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Autore: Talesteller    12/01/2012    1 recensioni
Questa cosa è andata ben oltre dove speravo andasse.
E questo ci ha portati alla catastrofe.
Ma la gente deve sapere perché ora sono qui, in questa cella, ad attendere la fucilazione.
Ciò che ho fatto non deve morire con me e con i miei.
Questi sono i miei diari.
Queste sono le origini del più grande movimento anarchico della Galassia.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sirio III, Sirio, distretto residenziale nord-orientale.
Data e ora locale, 10 gennaio 15027, 22:45
 
Questo è il mio diario personale.
La Censura ha infine deciso di restringermi l’accesso alla Rete.
Mi hanno mandato una mail di notifica in cui mi hanno cordialmente avvisato che viste le mie attività contrarie all’ordine pubblico e a favore della lotta armata mi sarebbe stato bloccato l’accesso alla Rete.
Quindi devo a causa di forze superiori cambiare modo di lottare.
Da scriverlo su blog a caso in  giro per la Rete sono passato a gridarlo per le strade, con parole che non sarei mai stato capace di produrre, o anche se lo fossi stato non l’ho fatto.
Parole di gente esistita cinquemila anni prima di me in cui riesco a trovare ciò che penso.
Penso quello che pensava cinquemila anni fa gente appartenente ad una civiltà indietro di millenni rispetto alla mia.
O i terrestri erano una razza tanto avanzata nella logica e nella mentalità quanto arretrata sotto l’aspetto tecnico, o in me qualcosa è cresciuto terribilmente storto.
Per quanto ne so, potrebbero essere vere entrambe.
Non ci siamo nemmeno degnati di operare un esame anatomico su un cadavere di umano.
Non sappiamo nulla su come ragionasse il loro cervello prima dell’Apocalisse.
Ora vivono su un pianeta sperduto, Andromeda I, che orbita intorno ad una nana bianca.
Non so quanto sappiamo su quella gente.
So solo che molto pochi sono i Siriani che hanno visitato quel pianeta, anche perché una volta appreso chi li aveva sterminati, i Terrestri ci hanno banditi dal loro pianeta.
Decisione discutibile, avrebbero potuto imparare da noi almeno quanto noi avremmo potuto imparare da loro.
La loro mentalità attuale sarà comunque molto diversa da quella precedente alla nostra invasione.
Erano l’unica forma di vita intelligente e civilizzata della Galassia ad essere convinti che non esistessero forme di vita al di fuori del loro pianeta, o comunque quelli che se ne interessavano di meno.
Una civiltà vissuta così a lungo senza nessun tipo di contatto con razze estranee deve aver maturato una cultura quantomeno singolare, che noi non ci siamo nemmeno degnati di studiare, e ora che hanno perduto quel loro isolamento da migliaia di anni, è logico pensare che la loro mentalità sia cambiata.
Come, non so e non posso dirlo.
Tutto ciò che posso sapere è ciò che accade qui, su Sirio III, nel distretto residenziale di nord-est e nel mio isolato.
Per adesso.
Sono riuscito a trovare una certa regolarità nelle mie uscite da quando mi hanno ristretto l’accesso alla Rete.
E ogni giorno da allora incontro lei.
Ha sempre la stessa giacca e la stessa sciarpa.
L’ondata di emozioni a caso che mi travolge ogni volta che la incontro va lentamente scemando.
Dall’ultimo incontro che ho caricato su un blog, le nostre strade si sono incrociate sei volte.
Non temo più che si volti e mi saluti, sarei estremamente felice se lo facesse.
Non posso continuare a vivere all’ombra dei rischi e lanciarmi nelle battaglie da cui sono certo di uscire senza ferite.
Lei non camminerà lungo questa strada vuota per l’eternità, e prima che si stanchi di farlo io devo ricordarle che non è sola.
Pensavo che non l’avrei incontrata, in questa giornata diversa da quella precedente solo per un numero.
Era nella piazza da cui si accede al tunnel ventilato, o meglio, si accederebbe.
Era appoggiata a quello che un tempo era il bancone del locale che si erge ancora al centro della piazza, e aveva lo sguardo rivolto a quella saracinesca grigia che la separava da chissà cosa.
Mi portai al suo fianco e portai lo sguardo su quel cancello invalicabile.
È all’interno di un palazzo, un grattacielo commerciale con cui condivideva il sistema di aerazione.
Tutto il resto delle facciate che opprimono quella piazza sono i muri di vetro e le saracinesche chiuse che sono ovunque, quella era la zona di costruzione più recente dell’isolato.
Avevo visto decine se non centinaia di volte quello spettacolo desolante, ma di colpo era diventato nuovo.
Ora, so di non essere solo.
So che queste strade non sono più morte come credevo.
Non credevo che sarei mai riuscito a sentirmi bene in vicinanza di un Siriano.
Oggi è stata la prima volta che mi è accaduta una cosa simile in trent’anni.
Non le ho parlato. Non sono molto coerente con quanto ho detto fino adesso.
Ma non mi sembrava di doverlo fare.
Appoggiati ad un bancone che da decenni non subiva altra pressione che quella atmosferica.
A guardare un cancello che probabilmente non valicheremo mai, non finché Sirio non si risveglierà, io a chiedermi cosa pensasse lei.
Credo mi abbia notato, ha alzato leggermente lo sguardo poco prima di andarsene.
Non mi basta più avere la certezza che una sui sei miliardi di Siriani che vivono sotto questa nube, che pur sapendo che si sarebbe formata non hanno fatto nulla per impedirlo, si sia resa conto che tra quattro mura non c’è più aria per i suoi polmoni.
Non c’è abbastanza aria per nessuno di noi, non c’è posto per avere un’anima da proteggere dall’Impero.
Chissà se riuscirò mai a pubblicare questo diario.
Spero di riuscire a farlo, prima o poi.
Nei primi anni dell’IFAG ho iniziato a rendermi conto di essere diverso dal resto della gente, negli ultimi ho trovato il coraggio di darne dimostrazione, ed ho iniziato a fare domande a cui stavo ancora cercando di trovare una risposta.
“Che senso avrà la tua vita dopo la tua morte? Cioè, una volta che sarai morto, cosa resterà della tua vita?”
Gran parte della gente era solita rispondere che ciò che da senso alla vita è la memoria dei cari.
Se fosse questo, allora una volta che sarò trapassato la mia vita non avrà avuto molto senso.
Ed è per questo che spero, in un modo o nell’altro, in questo o in un altro degli imperi che si contendono la Galassia, un giorno o l’altro, di pubblicare questi diari.
Lasciare una traccia di me, da qualche parte.
Traccia che magari sarà utile a qualcuno, in futuro.
Per adesso, Sirio non mi permetterebbe mai di fare una cosa simile, o i centotrenta miei post rimossi dalla Rete sarebbero ancora là.
Quindi o aspetto che qui le cose cambino, e questo succederà quando troveremo un pianeta a forma di otto, se non ci svegliamo adesso, o vado da un’altra parte.
L’unica cosa che mi trattiene qui è lei.
Non posso andarmene finché non sarò certo che sia chi immagino che sia.
E finché rimarrò qui, continuerò a lottare con l’unico modo che mi è rimasto.
Continuare a percorrere questa strada corrosa da tutto, gridando ai vetri insonorizzati parole di estranei vissuti migliaia di anni fa.
Sperando che per qualcuno siano qualcosa di più di sussurri in quest’oscurità tossica.
  
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