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Autore: sayuri_88    13/01/2012    4 recensioni
« Le tre regole d’oro delle ragazze dello chalet. Prima regola: niente amici nello chalet. Seconda regola: feste finché vuoi, basta che la colazione sia sul tavolo alle otto in punto. Se non ti svegli, fai i bagagli. Terza regola: non si va a letto con i clienti. Salvo che non siano in forma o ricchi o che ci provino ».
« In pratica, ci sono solo due regole ».
« In pratica ».
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao! Eccoci con il secondo capitolo e anche la fine di Gennaio... almeno nella storia. Il prossimo sarà a Febbraio.
Ringrazio le ragazze che hanno inserito questa storia tra le seguite, preferite e ricordate e  
watereyes per aver recensito il primo capitolo. Spero di non deludere nessuno con questo nuovo capitolo.
Se volete parlare, chiedere, leggere spoiler qualsiasi cosa potete contattarmi sul 
BLOG o sulla pagnina FB

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Capitolo 2 - gennaio

2 parte



 

 « Visto che domani partiamo che ne dite di andare al Dobler per salutarci come si deve? Alle dieci, ci state? » così esordisce Andrè entrando in cucina. Si è rimesso completamente e ora sprizza energia da tutti i pori, non direste mai che solo quattro ore prima si lamentava per il dolore allo stomaco.
    Sì, finalmente è arrivato l’ultimo giorno e gli ospiti sarebbero partiti domani dopo mezzogiorno.
    « Io non… » sto per rifiutare visto che il giorno dopo saremmo state io e Lizzy ad alzarci presto, quando, proprio quest’ultima mi precede.
    « Certo che ci saremo » risponde ammiccando e il ragazzo ci, o meglio mi, sorride raggiante.
    « Allora ci vediamo dopo ».
    « Qualcuno ha fatto colpo » cinguetta la biondina dandomi una leggera gomitata sul braccio.
    « Ma per favore » borbotto. Solo perché si è sempre mostrato gentile con me, non vuol dire che abbia qualche interesse. 
    « Non negare e credo che tu abbia fatto colpo anche sul bel Signorino Modigliani » continua e io la sguardo di sbieco.
    « David? » e a stento trattengo le risate. È una eventualità che nemmeno mi sfiora la mente.
    « Sì, con me non ha mai riso o scherzato. È gentile ma tiene comunque le distanze ».
    Effettivamente è vero, ma se dall’esterno, il fatto che noi due sembriamo “intimi” possa portare a pensare in un certo modo, proprio come ha fatto Lizzy, so che invece è molto lontano dalla realtà.
    « C’è stato un disguido oggi pomeriggio e semplicemente ci siamo chiariti e poi nulla. Questa sera hai visto che anche con me si è comportato come fa con te ». 
    David interessato a me. Che assurdità.
    Non capisco perché la gente pensi subito che due persone di sesso opposto, quando si intrattengono a parlare, puntino a un determinato finale. Io credo nell’amicizia tra uomo e donna, molti dei miei amici sono ragazzi, e se non fosse per certi fattori, probabilmente io e lui potremmo essere amici.  Magari quando finirò qui e se ci rincontrassimo in un’altra situazione. Sarebbe possibile.
    « Sì, effettivamente hai ragione » ribatte lei con tono pensieroso e per paura che possa dire qualcos’altro continuo tornando all’argomento di partenza.
    « Piuttosto perché hai risposto anche per me? Ti ricordo che domano alle sette dobbiamo essere sveglie ». 
    Lizzy, accantona i suoi pensieri e mi rivolge un sorriso malizioso.
    « Perché ci possiamo divertire e tu ne hai bisogno. Poi pagano loro, che c’è di meglio? » un buon sano riposo avrei voluto dirle. Sono stanca e nonostante sia stata una giornata piuttosto tranquilla, tutto quello che voglio è sdraiarmi sul letto e riposare.

    « E quelli cosa sono? » è la domanda scioccata di Lizzy appena entra in camera dopo essere stata per venti minuti in bagno. Venti minuti spesi bene perché è davvero bella nel suo vestito a balze nero, sulle spalle un cardigan grigio e ai piedi un paio di stivaletti dello stesso colore del vestito.
    « Jeans, maglione e scarponi? » questo, invece, è il mio abbigliamento.
    « Non puoi venire così! È da sfigati. Che dirà Andrè? » è la sua protesta e vorrei tirarle qualcosa in testa per la sua fissa che tra Andrè e me, ci possa essere qualcosa. 
    Non dice altro da quando siamo salite a cambiarci!
    « Non mi interessa che dirà e comunque non avrei altro da mettere » la mia compagna mi lancia uno sguardo scettico e con pochi complimenti apre il mio armadio iniziando a sbirciarci dentro. 

    Un quarto d’ora dopo indosso un abito panna in lana, con una leggera scollatura a cascata, lungo fino a metà coscia, con un motivo a trecce e punti sul fondo - lo avevo scartato perché avrebbe fatto freddo ma come ha detto Lizzy appena lo ha visto: chi bella vuole apparire un poco deve soffrire. 
    « Bene, ora che hai finito con la tua barbie make-up personale. Direi che possiamo andare » perché non si è limitata al vestirmi. 
    No, dovete sapere che mi ha truccato e pettinato proprio come quelle barbie di cui fanno la pubblicità ed io non potevo mettere becco in nulla, anche se devo dire che è stata clemente, ha usato un trucco naturale che quasi non si vede.
    Mi passa un paio di stivali beige, che arrivano fino al ginocchio, incitandomi a indossarli e poi rimira la sua opera soddisfatta. 
    E anch’io mi sento bene, mi piaccio.
    « Fortunatamente abbiamo lo stesso numero di scarpe », si perché gli stivali sono suoi, « e anche di abito, sai che ti facevo più grassa? Me lo dovrai prestare ».
    « Io non sono grassa! » protesto punta sul vivo.
    « Beh, a volte metti certi vestiti che ti sformano, non sai avvalorare il tuo corpo ma » e qui fa una pausa teatrale e orgogliosa si indica con i pollici « la sottoscritta ha fatto emergere il cigno che è in te ».
    « Spiegami, vuoi dire che fino ad ora sono stata il brutto anatroccolo? » chiedo incrociando le braccia sotto il seno.
    « Qualcuno dovrebbe imparare ad accettare i complimenti » borbotta di rimando « ma diciamo che qualche accorgimento ti ha aiutato a splendere. Il make-up fa miracoli ».
    Prendo un respiro profondo e poi recupero borsa e portafoglio e mi avvicino alla porta. Non me la sento di discutere con lei, in fondo mi ha aiutato e non è un’arpia come immaginavo.
    Forse non sarà poi male uscire e rilassarsi.

    Dallo chalet al pub dove siamo diretti, non c’è molta strada e dopo nemmeno dieci minuti siamo dentro, tra le urla e la musica dal vivo. Non ci sono mai stata prima d’ora, è grande e pieno di giovani della nostra età che sfruttando le vacanze sono venuti a godersi la loro settimana bianca o altri giovani del personale che come me e la mia compagna sono venuti a distrarsi un po' dai doveri. 
    Lizzy, viene catturata da una ragazza rossa e sparisce in mezzo alla folla di gente che balla - o meglio si dimena - e con se trascina anche Carlo. 

    Non amo ballare, forse è un odio derivante dal fatto che non so ballare e quindi mi tengo a debita distanza dalla pista e lo faccio anche adesso, seguendo Andrè, David e Michele a un tavolino incredibilmente libero. 
    Presto anche Andrè è catturato dalla massa di gente che balla e così rimaniamo io e gli altri due ragazzi a sorseggiare ognuno un bicchiere di birra in religioso silenzio. 
    David e Michele iniziano presto a parlare di fatti riguardati l’università ed io mi estraneo guardando la gente scatenarsi, picchiettando il piede a ritmo di musica e canticchiando a mezza voce le canzoni che conosco. Qualche volta lancio un veloce sguardo verso il duo fino a che non vedo Michele alzarsi per raggiungere la pista da ballo richiamato dalla rossa che prima aveva trascinato Lizzy in pista. Anche Andrè mi fa dei segni ma io nego con il capo e così inizio a fissare con molto interesse il mio bicchiere mezzo vuoto. Sia io che David rimaniamo in religioso silenzio.

    Vorrei iniziare un discorso ma sinceramente non saprei che dirgli, quell’affiatamento, se così lo vogliamo chiamare, che c’era questo pomeriggio sembra svanito e non ho il coraggio di iniziare il discorso per prima.
    Ed è proprio quando lo vedo, al limite del mio campo visivo, poggiare il bicchiere sul tavolino e rimanere per qualche attimo fermo immobile prima di voltarsi verso di me e aprire bocca che Andrè sbuca dal nulla e ignorando le mie proteste, prende il mio bicchiere, lo poggia sul piano di legno e mi trascina in pista. 
    Lancio uno sguardo spaesato a David che nel frattempo ha assunto un’espressione imbronciata. L’ultima cosa che vedo di lui è la sua mano che scompiglia i capelli mentre con l’altra si porta il bicchiere alla bocca, poi sono travolta da un turbinio di corpi e abiti svolazzanti. Sento le mani del francese sui miei fianchi che m’invitano a muovermi a tempo di musica e malamente cerco di assecondarlo.
    Presto sono attanagliata da una sensazione di disagio: lui è troppo vicino, non molla la presa, anzi la intensifica e senza cercando di apparire disinvolta mi allontano rimettendo una certa distanza tra noi, minima, visto come siamo tutti accalcati, ma pur sempre qualcosa.
     Al nostro fianco vedo Lizzy che avvinghiata a Carlo mi lancia uno sguardo malizioso per poi avventarsi sulle labbra del rosso che sembra gradire l’agguato.
    « Ti diverti? » mi urla nell’orecchio Andrè per farsi sentire. Io mi limito a fare un mezzo sorriso continuando a muovermi. Anche se sembro una ritardata.
    « Lasciati andare! » 
    « Non so ballare » urlo per farmi sentire.
    « Segui il ritmo e non pensare! »
    Ed è più facile a dirsi che a farsi, cerco di lasciarmi andare ma solo un bicchiere di birra non riesce a farmi allentare i freni inibitori e così con la scusa del bagno mi allontano dalla pista. 
    Dopo una veloce sciacquata ritorno nella sala e mi rifugio al sicuro vicino al bancone del bar cercando di non farmi vedere da Andrè.
    « Non ami ballare, vero? » una voce bassa e un alito che mi solletica l’orecchio mi fanno sobbalzare. David poggiato con un gomito sul bancone, alle mie spalle, mi guarda attento.
    « Non ho bevuto abbastanza birra per scatenarmi » rispondo facendolo sorridere e solo in quel momento mi accorgo che sotto il braccio regge i nostri cappotti. Guarda per un momento verso la pista per poi ritornare a fissarmi.
    « Ti va di andare a fare un giro? » mi chiede porgendomi il mio giaccone. Esito, lancio uno sguardo alla ricerca degli altri. Intravedo Lizzy appiccicata a Carlo, Michele assieme a quella che sembra la rossa che prima ha trascinato la mia compagna in pista, e Andrè ballare con chi gli capita vicino. Mi volto infine verso David ancora con il braccio teso verso di me e prendo il giaccone che mi porge.
    « Andiamo ».

    « Nemmeno tu ami ballare? »
    Camminiamo fianco a fianco ma tenendo una certa distanza tra di noi. Entrambi siamo stretti nei nostri cappotti alla ricerca di un po' di calore contro il freddo pungente dell’inverno austriaco. 
    I capelli mi svolazzano ai lati del viso, le orecchie sono fredde così come il viso e sicuramente il mio naso sarà rosso come quello di Rudolph, la renna di Babbo Natale.
    « Sì, ma non amo ballare se quello poi si può chiamare ballare… » a quanto pare pensiamo la stessa cosa. 
    Lo osservo curiosa di scoprire qualcosa su di lui. La sua camminata sicura e decisa, le spalle dritte, che gli donano un portamento quasi regale, suggeriscono un carattere deciso e risoluto. 
    Anche il suo sguardo trasuda sicurezza, il naso diritto, la bocca definita…
    Qualcuno che non si fa mettere i piedi in testa, tutto il contrario di me, ragazza insicura, raggomitolata su me stessa, tanto che potrebbero scambiarmi per il gobbo di Notre Dame. 

    Sindossa un cappello con i paraorecchi, in grossa lana lavorata a maglia, fortunatamente nessun animale sembra essere stato scuoiato per realizzarlo.
    « Ah, sì? E che balli? Il valzer? Il tango? »
    « Scherza poco, perché li so ballare davvero » risponde piccato. Quando parla, posso vedere il suo respiro per la condensa.
    « Ops… scusa. Non volevo offendere » balbetto. Sto parlando con il mio datore di lavoro e non lo devo dimenticare. Soprattutto perché oggi ho già tirato troppo la corda.
    « Non preoccuparti. Puoi parlare liberamente con me, oggi pomeriggio non hai avuto problemi. Con mia madre… beh, è meglio che tieni le distanze è della vecchia classe inglese, con papà, lui è molto alla mano ». Allora… se ho il suo benestare…
    « Ecco perché il tuo nome » mormoro.
    « Già, anche mio nonno si chiama David ».
    « Allora sei David Junior. DJ ».
    Lui sbuffa e scuote la testa divertito ma non controbatte e continua a camminare. 

    Mi lascio guidare attraverso le vie del paese fino a che arriviamo a un edifico che attira completamente la mia attenzione.
    « Non sapevo avessero anche una pista sul ghiaccio! » e senza aspettare mi precipito sul bordo pista. La lastra di ghiaccio artificiale è affollata di gente, coppiette, bambini e chi più chi meno si destreggiano scivolando su quella superficie bianca.
    « Deduco che ti piace pattinare » è l’affermazione allegra di David che nel frattempo mi ha raggiunto.
    « Sbagliato » lo correggo lasciandolo interdetto « Io adoro pattinare » e alzo un angolo della bocca in un sorriso malandrino « A casa appena aprono l’impianto, sono la prima a entrare ». 
    « Non ho mai capito cosa ci sia di bello in questo » borbotta sovrappensiero e io lo guardo scioccata.
    « Cosa? È bellissimo scivolare sul ghiaccio, saltare,… » inizio a parlare sognante. 
    « E come mai questa passione? »
    « È stata mia madre ad appassionarmi a questo sport. Lei era una pattinatrice professionista da giovane, molto brava. Solo che dovette lasciare » dico leggermente dispiaciuta e triste mentre i ricordi si fanno più pressanti. La ferita è ancora aperta e sanguina.
    « Perché? »
    «Sono arrivata io. Ma mi ha trasmesso la passione e anche qualche trucchetto. Ti va di fare un giro della pista? » gli domando scacciando quei pensieri negativi. Non bisogna vivere lasciandosi influenzare dal passato.
    Lui non rispondere, si guarda attorno agitato e una lampadina si accende nella mia mente.
    « Il grande ballerino non sa pattinare » lo canzono senza nascondere il mio intento di prenderlo in giro.
    « Non è vero. Solo… non lo faccio spesso. Preferisco sciare » parlotta cercando di mostrare un certo contegno ed io rido spudoratamente. 
    « Non c’è nulla di male nell’ammettere che non si sa fare qualcosa. Per esempio io sono negata a sciare. Sabato mattina ho provato e per poco non mandavo me e qualcun altro all’ospedale » confesso per nulla imbarazzata. « Nessuno è perfetto in tutto ».
    Lo sento borbottare qualcosa ma prima che possa chiedergli cosa ha detto, il suo telefono inizia a suonare. Michele vuole sapere dove siamo finiti, stanno tornando a casa e vogliono sapere se ci devono. Ovviamente David gli risponde che saremmo arrivati da lì a pochi minuti. Pattinerò un’altra volta, penso mentre guardo rammaricata la pista di pattinaggio.

    Li ritroviamo vicino all’ingresso della stradina che porta allo chalet, Carlo che regge una Lizzy instabile e leggermente alticcia, anche lui però non è messo meglio, infine Michele e Andrè parlano tranquillamente poco distanti, fino a che il francese non mi vede e mi viene incontro.
    « Dafne! Ti ho cercato ovunque quando non ti ho visto arrivare » e dall'espressione sembra davvero essersi preoccupato molto.
    « Scusa ma era abbastanza caotico e ho… insomma siamo usciti a prendere un po' d’aria ». Lancia una strana e veloce occhiata a me e poi a David prima di rispondermi.
    « Lo immaginavo. Quando non ho visto nemmeno te, amico, mi sono tranquillizzato ». David annuisce, secco, con il capo e saluta prima di congedarsi propinando la scusa di essere stanco.
    Anche Michele lo segue subito e poco dopo anche Carlo e Lizzy che però sono in un mondo tutto loro e, infatti, non entrano in casa ma vanno sul terrazzo.
 
    Il suo atteggiamento mi ha lasciata basita. Non che mi aspettassi chissà quale estraneazione di sentimenti ma mi ha ignorato e l'unica diagnosi che ho elaborato è che quel ragazzo soffre di disturbi della personalità multipla. Il suo libro preferito deve essere “Lo strano caso del Dr. Jekyll and Mr. Hyde”.
    Dr. Jekyll, il ragazzo simpatico di prima e del pomeriggio passato a dividerci lo strudel e Mr. Hyde, quello che mi ha accusato di essere un’arrampicatrice sociale e quello di ora, distaccato e dall’aria superiore. 
    Se sarà sempre così, alla lunga, mi verrà un’emicrania. E di quelle potenti.

    Rimaniamo solo io e il francese, la situazione mi mette un po' a disagio, non ho dimenticato il modo in cui mi toccava al pub, insomma nulla di volgare o altro ma comunque ben al di là di un rapporto tra due semplici conoscenti. 
    Così mi congedo anch’io.

    « Aspetta » mi richiama prima di salire in camera mia. Mi giro e lo vedo recuperare un foglio stropicciato, ci scarabocchia qualcosa sopra e poi con un sorriso a trentadue denti me lo porge. C’è scritto il suo nome e il suo numero di cellulare. 
    « Andrè… »
    « Mi piaci » confessa, prendendomi in contropiede, con quel suo accento marcato. Il tono è gentile e carezzevole e così in forte contrasto con il suo aspetto massiccio.
    « Sono lusingata Andrè, davvero… sei carino e simpatico » inizio  girandomi il foglietto tra le mani, lo sguardo basso per non fissarlo negli occhi, altrimenti mi mancherebbe il coraggio di dargli un due di picche. 
    Tergiverserei, inizierei un discorso che ha un inizio ma non una fine…
    « Ma… perché sono sicuro che ci sia un ma ora » continua lui con tono scherzoso anche se è ben percepibile una punta di delusione. Gli rivolgo un sorriso amaro.
    « Ma… » inizio « non sono interessata » diretta e concisa « sono sicura che troverai qualcun’altra che ti apprezzi » continuo e finalmente alzo lo sguardo. È dispiaciuto ma infondo il suo non è che un semplice interesse, attrazione.  Appena arrivato a Roma si dimenticherà del mio rifiuto per dedicarsi a qualcun’altra.
    « Non mi lasci nemmeno uno spiraglio di possibilità? »
    « Non credo sia il caso » rispondo porgendogli il biglietto. Perché ritardare per qualcosa che non ci sarà mai?
    Lui nega con il capo lasciandomi interdetta.
    « Tienilo, possiamo tenerci in contatto e magari se mio padre deciderà di affittare o comprare uno chalet qui, posso offrirti un posto di lavoro quando avrai finito con i Modigliani ».
    « Allora lo terrò » cerco di darmi un tono leggero per smorzare l’imbarazzo che pregna l’aria.
     « E magari nel frattempo avrai cambiato idea. » continua, imperterrito. « Sai… è un’ammaccatura sulla mia armatura il tuo due di picche ». 
    « A Roma avrai molte ragazze che ti gireranno intorno. Vedrai che ti riprenderai presto » e lui annuisce sorridendo.
    « Promettimi di chiamarmi » aggiunge ma ha capito che se si creerà qualcosa sarà solo una buona amicizia e così annuisco.
    Mi saluta e si dirige al piano padronale ed io rimango sola davanti alle scale con sottofondo le urla di Lizzy e Carlo che arrivano da fuori, assieme al rumore dell’acqua dell’idromassaggio.
    Piego il foglietto e ancora scombussolata mi chiudo in camera nascondendo il pezzetto di carta all’eventuale vista della mia compagna di stanza. 

    Una volta nel letto, avvolta dal tempore delle coperte, ripenso a questo giorno che ha portato delle novità.
    Prima di tutto che avevo fatto colpo su Andrè e che per una volta Lizzy, ha avuto ragione, il che è davvero incredibile. 
    Secondo, ma non meno importante, David Modigliani, non è poi così male, certo è viziato, tende ad avere pregiudizi sulle persone meno abbienti e a volte ha quegli atteggiamenti snob irritanti e quella doppia personalità che ti scombussola, ma sa anche essere simpatico e gentile, in definitiva un bravo ragazzo e mi è piaciuto passare l’ultima parte della serata con lui.
    Con questi pensieri in testa e cullata da tepore delle coperte mi addormento beata e conservo questo stato fino  a che il suono stridulo e fastidioso della sveglia mi ridesta.

    « Ci vediamo a Febbraio, ci saranno anche i miei genitori » mi avvisa David.
    Siamo davanti alla pista di partenza dei jet privati. Il loro weekend è finito e i quattro ragazzi sono pronti per tornare alla loro vita quotidiana. 
    Lizzy è totalmente presa da Carlo, questa mattina l’ho vista sgattaiolare giù per le scale con il fagotto di vestiti in mano, scappando come una ladra. “ Non una parola” aveva mormorato quando mi aveva visto e non avevo nessun dubbio su chi potesse essere stato il fortunato.
    « Certo e in bocca al lupo per l’esame » durante la nostra chiacchierata ho scoperto che studia giurisprudenza, è al terzo anno e a quanto pare è un secchione, non prende meno di trenta. Alla faccia dello stereotipo del bello e stupido.
    « Grazie. Allora ci vediamo attorno a metà Febbraio » e inaspettatamente mi abbraccia. Ed ecco il Dr. Jekyll. 
    Goffamente ricambio e quando si stacca, mi saluta ancora per raggiunge Lizzy e le riserva lo stesso trattamento. 
    « Ciao, Dafne » anche Andrè mi abbraccia con calore e come con David ricambio imbarazzata « spero di rivederti presto » sussurra in modo che solo io senta e mi lascia un bacio sulla guancia che mi fa diventare di tutte le tonalità del rosso. 
    Con la coda dell'occhio vedo il giovane Modigliani lanciare all'amico uno sguardo severo prima di girare i tacchi e raggiungere il piccolo veicolo aereo. Ed ecco a voi Mr. Hyde.
    « Ciao, Dafne » Carlo mi saluta con un cenno della mano e raggiunge il piccolo aereo e così anche Michele. Sorrido e li saluto con la mano.

    « È andata molto bene, no? » sentenzia Lizzy porgendomi una busta bianca mentre con l’altra mano ne sventola una simile come se fosse un ventaglio. La apro e per poco non stramazzo al suolo. Cento euro di mancia per meno di quattro giorni?
    « Alla grande » mormoro mentre osservo il piccolo aereo prendere quota, lasciando si dietro di se solo uan leggere traccia bianca.

    « Quindi, noi lo odiamo? » non riesco a trattenere una risata alla solidarietà che la mia amica mi dimostra anche a chilometri di distanza.
    « No, dopo si è scusato ».
    « Mm… quindi ci piace… » tentennai alla sua affermazione « lo sopportiamo » si corresse.
    « Sì, possiamo convivere civilmente ».
    Lizzy ed io siamo tornate dall’aeroporto e finalmente dopo tre giorni riusco a chiamare Anna che, infatti, moriva dalla voglia di scoprire com’erano i ricconi, che cosa mi avevano fatto fare, se ci sono state proposte indecenti. 
    Solo lei poteva pensarlo…
    « Però da come l’hai descritto sembra carino, sicura che non ti piaccia neanche un po'? » continua.  
    « È il mio capo! »
    « Tecnicamente i suoi genitori lo sono ».
    « E lui di riflesso ».
    « Quanto sei pignola » la sento borbottare. Sghignazzo e mi sistemo meglio sul letto. « Ma se non lo fosse? Se lui fosse un ragazzo qualunque, incontrato in un bar ».
    Beh, tenendo conto che non è un ragazzo qualunque, incontrato in un bar, che ha repentini, quanto inattesi, sbalzi d’umore, che è un bel ragazzo e quando è in fase Dr. Jackyl è una persona simpatica e mi piace passare del tempo con lui, che è intelligente e sa catturate l’attenzione, rimane comunque il fatto che non so nulla di lui.
    « Non lo so. Insomma ho scalfito solo la superficie, abbiamo parlato due volte ».
    « Sì, ma ci hai vissuto assieme per tre giorni ».
    « Durante i quali lui stava con gli amici e io lavoravo » obbietto. Sono sempre stata una che ha sempre creduto che l’unico modo per creare un rapporto sia conoscersi. Niente colpo di fulmine, nessuna luce dall’alto, niente campane o scariche elettriche. Bisogna conoscersi, frequentarsi. Non compro a pacchetto chiuso.
    « Mica ti ho detto che te lo devi sposare. Per quel poco che hai visto, ti piace o non ti piace? »
    « Beh… » inizio ma vengo bloccata da delle urla, isteriche, che arrivano dal piano di sotto e mi fanno preoccupare. 
    Lizzy è uscita circa un’ora fa dicendo che sarebbe tornata sul tardi e non può essere lei.
    « Dafne, tutto bene? »le voci sono così forti che anche lei le ha sentite.
    « Non lo so. Anna… » mi alzo e a passi lenti raggiungo l’inizio delle scale. Le voci si fanno più alte ma se fossero dei ladri, non paleserebbero così la loro presenza, no?
    « Sì, sto al telefono finché non mi dici che è tutto a posto ».
    Più tranquilla salgo le scale cercando di fare il minor rumore possibile.
    Le voci si fanno più calme, anche se tengono un tono abbastanza alto, ho ancora una decina di gradini da fare ma già intravedo il piano padronale. I rumori provengono dalla cucina che si trova proprio a sinistra della scala.
    « Mamma mia, sembra uno di quei film d’azione con Bratt Pitt » mormora Anna dalla cornetta del telefono.
    Alzo gli occhi al cielo dopo la sua uscita e senza risponderle continuo a salire le scale.
    « Angy, passami la vodka! » dice uan voce che conosco bene.
    « Falso allarme » borbotto salendo gli ultimi gradini  a passo pesante. 
    « Perché? »
    « È Lizzy ».
    « Uff… era più eccitante pensare che ci fosse un Bratt Pitt ad attenderti. Okay, ti saluto, ti lascio preparare la tua sfuriata in santa pace ».
    « Grazie e notte ».
    « Notte ma non credere che il discorso sia chiuso così » e riaggancia.

    Quando entro in cucina mi trovo davanti tre ragazze posizionate attorno a una brocca, circondata da diverse bottiglie di alcolici,  e ci versano dentro strani ingredienti.
    « Che state facendo? » sembrano tre streghe di Salem.
    Contemporaneamente alzano la testa. Al centro Lizzy è intenta a girare un cucchiaio di legno per mischiare l’intruglio. A sinistra la rossa che la sera prima l’aveva trascinata sulla pista da ballo e a destra una bionda che non ho mai visto.
    « Ragazze lei è Dafne. Dafne queste sono le ragazze. » chiaro, ora so chi sono… « Marta passami la menta ».
    Rimasi a guardarle fino a che Lizzy non esulta soddisfatta del suo lavoro. Foglie di menta e fette di limone galleggiavano in mezzo al ghiaccio. Mojito.
    « Ehm… Lizzy… ragazze ».
    « Oh… Je suis Angéline. » un’altra francese… « Ma chiamami Angy e lei è Marta » indica la ragazza rossa.
    « Sì, noi ci siamo già viste » mormoro mentre la rossa mi guarda con un enorme punto di domanda sulla testa. « Ieri ero al locale con Lizzy e gli altri… » specifico.
    « Aah… non mi ricordo » risponde con espressione pensierosa per poi ritrovare il sorriso e offrirmi il bicchiere di superalcolico che le aveva appena dato Lizzy « Tieni. Questa sera ci si diverte ».
    Detto ciò, recupera un altro bicchiere e va in salotto, dove accende lo stereo a tutto volume.
    « Ogni volta che uno dei proprietari se ne va, facciamo un festicciola » mi spiega Lizzy arrivando al mio fianco. « Vieni ».
    E con quelle parole, ebbe inizio una lunga notte.

    Il bello di ubriacarsi è che ti senti al settimo cielo, ti sembra di fluttuare. Non hai nessun problema. 
    Hakuna matata, come direbbe qualcuno.

    Il problema… arriva il giorno dopo. 
    Mal di testa, come se qualcuno avesse giocato a freccette con la tua testa come bersaglio. 
    Stordimento, tanto che ti chiedi dove diavolo sei finita, e quando, dopo un tempo che sembra infinito, realizzi il posto, il divano del salotto, ti chiedi che ci fai addormentata sul sedere della tua compagna di lavoro, che indossa un casco da sci, e ha una piccola bavetta che cola da un angolo della bocca mentre tu tastandoti il capo, scopri di avere un reggiseno a push up nel posto sbagliato. 
    Udito molto sviluppato, anche il canto di un uccellino sembra un acuto di qualche cantante d’opera che tenta di rompere un bicchiere di cristallo con le vibrazioni prodotte della sua voce o ancora, il lieve e gradevole suono di piccoli campanellini ti sembra lo scampanare frastornante di campane che suonano a festa.

    Lentamente, ma molto lentamente cerco di riacquistare una posizione eretta, ma dopo l’ennesimo tentativo fallito mi metto seduta sul divano. Con un gesto secco mi libero del reggiseno che ho in testa e sempre lentamente, ma molto lentamente, cerco di aprire gli occhi che non ne vogliono sapere di collaborare. 
    E se avessi fatto come volevano loro, sarebbe stato meglio. Appena riesco ad aprirli quel poco che basta per far entrare uno spiraglio di luce, sono accecata dai raggi del sole che prepotenti entrano dalle finestre.
Mi sciolgo… 
    Okay, forse questo è un po' troppo teatrale.
    Riprovo e questa volta va meglio, la luce mi da ancora fastidio ma è più sopportabile. 
     A fatica alzo il braccio e a peso morto faccio cadere la mano sulla gamba di Lizzy, che non si accorge di nulla, tanto è persa nel suo mondo onirico, e inizio a strattonarla.
    « Lizzy… » credo che il mio possa definirsi un lamento.
    « Mm… » il suo un grugnito.
    « Che è successo ieri sera? »
    La sua risposta è un lieve russare. 
    Sbuffo e a tentoni cerco di ritornare in camera, nel mio letto. So che dovrei preoccuparmi della casa, assicurarmi che sia in buone condizioni, che non abbiamo fatto casini ma la mente è ancora troppo annebbiata per fare dei ragionamenti logici e realizzare a pieno la cosa.
    Finalmente arrivo al mio letto e m’infilo sotto le coperte, tutta, nascondendo anche la testa e poco prima di ricadere in un sonno profondo, un’immagine mi passa per la mente. Non eravamo sole, ieri sera c’erano altre due ragazze ma non ho visto nessun altro in salotto…
    Forse sono andate via o forse sono in qualche altra stanza.
    Ci avrei pensato dopo.

    Sono le dodici passate quando mi risveglio nel mio letto con gli effetti della sbornia ormai quasi scomparsi. Di ieri sera ho solo vaghi ricordi e forse è meglio così, alcuni sono troppo imbarazzanti anche solo da pensare.
    Mi giro nel letto liberandomi delle coperte, la voglia di alzarmi è ai minimi storici ma il mio stomaco brontola per la fame e il suo lamento è così forte che probabilmente l’hanno sentito fino al paese.
    Faccio forza su me stessa e mi alzo e faccio una doccia sperando che questa mi aiuti a recuperare un po' di energie.
    Quando torno il salotto, Lizzy è ancora sul divano nella stessa posizione in cui l’ho lasciata, vado in cucina con l’intenzione di mangiare qualcosa di già pronto. La voglia di cucinare oggi non c’è ma il frigorifero è praticamente vuoto. Tonno in scatola, qualche vasetto di cetrioli sottolio e del condiriso. Ovviamente non c’è riso in casa.
    Do una sbirciatina fuori dalle tende della cucina. Il sole è alto e nemmeno una nuvola macchia la distesa blu del cielo. Le montagne e i tetti delle case del paese poco più in basso sono ricoperti da uno spesso strato di neve bianca e soffice. Giornata perfetta per una passeggiata.

    Venti minuti dopo, con una sola felpa a coprirmi dal freddo, il cappello, con un gigantesco pon pon, in testa percorro la stradina che porta al paese facendo attenzione a non scivolare sulle sporadiche lastre di ghiaccio formatesi sull’asfalto. L’aria fredda ha un effetto ristoratore e quando inizio a passare le prime case del paese, gli effetti dell’alcool sono completamente svaniti. 

    Mooserwirt è una tavola calda non molto lontana dall’impianto di salita, è usato dagli sciatori per i pranzi veloci o da chi vuole gustarsi una genuina e tradizionale cucina austriaca.
    Il posto è semplice e accogliente e nel tradizionale stile tirolese, che fa sempre colpo sui turisti. 
    Ad accogliermi appena entro un signore di mezza età che inizia a parlare in tedesco. Dovete sapere, che l’ultima volta che ho parlato tedesco è stato alle medie quando l’avevo come seconda lingua, ma nemmeno allora ero tanto brava figuratevi ora con tutti gli anni che sono passati.
    L’uomo sembra capirlo presto perché con mio grande sollievo inizia a parlare in inglese.
    « Posso fare qualcosa per lei? »
    « Sì, ecco vorrei quattro porzioni di piatti pronti da portar via ».
    L’uomo,molto cordiale, mi guida nell’ampia sala da pranzo, piena di gente, e m’indica il bancone, dove una serie di piatti da portata fanno bella mostra di se pieni di ogni ben di Dio. 
    « Scelga quello che preferisce e poi lo dica a uno dei camerieri » e si allontana per servire dei clienti che richiamano la sua attenzione.
    Cammino avanti e indietro cercando qualcosa da mangiare. C’è così tanta roba che non so che scegliere.
    « Il Gulasch è ottimo ».
    Alzo lo sguardo e trovo un ragazzo dall’altra parte del bancone che mi guarda con un sorriso contagioso. A occhio e croce ha la mia stessa età, forse è uno dei tanti ragazzi che all’apertura delle stagioni vengono in Austria per cercare un lavoro.
    « Sono vegetariana ».
    « Beh… allora ci sono i Germusestrudel mit Krautersauce sono molto buoni ».
    « Cosa? » sembra che stia parlando arabo…
    « Sono quelli » e mi indica quelle che sembrano tante crespelle una fianco all’altra. « È una specie di strudel ripieno di verdure e salsa alle erbe. Le hanno preparate queste con tanto impegno » continua alzando le mani e muovendo le dita.
    Lo guardo non sapendo se ridere o uscire da lì il più in fretta possibile. Il ragazzo non sembrava avere tutte le rotelle al posto giusto.
    « Sono Axel, ragazzo sigle dalla Germania » si presenta. Certamente non ha peli sulla lingua. Sorrido e mi presento.
    « Dafne, non interessata dall’Italia ».
    « Oh… pasta, piazza e mandolino » biascica con un pessimo italiano. « Okay, lascia perdere, era pessima » si affretta ad aggiungere. Effettivamente la mia faccia deve essere molto eloquente. 
    Avevo già la mano sul cellulare per chiamare il primo centro per le malattie mentali della zona. 
    « Bene, allora prenderò un paio di quelle che mi hai suggerito e c’è qualcosa di secondo che mi puoi suggerire? Anche di carne, sono per la mia amica » chiedo piazzandomi davanti ai piatti di carne, pesce e altre cose indefinite e cotti nelle più svariate maniere. Spezzatini, bolliti, impanati.
    Poveri animali…
    « Beh… ci sono i Tirolen Grostl, pezzetti carne cotta con patate e uova » dice mentre sistema le crespelle nelle vaschette di alluminio. « E la viennese. Simile alla vostra cotoletta alla milanese. Ho detto giusto? ».
    « Sì. Allora vada per una porzione di ognuna e delle patate al forno ».
    « Arrivano subito ».

    Cinque minuti dopo Axel è a fianco alla cassa, occupata da un signore sulla quarantina e iniziano a discutere in tedesco. Potete immaginare che li guardavo come se fossero alieni e accolsi con sollievo il momento in cui il ragazzo si rivolse a me in inglese.
    « Allora sei qui per vacanze? ».
    « No, sono del personale ».
    « Oh… bene allora doppio sconto » esclama lasciandomi interdetta ma non posso chiedergli spiegazioni perché ricomincia a parlare animatamente con l’altro anche se ci sono in ballo degli sconti certo io non mi lamento.
    « Venticinque euro in totale » dice il ragazzo porgendomi il sacchetto con il mio ordine, con una mano lo prendo mentre con l’altra consegno i soldi all’altro.
    « Guten Appetit » aggiunge il signore prima di andare al bar posizionato li a fianco.
    « Danke » rispondo con l’unica parola che ricordo di tedesco.  
    « È Gunter. Il proprietario, nonché mio zio ».
    « Sei uno che vale qui dentro, allora ».
    Lui alza le spalle noncurante. « Quando hai bisogno, vieni da me ».
    Recupera un bigliettino da visita con segnato fax, numero di telefono, e me lo porge.
    « Facciamo anche consegne a domicilio così non devi scendere al paese se ti serve qualcosa ».
    « Grazie, ad averlo saputo prima sarei potuta rimanere in casa » borbotto anche se la camminata mi è servita ed è stata anche piacevole.

    « Mi scoppia la testa » è il benvenuto di Lizzy quando rientro. Deve essersi appena svegliata visto che si guarda attorno stordita. Lei ha decisamente alzato il gomito ieri sera.
    « Vedrai che mangiando qualcosa ti sentirai meglio » inizio ma lei mi zittisce subito portandosi le mani alle orecchie.
    « Non urlare ».
    « Scusa » bisbiglio.
    Vado in cucina, sistemo i piatti e i bicchieri sull’isola e sistemo la carne e lo strudel vegetariano sulla stufa.
    Recupero un bicchiere, lo riempio di acqua e raggiungendo la bionda in salotto, glielo faccio bere assieme a una pastiglia di Moment. Finito di bere la mando in bagno a darsi una sistemata e quando torna il cibo è già pronto e sistemato nei piatti diffondendo un profumino davvero invitante. 
    « Ora mangiamo, un po' di carboidrati ci faranno bene ».
    « No, i carboidrati ingrassano » protesta mentre la obbligo a sedersi sullo sgabello. 
    Protesta che cade nel vuoto appena l’odore delle pietanze arriva alle sue narici.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

   

   
 
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