Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Black Calipso    14/01/2012    2 recensioni
Sangue, amore, gioia, disperazione.
Leggete, se lo desiderate, queste parole sputate nel vento, che formano i ghirigori di una storia macchiata di un colore rosso acceso.
Niente vampiri, niente demoni, nessuna magia, niente di definibile. Come la nebbia. Nera, per l'esattezza.
"Se hai una morsa che ti stringe il cuore tutte le volte che batte provocandoti dolore, alla fine smette di farlo. Smette di palpitare, semplicemente. Smetti di provare emozioni, felici o tristi che siano."
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Red Eyes.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Penso seriamente che mi odierete alla fine di questo capitolo. Come sempre scrivete pure per chiarimenti o spiegazioni :)

_________________________________________________♥

{ Capitolo 13. Blood x2. }

- Em? -
Brian si alzò dal bianco divano di un loft luminoso e spazioso, al suono di una serratura che sia apriva indecisa.
La luce che filtrava da una parete di vetro illuminava il volto preoccupato del ragazzo.
Quell'uomo eterno bambino, con il sorriso strafottente fisso sulle labbra e la battuta ironica sempre pronta, adesso sembrava un vecchio in apprensione.
Presagiva, presagiva il peggio.
Erano tre giorni che non si faceva viva.
I suoi occhi rossi ne erano la dimostrazione.
"Emily, Emily, amore mio, dove sei stata? Che sta succedendo?" pensava, camminando veloce verso la porta.
Tre giorni di cellulare spento, tre giorni di attesa chiuso in casa senza mai uscire per paura che rientrasse proprio mentre era via. Se fosse uscito le lenti a contatto avrebbero potuto nascondere i suoi occhi, ma non la sua angoscia.
La vide, indecisa, con la mano sulla maniglia della porta.
Fissava il nulla. Si era fermata sulla porta, priva del coraggio necessario per varcarla.
Vuota, senza espressione. Un guscio vuoto.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, che lentamente presero a scendere, alla vista di lui, preoccupato, angosciato. Non pronunciò parola, corse verso la loro stanza e prese a riempire un borsone di vestiti, singhiozzando.
- Em? - fece Brian, seguendola a grandi passi.
- Emily cosa stai facendo? - sussurrò come un bambino che chiede scusa alla mamma per aver rubato un biscotto.
- Che... succede... - mormorò ancora, allungando una mano verso la spalla della donna indaffarata e singhiozzante.
Il tocco della sua mano le provocò un violento sussulto, che non fece altro che aumentare il flusso delle lacrime.
- Vado via. - Disse senza neppure voltarsi. Vederlo, guardarlo negli occhi, l'avrebbe fatta soffrire a tal punto che avrebbe cambiato idea, e non voleva.
- P-Perché? - balbettò Brian, traballando leggermente.
"No, non rispondermi. Lo so. Lo so. No Emily.. no.."
Strinse i pugni, lo sguardo basso, incapace di muoversi. Impotente.
- Sta diventando.. difficile. - continuò lei, fermando i suoi veloci movimenti, fissando i vestiti arraffati dentro il borsone. Cercava di controllarsi, cercava di fermare quel flusso di dolore che voleva uscirle fuori.
- Em... Amore... lo so. Lo so davvero. Capisco, capisco quello che provi.. ma Em, ti prego.. abbiamo sempre detto che insieme ce l'avremmo fatta, che con il nostro amore potevamo fare tutto insieme, che bastava tenersi per mano e anche l'abisso più buio poteva illuminarsi. Piccola mia.. resta con me, ti supplico.. - disse Brian tutto d'un fiato, abbracciandola da dietro e affondando il viso nell'incavo del suo collo, bagnandoglielo.
Emily posò una mano sulla sua, accarezzandogliela lievemente, per poi intrecciarla.
- Tenersi per mano non basta più.. non ora, non per questo. - disse con voce che doveva essere impassibile, ma l’ultima sillaba traballante fece trasparire tutto il suo dolore.
- Non basta.. non basta il fatto che io senza te non sono nulla? Nulla Emily. Un cadavere, proprio come quando mi hai conosciuto. Oppure non basta il nostro amore Emily? Non mi ami più? È solo un pretesto per andartene il tuo? - mormorò con voce quasi soffocata, respirando sul suo collo morbido, inspirandone il profumo a grandi boccate. Sapeva che doveva farne rifornimento. Presto gli sarebbe mancato molto.
Il panico invase Emily. Sapeva, sapeva cosa doveva fare. Ma farlo era tremendamente difficile.
- E' anche questo. Ti amavo, ma adesso mi sono stancata di questo modo angosciante di vivere, credo che sia ora di darci un taglio. - Pronunciò queste parole crudeli con tono freddo e glaciale, finto. Nobel per la miglior bugiarda.
"Emily... non scappare da me. Non scappare. Sai che non ti sfiorerei mai. Sai che non posso farti del male. Sono un assassino, un killer spietato. Ma a te, piccola mia, ho sempre trattato come una rosa delicata e rara. Mi hai dato la forza per vivere con il sorriso, mi hai teso la mano dall’alto del tuo paradiso verso il mio profondo e rosso inferno. Sapevi a cosa andavi in contro. Ma mi hai salvato rendendomi un uomo migliore. E no, non credo che tu sia appassita amore mio. Non ci credo."
Brian la fece girare nelle sue braccia e la guardò dritta negli occhi.
Il segno vermiglio del peccato era ancora visibile nelle sue iridi. Mise una mano sopra gli occhi delle donna, che non poteva far altro che essere in balia dei suoi movimenti.
Poi mise l'altra sotto il mento. Con una leggera pressione, avvicinò il viso al suo.
Poggiò le sue labbra sulle sue, delicato e morbido.
"Ti amo Emily." pensò, perso in quella dolce morbidezza, trattandola come se fosse l'ultima volta che l'avrebbe sfiorata.

Brian scosse la testa.
Tornò alla realtà, con un sospiro e un gemito soffocato.
Edward tornò nella stanza, barcollando, come un ubriaco.
Ubriaco si, ma di felicità. E drogato. Drogato d’amore.
Non si accorse del cambiamento d’espressione di Brian, mangiarono insieme come nulla fosse.
In silenzio, l’uno con un dolore celato malamente, l’altro che tratteneva a malapena la sua gioia.
Dopo pranzo, Brian andò al “lavoro”, Edward si chiuse in camera e si buttò sul letto.
Il primo, uccise un killer professionista che inseguiva da mesi, a Manhattan. Il secondo, scambiò sms con Charlotte tutto il pomeriggio.

Sabato.
Orfanotrofio Charlotte Brontë.
Due ragazzi, all’ombra di un castagno, si scambiano promesse d’amore.
Si baciano, si abbracciano, si coccolano.
Una ragazza, dall’alto della sua finestra, li osserva.
Li odia, li detesta, li uccide con lo sguardo.
Gelosa, gelosa marcia, stringeva i pugni e si disperava.
Se avesse posseduto una bomba atomica l’avrebbe usata.
Ma anche una pistola sarebbe potuta bastare.
Perché erano venuti qua? Per piazzarsi davanti alla sua finestra e sputarle in faccia il loro amore?
Oh, anche lei avrebbe voluto sputargli in faccia si, ma saliva e tutto il suo dolore.
Si legò i capelli in una coda alta, si truccò pesantemente, con tutti i trucchi che aveva.
Si sciolse i capelli, se li appuntò di lato con due forcine, si mise le scarpe e fece un lungo sospiro.
"Basta, ora li uccido." Pensò, stringendo i pugni e correndo fuori dalla stanza.
Il suo corpo slanciato attraversava i corridoi spenti e bui, facendoli risuonare ad ogni suo balzo.
Ogni passo che la divideva dalla coppia era un passo verso la sua fine.
Quei corridoi bui non avrebbero più risuonato della sua rabbia.
La sua stanza non si sarebbe mai più distrutta ad ogni suo scatto d’ira.
La preside non si sarebbe mai più lamentata della sua testa perennemente tra le nuvole.
Tutto, solo per una maledetta mano.
Tutto, solo per un dannato schiaffo.
Cinque dita stampate sulla guancia di una rivale, cinque dita che sigillarono il suo oblio.

I muri non hanno memoria.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Black Calipso