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Autore: Evelyn    13/01/2012    3 recensioni
"Rivolse un ultimo sguardo ad Hilda, alla donna che amava, mentre il suo cuore perdeva un battito come ogni volta che poteva ammirarla. Sulle sue labbra tirate e pallide si stendeva un cupo sorriso, privo di calore. Come di trionfo." Ho sempre desiderato approfondire questa parte della storia dal punto di vista, per così dire, sentimentale. Sullo sfondo della guerra, amori che s'intrecciano, che nascono e che muoiono. Hyoga/Flare, Hilda/Sigfried, Hagen/Flare
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Cygnus Hyoga, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11




L’ingresso della caverna aveva inghiottito il cavaliere di Artax come una bocca famelica. Aguzzi denti di ghiaccio ne contornavano le fauci, che si aprivano come un pozzo infinito che precipitava nell’abisso.

A Hyoga quella gola profonda ricordava moltissimo l’apertura che qualche tempo prima, un tempo che ora gli appariva così lontano e distante, quasi impalpabile, aveva aperto con la forza del suo pugno nella banchisa durissima. Si era ferito le nocche al contatto col gelo di quella spessa lastra che, sotto di sé, preservava ancora intatto il corpo sottile della madre. Le mani avevano sanguinato, in perfetta sincronia con il cuore che non aveva mai cessato di riversare fuori il dolore della sua perdita.

Rammentava più di tutto il volto, di Natassia. Il corpo invece, un giunco flessuoso che da bambino gli era sembrato altissimo, rimaneva una figura indistinta di cui nitido era solo il profumo e il calore che possedeva, l’odore di buono che poteva respirare quando lei lo chiudeva nella stretta del suo abbraccio, per proteggerlo, perché era piccolo, perché erano soli.

Non si era mai arreso a quella morte prematura. Forse perché era stata troppo rapida e irreale, come un brutto film dalla pessima regia e sceneggiatura, o forse perché lei, quando l’aveva spinto con disperazione dentro la piccola scialuppa che l’avrebbe salvato dall’acqua, fingendo una sicurezza forzata, gli aveva promesso che si sarebbero ritrovati a terra, di nuovo insieme. E lui aveva sempre saputo che una promessa e una promessa, e non poteva non essere rispettata.

Indugiò davanti a quell’incavo opalescente, che rifletteva sui bordi i pigri raggi del sole. Pensò ai suoi compagni, che in questo momento stavano affrontando un avversario potente come era stato Thor, determinato come lo era Hagen. Pensò a Isabel che sfidava il potere paralizzante del freddo, immobile come una statua sul picco della preghiera, con gli occhi e le labbra serrate.

Quella era stata la volta buona. Finalmente era stato capace di espandere il cosmo al punto di aprire un varco in quella barriera così massiccia, scavando un buco irregolare e profondo. L’abbraccio degli abissi era stato sferzante, quasi mortale, nonostante il cosmo, nonostante il desiderio di rivedere le fattezze amorevoli di Natassia. Ma era stato molto deciso, Hyoga, di quella decisione che avrebbe potuto fare di lui il cavaliere ideale.

- Se non fosse per la motivazione sbagliata…

Perché aveva agito a quel modo? Perché Isaac aveva dovuto seguirlo? Sarebbe dovuto divenire lui cavaliere, che invece era mosso sempre dalle motivazioni giuste.

Camus non gli aveva parlato a lungo per quello che era successo. Erano trascorsi giorni interminabili, infinite notte insonni, prima che tornassero a condividere lo spazio che li circondava senza la metallica tensione che separava i loro fianchi come una lancia. Avevano continuato ad allenarsi anche dopo la scomparsa di Isaac, anche dopo che il maestro era rientrato senza averlo ritrovato, con i capelli lunghi impregnati di cristalli bianchi e le sopracciglia dritte come spini. Hyoga aveva pianto silenziosamente, dentro di sé, senza lasciarsi sfuggire una lacrima perché credeva che quello avrebbe fatto infuriare Camus.

- Sono sicuro che sarai un ottimo guerriero…un vero cavaliere…se non fosse per la motivazione sbagliata…

Dopo un tempo che a Hyoga era parso non potesse mai avere fine, Camus gli aveva finalmente rivolto la parola. Aveva serrato le mascelle come ranghi armati di un esercito, e da fuori si era avvertito lo sfregare stridulo dei denti. Ma lui già si sentiva più rilassato, libero di respirare di nuovo, perché per tutto quel tempo era come se avesse trattenuto il fiato in attesa di una reazione del maestro.

- Mi dispiace…
- …
- Non merito l’armatura del Cigno…

Era vero. Hyoga comprendeva la crudezza di quella verità come se avesse una forma che poteva toccare con le dita. Lui non era come Isaac, che l’avrebbe sicuramente meritata, non era spinto ad addestrarsi per inseguire inconsistenti ideali di giustizia e sacrificio. Lui, la sacra armatura di Cygnus, non la voleva affatto. Perché in fondo Hyoga non voleva essere un cavaliere, non voleva che la sua vita venisse inderogabilmente stabilita da qualcuno che non fosse lui stesso, senza possibilità di appello. 

- Questo lascialo giudicare a me.

Aveva borbottato Camus, scostandosi nervosamente una ciocca di capelli da davanti agli occhi.

- Mi dispiace per Isaac…mi dispiace di essere stato così stupido…

Finalmente aveva pianto. Sentiva di doverlo fare da tanto, ormai, dal giorno stesso in cui si era ritrovato disteso sulla banchisa, a fissare il cielo grigio sopra di sé. Isaac l’aveva salvato dalla sua avventatezza a caro prezzo, un prezzo che davvero non valeva la pena pagare. Il suo futuro, i suoi ideali, la sua giustizia. Di tutto questo, ormai non ci sarebbe stato più niente.

- Sono io che ho fallito, Hyoga…non ho saputo insegnarti il vero significato dell’essere un cavaliere di Atena…

Non avevano più ripreso il discorso. Ed ora, a conti fatti, il cavaliere di Cygnus, nella sua candida armatura di un tono appena meno latteo della neve, ma più luminoso, tra le centinaia di altre cose che avrebbe voluto dire a Camus, sapeva che c’era anche questa. Aquarius non aveva fallito, non era stata colpa sua se Hyoga aveva voluto mettere davanti ai suoi doveri il personalissimo desiderio di rivedere Natassia.

Rivolse un ultimo pensiero al suo maestro nel varcare l’imbocco della caverna, e, per la prima volta dallo scontro alle dodici case, Hyoga scoprì quanto fosse profonda la voragine che la sua scomparsa aveva lasciato nella sua esistenza. Allora desiderò che potesse sentirlo e lo pregò segretamente di perdonarlo di tutto.

***

Nuova Luxor era una città dall’aspetto ordinato e caotico assieme. Le abitazioni, gli uffici, i palazzi altissimi, tutto era disposto su immaginarie linee parallele e dritte, che s’incrociavano a distanze regolari. I semafori, di tanto in tanto, scattavano all’unisono, sciogliendo all’improvviso le briglie delle automobili disposte in fila indiana, pronte a gettarsi nel traffico.

Erii si fermò davanti alla vetrina di una libreria, stringendosi nella giacchetta leggera acquistata in saldo la settimana prima. Di lì a poco lei e Hyoga avrebbero festeggiato il loro anniversario, sette mesi insieme, ma non aveva ancora pensato ad un regalo per lui. Forse era sciocco celebrare una ricorrenza tanto insignificante, una data tra tante in fondo, uguale a tante. Specie se si trattava di Hyoga.

Spiò distrattamente qualche titolo esposto: best-sellers sui vampiri, classici riproposti in abito moderno, raccolte di poesie. Lui non era esattamente il tipo da ricorrenza. Ad eccezione del compleanno e del Natale, Erii non ricordava di averlo mai sentito affaccendarsi per l’onomastico di un amico o la festa di Ognissanti. Anche se quella volta, almeno per lei, era stata magica.

Si trattava del loro primo anniversario. Hyoga l’aveva invitata a Villa Kido perché quella sera non ci sarebbe stato nessuno. Isabel aveva una cena d’affari, noiosa e abbottonata come tutte le cene in cui lady Kido si sarebbe certamente sentita a suo agio, e Shun sarebbe uscito con una ragazza conosciuta al liceo, uno dei suoi tanti amori spassionati ed improvvisi di cui spesso, incostante, il cavaliere di Andromeda finiva col trovarsi in balia.

Aveva cucinato per lei, quella volta. Piatti tipicamente siberiani, dal sapore corposo e squisitamente nordico, trasudante calorie e nostalgia per il suo paese, un’infinita landa ghiacciata inospitale che Erii aveva sempre trovato ben poco attraente. Lei aveva trovato straordinariamente romantico il loro anniversario. Perché Hyoga ci aveva messo, in fondo, un pezzettino di sé.

La sua attenzione fu colpita dalla copertina di un romanzo fantasy di cui non lesse nemmeno il titolo, scritto da un autore dal nome impronunciabile, che rappresentava l’immagine di un cavaliere nel mezzo di una tempesta di neve. Per un istante lo ricordò così, come l’aveva visto quando attraverso i suoi occhi era passato lo sguardo feroce di un’altra persona, dalle sue mani il potere spaventoso di una divinità oscura. In quella caverna buia e umida, Hyoga le era apparso quasi come una visione, avvolto com’era dal bagliore lucente del suo cosmo.

“Ciao bellissima!”
Erii aveva distolto lo sguardo dalla vetrina. Accanto a lei, un ragazzo alto e dall’aria dinoccolata la guardava sorridente, mettendo in mostra una fila metallica di ganci che aveva lo scopo di tenere in ordine i suoi denti.
“Komatsu, che ci fai qui?” gli aveva risposto involontariamente brusca perché il suo umore galleggiava ancora nell’inquietudine che il pensiero di Hyoga le aveva trasmesso.
“Anch’io sono felice di vederti!”

Erii arrossì, e mentalmente maledisse la stranezza del suo ragazzo che la metteva sempre di malumore. “Scusami, è che…oggi è una di quelle giornate no…”
“Fa niente…”
Komatsu si guardò intorno, come se fosse alla ricerca di qualcuno in particolare.
“Il tuo fidanzato fotomodello ti lascia andare in giro da sola?”
“Hyoga non c’è.” disse soltanto, abbassando gli occhi grandi e caldi a terra.

La prima volta che avevano fatto l’amore, lui, dopo l’amplesso, le aveva detto che i suoi occhi erano rassicuranti e profondi coma una tazza di cioccolato. Lei non aveva saputo se doverlo prendere come un complimento, ma era stata comunque felice di sentirgli esprimere una qualche parvenza d’emozione. E lei, a momenti come quelli, ci si aggrappava con tutte le sue forze per trovare i motivi che li tenevano ancora insieme.

“Non lo so…è un po’ strano…” sospirò davanti al succo d’arancia che Komatsu le aveva gentilmente offerto. Forse non avrebbe dovuto accettare. Forse, nella sua agguerrita ingenuità, Komatsu sperava davvero di avere qualche chance con uno come Hyoga.
“Perdonami, ultimamente ho il vizio di ammorbare le persone con i miei problemi sentimentali…”
Non sapeva perché gli stesse raccontando tutto questo. Lui la guardava stralunato, con grandi occhi sbarrati pieni di interrogativi.
“E i tuoi amici cosa dicono?”

Già, gli amici. Miho, negli ultimi due mesi, aveva tentato di presentarle possibili nuovi fidanzati un numero spropositato di volte.
“Senti, Komatsu, cambiamo argomento. Oggi non ho voglia di arrabbiarmi.”
“Come vuoi!” le aveva sorriso lui.

Senza volerlo, Erii ripensò alla copertina del romanzo in vetrina, alla distesa di ghiaccio interminabile alle spalle del cavaliere, alla fanciulla che si intravedeva sullo sfondo. Avvertì i lembi del suo stomaco intrecciarsi come una corda, lunghissima e stretta. Si chiese come stesse Hyoga, dove si trovasse, che cosa stesse facendo ora. La sua bocca si tirò in un sorriso forzato, al di sopra della lontananza, del timore e l’amore stesso che provava devastante per lui.

“Grazie Komatsu…sono contenta di averti incontrato oggi…”

***

Hyoga non aveva mai sofferto tanto il caldo in vita sua. Dentro la caverna in cui Hagen s’era rifugiato, il clima era insopportabile, afoso ed opprimente come una cappa rovente. La roccia era bollente al tatto, come se sotto di essa braci ardenti sfrigolassero in continuazione. Ma che razza di posto è mai questo?, si chiese il cavaliere del Cigno passandosi una mano attorno al collo. I pettorali dell’armatura lo stavano torturando, comprimendolo in una morsa d’acciaio. Avanzò di qualche passo, con evidente fatica. Ad ogni movimento sentiva la sua forza venir meno, avvolta dal peso di quel calore infernale.

Improvvisamente, sotto i suoi piedi si spalancò una voragine abbagliante: un fiume di magma liquido scivolava lentamente nel sottosuolo, divorando tra le terribili fauci la pietra che incontrava nel cammino. Fumi di vapore si alzavano da quello spaventoso spettacolo con estenuante lentezza, condensando sul tetto della caverna in gocce enormi.

“La costellazione di Artax infonde potere straordinario in questa magnifica armatura, forgiata direttamente da queste lave arroventate. Due nature convivono nel cavaliere che la custodisce: una, artica e feroce, sfrutta il rallentamento del moto degli elettroni per agguantare il nemico in una morsa di gelo…l’altra invece si sostanzia del loro vorticare, del loro saltare di stato in stato sviluppando nel loro ritorno insostenibile calore, impietoso e inarrestabile.”

Hyoga volse lo sguardo in direzione della voce che inaspettatamente aveva riempito col suo tono profondo le pareti della  caverna. Hagen si trovava sotto di lui, al centro di quel fiume rosso brillante, perfettamente a suo agio tra i fumi venefici del magma. Scrutava il suo smarrimento con aria beffarda, un sorrisetto sghembo in cui a mala pena s’intraveda il candore della dentatura.

“Scendi quaggiù, cavaliere di Cygnus. Vediamo quanto sei bravo nel mio territorio, lontano dal freddo che tanto sembra confortarti…”
“La tua forza è notevole Artax. Ma altrettanto notevole è la tua codardia. Affrontami fuori se ne hai il coraggio!”
Hagen rise. Dapprima piano, quasi dentro di sé, come un ribollio interiore che si dissipava man mano che diffondeva. Poi più forte, rumorosamente, beandosi del terrore che poteva leggere negli occhi del suo avversario.
“Piccolo sciocco. Credi davvero che m’importi cosa pensi? Scendi e combatti se ci tieni allo zaffiro. Io non mi tirerò certo indietro…”

Hyoga avvertì un rivolo di sudore gelato solcargli la schiena. Si passò rapidamente il dorso della mano sulla fronte, senza stupirsi di quanto fosse bagnata. Se non mi uccide lui, prima o poi lo farà il caldo. Ignorando la debolezza, il cavaliere del Cigno raggiunse l’avversario con un balzo. Là sotto il caldo era ancora più opprimente, ma Hyoga finse di non avvedersene.
“Non impiegherai molto a morire, sta tranquillo…” disse Hagen prima di raccogliere le forze per scagliare sul nemico un colpo pieno di rivalsa e rancore.

  
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