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Autore: Ulissae    13/01/2012    3 recensioni
[Vita, morte e miracoli di Aro. Personale interpretazione della sua vita]
"Sarai pronto a perdonarmi?"
Genere: Dark, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro personaggio, Aro, Volturi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'enciclopedica visione dei Volturi'
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Historia Apollinis


Aveva iniziato a piovere, il rumore dell'acqua contro le vetrate produceva una melodia che sembrò rilassare Aro, renderlo più tranquillo. Erano passate almeno due ore da quando era entrato dentro la Cappella Sistina, da quando aveva iniziato quel dialogo con Dio.
“Il viaggio fu tranquillo. Cavalcavamo appena potevamo, senza fermarci più di tanto nelle singole città, men che meno in quelle italiane. Quando oltrepassammo le Alpi l'umore di Marcus cambiò, ma io e Caius non ci facemmo troppo caso. Entrambi eravamo eccitati all'idea di questa avventura; entrambi ci rendevamo conto che la scoperta di poter sopravvivere alla luce era un potere di gran lunga superiore a qualsiasi abilità individuale.
Superammo la Germania, il cui tempo nuvoloso ci permise di viaggiare perfino di giorno indisturbati. Ormai, con grande sorpresa di Marcus, io sapevo governare abbastanza bene la mia sete, riuscendo ad evitare le perdite di controllo tipiche dei neonati. Superammo il confine oltre il quale perfino l'Impero Romano si era dovuto arrestare e continuammo la nostra ricerca. Volevamo arrivare fino all'estremo Nord e, una volta giunti lì, iniziare una minuziosa ricerca della specie, ritornando verso Sud.
Arrivati nell'attuale Danimarca rimanemmo sorpresi nel notare come il porto dove ci imbarcammo per raggiungere la Norvegia non era altro che un semplice fiordo naturale, privo di mercati, civiltà. Ci eravamo lasciati alle spalle tutto ciò che ci aveva creato: lo splendore, la raffinatezza, l'eleganza. I nostri vestiti leggeri, perfino i nostri mantelli, fatti di una lana minuziosamente lavorata, sembravano stonare con la rozzezza che ci circondava.
Gli uomini non sembravano sentire il freddo, non più di tanto. Ci lanciavano occhiate sconvolte e sospettose: erano popolazioni che non erano state abituate al cosmopolitismo, vivevano le loro vite in un ambiente dove tutti si conoscevano, ben lontani dalla vitalità e eterogeneità dell'Impero.
Nonostante gli sguardi cupi e allarmati nessuno ci disse niente, riuscimmo a imbarcarci a poco prezzo su una nave che ci portò, piuttosto scomodamente, fino alle coste norvegesi in un paio di giorni.
Una volta arrivati decidemmo di non prendere cavalli con noi, ma proseguire a piedi: non c'erano strade battute né sentieri tracciati. Era la natura che regnava incontrastata, non l'uomo, non le città.
Superato il piccolo paese di mare che ospitava il porto ci ritrovammo immersi dalla più totale e assoluta mancanza di civiltà.
Marciavamo senza fretta, percorrendo numerosi chilometri ogni giorno. Era piuttosto piacevole poter camminare sotto il sole, perfino a petto nudo, nonostante la temperatura bassa.
Marcus sembrava nuovamente essere tornato l'uomo spensierato e tranquillo di sempre, che raccontava e condivideva con noi tutta la sua conoscenza, durante quelle passeggiate senza meta; durante il periodo trascorso in Egitto sembrava aver acquisito nozioni e storie che né io né Caius avremmo mai potuto immaginare.
Un pomeriggio decidemmo di fermarci per fare un bagno in un fiordo: il non sentire né il freddo né il caldo aveva molti vantaggi; uno di questi era quello di potersi immergere in quelle acque cristalline senza morirne congelati. Nonostante stessimo compiendo una vera e propria impresa e nei nostri piani iniziali fossero contemplati scontri, anche sanguinari, con altri elementi della nostra specie, io e Marcus vivevamo tranquillamente il viaggio. In quei giorni l'unico a essere irritato e scorbutico era Caius – non che quella fosse una novità; la mancanza di umani ci aveva costretto a cacciare animali, cosa che per lui era, oltre che inaccettabile, vomitevole.
«Non capisco perché abbiamo dovuto lasciare l'Impero» borbottò mentre ci guardava saltare da alcuni massi più alti.
Marcus, che era appena riemerso dall'acqua ghiacciata, lo guardò e rise: «Caius, su. Per due cervi... quante storie!»
Risi con lui e mi tuffai al suo fianco. L'ondata che alzai bagnò Caius, che si alzò furente.
«Cazzo, no! E smettetela di comportarvi come due bambini! Per Zeus!»
Mi spostai i capelli da davanti agli occhi e lo guardai, divertito.
«Caius, anche a me fa schifo il sangue di animale... ma è comunque divertente cacciare. E poi non ci sono alternative»
«Sì che ci sarebbero» rispose irritato. Marcus sospirò e si arrampicò sulla roccia, fino a sedersi accanto a lui. Gli strinse una spalla sorridendo.
«Non possiamo andare in Italia, né in posti legati all'impero» gli spiegò con calma.
«Dannazione, ma almeno in Gallia! Vi rendete conto che qui non troveremo nessuno!? Andiamo in Oriente, allora. Avrebbe più senso!» sbottò.
Lasciai che il mio corpo galleggiasse e guardai i due da sottosopra, mentre mi avvicinavo lentamente allo scoglio.
«Dobbiamo far sì che si scordino di noi» dissi. Salii a mia volta e mi sedetti di nuovo accanto a lui.
«E per quale motivo, mh?»
Marcus mi guardò, sorridendo tra sé e sé. Strinsi una mano a Caius e i suoi pensieri divennero anche i miei. Ormai, però, non mi procurava più i fastidi dei primi giorni, anzi... provavo piacere e conforto nell'essere così intimo con entrambi, di poter veramente capirli più di chiunque altro, più di loro stessi.
«La storia del massacro di Capri diventerà leggenda, qualcosa di cui tutti parleranno ma di cui nessuno saprà la verità. Le voci alimenteranno le dicerie e le dicerie alimenteranno la nostra immagine. Quando torneremo, poi, lo faremo di giorno. Sapranno che noi possiamo camminare alla luce del sole e a quel punto saremo veramente intoccabili, capaci di qualsiasi cosa vorremo. Capisci, Caius? Potremmo creare un Impero, ma... non solo per il potere. No, quello verrà, sarà la naturale conseguenza... ma per la nostra stessa specie. Creeremo leggi, insieme ai più saggi di noi, come Abramo, e le faremo rispettare. Miglioreremo la vita di tutti, saremo... speciali, Caius. Insostituibili»
Presi fiato, sorridendogli sinceramente. Vidi le mie parole entrare nella sua mente, venire ascoltate, studiate, ponderate e alla fine accettate.
«Caius... saremo qualcosa che non è mai esistito prima» sospirò Marcus, stringendogli più forte la spalla.
L'altro borbottò, roteando gli occhi.
«Sembra che ci sia un po' di cervello in quello che fate. Anche se non capisco perché dobbiate fare i cretini nel lanciarvi da una scogliera e sguazzare come trote d'allevamento»
«Perché è divertente» risposi allgro io. Dietro di lui Marcus aveva iniziato a ghignare soddisfatto, fu un secondo e lo spingemmo entrambi in acqua, per poi scoppiare a ridere, mentre lui ci malediceva in nome di qualsiasi dio da lui conosciuto.
Continuammo a salire verso Nord, giorno dopo giorno, e finimmo per convincerci che non avremmo trovato nessuno, così trasformammo il viaggio in una semplice voglia di arrivare fino all'estremo Nord, senza altri fini.
Ma, per fortuna, le cose andarono diversamente.

Giorno dopo giorno il gelo si faceva più pungente e le ore di sole sembravano accorciarsi sempre di più; nell'ultimo periodo sembravamo vivere in una notte perenne, in cui la luna piena e le stelle si stagliavano nitide sulla volta nera del cielo.
Fu per caso, durante una caccia come tante, che sentimmo per la prima volta dopo mesi la presenza di un altro essere pensante.
Marcus fu il primo ad accorgersene: si paralizzò in mezzo alla foresta, guardando davanti a sé, con espressione vacua.
«Marcus, che succede?» Caius si bloccò di scatto accanto a lui, iniziando a lanciarsi degli sguardi sospettosi intorno.
«C'è qualcuno».
Le sue parole ci fecero trasalire ed immediatamente, spinti da un istinto inspiegabile, iniziammo a prestare più attenzione a tutti i rumori che la foresta produceva. Iniziammo ad avanzare adagio, finché non ci trovammo davanti a una piana innevata. Essa era circondata da una serie di montagne che svettavano silenziose e taciturne.
«Vides ut alta stet nive candidum...» sussurrò con un sorriso flebile Marcus. Al centro della pianura stava un gruppo di persone, tutte sedute intorno a un falò.
Erano come noi, ce ne accorgemmo grazie al profumo dolce e delicato e cinque di loro erano umani; la fame acuta, il nostro corpo, che sembrava estremamente bisognoso di nutrirsi con del sangue che non fosse di animale, ci spingeva ad attaccarli, ma resistemmo. Ci avvicinammo lentamente, spaventati all'idea che potessero vederci come nemici. Erano più o meno una ventina, e non appena il vento cambiò l'odore di sangue ci raggiunse come una morsa forte e prepotente. Caius fece uno scatto in avanti, affamato, e pure io dovetti usare molto del mio autocontrollo per trattenermi; Marcus strinse un polso di Caius, fermandolo.
«Fermo!» sibilò, continuando a mantenere un contatto visivo con quei vampiri che stavano iniziando a voltarsi verso di noi.
Ci aspettavamo un attacco, come nella domus di Emiliano, ma fu ben diverso.




Angolo autrice:
*si prostra ai vostri piedi* sono partita, non ho potuto aggiornare ;______; perdonate! Mea culpa mea culpa! Sono anche indietro con la scrittura, perché sono bloccata su una one-shot su Ovidio, ma spero di riuscire a preparare un altro capitolo per il prossimo giovedì :D
Non credo ci sia molto da dire, se non che sono morta dal ridere nello scrivere alcune parti di questo capitolo XD
Vides ut alta stet nive candidum è una citazione di Orazio, del suo carme sul monte Soratte. Perché l'ho messa? Perché ogni tanto mi ritrovo a canticchiare queste parole, mi fanno ridere e mi mettono allegria LOL La traduzione, se ne avete bisogno (:, è: guarda come svetta il Soratte, candido per l'alta neve.

È tutto ♥ spero vi sia piaciuto, anche se è molto di passaggio :D
   
 
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