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Autore: sayuri_88    06/01/2012    3 recensioni
« Le tre regole d’oro delle ragazze dello chalet. Prima regola: niente amici nello chalet. Seconda regola: feste finché vuoi, basta che la colazione sia sul tavolo alle otto in punto. Se non ti svegli, fai i bagagli. Terza regola: non si va a letto con i clienti. Salvo che non siano in forma o ricchi o che ci provino ».
« In pratica, ci sono solo due regole ».
« In pratica ».
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi, faccio in fretta. Questa è la prima metà oggi ho lavorato e non ho potuto correggere il resto e ora ho i parenti che mi aspettano a tavola^^
Spero vi piaccia. Saranno otto capitoli o meno.
PS: Okay, sono le 18,45 e i parenti se ne sono andati posso organizzare meglio la presentazione^^
Bene questa si dividerà in base ai quattro mesi in cui lei lavorerà li e ogni mese è diviso in base ai loro incontri, quindi il prossimo sarà la seconda parte di Gennaio, già scritta e la posterò entro la fine del mese e a febbraio il capitolo su febbraio e così via...

Se volete parlare, chiedere qualsiasi cosa potete contattarmi sul BLOG o sulla pagnina FB
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Capitolo 1 - gennaio

1 parte

 
 
 « Le tre regole d’oro delle ragazze dello chalet. Prima regola: niente amici nello chalet. Seconda regola: feste finché vuoi, basta che la colazione sia sul tavolo alle otto in punto. Se non ti svegli, fai i bagagli. Terza regola: non si va a letto con i clienti. Salvo che non siano in forma o ricchi o che ci provino ».
    « In pratica, ci sono solo due regole ».
    « In pratica ».
 
    Chi l’avrebbe detto che sarei diventata una ragazza chalet?
    Io, Dafne Ferrari, colei che ha sempre storto il naso al passaggio delle snob della Milano bene, ora si ritrova incastrata nel loro mondo. Ma quando l'Università chiama, tu ti devi adattare a tutto per sopravvivere.   
    Ed è per questo che ho accettato al volo l’opportunità di lavorare per un’agenzia di catering. Servo champagne e cibo minuscolo ai ricchi. Wow!
    Dodici euro e cinquanta l’ora per i quali ho ingoiato tutti i miei principi e sono partita per l’Austria ventiquattro ore dopo la mia assunzione. Già, perché se non fosse stato per una ragazza che si è rotta la gamba due giorni prima dell’arrivo dei clienti, e tutte le altre ragazze erano prenotate, probabilmente non mi avrebbero preso.
    Dovete sapere che ho sempre lavorato in bar o pub, quindi non è che io non abbia esperienza, intendetemi, ma ho lavorato sempre in locali, dove nessuno, che abbia un conto in banca ben fornito, metterebbe mai piede, e nonostante la mia esperienza non volevano prendermi.
    Non sono abbastanza adorabile, non sono una ragazza 90, 60, 90 e non so qual’ è il bicchiere per il vino rosso, per il bianco o il vino per il dessert, si esiste non è una balla, per non parlare delle posate. Forchetta e coltello e cucchiaio hanno sempre fatto il loro lavoro con ogni tipo di alimento a casa mia e ovunque ho lavorato. Qui, al contrario, hanno una posata per ogni tipo di alimento, in sostanza un armamento.
    A che scopo? Per far lavorare di più i lavapiatti? Per sprecare più acqua e detersivo? Non vedo altre alternative perché sono inutili.
 
    « Di cosa ti lamenti! Cos’è un lussuoso chalet, con clienti ricchi e fighi » e sottolinea con enfasi le ultime parole « in una bella località sciistica in confronto a qui? » mi chiede retorica la mia amica Anna. La sua voce arriva distorta dal telefono, la quota a cui mi trovo è alta e il mio povero e vecchio telefono, uno dei pochi sopravvissuti  in bianco e nero che possono solo chiamare e scrivere messaggi, fatica a prendere. Così sono costretta a vagare per la casa alla ricerca del posto migliore. Al momento sono davanti alla finestra del salone che sull’impianto sciistico.   Ci siamo praticamente attaccati.
    « Sì, ma saranno tutti degli snob con la puzza sotto il naso come Carolina! »
    Carolina è una nostra vecchia compagna di liceo, figlia di un importante imprenditore del settore edile sposato con una ricca ereditiera, ed è stata il mio incubo per tutti e cinque gli anni di scuola superiore.
    Snob, con la puzza sotto il naso, sempre pronta a ostentare i suoi soldi con borse, vestiti e accessori di marca, per non parlare della cinquecento, modello Gucci, che si è fatta regalare per i suoi diciotto anni. Si credeva così superiore a tutto e tutti e i professori per poco non baciavano la terra su cui camminava. Tutto, ovviamente, per le ingenti donazioni del padre. Doveva sopperire in qualche modo all’ignoranza della figlia che altrimenti sarebbe rimasta al liceo a vita.
    « Staranno lì un weekend e poi passerà ancora del tempo prime che tornino. Hai uno chalet tutto per te! Secondo me non c’è lavoro migliore » Anna vede sempre il bicchiere mezzo pieno, sono io quella che lo vede sempre mezzo vuoto. Dovrò eseguire gli ordini di ragazzi spocchiosi e passare quattro mesi bloccata nello Chalet senza un viso amico.
    « Vedi il lato positivo. Tu ami la neve »
    « Oddio, » esclamo con ritrovato entusiasmo ricordando la distesa di neve candida e immacolata che mi aveva accolto al mio arrivo. « Devi vedere come è bianca!     Non come a Milano, in cui, dopo due secondi che tocca terra, diventa grigia e nera » ricordo con fastidio per poi ritrovare il tono entusiastico « è così candida e copre tutto. Sembra di essere in una di quelle palle di vetro con la neve » probabilmente le sembrerò una bambina quando vede i regali di Natale, ma non mi interessa.
    « Visto che non è così male? ».
    Non ho il tempo di risponderle perché qualcun altro richiama la mia attenzione.
    « Mi ha chiamato il pilota atterreranno alle cinque. Il figlio dei Modigliani arriverà con tre sui compagni di università. Dovremo andarli a prendere, quindi alle quattro devi essere pronta per partire » Lizzy entra a razzo nella camera e parla a macchinetta, senza nemmeno prendere fiato tra una parola e l’altra. Inizio a preoccuparmi che possa avere un collasso da un momento all’altro.
    Elisabetta Riva, in arte Lizzy, lavora allo chalet da anni ormai. Finito il liceo, è stata assunta dall’agenzia e da quattro lavora presso i Modigliani che da qui ai prossimi quattro mesi saranno i miei datori di lavoro.
    « Scusa, Anna, ma ti devo salutare. Ti chiamo più tardi ».
    « Okay, a dopo » e riaggancio.
    « Pilota? »
    « Sì. Cos’è non sai che cosa sia un pilota? » mi chiede come se stesse parlando a una ritardata.
    « So benissimo che cos’è un pilota » rispondo piccata. « Solo che non pensavo che le compagnie aeree informassero personalmente oggigiorno ». Ci credete che non ho mai preso un aereo in vita mia?
    Lizzy mi lancia un’occhiata come se stesse guardando una matta. Okay, basta, ora posso anche offendermi, prima ritardata e ora pazza?
    « Hanno un jet privato. Mica usano le linee aeree come noi » e certo mica possono rischiare di mischiarsi ai comuni mortali… diamine hanno anche un jet privato.     Ma quanti soldi hanno questi tizi?
    Da soli potrebbero mettere fine alla fame nel mondo.
    « Okay, e perché dobbiamo partire un’ora prima? » chiedo stranita guardando Lizzy muoversi per la stanza per fare non so cosa.
    « Perché non possiamo farli aspettare » obbietta « quindi pronta entro venti minuti. Non farmi sfigurare » e detto ciò esce di scena.
    Saranno quattro mesi molto impegnativi…
 
    Da dietro l'aereo spunta la prima figura. Un ragazzo con una valigia verde militare stretta in mano. Ha i capelli castano scuro, sono ordinatamente pettinati e gli occhi nascosti dietro a un paio di lenti scure. Poco gli importa che oggi sia nuvoloso. Perché hanno tutti la fissa degli occhiali da sole anche quando non ce n’è bisogno?
    Indossa una giacca bianca con righe nere sulle braccia, un paio di jeans scuri e degli scarponi e devo ammettere che è un bel ragazzo.
    « Ecco, il primo è il figlio dei Modigliani » mi rivela Lizzy maliziosa, indicando proprio il ragazzo con gli occhiali. « Ma non perdere tempo dietro di lui. Regola tre » canticchia forse per avermi visto indugiare troppo sulla sua figura.
    « Ti ha snobbata, vero? » dico con un sorriso canzonatorio che aumenta, appena la vedo distogliere lo sguardo dal mio in fretta e puntarlo dritto davanti a se.
    Colpita e affondata.
 
    Dietro di lui spuntano altri tre ragazzi con un abbigliamento simile. Si fermano per ringraziare un uomo in divisa e due donne, anch’esse in divisa, che devono comporre l’equipaggio di bordo.
    « Come devo chiamarlo? » bisbiglio. Magari ci sono delle regole e delle etichette…
    « Signorino Modigliani e non guardarlo negli occhi. Mi raccomando » la voce di Lizzy è seria ed io, ovviamente da perfetta fessa, la prendo seriamente. Certo che questi si credono la famiglia reale, ci manca solo che mi devo inchinare…
    Intanto, finito i convenevoli, il gruppo di ragazzi ha lasciato le hostess e il pilota e ci sta raggiungendo.
    « Lizzy, ciao » saluta il signorino quando ci raggiunge, alza gli occhiali sulla testa mostrando così un paio di occhi azzurri davvero belli. Lei gli risponde con un sorriso smagliante.
    « Buon giorno, Signorino Modigliani » dico abbassando gli occhi come mi aveva detto Lizzy, ma me ne pento subito appena sento la ragazza trattenersi dal ridere.     Così alzo lo sguardo sul ragazzo che passa dal sorpreso al divertito per poi scoppiare a ridere. Lo guardo interrogativa e sto per chiedere il perché della reazione a         Lizzy ma, appena incrocio i suoi occhi pieni d’ilarità, capisco tutto.
    « Ti sei presa gioco di me » soffio tra l'incredulo e l'arrabbiata. Dove è finito il cameratismo tra sottoposti?
    « Lizzy, vedo che non cambi mai » dice divertito il ragazzo. O certo, burliamoci della nuova arrivata. Ah, ah, ah…
    « Ciao, David. » cinguetta la stronza « Lei è Dafne. Sostituirà Samanta per questa stagione ».
    « Dafne, puoi chiamarsi semplicemente David anche se, se dovessi chiamarsi Signorino, io non avrei nulla da ridire » ma che spocchioso pallone gonfiato. Irritante.     E poi il nome inglese, perché tutta questa mania di chiamare con nomi stranieri i figli? Che hanno di male quelli italiani?
    « Loro » continua indicando i ragazzi dietro di lui « sono Carlo… » l’interessato saluta con un cenno del capo e non perde molto tempo ad ammiccare verso Lizzy.     È un ragazzo alto dal fisico asciutto, i capelli, così come la leggera barbetta sulla mascella, sono rossi. Pel di carota, lo chiamerò.
    « È bello rivederti Lizzy » interviene. A quanto pare non è la prima volta che gli amichetti vengono qui…
    « Lui è Andrè, » continua David, indicando il ragazzo a fianco. Fisico muscoloso, dalla carnagione scura così come gli occhi e i capelli. Saluta e dall’accento posso capire che l’italiano non è la sua lingua madre. Forse è qui per un Erasmus.
    « E Michele » conclude spostando lo sguardo verso il ragazzo biondo e dagli occhi castani, tra tutti è il più mingherlino.
    « Piacere di conoscervi » dico forzando un sorriso di circostanza.
    Sembrano usciti da un set di qualche pubblicità di un’importante casa di moda e mi fanno sentire fuori posto con i miei vestiti presi al centro commerciale oltre tutto durante i saldi. Per non parlare dei capelli, sempre crespi, doppie punte a go-go e dei brufoli è meglio non parlarne, uno ne va via e tre arrivano a sostituirlo. Mentre loro… uff… è frustrante.
    Tutto di loro sembra, anzi, togliamo il “sembra”, urla “Gucci”, “Armani”, “Ray Ban”, non hanno problemi di soldi e questo è palese. I capelli sono perfettamente curati, morbidi e lucenti, con non so quale crema costosa, e sistemati da chissà quale parrucchiere costosissimo, e il viso perfetto, nessun pelo fuori posto, sopracciglia curate e nessun brufolo, neanche per sbaglio!
    Certe volte la vita è davvero ingiusta.
 
    « Lizzy, le hai già spiegato il lavoro? Non vorrei avere problemi » il suo tono è saccente, da superiore. È fastidioso ma mi costringo a ingoiare il rospo e a tenere per me i miei veri pensieri, ricordandomi il motivo per cui ho accettato il lavoro.
    « Vi do una mano con i bagagli » e così dicendo recupero la valigia al fianco del ragazzo. Volevo mostrare che sapevo fare il mio lavoro con efficienza e laboriosità ma quando faccio per alzare la valigia questa rimane ben fissa a terra.
    Quanto si è portato dietro per un weekend?
    Alle mie spalle sento il ridacchiare di David, probabilmente è molto divertito dalla cosa, e davanti a me i suoi amici non sono da meno.
    « Lascia la porto io » e posso sentire ancora una nota di ilarità nella sua voce. Poggia una mano sulla mia spalla mentre con l’altra recupera la valigia incriminata come fosse vuota.
    Seguo ogni suo movimento, sbalordita, e quando incrocio il suo sguardo canzonatorio, gliene riservo uno di fuoco che sembra divertirlo ancora di più.
    S’incammina verso la macchina e sistema nel bagagliaio la valigia così come i suoi amici che lo imitano.
    Lizzy, rimasta in silenzio per tutto il tempo, mi sorride divertita e dandomi le spalle entra in macchina e si sistema al posto di guida. Sbuffo e pestando i piedi sul terreno, faccio il giro della macchina e occupo il posto accanto a lei. 
    Saranno davvero molto lunghi questi quattro mesi.
 
    Il viaggio di ritorno lo passo in silenzio senza distogliere lo sguardo dal finestrino, le montagne completamente innevate così come le cime dei pini. È così bello questo paesaggio, rilassante, calmo ed ha l’effetto di farmi passare l’arrabbiatura.
    Alle mie spalle il gruppo non smette di parlare, c’è chi vuole provare la nuova pista, chi vuole uscire alla sera per andare al Dobler e magari trovare qualche bellezza nordica, altri, più diligenti, discutono per gli esami che dovranno sostenere e affrontano problemi più impegnativi.
    Chi non ho sentito parlare molto è il figlio dei miei datori di lavoro. Ha risposto a monosillabi o con frasi brevi e concise.
    « E tu Dafne? Sai sciare? » distolgo lo sguardo dal paesaggio e mi volto a guardare Andrè che con un sorriso allegro spuntava tra lo spazio dei due sedili anteriori.     L’accento francese è molto marcato.
    « Non bene, vivo in città e non ho molto tempo godermi la casa a Cortina » dico sarcastica.
    « Oh, beh, puoi sempre venire con noi. Ti posso insegnare io » si propone senza nessun secondo fine apparente. Ha l’aria simpatica, da orsacchiotto dell’algida, e la voce dolce e allegra che lo fa sembrare a Lumiere, il candeliere de “La Bella e la Bestia”.
    « Lo terrò presente » dico per accontentarlo anche se nella mente già vaglio tutte le possibile scappatoie nell’eventualità che si presenti un’occasione del genere. Per l’amor del cielo, sembra simpatico ma non voglio diventare il passatempo di un weekend.
    Ed è quando faccio per tornare a guardare fuori dal finestrino, che vedo David scrutarmi fisso negli occhi, con un gomito poggiato sulla portiera e la mano, chiusa a pugno, davanti alla bocca.
    Sono solo pochi secondi perché mi volto rompendo il contatto. Il suo sguardo mi ha lasciato con l’amaro in bocca e ignorante sul suo significato.
 
    Arrivati allo chalet, i ragazzi recuperano le loro valige e Lizzy li guida verso le stanze da letto mentre io sono spedita in cucina, dietro le quinte. Certo, essere liquidata con un gesto svogliato della mano, non mi ha fatto molto piacere ma almeno posso rimanere da sola. Quello che, invece, mi ha fatto alterare, e non poco, è un commento, non troppo sussurrato, tra Andrè e David il quale aveva borbottato “ carina, ma nulla di che per i miei gusti ” come risposta a un commento di apprezzamento del francese.
    Ora, io non sono una persona vanitosa, ma sfido qualsiasi ragazza a non sentirsi punta sul viso per un commento del genere quando chi parla, sa benissimo che il soggetto in questione, è a portata di orecchio.
    Ma come ha detto la mia migliore amica Anna, guardo al lato positivo della faccenda e cioè: quello che mangerà questa sera passerà dalle mie mani e l’unica domanda che mi frulla nel cervello mentre preparo pentole e scodelle è solamente una.
    Dove hanno messo il veleno per topi?
 
    Sabato mattina, la sveglia suona puntuale alle sette. Dopo aver speso dieci minuti io e venti minuti Lizzy, per lavarci e cambiarci, ci ritroviamo in cucina per preparare la colazione ai piccoli Lord.
    La sera prima è stata una serataccia, a mie spese ho scoperto che Lizzy non sa cucinare. Le avevo detto di togliere la pasta quando mancavano due minuti perché dovevo scendere in cantina a recuperare del vino, e lei che fa? La lascia sul fuoco per oltre dieci minuti tanto che è diventata una poltiglia e la sottoscritta ha dovuto rifarla e preparare qualcosa di antipasto per guadagnare tempo e i quattro ragazzi non avevano aiutato. Erano delle bestie, avevano divorato tutto, bevuto cinque bottiglie di vino e ovviamente avevano lascito tutto in giro, il tavolo sembrava un campo di battaglia. Lizzy ed io ci abbiamo messo un’ora e mezza per ripulire il casino.
 
    « Dafne, davvero, dovresti curare di più il tuo aspetto. Dovresti aprirti al mondo del make-up » mi dice dopo l’ennesima occhiata.
    « Mica devo fare colpo su qualcuno di loro. Regola numero tre ricordi? »
    « A meno che non siano ricchi o in forma e loro sono tutte e due le cose ».
    « Fammi indovinare, tu hai già usufruito di queste eccezioni, vero? » e il suo sguardo vale più di mille parole.
    Chissà quante volte l’ha infranta questa regola.
    « Serviamo la colazione che è meglio » mormoro e con la brocca, ovviamente in cristallo, piena di spremuta d’arancia - spremute personalmente dalla sottoscritta una a una -  esco dalla cucina.
    Poggio tutto sul tavolo, do un’ultima sistemata ai bicchieri e le forchette fuori posto e faccio per tornare in cucina a finire di preparare le uova e il bacon quando la voce di Andrè mi avvisa che si sono svegliati.
    « Buon giorno, bellissime » lui è il primo a fare il suo ingresso nel salotto, vestito e pronto per uscire. Rimango spiazzata per il suo inatteso complimento ma l’ingresso di un nuovo arrivato me lo fa dimenticare presto.
    « Buon giorno, Lizzy. Dafne » è il saluto più pacato di David quando compare sulla soglia. Indossa una maglia bianca dal collo alto, un paio di pantaloni neri da sci infilati dentro a degli scarponi da cui esce del pelo grigio. Non so che faccia ho fatto ma lui di rimando mi ricambia con uno sguardo interrogativo. Lo ignoro e tornando a sorridere rispondo al loro saluto.
    « Buon girono a tutti, spero che la colazione sia di vostro gradimento » interviene Lizzy con la ciambella ricoperta da zucchero a velo. « Spero vi piaccia la torta l’ho preparata questa notte » all’affermazione la guardo scioccata. Sono io quella che è rimasta alzata fino a tardi per prepararla al posto di andare a letto!
    « Dietro le quinte, ricordi? » bisbiglia lei quando arriva al mio fianco. Le riservo un’occhiata di sbieco e con gesto secco muovo la sedia nell’apparente motivo di     sistemarla ma in realtà per sfogare il mio disappunto.
    « Gli altri? » chiedo non vedendo arrivare Michele e Carlo.
    « Arrivano, non sono abituati ad alzarsi così presto » è la risposta di David mentre si siede a tavola e addenta una fetta di french toast.
    Poveri piccoli ricconi… è il mio pensiero sarcastico mentre ritorno in cucina a recuperare il caffè e il latte caldo.
 
    « Noi andiamo ».
    Alzo lo sguardo, soffiando per spostare la ciocca che mi è caduta davanti agli occhi e senza smettere di strofinare guardo David si fermo davanti alla porta della cucina. Le bretelle sono sistemate sulle spalle, in mano tiene i guanti e un giaccone nero.
    « Quando avete finito avete la giornata libera. Non torneremo per pranzo ».
    E com’è apparso, se ne va.
    « Finito »  esulto quando anche l’ultima macchia di grasso è sparita dalla pentola. La sciacquo, la asciugo, la sistemo sotto il piano cottura e finalmente vado in camera a cambiarmi. Lizzy che ha finito prima di me è già pronta e mentre scendo le scale, per raggiungere il piano riservato ai dipendenti, la vedo sfrecciare verso l’uscita di servizio. Truccata, i capelli legati in un’ordinata coda indossa una tuta rossa.
    « Ci vediamo questa sera » grida quando ormai è già fuori.
    « Ehi! Ed io che faccio? » urlo di rimando poco prima che lei si chiude la porta dietro di se. Si blocca e la riapre giusto quel tanto che basta per far passare la testa.
    « Non lo so, sono sicura che troverai qualcosa. Guardati attorno » e chiude la porta, definitivamente.
    « Bene… ».
    Cosa si più fare in uno Chalet, con tutti i confort possibili, circondato dalla neve e a pochi metri  da una pista?
 
    L’ultima volta che ho sciato è stato in seconda media e da quelle vacanze invernali, oltre tutto di pochi giorni, sono passati sei anni… forse è per questo motivo che anche la pista dei dilettanti mi sembra da bollino nero.
    Faccio la prima discesa e persino i bambinetti di sette anni vanno più veloce di me con una tecnica più raffinata. Io… emh… vado a spazzaneve. Che ci posso fare?     Mi sembra di non avere il controllo degli sci.
    Così, dopo sessanta euro - sarebbero stati di più se non fossi stata una del personale del resort - spesi per noleggio scii e skipass, mezz’ora di coda alla funivia, dieci cadute da ferma, due incontri ravvicinati con gli alberi a bordo pista e dopo aver rischiato tre accuse di omicidio, di due bambini e una signora, me ne torno sconsolata a casa.
 
    Il tonfo della porta rimbomba per tutto lo Chalet. Non c’è nessuno e regna un silenzio quasi surreale. Vado in camera e mi cambio per indossare abiti più comodi di una vecchia tuta piccola e praticamente da buttare, e raggiungo il salotto, sottobraccio alcuni libri per studiare.
     L’orologio segna le dodici e trenta. Lizzy mi ha detto che è di un qualche famosissimo artista che aveva creato un unicum per la signora Modigliani, sotto richiesta del marito, per il loro venticinquesimo anniversario e certamente non valeva una bazzecola.
    Come nemmeno il dipinto sistemato nel corridoio. Flowers di Andy Warhol. Dico, vi rendete conto di quanti soldi hanno? Quest’estate uno di questa serie è stato venduto a un’asta in internet per 1.3 milioni di dollari e non provo neanche a pensare a quanti euro corrispondono. Rischierei un collasso.
    Lascio i libri sul tavololino davanti al caminetto e raggiungo la cucina, dove mi preparo una bella insalata prima di immergermi nello studio per l’esame di ammissione ala facoltà di veterinaria di Bologna. È tra le migliori in Italia ed io sogno di entrarci da quando a dieci anni decisi che sarei diventata un veterinario grazie al Dottor Dolittle. Ovviamente ora non credo più che una volta laureata avrei potuto parlare con gli animali e loro con me.
 
    Lizzy rientra alle tre di pomeriggio piena di neve e nemmeno mezz’ora dopo è già in cucina a urlarmi ordini mentre David e i suoi amici tornano alle sei e mezzo e la serata si ripete come quella precedente e così il risveglio.
    Non riprovai a infilarmi ai piedi un altro paio di sci per la mia sicurezza e quella degli altri e così quando Lizzy esce per andare a sciare con qualche sua amica che lavorava in un altro chalet, io mi piazzo davanti al camino a studiare.
    Verso l’ora di pranzo, dopo un veloce piatto di pasta preparo uno strudel di mele per la cena di questa sera. La ricetta originale, o almeno secondo la Signora Brambilla, da nubile Signorina Hoffmann, la mia simpatica e dolce vicina di casa a Milano.
    Sposò un italiano nel lontano 1949 e da allora vive in Italia. Ho sempre ritenuto la loro storia molto romantica, meglio di quelle che si leggono nei libri, ricca di avventura e amore; lui partigiano e lei una tedesca che lottava contro i nazisti, la sua famiglia aveva nascosto molti ebrei salvandoli dalla pazzia di Hittler.
    Si sono conosciuti sulle Alpi ed è stato come un colpo di fulmine. Ogni volta che mi fermo da loro, mi faccio raccontare la loro storia.
    « Bonjour mademoiselle » sobbalzai alla voce di Andrè che sorridente fa il suo ingresso nel salotto.
    « Andrè? »
    Perché era già di ritorno? Solo cinque minuti prima avevo controllato l’orologio e quello segnava le due e mezza e alla mattina avevano detto che sarebbero tornati come il giorno prima.
    « David » aggiunsi quando il moro spunta dalla porta anche se la mia attenzione è focalizzata sull’altro ragazzo che  mi raggiunge sedendosi al mio fianco, lo sguardo è pallido e gli occhi sono spenti. Non sembra sprizzare vita da tutti i pori.
     « Ti senti bene? » gli chiedo apprensiva e quello che ottengo come risposta è un sorriso e un’alzata di spalle.
    « Nulla di grave ma ho preferito tornare indietro e David da buon padrone di casa mi ha accompagnato anche se non ce ne era bisogno » cantilena con l’intento di farsi sentire dall’altro che intanto si  toglie la giacca e la butta in malo modo su una poltrona. Certo, tanto sono io quelle che mette a posto…
    « Smettila, prima eri verde ».
    « Avete mangiato qualcosa di strano? » chiedo a nessuno in particolare.
    « No, ma forse il fatto di non essere abituato all’ambiente lo ha scombussolato. A pranzo è stato un ingordo e il freddo ha completato l’opera » risponde David anche lui raggiungendo il divano e fermandosi a lato dell’amico. Slaccia la felpa mostrando così l’interno completamente coperto di pelliccia.
    O mio Dio.
    David come la scorsa mattina mi vede, ma questa volta non sorvola.
    « Che c'è? »
    « Quanti animali sono morti per quella giacca? »
    « Oh, abbiamo un animalista tra noi » mi canzona. « E dimmi lo sei anche quando mangi carne? »
    « Sono vegetariana. Non mangio né carne, né pesce» rispondo secca e lui, non trovando nulla da ridire, si stacca dal divano per sedersi sulla poltrona e riservandomi uno sguardo serio.
    Uno a zero per me, caro David.
    « Stavi studiando? » domanda chinandosi verso fogli sparsi sul tavolino. Agitata, inizio ad ammucchiarli per portarli via. Se sapevo che sarebbero tornati prima non mi sarei fatta cogliere in flagrante. Puoi fare quello che vuoi quando i Modigliani non ci sono ma se sono in casa, devi occuparti solo di loro.
    « Emh si, avevate detto che sareste tornati alle sei e mezzo e visto che non c era nulla da fare... »
    « Non preoccuparti. Mica ti licenzia » interviene Andrè vedendo la mia preoccupazione. David accenna un sorriso e poi continua a parlare.
    « Che studiavi? »
    « Fisica » avendo fatto un liceo scientifico sono abbastanza preparata ma fisica mi ha sempre dato qualche patata da pelare a differenza della matematica in cui non ho mai avuto nessun tipo di problema.
 
    Okay, patata può sembrare strano, sarebbe “gatta da pelare” ma, capitemi, sono un’animalista e non potrei fare questo a un povero micetto che mi guarda con quegli occhioni grandi simili a quelli del Gatto con gli stivali. Voi ci riuscireste?
 
    « Studi fisica all’università? » continua e potrei sentirmi offesa dal tono stupito che ha usato.  Mi crede un’idiota?
    « No, sto studiando per il test di ammissione a veterinaria » pare stupito della mi risposta ma non mi curo di chiedergli il perché.
    « Capisco » mormora con un sorrisetto alquanto irritante.
    « Dove? » continua. Ma che è? Un terzo grado?
    « Bologna ».
    « Sei di Bologna? » Okay, meglio dare un taglio a questa cosa.
    « No, Milano. Ora basta con l'interrogatorio. Porto via questi » intendendo i libri e fogli annessi « e vado a prepararti della camomilla. Intanto vatti a sdraiare » sentenzio verso il francesino.
    « Ouì, mammina » scherza ma si alza e fa come ho detto.
    Lo guardo divertita uscire e salire lentamente le scale, si appoggia al corrimano per salire e David aveva ragione quando diceva che stava minimizzando, e questo mi fa ricordare che ora siamo rimasti solo noi.
    Soli.
    Nel salotto.
    Da soli.
    Mi alzo e spedita raggiungo la mia stanza, butto i libri sul letto e ritorno in cucina. Nel salotto ritrovo ancora David, immerso nella lettura di un libro, e fortunatamente non mi presta nessuna attenzione. Non ha mai fatto nulla o detto nulla di male, a parte quel piccolo commento la prima sera. Insomma è spocchioso di natura, e con gli amici è allegro e simpatico, probabilmente potrei anche andarci d’accordo, o per lo meno comportarmi civilmente ma stare da sola con lui mi mette soggezione.
    Come se fossi sempre sotto esame.
    Senza soffermarmi troppo sul ragazzo vado in cucina e accendo l’acqua calda, quando è pronta, su un vassoio sistemo la camomilla e un bicchiere di acqua fresca e una scatoletta di Maalox, che fortunatamente mi sono portata dietro ed esco dalla cucina, a passo spedito, per raggiungere la camera del malato.
 
    « Andrè è il figlio del console francese a Roma » mi blocco quando sento la sua voce, seria e controllata.
    Sono con un piede di là della porta ma faccio qualche passo indietro e mi giro per averlo di fronte. Lo guardo stranita non capendo che cosa c’entri che sia il figlio di un console con il fatto che ora è a letto perché non si sente bene. Rimango zitta non sapendo cosa si aspetta che gli risponda.
     « La sua famiglia è molto ricca » aggiunge mandandomi ancora più in confusione.
     « Lo posso solo immaginare ». Chissà a quanto lusso è abituato.
    « Molte gli si avvicinano solo per i soldi » e non so se è il fatto che abbia usato il femminile o il messaggio subliminare che mi ha voluto comunicare con quella sua uscita, e la conseguente considerazione che ha di me, ma sta di fatto che a quell’affermazione, lascio libera una risata isterica ricambiata da un suo sguardo interdetto che presto diventa di ghiaccio.
    « Ma dove siamo? In un romanzo di Jane Austen? Dove una donna se s’interessa a qualcuno che è ricco è solo perché vuole i suoi soldi? Personalmente ritengo che questi complichino solo il rapporto ». Per questo non m’interesserò mai a qualcuno di ricco. « Non ti devi preoccupare per il tuo amico. I suoi soldi sono al sicuro dalle mie grinfie ».
    David, abbandona la sua aria superiore per guardarmi stupito ed evidentemente a disagio si sistema meglio sulla poltrona.
    Due a zero per me, befano.
    Chi si crede di essere per potermi giudicare o peggio accusare di circuire il suo amico per i soldi. Sì, perché non sono nata ieri, è chiaro quello che ha voluto intendere con quelle poche frasi.
    « In futuro evita di accusarmi solo sulla base dei tuoi pregiudizi » continuo decisa. « E ora se non ti dispiace porto qualcosa al tuo amico, figlio di un ambasciatore » e detto ciò gli volto le spalle per fare quello per cui sono pagata.
 
    Il piano padronale è rustico, come il resto dello chalet, in cui pietra e legno fanno da padroni. È curato e studiato nei minimi dettagli per essere tutto perfetto. Vita perfetta, casa perfetta, soldi perfetti,…
    Mi sono mostrata coraggiosa e risoluta ma appena mi ritrovo ferma a osservare tutto questo lusso in cui vive, mi ricordo che sono i suoi genitori a pagarmi e che una sola parola ed io sono sbattuta fuori.  Gli ho mancato completamente di rispetto, certo c’è da dire che lui è stato il primo ma questo importerà poco ai signori. La parola del principino contro quella della ragazza dello chalet.
    E si sa quali sono le voci che circolano su queste ragazze.
    Accantono queste ansie e impongo ai miei piedi di raggiungere l’ultima stanza a destra dove è ospitato Andrè.
 
    Quando riscendo per riporre il vassoio e pulire il bicchiere trovo ancora David seduto alla poltrona che guarda assorto il fuoco, il libro in grembo ancora aperto.         Alza lo sguardo quando si accorge di me.
    « Messo a letto il bambino? »
    « Sì, gli ho anche rimboccato le coperte » rispondo con tono acido. Ormai se devo essere cacciata almeno voglio fare un’uscita con stile.
    Lo sento ridacchiare, poggiate il libro, credo sul tavolino, poi sento il cigolio della poltrona, come di qualcuno che si sta alzando. Forse va da Andrè o a chiamare i suoi genitori, se non li ha ancora chiamati ed è per questo che, quando mi giro per poggiare il vassoio, lancio un urlo di spavento e per poco non lo faccio cadere a terra. Se non fosse stato per David, avrei diviso quello che corrispondeva a una banconota da cinquecento euro in tante piccole banconote da cinque euro.
    « Attenta ».
    « Scusa, ma sei peggio di un gatto » esclamo riprendendo il vassoio e mettendolo al sicuro nel suo ripiano. In risposta lui ridacchia e si siede su uno sgabello vicino all’isola.
    Che vuol dire?
    Forse il mio sguardo spaesato vale più di mille parole perché dopo un respiro profondo fissa il suo sguardo nel mio e parla lasciandomi completamente basita.
    « Ti chiedo scusa. Per prima ».
    Assottiglio lo sguardo e poggio una mano sul piano dell’isola, l’altra su un fianco, e ricambio il suo sguardo.
    La situazione sta prendendo una piega inaspettata.
    « Hai tutta la mia attenzione ».
    « Sai… » dice per poi perdere tempo in una pausa teatrale « quando ti ho visto pensavo fossi come Lizzy » alla sua affermazione gli riservo uno sguardo stranito e lui aggiunge:
    « Non fraintendermi. Lizzy è simpatica e tutto ma diciamo è una ragazza dai modi… facili e hai visto com’è con Carlo » non lo avrei mai detto… « ma ho imparato a conoscerla e so che è tutto fumo e niente arrosto ».
    « Questo però non ti autorizza a comportarti come hai fatto ».
    « È vero e ti chiedo ancora scusa ».
    Sembra serio e sinceramente rammaricato ed io non sono una che porta rancore quando qualcuno si scusa, veramente pentito.
    « Va bene. Per questa volta passi » borbotto per poi dargli le spalle per andare a lavare la tazza e il bicchiere. Così non vidi la sua reazione alla mia risposta ma subito lui si premura di colmare quel silenzio opprimente che rischiava di calare su di noi.
 
    « Allora, non dovresti essere a scuola ora? O sei una privatista? » mi volto leggermente e lo guardo con un sopracciglio alzato.
    « Mi sono diplomata l’anno scorso » rispondo stranita da quello che sta succedendo. Lui sembra sorpreso. La sorpresa è un’espressione che gli ho visto spesso in questa mezz’ora.
    « Scusa, ma hai detto che stavi studiando per il test credevo che fossi ancora all’ultimo anno »
    « Invece, no ».
    « Non hai passato il test di settembre? »
    « Ho avuto dei problemi e non ho potuto farlo » è la mia risposta vaga e concisa. Lavoro per i suoi genitori e abbiamo instaurato una specie di tregua ma questo non vuol dire che devo rispondere a tutto quello che mi chiede e che lui sappia vita, morte e miracoli su di me.
 
    « Ecco svelato il mistero » esclama tutto d’un tratto e solo quando seguo il suo sguardo ne capisco il motivo.  Poco prima che i due arrivassero avevo tolto lo strudel dal forno e ora era sistemato su un piatto da portata ovale vicino alla finestrella semi aperta, in attesa che si raffreddi.
    « Già ».
    « Posso? » chiede indicandolo. Annuisco e lui, senza aspettare che lo faccia io si alza alla ricerca di un piatto. Ha l’aria spaesata e dopo l’ennesima anta aperta a vuoto, gli do l’indizio per trovare il suo tesoro.
    « Secondo armadietto a sinistra del frigorifero » si gira e alza un angolo della bocca accennando un sorriso. Io dal mio canto, cerco di non far vedere il mio, che non ha nulla di raccomandabile.
    « Lo sapevo » Certo che si…
    Fa come gli ho detto, prende il piatto, recupera il coltello dal set appeso alla parete, dietro ai fornelli, e se ne taglia una fetta abbondante, molto abbondante.
    « Ehi! Serve anche per stasera! » lo richiamo. Ha quasi tagliato metà dolce.
    « È il mio preferito » si giustifica lui con un’alzata di spalle e presa una forchetta taglia un boccone considerevole e se lo mette in bocca. Seguo ogni suo movimento attenta, pronta a vedere la sua reazione che non tarda ad arrivare, subito spalanca gli occhi e inizia a soffiare aria. Il tutto accompagnato dalle mie risate.
    Purtroppo ho tolto il dolce dal forno pochi minuti prima che arrivassero e quindi è ancora caldo. Mastica e soffia e quando ha ingoiato il pezzo, recupera un bicchiere e lo riempie di acqua dal rubinetto, scansandomi in malo modo e beve una serie di generose sorsate. Beh… dovevo dargli una piccola lezione, no?
    « Tutto bene? » gli chiedo cercando di trattenere la mia ilarità. David mi lancia uno sguardo di fuoco. È stato divertente vedere il composto David Modigliani saltellare per la cucina per colpa di un dolce ancora caldo. Forse un po' meno per lui…
    « Aspetterei ancora un po' prima di mangiarne un altro pezzo » continuo prendendolo in giro.
    Dite che mi licenzierà?
    « Lo credo anche io » concorda e io, felice di non essere stata licenziata per il mio azzardo, recupero un bicchiere pulito e lo riempio di latte e glielo sistemo a fianco al suo piatto. Recupero un’altra forchetta e gli rubo un pezzo di strudel.
    Ed è così che ci trova Lizzy, seduti all’isola della cucina a dividere il dolce ridendo e scherzando.

 
   
 
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