica.
“Me l'ha raccomandato Francis, è un suo protetto o una cosa del genere.” spiegò l'altra, gli occhi sempre puntanti sul telefonino “Siccome io sono magnificamente generosa, gli ho promesso di accompagnarlo al ballo.”
“...va bene.” Luise era ancora dubbiosa, ma non replicò ulteriormente.
“Ora che hai finito col tuo interrogatorio, Lieschen, voglio vederti alzare questo tuo bel culetto e andare in biblioteca.”
“Biblioteca? Posso studiare anche qui...”
“Sei dura di comprendonio, eh? Il tuo principe azzurro è in biblioteca a dormire sui libri.” disse Julchen, mostrando alla sorella un sms di Antonio, arrivato in quel momento esatto a rivelare la posizione di Feliciano. “Va' e torna vincitrice.”

E così, Luise si ritrovò a dirigersi di gran carriera verso la biblioteca. La fretta, beninteso, non era dovuta al doversi procurare l'invito per il ballo, bensì al fatto che Feliciano si concedesse pisolini fuori luogo in tempo di esami. Gliel'avrebbe fatta passare lei, la voglia di dormire, altroché.
  
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